Siamo al vertice. Dopo voce, sguardo e baci, e carezze, siamo pronti all’abbraccio dell’amplesso. Al gesto più profondo, bello e ricco di significato degli sposi. Clicca qui per leggere quanto già pubblicato. La riflessione come sempre è tratta dal nostro libro Sposi sacerdoti dell’amore (Tau Editrice).
Siamo giunti al momento più intenso, quello che nel Cantico dei Cantici è desiderato, invocato, cercato come culmine dell’amore: l’unione piena tra l’amato e l’amata. «Mi baci con i baci della sua bocca!» (Ct 1,2) è la scintilla iniziale che apre il poema dell’amore. Ma quel bacio non è solo passione, è desiderio di comunione, inizio di un cammino fatto di sguardi, attese, parole sussurrate, carezze, profumi, abbracci. È una pedagogia della tenerezza, che conduce progressivamente verso l’incontro profondo tra i corpi, ma passando per l’intimità delle anime.
Come ogni sposo e ogni sposa della terra, anche i protagonisti del Cantico sognano l’amplesso d’amore: un momento in cui non sono più due, ma un noi che abbraccia anche la geografia del corpo. «Il mio diletto è per me e io per lui» (Ct 2,16), dice l’amata: non è possesso, ma reciproca appartenenza. L’unione fisica diventa così la manifestazione visibile di una comunione già coltivata nella tenerezza e nella cura.
Ecco la chiave: lo stesso gesto dell’unione può essere un altare d’amore oppure una farsa dolorosa. Può essere il sacramento della reciprocità o l’ombra dell’egoismo. Tutto dipende da ciò che lo precede. Se l’amplesso è il frutto maturo di una vita intrecciata di carezze, sguardi che parlano, parole buone, piccoli gesti quotidiani di attenzione, allora ha senso, profondità, bellezza. Come scrive il poeta del Cantico: «Tu mi hai rapito il cuore con un solo tuo sguardo» (Ct 4,9). Lo sguardo è il primo abbraccio, il primo dono.
L’amplesso allora non è un premio, ma una conseguenza. Per l’uomo, i “preliminari” diventano una naturale continuazione di quell’amore già espresso durante il giorno; per la donna, non sarà difficile abbandonarsi, se si è sentita al centro dell’amore del suo sposo. Come nel Cantico, dove l’amata si descrive: «Bruna ma bella… guardate me!» (Ct 1,5-6), perché si è sentita guardata con amore, onorata, desiderata senza essere usata.
Costanza Miriano ha detto in un’intervista che «la maggior parte dei matrimoni arriva dopo pochi anni al deserto sessuale». Le statistiche lo confermano: i rapporti si diradano, si svuotano, diventano una fatica più che una gioia. Perché? Non perché non ci si ama più, ma perché è mancato il nutrimento della tenerezza. La sessualità senza tenerezza è come un fiore senza radici: si secca.
Don Carlo Rocchetta lo dice con lucidità: uomo e donna sono spesso “sfasati” nei tempi e nei bisogni. L’uomo cerca l’intimità fisica per sentirsi amato e quindi per potersi aprire alla tenerezza; la donna, al contrario, ha bisogno di sentirsi amata attraverso la tenerezza per poter desiderare l’unione sessuale. Ma quando si impara a conoscersi e ad amarsi, tutto cambia. Nasce un circolo virtuoso, in cui l’amplesso non è più solo un punto di arrivo, ma anche un punto di partenza. L’uomo, dopo l’incontro, colma di attenzione la sua sposa; la donna, amata e accolta, si sente più disposta a donarsi.
Nel Cantico, l’amata dice: «Il suo frutto è dolce al mio palato. Egli mi ha introdotto nella cella del vino e il suo vessillo su di me è amore» (Ct 2,3-4). L’amplesso è celebrato come una festa, ma una festa che viene dopo un lungo cammino d’amore, di desiderio custodito, di parole che hanno preparato il cuore.
Forse, come sposi, dovremmo rileggere insieme questo poema antico. Scopriremmo che Dio ha lasciato in quelle pagine una mappa del desiderio redento, dell’amore che si fa corpo, dell’intimità che nasce dalla tenerezza. In fondo, ogni vero amplesso è una liturgia: inizia con un “bacio della bocca” e si compie nel “vino dell’amore”, che è dono totale, reciproco, gioioso.
Antonio e Luisa