Riconoscersi miseri per accogliere la miseria dell’altro.

Oggi voglio condividere con voi questa bellissima riflessione di San Bernardo di Chiaravalle. Uno stralcio tratto da “I quattro gradi dell’amore”. C’è tanto su cui riflettere. Tanto che ci può aiutare a comprendere con una nuova luce, quella di Dio, la nostra relazione sponsale.

DA: I QUATTRO GRADI DELL’AMORE (di San Bernardo di Chiaravalle)

Gli uomini bramano oro e argento e cose simili; ma più di tutto bramano vivere. Su questo non c’è dubbio! È del tutto chiaro! E Dio aggiunse: Se gli uomini desiderano questa vita terrestre, misera, faticosa e precaria, quanto più desidereranno la mia vita, tranquilla, eterna, beata. E Dio promise all’uomo la vita eterna; promise ciò che mai occhio ha visto, ciò che mai orecchio ha udito, ciò che mai il cuore dell’uomo ha sognato. Ma Dio si accorse che anche così non si approdò a nulla. E Dio disse: Non mi resta che un’ultima cosa. L’uomo non ha soltanto paura e desiderio, ma anche amore. E nessun’altra cosa è più forte dell’amore, per attirarlo. Per questo motivo Dio è venuto nella carne e si è manifestato così amabile, di un amore tale, maggior del quale nessun può avere. E ha dato la sua vita per noi. Dio, perciò, ha scelto la via dell’incarnazione non perché non potesse restaurare in altro modo la sua opera, il suo progetto sull’uomo, ma perché bisognava far toccare con mano all’uomo carnale tutto ciò che può contenere di amore il cuore di un Dio che è carità.

In questa maniera l’uomo, nei confronti di Dio, è diventato debitore di amore! “perché l’uomo divenisse debitore di amore”. Questa è la radice e il compendio della spiritualità cristiana, in una parola: l’uomo deve amare Dio! È, l’amore, una legge insita nella natura stessa del cuore dell’uomo e per questo è dono di Dio. “La carità crea la carità; quella sostanziale crea quella accidentale. Questa è la legge eterna, che crea e governa l’universo. Nulla è lasciato senza legge, dato che essa stessa, è legge”.

In quale misura l’uomo deve amare Dio? Perché e in quale misura l’uomo deve amare Dio? La risposta è quella di Agostino: “Volete dunque udire da me il motivo e il modo con cui si deve amare Dio? Io vi rispondo: Il motivo di amare Dio è Dio stesso; la misura è di amarlo senza misura”.

Cristo è tutto: senza di lui tutto è deserto e morte: “È assolutamente degno di morte, colui che, o Signore Gesù, rifiuta di vivere per te; anzi, egli è già morto. È un insensato colui che non ha il gusto di te; è un nulla e deve essere considerato un nulla colui che non si preoccupa di vivere unicamente per te”. Insomma “Gesù è miele nella bocca, melodia soave all’orecchio, gioia nel cuore.

In concreto, il vivere l’amore si identifica con il fare in tutto e sempre la volontà di Dio. “Come una gocciolina d’acqua entro una grande quantità di vino sembra perdere interamente la propria natura fino ad assumere il sapore e il colore del vino, come un ferro, messo al fuoco e reso incandescente, si spoglia della sua forma originaria per divenire completamente simile al fuoco, come l’aria percorsa dalla luce del sole assume il fulgore della luce, cosicché non sembra solo illuminata, ma luce essa stessa, così nei santi sarà necessario che ogni sentimento umano, in una certa misura ineffabile, si dissolva e trapassi a fondo nella volontà di Dio”.

Ma per imboccare e la via dell’amore, è condizione indispensabile una unica cosa, convertirsi, cioè abbandonare la volontà propria, attraverso l’umiltà. Convertirsi si riduce, quindi, ad apprendere la difficile arte dell’umiltà! E l’umiltà consiste semplicemente nel formarsi una valutazione esatta di se stessi. “L’umiltà è la virtù per cui l’uomo si crede spregevole a motivo di una esattissima conoscenza di se stesso. E cioè: siamo grandi, perché “nessuna creatura è più vicina a Dio di quella fatta ad immagine di Dio”. Ma anche siamo piccoli per la presenza del peccato personale. “La superbia è il desiderio della propria preminenza. Conversione perciò, significa riprendere, riconquistare faticosamente ciò che è nativo nella natura umana, cioè l’umiltà. L’uomo è per natura umile! La superbia, invece, è un prodotto inventato dal diavolo, e esportato nell’uomo. Bisogna, in altre parole, scandagliare le profondità del proprio cuore, ottenere con un lavoro duro e assiduo, una valutazione esatta di se stessi. Infatti l’orgoglio e la superbia, i grandi nemici dell’esistenza cristiana, nascono proprio dall’ignoranza di se stessi. Più si ignora se stessi e più si corre il pericolo di cadere nella superbia.

Dall’umiltà nasce la carità verso gli altri. La nostra miseria davanti a Dio ci fa prendere il nostro giusto posto anche davanti agli altri. Proprio attraverso l’esatta conoscenza di noi stessi arriviamo alla conoscenza della debolezza altrui. Noi, attraverso la nostra personale debolezza e fragilità, riflettiamo quasi in uno specchio, quella del prossimo: Il cristiano, “partendo dalla propria miseria mediterà su quella di tutti gli altri. Dio ci lascia nei nostri difetti, perché comprendiamo quelli degli altri. Infatti noi e gli altri siamo fatti della stessa pasta. Di qui una unica conclusione appare possibile: come io ho compassione delle mie miserie personali e non mi condanno, così non potrò mai assumere atteggiamenti severi nei confronti del fratello che pecca, dovrò essere aperto ad un indefinito perdono. Tu sei un malato grave e non potrai non aver compassione del fratello che è malato come te. Infatti “solo un malato può comprendere e avere compassione di un altro malato “. I cristiani “partendo dalle proprie sofferenze imparano a compatire quelle degli altri”.

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