Non è il sesso che fa l’amore

Ci è arrivata, attraverso messanger, una richiesta. Ne abbiamo già parlato tante volte ma, come dicevano i latini, repetita iuvant. Lo dirò magari in modo un po’ diverso dal solito.

Buongiorno, quando ti è possibile puoi fare un post o un video, se non c’è già, spiegando che non basta chiamare amore l’andare a letto con qualcuno e che basta il sesso per farlo diventare tale? Perché anche se dovrebbe essere un’ovvietà è evidente che non lo sia… e si comprende da tutto ciò che si legge e sente

La nostra lettrice mette in evidenza quello che sono la maggior parte delle relazioni del nostro tempo. L’amore confuso con il sesso. Che poi è vero fino a un certo punto. Nel senso che la mentalità comune sta cambiando molto velocemente e per tanti non sembra esserci più bisogno dell’amore perché basta il sesso.

È stato sdoganato il concetto di scopamicizia. Dove si mette in chiaro che non si cerca l’amore ma solo un uso reciproco per esercitare il sesso in modo piacevole e senza responsabilità o relazioni impegnative. Che poi è un’illusione perché ci si fa solo del male. Il sesso non è mai senza conseguenze che possono essere positive o negative. Una ragazza con cui abbiamo parlato si è confidata con noi e ci ha raccontato tutto il suo malessere quando si è sentita dire da un ragazzo dopo aver avuto un rapporto: ora che mi sono svuotato sto bene. Lei sapeva fin dall’inizio che l’altro non cercava altro. Ma sentirselo dire così chiaramente l’ha messa davanti a tutta la miseria in cui si trovava. Si è sentita qualcosa da usare per svuotarsi. Che è quello che è effettivamente accaduto. Siamo fatti per questo? Assolutamente no e quindi il cuore si ribella e questo ci fa stare male.

Questa situazione esprime benissimo cosa il sesso non è. Il sesso non è una piacevole ginnastica che ci permette di soddisfare le nostre pulsioni ma è molto di più e soprattutto è proprio un’altra cosa. Il sesso serve a dare un corpo a qualcosa. Il sesso è come un contenitore da riempire con ciò che abbiamo nel cuore. Quindi il sesso non è positivo o negativo ma esprime il bene o il male a seconda di cosa abbiamo nel cuore e cosa mettiamo in quel gesto. Se riempiamo quel gesto di egoismo, di pulsioni generate dalla pornografia o dalle nostre ferite, di possesso e cosifichiamo la persona con cui viviamo l’intimità, non potremo che rendere quel gesto un veleno e fare a noi e all’altro del male. Anche se magari il gesto in sè è anche piacevole. Ma cosa ci lascia? Che frutti? Quando invece quel gesto è riempito di comunione, di dono, di gratitudine e di una quotidianità fatta di una promessa che diventa Alleanza per la vita, ecco che il sesso assume il suo vero significato: esprimere amore incondizionato e fedele. Ecco che i frutti saranno buoni e ci daranno forza.

Quindi, tornando alla richiesta iniziale, non è il sesso a fare l’amore ma è l’amore a fare del sesso un gesto autentico e buono. Amore misericordioso, fedele e incondizionato che si trova solo nel matrimonio. E anche lì non sempre è un gesto di comunione ma diventa spesso un modo per usarsi, ma questo è un altro discorso che affronteremo in un altro articolo.

Antonio e Luisa

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Contemplare per accrescere l’alleanza con l’Amato tramite Maria

Eccoci arrivati alla nona lettera della parola CONTEMPLARE, a cui ci piace associare il termine ALLEANZA. Tale vocabolo deriva dal francese alleance e richiama ad un accordo, ad una coalizione fra più persone o gruppi. Secondo il dizionario delle fede il termine alleanza deriva dalla parola ebraica berith e il significato è molto ampio: significa impegno, patto, accordo, trattato, ed esprime il senso del legame che Dio stabilisce con l’intera umanità, a partire da Abramo fino al popolo d’Israele e con tutti i credenti in Gesù Cristo.

Certamente, per noi sposi cristiani l’alleanza è rappresentata dalla promessa che ci siamo scambiati il giorno del nostro matrimonio e che, il 13 maggio, nel giorno del nostro anniversario rinnoviamo: Io accolgo te come mio sposo/a. Con la grazia di Cristo prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita.

Ogni parola di questa formula ha un significato profondo e molto bello che, crediamo, debba essere conosciuto, non serve approfondirlo su molti libri ma basta l’esperienza quotidiana di ogni coppia che ha fatto questa scelta poiché “L’alleanza d’amore tra l’uomo e la donna, alleanza per la vita, non si improvvisa, non si fa da un giorno all’altro. Non c’è il matrimonio express: bisogna lavorare sull’amore, bisogna camminare. L’alleanza dell’amore dell’uomo e della donna si impara e si affina. Mi permetto di dire che è un’alleanza artigianale. Fare di due vite una vita sola, è anche quasi un miracolo, un miracolo della libertà e del cuore, affidato alla fede” (papa Francesco, udienza generale, maggio 2015)

Per noi, possiamo dire che questo continuo impegno di realizzare le promesse giorno per giorno, anno per anno, ci porta ad essere sempre più “immersi” in quell’Alleanza con l’Amato – con Cristo – e poter così vivere la consacrazione a Dio della nostra relazione nuziale. Crediamo che sia giunto il momento di riaffermare con forza che «gli sposi sono come consacrati e, mediante una grazia propria, edificano il Corpo di Cristo» (AL 67).

Attenzione però! Bisogna precisare che tale consacrazione è possibile solo se lo Spirito scende sullo sposo e sulla sposa, e non basta che i coniugi lo vogliano, come spiega bene don Luca Frontali: “È lo Spirito Santo a rendere i due “una sola carne”, è lo Spirito a unire la coppia, analogamente a come Egli unisce il Padre e il Figlio. Senza lo Spirito una coppia rimane sempre un aggregato di due persone, per quanto si amino e siano disposte a darsi la vita a vicenda. Solo con lo Spirito quindi la persona umana, che è sia uomo che donna, può essere veramente immagine e somiglianza del suo Creatore che è la Trinità, una Unità e Comunione al tempo stesso. Molto significative sono la parole di San Giovanni Paolo II, che nella Lettera alle famiglie Gratissimam Sane affermava: «L’amore, perché sia realmente bello, deve essere dono di Dio, innestato dallo Spirito Santo nei cuori umani e in essi continuamente alimentato. Ben consapevole di ciò, la Chiesa nel sacramento del matrimonio domanda allo Spirito Santo di visitare i cuori umani»” (La consacrazione nuziale, significato e riflessione teologica)

È per tutto questo che abbiamo affidato a Maria il nostro cammino familiare, a Lei che per prima è stata plasmata dallo Spirito Santo e che nell’icona “Nostra Signora dell’Alleanza”, rappresentando la Chiesa, abbraccia e sostiene l’ alleanza di noi sposi col Figlio.

ESERCIZIO PER ACCRESCERE L’ALLEANZA CON L’AMATO

Sia ai giovani sposi, sia a chi è sposato da tanti anni suggeriamo di soffermarsi su ogni parola del consenso matrimoniale per scoprire, sempre più ciò, che ci si è promessi davanti a Cristo e alla Chiesa. Tali parole infatti non sono disposte a caso, ma anzi il loro ordine impone che la frase successiva non abbia alcun significato e non sia “realizzabile” senza che la precedente sia stata compresa e “realizzata”: ovvero, prima delle promesse gli sposi hanno già pronunciato l’espressione “io accolgo te…” in quanto non è possibile promettere fedeltà, amore e onore senza che ci sia stata (attraverso una matura consapevolezza di sé) piena accoglienza dell’altro/a così come è.

PREGHIERA DELL’ALLEANZA NUZIALE

O Cristo,

che tenendoci per mano ci trasmetti l’ ininterrotto amore di Dio per la nostra coppia,

stai al centro della nostra alleanza nuziale.

O Spirito Santo, che sei comunione d’amore col Padre e col Figlio,

ravviva ancora la nostra alleanza nuziale.

O Dio, poni ancora la tua Shekinah nella nostra alleanza nuziale affinché,

mediate la tua Parola, il tuo Corpo e il tuo Sangue,

il nostro amore sia accresciuto.

Che la luce delle nostre due lampade sia ancora alimentata dall’olio della preghiera quotidiana

per poter essere sempre un’icona vivente della Tua Alleanza con il mondo

stando sotto la tenda del manto materno di Maria!

Amen

Daniela & Martino, Sposi Contemplativi dello Sposo

Ragione e sentimento: un lavoro di squadra

Se cuore e mente non vanno d’accordo? Non a caso, già due secoli fa,  Jane Austen scrisse quel classicone che è Ragione e sentimento. Perché spesso ci innamoriamo delle persone sbagliate. Perché spesso, una volta sposati, non sappiamo scegliere ponderando cuore e mente, ma seguiamo semplicemente quello che ci dice il cuore. La dicotomia tra mente e cuore è qualcosa di cui tutti abbiamo fatto esperienza almeno una volta nella vita. Ma ecco il nocciolo della questione: non è proprio una dicotomia, può e deve diventare piuttosto un lavoro di squadra! Mente e cuore esprimono due parti fondamentali della nostra persona. A volte sembra che il cuore e la mente siano sempre immersi in un’eterna lotta e che non vadano mai d’accordo. Uno dice bianco e l’altro dice nero. E in mezzo ci siamo noi, che non sappiamo chi ascoltare. Come accade con quei semafori malfunzionanti, che lampeggiano senza indicare chiaramente cosa fare. E non sapere cosa fare può fare grandi danni.

La cosa pazzesca è che quando si tratta di relazioni interpersonali sappiamo esattamente cosa dovremmo fare; o almeno siamo consapevoli di ciò che è meglio per noi. In questi casi la mente ci lancia sempre messaggi di allarme, ma è molto difficile ignorare gli impulsi che ci manda il cuore. Senza contare che il tutto è reso ancora più complicato dalle nostre paure. Dalla paura di perdere quella persona, di non essere desiderati, di restare soli. Gestire ciò che sentiamo attraverso la nostra mente è essenziale per ottenere ciò che meritiamo e per percorrere la strada più felice anche se all’inizio può sembrare quella più difficile e carica di sofferenza. Il discernimento alla fine è questo. Non ascoltare semplicemente le passioni e i sentimenti ma ascoltare anche la nostra parte razionale chiedendo aiuto allo Spirito Santo. Che tra i suoi doni può darci la sapienza, l’intelletto, il consiglio, la fortezza e la scienza

Cosa intendiamo quando parliamo di cuore e mente?

Attenzione il cuore non è un concetto astratto come può sembrare parlando di emozioni e sentimenti. E’ molto concreto e corporeo. Il cuore è l’autore della famosa “chimica”. Quelle sensazioni positive che sentiamo nel corpo. Quando il cuore si connette con l’altra persona, vengono rilasciate sostanze chimiche come la dopamina, che produce una sensazione di euforia, e l’ossitocina, che genera sentimenti di affetto. E anche i livelli di cortisolo, l’ormone dello stress, si riducono. Come puoi non voler stare con una persona che ti provoca tutte queste sensazioni? Anche il tuo umore cambia! Da parte sua, il pensiero, il ragionamento, l’argomentazione, la giustificazione, le idee, la creatività e la risoluzione dei problemi, tra gli altri, risiedono nella nostra mente.

Compatibilità delle menti

Essere affini mentalmente non significa pensare allo stesso modo: significa piuttosto che le suoi pensieri non sono in conflitto con i miei. Si tratta di garantire che la volontà dell’uno non costringa l’altro a rinnegare i suoi valori irrinunciabili della vita. Si tratta di riuscire a costruire con valori che si completano e non si boicottano a vicenda.

C’è una parte valoriale di noi che “non è negoziabile”. Per amore dell’altro possiamo decidere di modificare tante idee, atteggiamenti, comportamenti e sensibilità. Decidiamo in libertà senza costrizione. Si tratta di arrendersi e cambiare per amore. Ci sono parti di noi che però non possiamo cambiare per non tradire ciò che siamo. Possiamo essere differenti in tante cose e ciò non implica il fallimento della relazione. Ma se i principi non negoziabili non sono compatibili ascoltiamo la mente. Faccio un esempio. Se io non avessi accolto il desiderio di apertura alla vita di Luisa lei avrebbe fatto bene a lasciarmi prima del matrimonio. Nonostante lei fosse innamorata di me io non avrei potuto lasciarle la libertà di vivere secondo i suoi principi fondamentali e non avrebbe potuto trovare la pace e la gioia con me.

Creiamo un ibrido cuore-mente

La mente usa la logica, ma non considera ciò che senti; Il cuore ti spinge ad aprirti, ma senza controllo e può commettere errori. Come vedi, hanno bisogno di nutrirsi a vicenda. Non puoi scegliere di vivere solo secondo la mente o solo seguendo il cuore. La chimica non è sufficiente a stabilire un rapporto solido, e il solo ragionamento non può costruire senza sentimenti, altrimenti ci troveremmo di fronte a un mero contratto di convenienza.

Le emozioni generate dal cuore sono suscettibili di forti sbalzi. Possono essere altissime come scomparire. Oggi puoi credere che il cuore sia abbastanza, perché ha il potere di trainarti nelle scelte. Ma il matrimonio è per tutta la vita. E se col tempo l’emozione diminuisce fino a scomparire quasi del tutto? A volte succede. Ciò che ti rimane è solo la scelta razionale di amare. Ciò che ci fa andare avanti non sarà più un sentimento o un’emozione o una sensazione del corpo, ma un pensiero razionale. È la volontà di prendere ogni giorno la decisione di amare. Ed è quella che ti può salvare dai periodi di aridità.

Solo se si affronta il momento di deserto con la forza della volontà si potrà ricostruire e nutrire di nuovo anche il cuore senza condannarci a relazioni precarie e che alla fine non ti permettono di sperimentare la fedeltà e l’amore gratuito e senza condizioni.

Antonio e Luisa

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Cari genitori, ascoltando … lotterete

Nel precedente articolo sul sacramento del battesimo («Cari genitori, chiedendo … vi impegnate») abbiamo considerato la realtà dell’aggregazione alla Chiesa nel suo primo momento liturgico dell’accoglienza. Il battesimo è la porta d’ingresso nella comunità cristiana. Perciò, i genitori all’ingresso dell’edificio della chiesa simbolicamente sono accolti e si impegnano nel loro ministero coniugale per l’educazione all’amore.

In questo articolo ci soffermiamo sul secondo momento: la liturgia della Parola. Tale sequenza è formata dall’ascolto della Parola di Dio; dall’illustrazione del mistero sacramentale e dall’esortazione mediante l’omelia; dalla supplica a Dio mediante le preghiere dei fedeli presenti e dall’intercessione dei santi invocati per aiutare la futura rinascita spirituale; dall’orazione di esorcismo che è intimamente connessa all’unzione sul petto del candidato con l’olio dei catecumeni. Il celebrante nell’orazione umilmente chiede al Padre per il candidato la protezione nel cammino della vita e la forza proveniente dalla grazia di Cristo poiché «fra le seduzioni del mondo dovrà lottare contro lo spirito del male» (dal rito liturgico del battesimo).

Nel presente della liturgia accade la realtà compiuta da Gesù nel passato e comunicataci dal Vangelo. «Se io caccio i demoni con il dito di Dio, è segno che il Regno di Dio è giunto in mezzo a voi» (Luca 11,20). È ancora Gesù il dito di Dio che caccia dal catecumeno “i demoni” e apre così a lui la porta ad una vita nuova! L’epoca antica dei padri della chiesa considerava il mondo non cristiano posseduto dalle forze demoniache perciò il catecumeno doveva essere esorcizzato con la preghiera. Gesù avendo subìto e superato le tentazioni del demonio ha dimostrato di essere l’Unico vincitore sulle tentazioni.

Con la preghiera di esorcismo e l’unzione pre-battesimale inizia la comunione sacramentale con Colui che può sottrarci al dominio dell’avversario.

Nell’orazione di esorcismo si fa riferimento alla cancellazione del peccato originale. Questa è la prima purificazione compiuta nel battesimo. L’uomo nasce, ovviamente senza responsabilità personale, ma per la caducità della condizione naturale si trova comunque in uno stato di ingiustizia verso Dio. Il modo giusto di essere davanti a Dio è stato rifiutato dal vecchio Adamo, ma nel nuovo Adamo tutto è stato restituito alla giustizia. Nella lettera agli Efesini 4,24 san Paolo si riferisce alla giustizia che deve essere propria di ogni cristiano: «Dobbiamo rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera». È tipico dell’uomo nuovo vivere nella giustizia.

Ispirandoci al linguaggio biblico secondo giustizia significa essere nel giusto rapporto con Dio e con gli altri. Prendiamo esempio da alcuni presentatici come i giusti d’Israele: Elisabetta, Zaccaria, Giuseppe. Sono stati giusti perché hanno osservato le leggi di Dio, hanno tenuto conto dello spirito della Legge, hanno operato nella verità di Dio e del prossimo. Dio stesso però è giusto perché ristabilisce le cose sbagliate mettendole al loro posto. Perciò, la giustizia di Dio è la sua misericordia. Ristabilisce il rapporto giusto tra Dio e gli uomini, rimette a posto ciò che è stato rotto con il perdono.

La sequenza dell’unzione sul petto può esprimere quanto ci riporta san Paolo: «Siate dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia» (Efesini 6,14). L’unzione del petto con l’olio, per le sue proprietà, è gesto che penetra e introduce benefici; rimanda storicamente alla preparazione dei lottatori che si cospargevano di olio per tonificare i muscoli e sfuggire alla presa dell’avversario. Ispirandosi a questa prassi, i primi cristiani hanno adottato l’uso di ungere i candidati per ricevere la corazza dell’Unto a propria difesa nella lotta contro l’antico avversario, e restituire la verità dell’uomo e di Dio.

La chiesa domestica, da questo secondo momento, dovrà affiancarsi al battezzato nell’educazione alla giustizia. «Il nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare. Resistetegli nella fede» (1Pietro 5,8). Questa lotta riguarda innanzitutto il battezzato come persona la cui libertà è stata redenta, ma non siamo soli, siamo tutti aggregati al corpo ecclesiale e alla nostra piccola chiesa domestica (famiglia). Anche i genitori sono chiamati a essere responsabili e ad aiutare il battezzato nella sua lotta contro il male. Il corpo ecclesiale – e quello presente nel focolaio familiare – potrà e dovrà allenare e affiancare il battezzato nella sua personale lotta spirituale. «La Sua unzione vi insegna ogni cosa ed è veritiera e non mentisce, così voi rimanete in lui come essa vi ha istruito» (1Giovanni 2,27).

I genitori insegneranno testimoniando. Meglio ancora se alla testimonianza sapranno aggiungere la giusta parola di insegnamento. I genitori nel loro compito educativo cercheranno di aiutare il battezzato a comprendere il suo posto nel mondo e nei piani di Dio.

«Dio ci ha creati per opere buone e le ha predisposte in noi perché le pratichiamo come dono suo. Ecco, un atteggiamento importante che ci permette di difenderci da molti pensieri, sia di diffidenza, sia di paura, sia di vanità, sia di ambizione, sia di presunzione di sé. A tutti questi pensieri dobbiamo opporre continuamente la verità del piano di Dio e il nostro riconoscimento del giusto posto che in esso abbiamo: posto di colui che riceve, di colui che è creato, ma di colui che è anche graziato, riempito della multiforme grazia di Dio» (card C. M. Martini).

«Fortificati dal Signore Risorto, che ha sconfitto il principe di questo mondo, anche noi possiamo ripetere con la fede di san Paolo: “Tutto posso in colui che mi dà la forza” (Fil 4,13). Noi tutti possiamo vincere, vincere tutto, ma con la forza che mi viene da Gesù» (Francesco, catechesi 25/4/2018).

Don Antonio

Gli anticoncezionali fanno male al matrimonio

Oggi mi tirerò addosso le ire e gli strali di tante di voi. Come al mio solito non mi tiro indietro e dico quello che penso, assumendomene la responsabilità. Gli anticoncezionali fanno male alla relazione, al matrimonio tutto. Certo a volte possono essere – o sembrare – il male minore ma utilizzarli non è senza conseguenze. Basta prenderne coscienza e poi scegliere liberamente ma consapevolmente. Io non ne ero consapevole fino in fondo e questo mi ha provocato diversi problemi e sofferenze nella mia relazione con Luisa.

Cercherò di spiegarmi meglio. Vi prego di leggere prima di crocefiggermi. So benissimo che ormai gli anticoncezionali sono di uso comune nelle coppie, e spesso quelle credenti non sono diverse dalle altre. E io credo che anche per questa ragione tante coppie sposate sacramentalmente diventino più povere. Perchè la Grazia del sacramento si innesta nell’amore umano degli sposi e quando la comunione dei due viene impoverita tutto ne risente, anche la parte spirituale della persona.

Secondo una ricerca di alcuni anni fa pubblicata in America Latina – si lo so che è poca roba ma non si fanno molti studi al riguardo – sembra che il tasso di divorzio tra le coppie che utilizzano metodi contraccettivi artificiali raggiunge il 39%, mentre tra le coppie che utilizzano metodi naturali aperti alla vita arriva appena al 3%.

Sicuramente questa forbice enorme sarà giustificata anche perché ormai chi si avvale di metodi naturali lo fa perché ha fede e cerca di vivere il matrimonio mettendoci dentro la propria relazione con Gesù e cercando di comprendere e accogliere gli insegnamenti della morale cattolica. Questione di coerenza con quanto si promette. C’è anche però una motivazione semplicemente umana. Lasciamo per un momento fuori dal discorso la fede e la grazia. Concentriamoci solo sulla relazione di due persone che vogliono semplicemente volersi bene e donarsi l’uno all’altra.

Dice san Giovanni Paolo II nella Teologia del Corpo che L’uomo e la donna con il “linguaggio del corpo” (amplesso ndr) sviluppano quel dialogo, si esprimono nella misura della verità intera della loro persona

Qual è la verità della persona e dell’amore? L’intimità è autentica e crea una vera e profonda comunione quando dice che l’unione dei due in una sola carne è capace di esprimere una comunione d’amore che può generare la vita. In altre parole, la comunione dei corpi è l’espressione esterna della comunione interna delle persone: l’amore di quell’uomo e di quella donna è così reale che è capace di creare nuova vita.

Questa è la stessa motivazione che porta papa Paolo VI ad affermare in Humanae Vitae che L’uomo non può rompere di sua iniziativa, tra i due significati dell’atto coniugale: il significato unitivo e il significato procreativo. Infatti, per la sua intima struttura, l’atto coniugale, mentre unisce con profondissimo vincolo gli sposi, li rende atti alla generazione di nuove vite, secondo leggi iscritte nell’essere stesso dell’uomo e della donna. Salvaguardando ambedue questi aspetti essenziali, unitivo e procreativo, l’atto coniugale conserva integralmente il senso di mutuo e vero amore 

I due papi non la mettono su un piano strettamente di peccato religioso ma su un piano umano. Non si tratta di infrangere una norma ma di non vivere l’intimità in modo pienamente umano. Quando non ci si dona totalmente non può esserci amore pieno e autentico. Pesante come affermazione! Un’affermazione che comporta delle conseguenze ben definite e chiare.

Il punto è questo: il sesso è creato come un modo per condividere tutto di noi stessi fino ai livelli più profondi, più vulnerabili e più intimi. È possibile altresì vivere il sesso in modo superficiale. Ciò però comporta dividere la persona internamente, è come dire all’amato/a: amo il tuo corpo, ma non ti amo completamente, preferisco che la tua fertilità sia lasciata fuori. Questo lacera la persona internamente, separa il corpo e l’anima. Che la persona ne sia o meno consapevole. Crea una ferita.

Non possiamo continuare a fingere che i rapporti sessuali vissuti in questo modo siano semplicemente un’attività piacevole senza conseguenze. Al contrario, provocano una ferita reale e profonda nel cuore umano, anche all’interno del matrimonio. 

Io sono convinto di quello che ho scritto. Perché l’ho provato sulla mia pelle. Ho sbagliato ma ora sono quasi contento di averlo fatto. Di aver potuto sperimentare la differenza nella relazione intima con mia moglie. Durante il periodo in cui abbiamo usato gli anticoncezionali era sicuramente più facile avere un rapporto, ma era molto meno appagante e nutriente. Era arido. Tutto si esauriva con il piacere fisico. Quella comunione imperfetta e incompleta vissuta attraverso il corpo non ci univa più di tanto nella vita di tutti i giorni. Non ci sentivamo fortificati e rigenerati nel nostro amore, se non in minima parte. Tornati ai metodi naturali ho potuto fare esperienza di come fosse tutto più bello e più vero. E come quell’intimità fosse non solo piacevole durante il rapporto ma fosse capace poi di nutrire e di sostenere tutta la nostra vita e la nostra famiglia.

Antonio e Luisa

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La missione degli sposi: maternità e paternità

Oggi parlerò della terza missione specifica degli sposi, la paternità e maternità. Qui potete leggere gli articoli precedenti: IntroduzioneImmagine e somiglianza, unità e distinzioneCome Cristo ama la Chiesa e come Dio ama l’umanità

Questa missione la sento particolarmente importante nella mia vita, perché io amo i bambini, mi piace stare insieme a loro, abbiamo due figlie e uno dei miei rimpianti più grandi è non averne avuti altri. Ma questa missione è rivolta solo a chi ha avuto il dono di avere figli e per chi è ancora in età fertile? Assolutamente no! Questa è missione è rivolta a tutti gli sposi, anche a quelli che non hanno potuto generarli, a quelli che hanno i figli ormai grandi, a quelli che purtroppo non li hanno più o non sono mai nati e, infine, a quelli che li hanno adottati. Anzi, a volte può succedere che, concentrandoci troppo sui figli biologici, si trascurano tutti gli altri.

Al paragrafo 184 di Amoris Laetitia si legge: “La loro fecondità si allarga e si traduce in mille modi di rendere presente l’amore di Dio nella società” e ancora al 324: “Sotto l’impulso dello Spirito Santo, il nucleo familiare non solo accoglie la vita generandola nel proprio seno, ma si apre, esce da sé per riversare il proprio bene sugli altri, per prendersene cura e cercare la loro felicità.”

Per gli sposi essere padre e madre è molto più che generare fisicamente una nuova creatura, perché vuol dire prendersi cura sia di tutti gli altri figli che incontrano, sia di tutte le persone, che sono figlie di Dio.  Faccio notare che anche i sacerdoti, i religiosi, le suore e le monache sono chiamati “padri” o “madri”, per indicare che, anche nella verginità, si possono generare tantissimi figli spirituali.

Tornando al sacramento del matrimonio, esso permette di avere uno sguardo particolare che permette di vedere gli altri come tanti figli che vogliamo aiutare a crescere e che siamo chiamati a prendercene cura.

Quando vado in giro, se un ragazzo ad esempio ha un problema o un comportamento sbagliato, proseguo per la mia strada o cerco di aiutarlo come se fosse il mio? Se mi viene richiesto di fare animazione a dei bambini, li tratto con amore come se fossero i miei, con tenerezza e attenzioni? (anche perché loro si accorgono bene se quello che faccio è un dovere o un gesto d’amore). Se il figlio del mio vicino di casa (che magari sopporto poco), non va bene a scuola e ho la possibilità, lo aiuto nei compiti?

Sono catechista in parrocchia perché imparo anch’io qualcosa dai bambini e per aiutare i loro genitori a farli crescere nella fede, nell’amore e nel bene.

Sarebbe un bell’esercizio prendere un foglio di carta e scrivere l’elenco di tutte le persone di cui ci stiamo prendendo cura, anche solo con un messaggio, una telefonata o una chiacchierata ogni tanto. Se la visione di famiglia non si allarga, si può essere sterili, anche se biologicamente non lo siamo: quello che conta, infatti, non è la capacità generativa, ma avere un cuore grande che cerca di costruire la famiglia dei figli di Dio.

Questo permette anche di smettere di pensare che i figli siano nostri: sono un dono che Dio ci ha affidato per farli crescere, ma non sono nostri e pertanto dobbiamo essere coscienti che un giorno andranno via di casa e vivranno la loro vita, forse anche lontano da noi (un aquilone non è creato per stare vicino a chi tiene il filo, ma per volare lontano, in alto).

Essere bravi papà e brave mamme è in assoluto il lavoro più difficile che esista e per fortuna abbiamo i due più grandi esempi possibili, San Giuseppe e Santa Maria, oltre a tutti i santi genitori contemporanei che hanno dato la vita per i figli.

Anche i nonni, specialmente in questo periodo storico in cui spesso entrambi i genitori lavorano, svolgono un ruolo fondamentale se mettono in pratica la loro paternità e maternità con i nipoti.

Chi si sposa civilmente non riceve lo Spirito Santo che gli permette di riconoscere che i loro figli non sono solo di un papà e di una mamma, ma prima di tutto di Dio: è una differenza che si evidenzia nella loro educazione, nelle scelte da prendere e in tutti i gesti che li riguardano.

Nel mio piccolo, anche scrivendo quest’articolo, mi sento un po’ “padre”, perché chi sta leggendo, anche se non lo sa, è figlio di Dio e spero che le mie parole, non per mio merito ma in forza dello Spirito Santo ricevuto il giorno delle nozze, possano aiutare qualcuno a diventare vero padre o vera madre (ce n’è tanto bisogno!).

Allora, come ho confidato all’inizio, se da una parte è vero che rimpiango di aver avuto solo due figlie a causa della separazione, dall’altra ho compreso che, se voglio, posso essere padre molte volte e di tanti figli, anche se fisicamente non li concepisco con una donna. Questo mi dà molta speranza e gioia, permettendomi anche di superare il dispiacere di non aver potuto offrire alle figlie una famiglia unita in cui crescere. Penso anche a tanti papà che per vari motivi, (comprese leggi ingiuste), possono vedere i figli solo raramente: ricordatevi che potete essere padri tutti i giorni e che potete far scoprire a tanti altri figli che il loro vero papà è Dio Padre!

Ettore Leandri (Presidente Fraternità Sposi per Sempre)

Solo i tralci portano frutto

Nel Vangelo di ieri c’è un’immagine ricorrente: la vite e i tralci. Gesù parla di portare frutto. Non so se ci avete mai pensato ma la vite non porta frutto. La vite è radicata al terreno e nutre i tralci ma l’uva cresce sui tralci. Gesù è la vite e noi i tralci.

La simbologia della vite è perfetta per raccontare la modalità scelta da Dio per portare frutto e per rendersi presente nel mondo. Gesù con il Suo amore nutre la nostra vita. La nutre con i sacramenti e con la Parola. Poi però non vuole essere Lui a portare frutto ma lo chiede a noi.

Per noi sposi questa dinamica è ancora più evidente. Perchè il matrimonio è così. Con il matrimonio siamo consacrati a diventare mediatori dell’amore di Dio per il mondo intero ma, in particolare, l’uno per l’altro. Il legame matrimoniale rappresenta un’opportunità unica per trasmettere e ricevere amore incondizionato, diventando un riflesso tangibile dell’amore divino sulla terra.

Sposando Luisa, promettendo davanti a Dio e agli uomini, di amarla e onorarla tutti i giorni della mia vita, ho accolto la mia strada verso la santità. Mi sono impegnato a essere le braccia di Gesù per lei per farle sentire l’abbraccio e la consolazione di Gesù. Mi sono impegnato a dare voce a Gesù per dirle quanto è amata e preziosa. Mi sono impegnato a guardarla con gli occhi di Cristo per farla sentire bella e forte.

La mia santità passa da questo mio impegno ad aiutare Luisa a diventare sempre di più e sempre meglio la donna che è. E viceversa. L’amore della persona che hai accanto può darti la motivazione che ti mancava per diventare finalmente ciò per cui sei stato creato. Una persona capace di dare e accogliere amore. Don Giussani spiegava bene questo concetto con una frase molto semplice, ma illuminante: Sposarsi significa assumere la vocazione dell’altro come propria.

Antonio e Luisa

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Come capire se ti ama davvero

Un titolo sicuramente pretenzioso. L’altro è un mistero è comprendere cosa abbia nel cuore non è facile per nulla. Ci sono però degli atteggiamenti che possono dire tanto se reiterati nel tempo.

L’altro rispetta la tua autonomia e non cerca di controllarti o dominarti? L’amore è un sentimento profondo che si nutre della volontà e della libertà delle persone coinvolte, unisce le loro individualità nella costruzione di un legame. È importante riconoscere i segnali di un amore sano. In una relazione sane si rispetta e si apprezza l’individualità dell’altro. E’ sano costruire una relazione dove si condividono le scelte senza che uno dei due eserciti controllo o pressione sull’altro. Quando un partner diventa ossessivo, cercando di controllare ogni aspetto della vita dell’altro, limitandone la libertà e l’autonomia, non c’è amore autentico. È cruciale quindi prestare attenzione ai segnali di un rapporto sano e consapevole, in cui entrambe le persone si sentono libere di essere se stesse senza timore di giudizio o costrizione. Attenzione anche a quel partner che vi fa intendere con i suoi comportamenti e le sue parole che voi avete bisogno di lui. Che senza di lui non sapreste fare nulla di buono. Un buon marito o una buona moglie è capace di incoraggiare l’altro a titare fuori tutti i suoi talenti e condivide con l’amato/a la gioia per i suoi successi personali senza sentirsi sminuito per questo.

Il tuo partner vuole avere un progetto di vita con te? Il tuo partner vuole progettare un futuro con te? Solo così ci può essere amore. Con una persona che non ti offre una possibilità per il futuro, che vive la vita in modo fluido e senza un orizzonte a lungo termine, senza obiettivi chiari, senza aspirazione ad avere una famiglia, con la paura di un impegno maggiore, non può funzionare Senza progetto non c’è amore. Ci può essere innamoramento, passione, attrazione ma non amore. Si dice che molti uomini – ma riguarda ormai anche le donne – abbiano paura dell’impegno definitivo. Tuttavia, quando un uomo trova l’amore, è capace di “sacrificare” la sua “libertà” per la persona che ama. Questo “sacrificio” deve essere inteso come il fatto di subordinare la libertà personale in una gerarchia di valori.

Il tuo partner rispetta le tue opinioni e si prende cura dei tuoi sentimenti? Il rispetto è essenziale in una relazione sana e consente all’amore di rafforzarsi e crescere. Quando non esiste rispetto per le opinioni dell’altro, magari lo si irride e lo si ridicolizza, l’altro si sente frustrato, sminuito, a volte può prefigurarsi una vera violenza psicologica. Il messaggio che può passare è che tu non vali niente mentre io che ti prendo in giro sono ok. Ancora peggio quando questa mancanza di rispetto avviene pubblicamente, davanti ad altri. Come fa a esserci amore con questo comportamento che umilia la persona che si dice di amare? Un amore sano e bello si prende cura dei sentimenti dell’altro, cerca di compiacerlo e di avere un impatto positivo sull’altro. Chi ama cerca di controllare le proprie parole e i propri gesti affinché l’altro si senta curato e si senta stimato e prezioso.

Il tuo partner è disposto a cambiare. Esiste un criterio che i terapisti di coppia utilizzano per misurare l’impegno in una relazione. Tale criterio è la capacità di cambiare e, se necessario, scendere a compromessi in modo che la relazione venga messa al primo posto. All’inizio di una relazione tutto è meraviglioso, solitamente non ci sono grandi attriti. Tuttavia, con il passare del tempo, ogni persona mostrerà le proprie imperfezioni. Quando c’è voglia di camminare insieme, si discutono questi punti scomodi o differenze e si cerca di cambiare quegli aspetti che danno fastidio all’altro. Chi di solito non è disposto a mettersi in gioco probabilmente vuole gestire la relazione secondo le sue esigenze e la sua sensibilità. Non esiste dire: sono fatto così. Chi ama cerca per amore di cambiare se stesso, chi non ama ma usa la persona che dice di amare cerca invece di cambiare l’altro per plasmarlo a suo piacimento.

Antonio e Luisa

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Dovete starci o volete starci?

Spesso riceviamo delle telefonate o delle mail da persone che lamentano situazioni matrimoniali difficili. Raccontano di fatiche, di problemi di relazione, di incompensioni e di mancanze vere o presunte da parte del marito (di solito ci contattano le mogli)

E’ importante prestare attenzione a come ci raccontano le loro difficoltà e in particolare che parole usano. E’ vero sono sposate sacramentalmente e il matrimonio è per sempre, ma uno dei fattori che possono aiutarci a capire meglio è la descrizione verbale del problema.

Se viene usata spesso la parola DEVO c’è un campanello d’allarme. Sapete perchè? Perchè al verbo dovere possiamo solitamente associare una motivazione estrinseca a restare nella relazione. Se si afferma di “dovere restare“, in sostanza si indica che la motivazione a continuare a scommettere sul matrimonio proviene da fonti esterne. Queste possono includere la paura del castigo divino, lo stigma sociale, il giudizio altrui, aspettative esterne o semplicemente il senso del dovere. È importante comprendere che, anche se rimanere nel matrimonio può sembrare la scelta “giusta”, le motivazioni possono non esserlo. Nel lungo periodo il peso di tale senso di dovere può diventare insostenibile e alla fine portare al crollo del matrimonio, in quanto la persona non riesce più a sopportare un determinato stato delle cose.

Quando utilizziamo la parola “VOGLIO” invece che “devo”, le nostre motivazioni diventano intrinseche, provenienti dal nostro profondo. Questo indica che abbiamo scelto di perseguire una determinata via perché crediamo sia la migliore per noi. Personalmente, ho sperimentato la forza di questa motivazione nel contesto del matrimonio, dove ho compreso che donandomi completamente e senza riserve sto rafforzando il legame con il divino e sto vivendo appieno la bellezza del sacramento che ho scelto, sentendolo come parte integrante della mia vocazione. Questo mi ha permesso di affrontare le difficoltà con maggior determinazione e consapevolezza. Questo è quello che cerchiamo di far capire a chi ci contatta.

La difficoltà magari è la stessa di chi usa il devo ma se voglio starci il peso sarà molto più sostenibile. Quindi la prima cosa da fare se vi sentite soltanto in dovere di stare con l’altro e non lo volete, è proprio di cercare una motivazione più profonda per stare con lui o con lei. Prima che il peso non diventi insostenibile per voi. Quando ci si trova in una situazione simile, è importante prendersi del tempo per riflettere sulla propria relazione e sulle ragioni che vi hanno portato a essere insieme.

Ci tengo molto a questo articolo perchè per me non è stato sempre così, anzi io sono sempre stato quello del devo. Facendo terapia ho scoperto come nella mia vita ho lasciato che fossero gli altri a decidere per me. Fin dall’infanzia ho subito tante scelte – dalla scuola fino agli sport – e le ho accettate per dovere. Questa situazione mi accompagna da sempre e l’ho portata poi anche nella mia relazione con Luisa. Fin da subito Luisa mi ha imposto la sua modalità per vivere la nostra relazione. La castità l’ho subita inizialmente. Ed è stato un casino. Ero pieno di rabbia e di frustrazione. Quando ho accolto davvero questa scelta? Quando l’ho capita e l’ho voluto. E lì è cambiata lanostra relazione. Poi il matrimonio e i figli. Sono arrivati subito. Per me è stato un casino. Mi sono trovato a dover fare tante cose e dover prendermi tante responsabilità. Sono andato in crisi. Tutto è cambiato quando ho scelto di starci e ho voluto prendermi cura della mia famiglia perchè ne ho capito la bellezza. E così per tutto.

Trovare una motivazione sincera e profonda per restare nel matrimonio può fare la differenza nel rendere il peso della relazione più sostenibile. Ricordate che è importante prendersi cura di sé stessi mentre si cerca di mantenere una relazione bella, quindi non esitate a chiedere accompagnamento a un padre spirituale e/o consulenza a un terapeuta se ne sentite il bisogno.

Antonio e Luisa

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Sono single. Cosa posso fare?

Noi scriviamo tanto di matrimonio. Ci contattano anche tante persone che soffrono perché non trovano una persona con cui condividere questo progetto di vita. Quando siamo single, desideriamo molte cose e spesso il desiderio di incontrare la persona giusta diventa una priorità. Diventa il tutto. Pensiamo che questo possa risolvere la solitudine e la tristezza, quasi fosse la soluzione magica ai nostri problemi. Tuttavia, è importante ricordare che il matrimonio è una vocazione specifica a cui siamo chiamati, non solo un modo per risolvere le nostre difficoltà. La nostra vocazione non è solo quella di trovare un marito o una moglie, ma anche di santificarci attraverso il matrimonio, costruendo insieme una famiglia cristiana. Quando comprendiamo che rispondere a questa chiamata definisce la nostra eternità, la prospettiva cambia.

Prega per comprendere appieno il progetto sulla tua vita. È fondamentale esaminare attentamente la tua vocazione prima di tutto. Tutti siamo chiamati alla santità, vuoi comprendere se questa strada passa dal matrimonio. Questo discernimento ti offrirà una prospettiva diversa sul significato del matrimonio. Se hai già compiuto questo passo e sai che Dio ti chiama al matrimonio, abbi fiducia che Dio non gioca con i Suoi figli e, se questa è la Sua volontà per te, ti offrirà l’occasione per vivere quello che ti ha promesso. Affida la tua vocazione nelle Sue mani e chiedi le grazie necessarie per fare la scelta giusta, avere pazienza e riconoscere i Suoi piani e progetti.

Sii pronto ad accogliere il progetto. Non inizi a vivere la tua chiamata quando ti sposi, ma fin da quando sei single. L’amore richiede impegno, e se lavori su te stesso e sul tuo rapporto personale con Gesù, sarai meglio preparato quando arriverà il momento di condividere la tua vita con qualcuno. Dedica il tempo di attesa alla preghiera, chiedendo a Gesù di guidarti e aiutarti a capire il suo piano per te in questo momento. La tua solitudine non è un’occasione per restare in attesa, ma per crescere nell’amore, imparare a donarti nella tua casa, con i tuoi amici, nel tuo servizio apostolico e nella tua vita interiore. Luisa ha fatto così. Ha trent’anni passati non aveva mai avuto un fidanzato. Ha deciso di “ribellarsi” a questo stato e si è messa in gioco. Ha iniziato a fare volontariato, a fare la catechista e a vivere in mezzo alla gente sorridente e accogliente. Io l’ho voluta conoscere perché ho visto quel sorriso e mi ha attratto. Se non sifosse preparata prima forse non l’avrei vista.

Prega per comprendere ciò che Dio vuole. Molte volte capita che i nostri piani non siano i quelli di Dio. Ha idee apparentemente folli che spesso vanno oltre la nostra capacità di pianificare e anticipare umanamente. Cerchiamo di avere una vita interiore solida che ci permetta di essere attenti ai Suoi suggerimenti: dobbiamo sintonizzare l’orecchio dell’anima per percepirne i desideri. Lo facciamo attraverso la preghiera quotidiana, i Sacramenti e la vita di fede.

Infine prega per il tuo futuro marito o futura moglie. Non serve avere un volto per pregare. Si possiamo immaginarlo ma ciò che conta è l’apertura del cuore verso una persona che ancora forse non conosciamo. Pregare perchè questa persona sappia aprire il cuore a Gesù. Intercedere per lui o per lei affinchè sappia combattere i suoi peccati e vizi. Pregare affinché possiate incontrarvi quando entrambi sarete pronti ad accogliervi. Pregate per affidare questa persona a Gesù.

L’altare non è un premio di un percorso vincente. Un matrimonio santo si costruisce ogni giorno e questa è la tua vocazione più grande: santificare tuo marito o tua moglie affinché raggiunga il cielo. La tua vocazione al matrimonio trascende te e lui: è definitiva per la tua salvezza. Pensa al matrimonio non come un antidoto alle tue frustrazioni ma come un percorso di santità che può essere difficile e non sempre secondo le tue aspettartive.

Antonio e Luisa

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Camminare nella stessa direzione

La vita di coppia è una gran bella avventura perché è l’unione tra due personalità diverse, che tendono a diventare un’entità nuova. Una sana vita di relazione si ha quando si crea quell’equilibrio tra unicità e libertà di ognuno dei due in un clima di accoglienza e condivisione reciproche.

L’amore maturo nasce dall’imparare a camminare nella stessa direzione ogni singolo giorno. Questo tipo di amore si nutre della soddisfazione dei bisogni reciproci, del sentirsi al sicuro l’uno insieme all’altro, del crescere insieme. È un concetto profondo che riflette l’armonia, la comprensione reciproca e la sincronia tra due persone all’interno di una relazione. Significa condividere gli stessi obiettivi, valori e visioni per il futuro.

Non possiamo rimanere seduti ad aspettare che l’altro mantenga vivo il rapporto. Non funziona così. Camminare insieme nella stessa direzione” richiede comunicazione aperta e onesta dove entrambi gli sposi possano esprimere i propri desideri, bisogni e timori senza paura di essere giudicati o criticati.

Camminare nella stessa direzione in coppia significa creare il senso del NOI DI COPPIA, pur rimanendo sempre due individui distinti, diversi e liberi; significa creare insieme una vita nuova, separata e staccata dalle rispettive famiglie di origine. Il NOI DI COPPIA significa trovare e creare nuove abitudini e tradizioni proprie, supportarsi sostenendosi a vicenda nei momenti di difficoltà, incoraggiandosi reciprocamente a perseverare verso i loro obiettivi comuni. Questo supporto crea un legame ancora più forte tra gli sposi e li aiuta a superare le sfide che inevitabilmente incontreranno lungo il percorso.

Ma “camminare insieme nella stessa direzione” non significa che gli sposi debbano perdere la propria individualità oppure che abbiano entrambi gli stessi interessi o aspirazioni nella vita. È importante mantenere un senso di sé e rispettare i propri sogni e ambizioni personali, anche mentre si lavora verso gli obiettivi condivisi. Una relazione sana è quella in cui entrambi i partner possono crescere e realizzarsi come individui, mentre continuano a sostenersi reciprocamente nella loro crescita, dove le differenze diventano risorsa e ricchezza. In questo modo noi diamo la direzione alla nostra coppia e questo ci rafforzerà creando unità tra noi.

Essere coppia è un processo continuo e mai concluso: non può essere una conquista fatta una volta per sempre, perché ognuno di noi cambia nel tempo e ciò che sembrava essere la “stessa direzione” all’inizio potrebbe richiedere adattamenti lungo la strada.

In conclusione, “camminare insieme nella stessa direzione” è molto più di una semplice metafora. È il fondamento su cui si basano le relazioni sane e durature. Richiede impegno, comunicazione, supporto reciproco e flessibilità. Ma quando due persone riescono veramente a camminare insieme nella stessa direzione, possono affrontare qualsiasi sfida che la vita metta loro davanti, sapendo che insieme possono condividere ogni passo del viaggio.

Paola e Corrado Galaverna e don Bernardino Giordano

(Coordinatori Retrouvaille regione Italia)

Azzurra e Clara, due modi diversi di essere donna

Oggi vorrei davvero scrivere a cuore aperto. Un modo per condividere con voi non tanto dei concetti ma delle emozioni, qualcosa che tocca il cuore. Sono due notizie, sono due donne, una che sembra essere in antitesi all’altra. La prima è Clara di 30 anni. Una vita piena di impegni, un lavoro da fotografa professionista che le piace e la fa sentire realizzata e ha un compagno che condivide la sua scelta di vita. Tra cui rientra non avere figli. Non c’è spazio per loro. Clara afferma: Ho scelto di non avere figli: per la vita e il lavoro che faccio non c’è spazio per un bambino. Troppa responsabilità, e amo il tempo libero.

Poi c’è Azzurra. Una giovane moglie veneta di 34 anni. Sposata da poco. Lei desiderava moltissimo un bambino. Bambino che è arrivato ma durante la malattia di Azzurra. La giovane donna era infatti malata di cancro e a ha ritardato le cure per non danneggiare il bimbo che portava in grembo. Azzurra è morta pochi giorni fa e il marito ha riportato un pensiero della moglie: Mi diceva di sentirsi fortunata ad avere tanto amore intorno quando era lei il nostro esempio d’amore.

Leggendo queste due storie ho avuto delle sensazioni molto chiare. Ho visto nella storia di Azzurra il compimento di una vita. Ho visto una donna capace di cogliere il senso profondo della vita che è quello di amare e di lasciarsi amare, facendo della propria vita un dono d’amore.

Cosa che non riesco invece a vedere nella storia di Clara. Non credo che sia un caso che Clara abbia un compagno mentre Azzurra un marito. Nelle parole di Clara vedo quello che è un po’ la povertà del nostro tempo. Che non riguarda solo le donne. Vedo una donna concentrata su di sè, su ciò che le piace, sui propri bisogni, sulle proprie aaspettative. Che non c’è nulla di male. Ciò che non funziona, a mio avviso, è che Clara – come tantissime altre persone – è incapace di fare quel passo in più. Amare se stessa per diventare dono per gli altri. Tanto che anche il compagno sembra più che altro funzionale a soddisfare un bisogno e non tanto a essere destinatario di un dono d’amore gratuito.

Quindi, tutte le donne devono essere madri prima di ogni altra cosa? Assolutamente no. È totalmente sbagliato imporlo come un obbligo morale. Il desiderio di maternità dovrebbe essere il naturale risultato dell’amore fecondo, non una responsabilità imposta. La libertà di scelta è fondamentale. Ma quando una donna è veramente libera? Quando come Clara è continuamente ripiegata su di sè anche se apparentemente aperta al mondo oppure quando ti senti così amata come Azzurra tanto da trovare la forza e la motivazione di donarti completamente? Azzurra non si è annullata, Azzurra si è donata. Come Gesù sulla croce.

Non tutti siamo chiamati fortunatamente a scelte come quella di Azzurra. Tutti però siamo chiamati a comportarci come Azzurra in tante piccole occasioni quotidiane. A me piace tanto l’esempio della candela. La candela che si consuma giorno dopo giorno donando luce e calore. Io avevo tutto prima di sposarmi. Avevo un lavoro, giocavo a futsal con gli amici, uscivo, mi divertivo, andavo in vacanza all’estero. Insomma non mi mancava nulla apparentemente. Con Luisa ho inizito una relazione che mi ha tolto – nel matrimonio e con l’arrivo dei figli – tanta di quella tranquillità e spensieratezza. Allora perchè l’ho fatto? Perchè amo questa vita incasinata e stressante. La amo perchè ogni giorno arrivo a sera e nell’intimità della mia casa mi sento amato. E nel servire e prendermi cura della mia famiglia trovo la pace e il senso della vita. Noi siamo esseri che hanno bisogno di relazioni e più queste sono profonde e più ci danno senso. Lo stesso vale per Luisa.


Quando il matrimonio è vissuto pienamente, diventa fecondo. Questo significa che l’amore tra i coniugi va oltre i confini della coppia, diventando generativo e capace di generare nuova vita in senso ampio. Non solo vita biologica, ma impegno, forza, empatia, creatività e positività. Tutte queste qualità vengono poi riversate anche nel lavoro, trasformando così la quotidianità in un’avventura appassionante piena di significato. Il lavoro non è il fine. Il fine della vita è l’amore. Una vita ben vissuta sa mettere al giusto posto ogni cosa.

Essere cristiani non significa essere contenti del male, delle malattie e dei problemi. Essere cristiani è sapere che in ogni situazione della vita possiamo trovare un senso e un orizzonte d’amore che ci lascia sempre una speranza. Non so se Azzurra avesse fede e non so come la vivesse, però Azzurra aveva compreso l’amore e questo l’ha resa libera di amare anche in una situazione difficilissima come la malattia terminale, più libera di Clara a cui apparentemente non manca nulla.

Antonio e Luisa

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Come Cristo ama la Chiesa e come Dio ama l’umanità

Oggi parlerò della seconda missione specifica degli sposi, Come Cristo ama la Chiesa e come Dio ama l’umanità (vedi puntate precedenti: prima / seconda).

Purtroppo, tante persone decidono di sposarsi in chiesa senza capire esattamente quello che accadrà quel giorno, pensando magari che il loro amore sarà semplicemente benedetto da Dio e che sarà lecito poter fare l’amore senza commettere peccato. Forse ho estremizzato troppo, ma non c’è la consapevolezza che con il Sacramento del matrimonio avviene una vera e propria effusione dello Spirito Santo e che, anche se non lo vediamo con gli occhi, gli sposi si fondono insieme irreversibilmente. Lo Spirito dona una capacità di amare particolare, differente da tutti gli altri battezzati, perché c’è un Sacramento che ha specificato il tipo e la qualità d’amore.

In Amoris Laetitia si legge al n. 121: ”Quando un uomo e una donna celebrano il sacramento del matrimonio, Dio si “rispecchia” in essi, imprime in loro i propri lineamenti e il carattere indelebile del suo amoree al n. 73: Il matrimonio cristiano è un segno che non solo indica quanto Cristo ha amato la sua Chiesa nell’alleanza sigillata sulla croce, ma rende presente tale amore nella comunione degli sposi”.

La parola “amore” penso che sia una delle più inflazionate e anche distorte come significato, perché si definisce l’amore in base al proprio sentire e al proprio piacere, per cui si tradisce per amore e addirittura si uccide per amore (per quello che si crede sia amore ma che è tutt’altro).

Quindi è necessario chiarire quale amore sono chiamati a distribuire e a testimoniare gli sposi (non con le proprie forze, ma in forza della Grazia ricevuta): quello che ci ha mostrato Gesù nella sua vita e soprattutto nella sua passione e morte in croce.

Anche perché, quando ci sposiamo, sembra tutto bellissimo e perfetto, ma la fase dell’innamoramento è transitoria, i nostri occhi e le nostre orecchie cominciano a rilevare prima o poi la realtà e cioè che abbiamo tutti pregi e difetti, ferite provenienti dalla famiglia d’origine o da altre situazioni, oltre a peccati e zone oscure sconosciute addirittura a noi stessi. Ma questo non deve preoccupare, siamo fatti così, basta esserne consapevoli e andare oltre alle illusioni e alle idee sbagliate che ci siamo fatti.

Gesù ha dato tutto, non si è tenuto niente per sé, ha perdonato il male ricevuto e ha continuato a dire, nonostante tutto, “Io ti amo”; ha dato il primo boccone a Giuda, gesto che veniva rivolto alla persona più importante della tavola, ha continuato a lanciare benedizioni (e non maledizioni) durante il dolore atroce della crocifissione.

Non saprei come spiegare meglio l’amore che richiamare quello che è successo nella passione e sulla croce, perché non c’è situazione che non comprenda e che non riassuma (ammetto che quando ho dei dubbi o sono un po’ in crisi, ricorro alla Via Crucis commentata). Riuscire a raggiungere tale amore di Gesù verso il coniuge e verso gli altri è impossibile, ma è questa la meta, è questo l’esempio a cui attingere e a cui guardare ogni volta in cui cadiamo. Quest’amore non deve essere teorico, ma tangibile, concreto e diffusivo con tutte le persone che incontriamo, a trecentosessanta gradi.

È inutile affermare “Io darei la vita per te” e poi finire a litigare per la scelta della vacanza, per la marca di latte da comprare o per chi va a buttare la spazzatura. Sottolineo che Gesù continua ad amare la sua Chiesa (Sposa), anche se/quando si comporta da prostituta e decide di allontanarsi, come facciamo noi ogni volta che decidiamo di fare di testa nostra. Infatti, tutta la Bibbia è una storia sponsale tra Dio e il suo popolo: da una parte Dio vuole amare Israele, dall’altra parte c’è un continuo tira e molla della gente che corrisponde oppure no. Mosè non ha fatto in tempo a ricevere i dieci comandamenti che il popolo si è costruito un vitello d’oro, eppure Dio ha scelto di incarnarsi e di morire per noi.

Per le persone separate o divorziate questa missione è particolarmente importante, perché è facile voler bene a chi ti contraccambia, mentre è difficile farlo con chi ti ha voltato le spalle; quindi, testimoniano un volto di Dio particolare, il volto di Gesù, “separato fedele”. Se un separato continua da amare un coniuge che ha deciso di andarsene con un’altra persona, quanto più dovrà amare tutti gli altri, anche il collega che fa i dispetti, il prete che non capisce e l’amico bestemmiatore.

E questo deve avvenire non per trasporto (cioè perché hmi viene spontaneo), ma per Grazia, sull’esempio di Gesù che ama chi è lontano, chi non è amato e chi ha tradito. Naturalmente Dio ci aiuta, ma noi dobbiamo fare la nostra parte, attraverso i Sacramenti e la preghiera, in particolare la messa quotidiana.

Tutte le volte che non amiamo “alla Dio”, tradiamo questa missione: so che è un livello altissimo, ma è lì che ci deve portare la nostra vita: è come voler arrivare sulla luna con una scala, ogni volta che riusciamo, aggiungiamo un gradino a questa scala. Non è necessario fare cose straordinarie, basta vivere bene le nostre relazioni, a cominciare da quella con il coniuge, superando incomprensioni, divergenze, fraintendimenti, egoismi e anche tradimenti.

È la missione degli sposi e d’altra parte l’abbiamo accettata il giorno delle nozze: magari non lo sapevamo, ma ora sì e quindi non possiamo trascurarla, gli sposi cristiani si dovrebbero riconoscere per come amano, non per i discorsi che fanno!

Ecco i prossimi tre articoli sulla missione degli sposi:

Paternità e maternità (1 maggio)

Fraternità (15 maggio)

Annuncio di eternità (29 maggio)

Ettore Leandri (Presidente Fraternità Sposi per Sempre)

«Cari genitori, chiedendo … vi impegnate»

Nell’ottava di Pasqua – l’articolo è stato scritto alcuni giorni fa – lo Spirito di Gesù vuole risvegliare la comunità ecclesiale. Tutti i battezzati sono come “presi per la mano” dalla liturgia e dalla letteratura patristica dell’Ufficio delle Letture, per “vedere” l’Invisibile mistero mediato dalla liturgia, per ravvivare la consapevolezza della vita nuova in Cristo ricevuta in dono. Ispirandomi in parte a questo metodo di annuncio mistagogia, vorrei proporre alcune meditazioni teologico-pastorali sul settenario sacramentale rivisitato in chiave familiare (dimensione ecclesiale dei sacramenti). Per ogni azione liturgica del singolo sacramento, sceglierò alcune “fermo immagini” che sprigionano indicazioni per il ministero coniugale (e familiare).

Essendo temporalmente vicini all’ottava della Pasqua consideriamo innanzitutto il battesimo e considerarlo una porta per entrare nella Chiesa. Il Battesimo è il sacramento che incorpora gli uomini alla Chiesa. Questo aspetto è la dimensione ecclesiale che liturgicamente viene inizialmente mediato dai riti di accoglienza. I genitori chiedendo il battesimo si impegnano nella cura genitoriale anche nell’aspetto religioso della persona. E la comunità cristiana collaborerà con la rete familiare. Stando alla seconda domanda del ministro ai genitori, questo impegno verterà sulla virtù dell’amore verso Dio e verso il prossimo.

In questa sequenza, per certi versi, risuona biblicamente la presentazione di Gesù al tempio. Gesù è donato dal Padre alla famiglia di Nazareth, e la famiglia di Nazareth restituisce al Padre colui che è il Dono per sé e per l’umanità. La famiglia di Nazaret allo stesso tempo si impegna nell’educazione umano-religiosa del Figlio di Dio.

Nell’oggi liturgico con il simbolo reale dello spazio architettonico dell’ingresso, e il linguaggio verbale del dialogo tra famiglia e presbitero, la famiglia in modo particolare e aiutata dai padrini, si impegna nell’opera educativa della cura. Fino a quel momento già ci sono stati atti educativi all’amare. Tutto è iniziato dall’apertura alla vita e poi è proseguito nella nutrizione e nei primi passi, nei vagiti e all’incoraggiamento delle prime parole… Tutto ciò si esprimerà nell’atto del pronunciare il nome in mezzo all’assemblea, espressione che manifesta la cura della vita ricevuta. Nel segno della croce sulla fronte avverrà l’accettazione della richiesta di accoglienza nella comunità cristiana. E perciò, la disponibilità a continuare in modo rinnovato gli atti educativi all’amare.

Fino a quel momento la Chiesa domestica ha preparato il momento di accoglienza tra una levata notturna annunciata dal pianto come un suono di campana per il raduno dell’ufficio notturno, e una ninna nanna tra le braccia della mamma come il canto delle litanie per chiedere intercessione alla Madonna, e il primato dell’ascolto ai bisogni del bambino rispetto a quelli degli adulti come l’annuncio kerigmatico oggi necessario alla nostra società adolescente.  Questi, ed altri ancora, sono i rituali della Chiesa domestica che costituiscono le fasi di preparazione al momento dell’accoglienza. Rituali però che troveranno la loro trasfigurazione e il compimento nella liturgia battesimale.

E perciò rituali che andranno “riformulati” più compiutamente in chiave evangelica dal giorno del battesimo in avanti. Dovranno essere svolti dai genitori nella consapevolezza della grazia di Cristo; destinati a Cristo ormai presente mistericamente nella vita del neo-battezzato; e chiunque potrà vederli come annuncio dell’amore salvifico di Cristo. Perciò la sfida educativa «nella fede, perché nell’osservanza dei comandamenti, imparino ad amare Dio e il prossimo, come Cristo ci ha insegnato» (dal Rito del battesimo) non sarà il frutto di un generico voler bene ma della carità paziente. Quella stessa pazienza che è prendersi cura, dare tempo per far crescere, educare e formare, accompagnare e lasciar andare, seminare e innaffiare, indicare e attendere … e ogni altro verbo che declina il generare. È la carità di Gesù. Quella esortata ai suoi nel «lasciate che i bambini vengano a me». Quella paragonata da Gesù al contadino che si affida alla Provvidenza capace di dare colori ai gigli dei campi e nutrire gli uccelli del cielo. Quella del contadino che dorma o veglia non sa come fa a crescere il seme. Quella del Samaritano che ebbe compassione e fascia le ferite dell’uomo assalito dai nuovi ladri di dignità umana. Quella della inevitabile salita al calvario la cui logica è il corpo-che-si-dona per dare la vita all’uomo schiavo del peccato.

E ditemi se ancora oggi quest’opera educativa ad amare sia scontata, banale, comune, oppure proprio perché autenticamente umana – e quindi divina – non sia urgente in mezzo all’umanità che come una neo-babele tenta di liquidare culturalmente la mano paterna e materna di Dio riflessa pur se debolissimamente nella misericordia educativa dei propri genitori.

Don Antonio

Mi sono innamorato di Chiara per il sesso

Ho ascoltato l’intervista di Fedez a Belve. Ammetto che questa volta avevo in un primo momento deciso di ignorarla. Poi, Vittorio – sui social conosciuto come Un papà con quattro figlie – mi ha girato un video relativo a un’affermazione di Fedez chiedendomi di farne un articolo. Ci ho pensato e credo che Vittorio abbia ragione perché Fedez, con la sua affermazione, ha sintetizzato quello che succede a tanti che, a mio avviso, è concausa di tanti fallimenti matrimoniali o affettivi in genere.

La conduttrice Francesca Fagnani ha chiesto, in modo molto diretto, a Fedez: Perché si è innamorato di lei (Chiara Ferragni ndr)? La risposta del cantante è stata altrettanto diretta: Devo essere onesto? All’inizio, il sessoHo provato una connessione che raramente avevo sperimentato prima”.

Il sesso può essere un problema? Questa è la domanda da porsi. La risposta è ovviamente sì quando l’intimità non funziona. Ma quando sembra funzionare, come nel caso di Fedez, perché può essere un male? Cercherò di spiegarlo in questa riflessione.

Vi riporto il risultato di una indagine svolta negli Stati Uniti alcuni anni fa. Chi arriva casto al matrimonio ha una probabilità maggiore del 200% (3 volte di più) di avere stabilità e durata nella relazione. Avete capito bene! Uno stravolgimento rispetto a quello che credono in tanti. Molti amici e amiche, quando hanno saputo che io e Luisa stavamo vivendo il fidanzamento in castità, hanno cercato di convincerci della necessità di conoscerci sessualmente prima di sposarci. E se poi non c’è intesa? Se manca la chimica? Sono tutte balle naturalmente. Il rapporto sessuale è una relazione profonda vissuta attraverso il corpo. L’unica chimica che è necessaria è proprio l’attrazione fisica. Per quella non serve testare. Poi l’intimità – come dice molto efficacemente Nicoletta Musso – è un vestito costruito su misura dalla coppia. Si costruisce nel tempo e nella relazione.

Invece la castità nel fidanzamento può essere molto utile. Sapete perché?

Il sesso è totalizzante. È inutile far finta che non sia così. L’amplesso fisico è un gesto che totalizza la relazione. Le sensazioni e le pulsioni, che vengono provocate dall’intimità sessuale, sprigionano una carica emotiva che copre ogni altro aspetto della relazione. Chi ha rapporti prima del matrimonio tende a sottovalutare e non approfondire alcuni aspetti dello stare insieme, del progetto matrimoniale e dei difetti dell’altro. Poi nel matrimonio inevitabilmente i nodi vengono al pettine.

C’è poi un altro vantaggio della castità, a mio avviso fondamentale. Sono sicuro di quello che scrivo. Io sono uomo. Come tanti uomini – non vale per tutti ma per molti sì – tendo a essere egoista. A impegnarmi in qualcosa se ne ho un guadagno, se ne vale la pena. Se Luisa non mi avesse imposto la castità – all’inizio è stata una imposizione – avrei messo al centro della nostra relazione il sesso. Ne avevo una voglia matta. Ma così non sarei cresciuto, non avrei imparato a farmi dono gratuitamente. La castità mi ha educato a mettere al centro la mia amata. Avevo voglia di fare l’amore con lei, ne avevo una voglia enorme, ma per rispettare la donna che amavo sceglievo di mettere da parte quel desiderio e di starle accanto nel modo in cui lei mi concedeva di farlo. Ho imparato il rispetto e ho imparato a trasformare le mie pulsioni in tenerezza. Ho imparato ad apprezzare la tenerezza non solo quando poi conduce a un rapporto sessuale.

Come quando prepariamo e riempiamo i granai in previsione dei tempi di carestia che possono colpire chiunque. I motivi per cui la frequenza dei rapporti sessuali può diminuire sono molteplici: gravidanze, malattie, impegni lavorativi, figli da crescere e lo stress quotidiano possono influire su di noi. In certe situazioni più complesse, può persino accadere di non avere alcun rapporto sessuale per mesi. Tuttavia, se siamo stati educati a donarci reciprocamente e a vivere la tenerezza attraverso gesti di affetto e attenzione, questi periodi non ci spaventano. Anzi, possono diventare profondamente fecondi poiché sono ricchi di gesti gratuiti che alimentano e conservano il desiderio.

Sono convinto che Fedez e Chiara non hanno questa risorsa. E quando hanno dovuto affrontare la malattia di Federico e i problemi giudiziari di Chiara si sono persi perchè è venuto probabilmente a mancare la risorsa principale da cui traevano forza l’un l’altro. I loro granai erano vuoti. Invece chi vive la castità prima del matrimonio e anche dopo – nel matrimonio non è astinenza – è capace di affrontare crisi e problemi custodendo l’unità e la complicità, perchè ha imparato a farsi dono e a volgere lo sguardo mettendo al centro il bene dell’altro.

Il sesso non serve a creare una comunione. Altrimenti resta qualcosa di fisico e basta. Impetuoso ma fragile. Che si può rompere facilmente. Basta non prendersi cura l’uno dell’altro per un po’ e ci si perde. Non è quello che succede a tanti? La comunione si genera a livello più profondo, a livello di cuore e anima e poi il corpo la salda con il sigillo dell’amplesso. La rende più forte e indissolubile. Questo è il significato anche del matrimonio cristiano. Questo è il sesso che non fa innamorare ma dà corpo all’amore.

Specifico che ho scelto di sviluppare questa riflessione su un piano strettamente umano ma è indubbio che noi sposi cristiani traiamo la maggior parte delle nostre risorse dai sacramenti e dalla relazione d’amore con Dio. Se volete acquistare il nostro libro per approfondire la castità e il significato teologico, sacramentale e antropologico della sessualità cliccate qui

Antonio e Luisa

Siamo sempre una famiglia?

Oggi vi propongo un articolo scomodo. Prendo spunto dal libro di don Simone Bruno “Siamo sempre una famiglia?” edito da San Paolo. E’ un articolo scomodo perché va a toccare delle corde insidiose, dove difficilmente si riesce a essere equilibrati. L’autore si chiede se anche in quelle che sono relazioni irregolari per la morale cattolica – che sono ormai la maggioranza – non ci possa essere del buono e del bello. Spesso questi temi diventano un campo di battaglia dove di cristiano resta ben poco. Ne ha fatto le spese anche don Simone. Don Simone non è l’ultimo arrivato. Psicoterapeuta, giornalista, scrittore, docente e direttore editoriale della San Paolo. Insomma non è una scheggia impazzita, ma un professionista preparato e un sacerdote inserito molto bene nella Chiesa di oggi, la Chiesa di papa Francesco. Ho avuto il piacere nel tempo di scambiare qualche messaggio con lui. Per quella che è la mia esperienza, don Simone è una bella persona. Sempre gentile, pacato e disponibile. Per questo ho deciso di fare questo articolo. Perché mi rivolgo a una persona che stimo.

Permettetemi una premessa. Non approvo la reazione scomposta di alcuni credenti e rinnovo pubblicamente la mia solidarietà a don Simone. Dopo l’uscita del suo testo è stato oggetto di offese e minacce. Le sue tesi possono essere condivisibili o meno, ma non deve mai mancare il rispetto per una persona che ha un’opinione diversa dalla nostra. Poi mi piace sottolineare l’onestà intellettuale di don Simone che specifica che le sue sono delle riflessioni personali. Si auspica un percorso antropologico e teologico, ma afferma chiaramente che per ora la Chiesa, nei suoi documenti, dice altro rispetto alle argomentazioni del libro.

Il testo è molto agile, ben scritto e organizzato in modo molto pratico. Ci sono una serie di domande e di relative risposte in modo da rendere molto fruibili i contenuti. Ho trovato tante affermazioni condivisibili come ad esempio lo stacco tra quello che è la famiglia ideale cristiana unita dal sacramento del matrimonio e quella che è la realtà che è abitata da tante situazione cosiddette irregolari. Senza dubbio la Chiesa che è madre deve prendersi cura anche delle persone che vivono queste situazioni.

Sono d’accordo con lui quando afferma che serve un accompagnamento che non escluda nessuno, ma che sappia stare accanto a ogni storia. Sono d’accordo con lui quando afferma che servono degli sposi che siano dei testimoni e che sappiano mostrare la bellezza della scelta cristiana. Tutto vero e condivisibile. Il problema sorge in modo evidente quando l’autore prende in esame le coppie omosessuali. Qui a mio avviso si è lasciato prendere emotivamente forse pensando a situazioni concrete con cui è entrato in relazione. Avrà sicuramente ascoltato la sofferenza di persone reali. Si percepisce un desiderio di aiutare le persone e non di distruggere la morale. Volevo soffermarmi su un passaggio che ritengo particolarmente problematico. Il sacerdote scrive in sintesi che l’intimità tra persone dello stesso sesso non solo non è sempre peccato e un male, ma può addirittura essere unitiva quando vissuta all’interno di “un’alleanza sincera e generativa“. Quindi un maggior bene. Qui non ci siamo.

Mi sento in dovere di dissentire con rispetto. Non nego, come fanno alcuni, che possano esserci sentimenti e il desiderio di condividere la vita o parte di essa tra due persone dello stesso sesso. Sono convinto che molte persone che formano unioni civili abbiano un sincero desiderio di formare un sodalizio con la persona scelta. Tuttavia, la loro intimità non può esprimere questo desiderio di unità. Non può innalzare l’amore ma solo abbassarlo.

Il sesso nelle coppie omoaffettive non è mai un gesto autentico di unione, dove sta l’unione nella modalità con cui vivono il sesso? Il sesso diventa una modalità per usare l’altro e non per unirsi ad esso.

Per me è sbagliato parlare di amore omosessuale o eterosessuale ma esiste solo l’amore che va però espresso attraverso il corpo nella modalità specifica del tipo di amore.

Noi siamo cristiani. Abbiamo fede in un Dio incarnato, che si è fatto uomo. La nostra fede non dovrebbe sminuire il corpo. Il corpo è così importante tanto che nell’Eucarestia mangiamo il corpo di Cristo per essere sempre più uniti a Lui. Spesso però i nostri moralisti e teologi se ne dimenticano.

Quando pensano all’amore omoaffettivo si riferiscono quasi esclusivamente ad un amore spirituale e disincarnato. Cari pastori il corpo c’è ed è importante quanto lo spirito. Ciò che viviamo attraverso il corpo influenza tutta la persona. Forse dovreste dirlo. E non vale solo per il sesso tra due persone omoaffettive ma per tutti. Abbassa l’amore anche un amplesso prematrimoniale, abbassa l’amore l’uso degli anticoncezionali. Abbassa l’amore portare nell’intimità ciò che si impara nella pornografia. L’unico gesto sessuale che innalza l’amore è quello di una coppia di sposi che desidera donarsi attraverso il corpo quel tutto che è stato promesso il giorno delle nozze. Solo così l’intimità fisica non solo è buona ma diventa gesto liturgico e sacramentale. Poi non sempre si arriva a questo – ne siamo tutti consapevoli – ma non si può dire che vivere la sessualità diversamente sià un bene. Diventa sempre un compromesso. Una non pienezza. Non sapete quante persone ci contattano per la sofferenza personale e di coppia causata da una sessualità vissuta male. E spesso sono un uomo e una donna sposati sacramentalmente.

Vorrei concludere con le parole di Giorgio Ponte, scrittore cattolico di orientamento omoaffettivo:

Nella mia esperienza di uomo ferito (siamo tutti feriti non solo le persone omoaffettive ndr), io posso testimoniare che tutte le volte che ho potuto vivere una castità piena, sono state anche quelle in cui ero più felice. E badate, non ero felice perché non facevo sesso, ma al contrario: non avevo bisogno di fare sesso perché ero felice. Infatti il sesso che non è unito a una vera esperienza di donazione totale (che solo in Dio può essere tale), di solito serve a coprire varie forme di infelicità e frustrazione, più o meno consapevoli. Perciò per vivere una castità piena, più che preoccuparci di come non fare sesso, dovremmo chiederci cosa stiamo cercando di coprire con il farlo. E ascoltare quel grido del nostro cuore. Per quanto mi riguarda io ero felice perché stavo amando qualcuno libero dal bisogno di possederlo. E quel modo di amare, mi faceva fare un’esperienza vera di Gesù. Solo Cristo, infatti, può insegnare ad amare così. Perché solo Lui, mostra all’uomo, come essere Dio.

Credo che i nostri pastori debbano accompagnare, mettere in evidenza il bello che ci può essere anche nelle relazioni omoaffettive ma poi proporre un amore più grande che è l’amore casto. Che può esistere anche in una coppia omosessuale. Non proporlo equivale a non dare piena dignità a queste persone. Loro sono fatte per una vita piena e non per accontentarsi di un po’ di bene. Spero di essermi espresso in modo rispettoso della sensibilità di tutti ma ci tenevo ad esprimere il mio parere. Un caro saluto a don Simone che spero leggerà questo articolo.

Antonio e Luisa

Immagine e somiglianza, unità e distinzione nell’amore

Oggi entriamo nel vivo della prima missione specifica degli sposi, Immagine e somiglianza, unità e distinzione nell’amore (vedi introduzione del 20 marzo).

Nella prima pagina della Bibbia, si legge che Dio ha scelto come rivelarsi: uomo e donna, a immagine e somiglianza di Dio. Avrebbe potuto, per assurdo, creare solo uno dei due, ma sarebbe stato non somigliante alla Trinità: Padre, Figlio e la loro relazione d’amore che forma addirittura una terza persona, lo Spirito Santo.

Ecco, tutto si basa sulla relazione, che poi, alla fine, è il centro della nostra vita di sposi. Dio non ha voluto creare una creatura unica, ma una coppia che insieme, richiamasse le realtà intime di Dio e il Suo amore: è vero, la relazione con chi è diverso da noi è impegnativa, richiede uno sforzo continuo che non finirà mai, ma è anche estremamente gratificante e un modo per rimanere allenati nell’Amore.

Anche chi si sposa in comune o convive è stato creato a immagine e somiglianza, ma con il Sacramento del matrimonio, gli sposi ricevono lo Spirito Santo e quindi i suoi sette doni. Non c’è nient’altro altro al mondo di concreto che faccia vedere Dio come lo mostrano l’uomo e la donna, lo sposo e la sposa.

Quindi l’uomo da solo o la donna da sola non rappresentano l’intero volto di Dio: pertanto uomini e donne sono chiamati a collaborare, mettere insieme i rispettivi doni e caratteristiche per mostrare qualcosa di Dio e per dare la vita.

Anche i figli derivano dalla fusione di due corpi ed è interessantissimo che, indipendente dal sesso, ogni nuova creatura abbia un DNA nuovo, ereditato da entrambi i suoi genitori e non da uno soltanto. Ma l’aspetto sessuale è solo il culmine di un’unione che dovrebbe avvenire prima di tutto nei nostri cervelli; invece, in questa società distorta, si assiste a una guerra tra uomini e donne, ognuno dei quali vuole primeggiare e riuscire a fare tutto senza l’altro sesso. Esiste il ministero delle pari opportunità, perché quello che fa un uomo deve essere fatto anche da una donna e viceversa, riducendo così tutto a una contrapposizione. Uomini e donne sono diversi, non solo a livello genitale, ma in ogni cellula del corpo che è maschile o femminile. Ascoltavo l’altro giorno in radio di una ricerca fatta sui cervelli maschili e femminili che dimostra come la conformazione e la struttura siano diverse (indipendentemente dalla grandezza/peso tipici di ogni individuo): così, ad esempio, gli uomini hanno più sviluppata la zona dell’umorismo, mentre le donne quella delle emozioni. Come succede a sempre più persone, sarebbe solo un’illusione se io pensassi che non fossi maschio. Posso crederlo, fare operazioni chirurgiche, prendere ormoni, ma la realtà rimane questa e il mio bene null’altro è che identificarmi con ciò che racconta il mio corpo.

A volte siamo proprio noi genitori a creare danni, anche inconsapevolmente e a disturbare la corretta crescita e maturazione dell’identità sessuale nei giovani, già bombardati erroneamente dalla società: se a mia figlia dico “Vedi, tua mamma, come tutte le donne, non è capace di……”, pensate che faccia crescere in lei il desiderio di diventare donna? Direi proprio di no, pertanto cerchiamo di evitare etichette e luoghi comuni (“gli uomini sono tutti così”, “le donne sono tutte cosà”).

Io sono attratto dalle donne perché sono diverse da me: comprendo bene gli uomini, so come ragionano, so cosa pensano quando vedono una bella donna, so quali hobby li attirano e tutto il resto, ma sono affascinato da quello che non conosco.

Oltre all’aspetto fisico, che ovviamente ha la sua importanza, nelle donne a me piace la sensibilità, il modo di ragionare e di fare, il punto di vista, tutte cose che, per quanto mi sforzi, non posso raggiungere, perché sono fatto in un certo modo, è il mio limite di maschio.

Le caratteristiche di uomo e di donna sono diverse ed è proprio bello che sia così all’interno della famiglia: per citarne qualcuna, l’uomo rappresenta la forza e la fermezza, mentre – solitamente – la donna esprime la sensibilità e la dolcezza (non confondiamo le qualità con i ruoli, cioè ad esempio un uomo può stirare e una donna aggiustare l’auto, ma non c’entra niente).

Gli esempi più alti da seguire sono Giuseppe e Maria, e in particolare la Madonna intercede per noi, come fa una mamma quando il figlio deve chiedere qualcosa d’importante al padre e gli dice: “Non ti preoccupare, parlo io con il tuo babbo”.

Tornando all’immagine e somiglianza, gli sposi devono sapere che l’uomo e la donna che hanno sposato, sono amati da Dio immensamente, da sempre, anche se si comportano male o a un certo punto della vita, decidono di andarsene (con tutto il male che possiamo fare restiamo figli di Dio non diventiamo figli del diavolo). Questa missione non si ferma al coniuge, ma si rivolge a tutte le persone che incontriamo, perché immagine e somiglianza di Dio vuol dire vedere con lo sguardo di Dio qualunque persona, dal vicino di casa alla parrucchiera.

Naturalmente per fare questo dobbiamo essere prima di tutto veri uomini e vere donne, quindi curare l’aspetto fisico, i modi di fare, le scelte, l’originalità: non si tratta di apparire, ma di mostrare, anche con i vestiti, la bellezza che Dio ha visto in noi quando ci ha creato (mi curo non per fare colpo, ma per richiamare la bellezza di Dio Sposo).

Se uomini e donne si accordassero per unire insieme le rispettive sensibilità, vedremmo delle cose bellissime. Pensante ad esempio di dover costruire una nuova città, di affidarne il compito sia a uomini che donne e poi alla fine unire il progetto di entrambi: allora sì che sarebbe una città che tiene conto di tutti gli aspetti della vita e delle necessità di ognuno. Non è facile, ma è la missione degli sposi, creati diversi per rendere fecondo l’incontro che non è, lo ripeto, solo quello sessuale che riguarda il corpo, seppur molto importante: anche perché allora, noi separati fedeli, non facendo più l’amore con il coniuge, saremmo bloccati! Invece no, anzi, siamo chiamati ancor di più a interagire con il sesso a noi complementare e a ribadire che, qualunque cavolata uno faccia, rimane a immagine e somiglianza di Dio.

Ecco i prossimi quattro articoli sulla missione degli sposi:

Come Cristo ama la Chiesa e come Dio ama l’umanità (17 aprile)

Paternità e maternità (1 maggio)

Fraternità (15 maggio)

Annuncio di eternità (29 maggio)

Ettore Leandri (Presidente Fraternità Sposi per Sempre)

Ci credo perchè anche io sono risorto grazie a Lui!

La resurrezione. Cosa è la resurrezione? Ci crediamo davvero? Crediamo davvero che Gesù è morto e risorto? Cosa significa nella nostra vita che Gesù è risorto? Cosa ha cambiato? Se ha cambiato qualcosa. Nel nostro matrimonio quanto c’entra la resurrezione?

Queste sono delle domande che ieri, in un momento di meditazione personale, mi sono posto. A me stesso. Perchè se non credi che Gesù sia il risorto non ti cambia la vita. Tanti credono che gli insegnamenti del Cristo siano belli e condivisibili. Tanti pensano che Gesù sia un esempio di vita. Ma tanti non credono che sia davvero risorto. Ci credono forse a parole ma poi nei fatti vivono come se la resurrezione non c’entrasse davvero con la loro vita.

Durante la notte della Veglia Pasquale durante la benedizione del cero abbiamo ascoltato tra le altre cose questa affermazione che risale a un’omelia di sant’Agostino: Felice colpa, che meritò di avere un così grande redentore!

Io sono arrivato a credere che nella nostra vita per arrivare davvero a comprendere la resurrezione abbiamo bisogno di passare dalla sofferenza. Per me è stato così, per Luisa è stato così. Mi è piaciuta molto la definizione di don Luigi Maria Epicoco di resurrezione. La resurrezione è un imprevisto.

Ci sono dei momenti in cui nella nostra vita non riusciamo a vedere una luce. Le cose non vanno bene. Ci sentiamo bloccati. Può essere il lavoro, una malattia, un lutto, una ferita relazionale, una relazione andata male. Ognuno ha la sua storia. L’incontro con la resurrezione – dice don Luigi – è un fatto che risignifica la vita. Ma tutto parte da un fatto traumatico, da un dolore. San Paolo cade da cavallo. Dobbiamo fare esperienza – spesso attraverso il dolore – che non ci bastiamo. Che da soli non troviamo la via d’uscita.

La differenza è tutta nel modo con cui affrontiamo la prova. Se ci chiudiamo e davanti a noi non riusciamo a vedere null’altro che buio subentra la disperazione. Se invece ci apriamo ad accogliere l’imprevisto di Dio ecco che arriva – presto o tardi – la resurrezione. Nella storia mia e di Luisa è stato così. Ma non voglio parlare ancora di noi.

Mi viene in mente Ettore che scrive sul blog. Lui è risorto dalla separazione con la moglie proprio non chiudendo la porta a Dio ma restando in ascolto e in attesa di quell’imprevisto. Imprevisto che è arrivato. Ed è risorto. Non come si aspettava lui. E’ ancora separato dalla moglie ma ha trovato una guida sapiente in don Renzo Bonetti, una moltitudine di amici, un senso d’amore anche in quella separazione e ha compreso come potesse ancora rendere fecondo il suo matrimonio seppure nella separazione. Ora è una persona risorta e paradossalmente più consapevole ora dell’amore di Dio.

Auguro a tutti, qualsiasi sia la vostra situazione, la vostra storia e le vostre sofferenze, di poter dire: Gesù è risorto veramente! Ci credo perchè anche io sono risorto grazie a Lui! E se non vi sentite ancora risorti non smettete di attendere quell’imprevisto di Dio. Che non sarà probabilmente come voi vi aspettate e dove voi lo cercate.

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Le sette parole di Gesù per gli sposi

Siamo giunti così a sabato. Questa sera vivremo la veglia pasquale. Senza la Pasqua nulla avrebbe senso. Pochi ci pensano, ma Cristo su quella croce ha celebrato le sue nozze con noi. La croce è stata talamo consacrato. Sulla croce ha offerto tutto di sè. Tutto fino a dare la vita. L’amore di Cristo, inchiodato alla croce, è un amore che ogni sposo e ogni sposa dovrebbero prendere ad esempio e cercare di emulare. In quel momento così terribilmente importante, Gesù ci affida sette parole. Cercherò di declinarle e attualizzarle nella vita di una coppia di sposi.

Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno. Lo sposo perdona sempre. Fa di più! Intercede presso Dio e offre la sua vita per la salvezza del coniuge. Noi lo facciamo o ci lasciamo vincere dal rancore e dall’orgoglio?

Oggi con me sarai nel paradiso. L’amore non guarda il passato. Ha la memoria corta per il male subito. L’amore ha memoria lunga solo per il bene ricevuto. La persona che ama si commuove del pentimento e non smette di credere nell’uomo o nella donna che ha sposato.

Donna, ecco tuo Figlio … Chi ama davvero è come Gesù. Non pensa a sè. Gesù è sulla croce, sta morendo, ma si preoccupa delle persone che ama. Non di se stesso. Questo è l’atteggiamento che dovrebbe caratterizzare l’amore degli sposi. Lo sguardo sempre verso l’altro.

Ho sete. Siamo fatti per essere amati. Gesù soffre la sete del corpo certamente. C’è un’altra sete più profonda, La sete di un cuore che vorrebbe essere riamato da quegli uomini a cui ha dato tutto. Così anche noi sposi. Non smettiamo di dissetarci alla fonte del nostro amore. Non cerchiamo di spegnere la nostra sete con altro. Mettiamo al primo posto Dio nel nostro matrimonio e la nostra famiglia. Prima del lavoro, prima dei soldi, prima delle famiglie di origine, ecc.

Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Ci passiamo tutti prima o poi. Sperimenteremo, o abbiamo già sperimentato, momenti si solitudine profonda. Momenti in cui il nostro matrimonio diventa croce. Non riusciamo più a vedere la presenza di Dio nella nostra storia. Coraggio! Gesù stesso ci è passato. Lui ci insegna che non dobbiamo mollare.

Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito. Anche nel nostro matrimonio è importante conoscere, anzi riconoscere, che il nostro sposo (sposa) non è Dio. Non è è lui/lei che ci può rendere felici e dare senso alla vita. Solo l’abbandono in Dio ci può rendere capaci di essere sposi liberi di amare gratuitamente e incondizionatamente la persona che abbiamo sposato.

È compiuto.  Il nostro amore è compiuto quando riesce a spingersi oltre ogni egoismo e ogni difficoltà. Solo così le nostre morti diventano occasione di resurrezione e di nuova vita, per noi, per il nostro coniuge e per la nostra relazione.

Non mi resta che augurare a tutti una meravigliosa celebrazione della Pasqua.

Antonio e Luisa

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Segniamo la porta del nostro cuore con il sangue dell’Agnello.

Stamattina mi sono alzato presto.  Sono andato in chiesa. Oggi è il venerdì in cui Gesù viene giudicato, offeso, condannato, frustato e infine caricato della croce e condotto sul Golgota a morire. La chiesa è nella semioscurità. C’è l’atmosfera giusta per immergersi in Gesù, per fare un salto nel tempo e trovarsi nella Gerusalemme di circa duemila anni fa. Penso alla solitudine di Gesù, all’abbandono da parte di tutti o quasi. Solo la madre, poche donne e il discepolo amato sotto la sua croce.

Quel sangue versato per noi, per tutti noi, per dirci che ci ama e ci desidera come nessun altro. Ho pensato a tante cose e mi sono sentito profondamente indegno del suo sacrificio. Il suo sacrificio capace di salvarci dalla morte e di rendere nuova ogni cosa. Capace di andare oltre le nostre miserie, i nostri fallimenti, le fragilità e gli errori.

Capace di prendere sulle spalle, insieme alla croce anche il peso della nostra incapacità di amare e trasformare il nostro matrimonio. Gesù che ieri, giovedì, stava ricordando con i suoi apostoli la pasqua ebraica (Pèsach) . Stava ricordando la liberazione del suo popolo dall’Egitto oppressore.

Non tutti erano felici di lasciare l’Egitto e seguire Mosè. Alcuni preferivano rimanere schiavi perché almeno avevano un tetto sopra la testa e un pasto sicuro. A volte ci comportiamo allo stesso modo. Talvolta ci aggrappiamo alle nostre “schiavitù”, convincendoci che le cose non vanno poi così male. Dopotutto, ci sono persone che stanno ancora peggio di noi. Ci aggrappiamo alla nostra zona di comfort e ci rifiutiamo di lasciarla.

Attraversare il deserto costa fatica. Il nostro matrimonio può diventare santo, ma dobbiamo volerlo. Il nostro matrimonio, se noi lo desideriamo, attraverso quel sangue versato, può risorgere dalla morte del peccato. Il nostro matrimonio è come la porta delle dimore di quegli ebrei schiavi in Egitto.

Dio ci chiede di segnare la porta del nostro cuore e  del nostro matrimonio con il sangue dell’Agnello sacrificato. Solo cosi la morte del peccato non ci toccherà e passerà oltre. Non basta però il sacrificio di Gesù per noi, ma è necessario il nostro riconoscerci bisognosi e desiderosi di segnarci del Suo sangue, serve che ci professiamo cristiani non solo con le parole, ma portando il segno del suo sacrificio aderendo ai suoi insegnamenti e aprendo il nostro cuore alla Sua Grazia che salva.

Come in modo significativo predicava un vescovo del IV secolo: Per ogni uomo, il principio della vita è quello, a partire dal quale Cristo è stato immolato per lui. Ma Cristo è immolato per lui nel momento in cui egli riconosce la grazia e diventa cosciente della vita procuratagli da quell’immolazione.

Questo giorno è un momento decisivo. Non per Cristo, che ha già preso la sua decisione, ma per noi. Anche noi abbiamo tradito molte volte. Possiamo seguire l’esempio di Giuda e lasciarci consumare dal rimorso, oppure trasformare il nostro tradimento in una nuova vita. Come fece Pietro, quando, di fronte a Gesù incatenato che lo guardava con amore nonostante lui l’avesse appena rinnegato, non riuscì a trattenere le lacrime. Fu proprio quel pianto a spalancare finalmente il suo cuore. Da quel momento Pietro divenne veramente la roccia che Gesù aveva intravisto chiamandolo “Pietro”.

Antonio e Luisa

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Lavanda dei piedi: il sacramento degli sposi

Oggi inizia ufficialmente il Triduo. Entriamo nei tre giorni più importanti della nostra liturgia e della nostra fede. Il Natale è bello, è importante, tutto quello che volete, ma se tutta la vita terrena di Gesù non si concludesse con la resurrezione nulla avrebbe senso. In questo Giovedì Santo la liturgia mette al centro un gesto specifico. Già, quella strana tradizione che nelle nostre chiese vede il celebrante inginocchiarsi per lavare i piedi a dodici fedeli. Non so se ci avete mai pensato: Giovanni è l’unico evangelista che dedica tantissimo spazio alla lavanda dei piedi e molto meno all’ultima cena, all’istituzione dell’Eucarestia. In apparenza una strana scelta. L’Eucarestia è il fondamento della nostra Chiesa. E’ la presenza viva dello Sposo, che in ogni Messa si rende nuovamente e misteriosamente presente. Cosa ci vuole dire Giovanni? Giovanni vuole mettere in evidenza non l’Eucarestia in sè, come invece hanno fatto gli altri evangelisti, ma lo scopo dell’Eucarestia. L’amore di Dio è presente nella Chiesa quando diventa servizio. Quando ci si china sulle miserie del fratello, sui suoi peccati, sulle sue povertà, sulle sue caratteristiche e atteggiamenti meno amabili.

Nella mia riflessione personale ho visto l’importanza e la complementarietà di questi due gesti. L’Eucarestia che diventa nutrimento, speranza, accoglimento e forza per ogni cristiano. L’Eucarestia sacramento affidato al sacerdote per il bene di tutta la Chiesa. Ma non basta l’Eucarestia. Serve la lavanda dei piedi. Serve il nostro impegno personale. Serve la nostra volontà che diventa amore concreto. Serve l’amore vissuto e sperimentato. Per questo mi piace considerare la lavanda dei piedi il nostro sacramento di sposi.

Il nostro sacerdozio comune di sposi battezzati si concretizza in tutti i nostri gesti d’amore dell’uno verso l’altra. Siamo soprattutto noi sposi a dover incarnare questo gesto nella nostra vita. Siamo noi immagine dell’amore di Dio. Se il sacerdote, attraverso l’Eucarestia, dona Cristo alla Chiesa, noi sposi, attraverso il dono, il servizio e la tenerezza, doniamo il modo di amare di Cristo, rendiamo visibile l’amore di Cristo. Almeno dovremmo, siamo consacrati per essere immagine dell’amore di Dio. Gesù che si inginocchia per lavare i piedi ai suoi discepoli. Un’immagine che noi sposi dovremmo meditare in profondità e che dovremmo imprimere a fuoco nella nostra testa. E’ così vero quello che dico che fare l’amore, cioè il dono d’amore più concreto e completo è per noi sposi la riattualizzazione del sacramento del matrimonio.

Gesù si inginocchia per lavare i piedi dei suoi discepoli. I suoi discepoli non erano perfetti. Erano gente dalla testa dura. Erano egoisti, paurosi, incoerenti, litigiosi e increduli. Erano esattamente come noi, come sono io, come è mia moglie. Noi siamo sposi in Cristo, e Gesù vive nella nostra relazione e si mostra all’altro attraverso di noi. Noi siamo mediatori l’uno per l’altra dell’amore di Dio. E’ un dono dello Spirito Santo. E’ il centro del nostro sacramento. Noi dovremmo essere l’uno per l’altra quel Gesù che si inginocchia, che con delicatezza prende quei piedi piagati e feriti dal cammino della vita e sporcati dal fango del peccato. Quel Gesù che, con il balsamo della tenerezza è capace di lenire le piaghe e le ferite, e che con l’acqua pura dell’amore li monda e scioglie quel fango che, ormai reso secco dal tempo, li incrosta e li insudicia.

C’è un gesto che è bello donarsi il giorno del matrimonio. Invece dei soliti rituali scaramantici o goliardici sarebbe bello che davanti agli invitati sposo e sposa facessero proprio il gesto di lavarsi i piedi a significare proprio il desiderio di amarsi come Gesù ha insegnato. Bellissima la testimonianza dell’influencer statunitense Stacey Sumereau da lei stessa raccontata sui social e riguardante il suo matrimonio: Mio marito mi ha lavato i piedi durante il nostro ricevimento di nozze, anziché sfilarmi la giarrettiera. La giarrettiera simboleggia l’attrazione erotica e sessuale e mostra un indizio pubblico dell’intimità privata che allieterà i neosposi. L’attrazione fisica è una cosa meravigliosa ed è una parte bellissima del matrimonio; però sono stata felicissima che il mio sposo abbia voluto sorprendermi con qualcosa di molto diverso… Gesù ha lavato i piedi dei suoi discepoli la notte prima di morire in Croce. Questa specie di amore è agape: sacrificio

Antonio e Luisa

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Gesù esempio e sorgente degli sposi

In questo mercoledì della Settimana Santa vorrei tornare sull’Angelus di domenica scorsa. Ne prendo alcune righe di tutto il discorso.

Cari fratelli e sorelle, Gesù è entrato in Gerusalemme come Re umile e pacifico: apriamo a Lui i nostri cuori! Solo Lui ci può liberare dall’inimicizia, dall’odio, dalla violenza, perché Lui è la misericordia e il perdono dei peccati. 

Il discorso verteva sul grande tema della pace tra i popoli. Infatti poi c’è stato il riferimento diretto all’Ucraina e a Gaza. Però ecco sulle questioni riguardanti i conflitti e la geopolitica noi possiamo fare ben poco. Possiamo mostrare il nostro dolore e disappunto. Possiamo scegliere un partito politico invece di un altro. Non possiamo altro. Cerchiamo invece di leggere queste parole a un livello che ci interpella direttamente: la nostra famiglia.

Una delle più celebri frasi pronunciate da Madre Teresa riguardante la pace è: “Cosa puoi fare per promuovere la pace nel mondo? Vai a casa e ama la tua famiglia.

Non è una frase buttata lì, non c’è della retorica spiccia, c’è tanta verità. Perchè la famiglia, in particolare quella cristiana, dovrebbe essere il luogo dove imparare ad amare il prossimo, dove combattere l’egoismo e l’individualismo, dove imparare l’empatia e il rispetto. Dove l’altro diventa soggetto del mio amore e non oggetto funzionale alle mie esigenze. In famiglia impariamo ad amare e non a usare. Questa è la base della pace. Perchè poi questo atteggiamento lo portiamo fuori, nella società, in tutte le relazioni che intessiamo.

Quindi nell’Angelus il Papa ci dà due messaggi evidenti. Gesù è esempio di come si ama e Gesù è sorgente e nutrimento che ci dà forza per amare così.

Gesù esempio.

Gesù ci mostra cosa significa essere re. Re, cioè governare il nostro agire affinché sia indirizzato verso il bene. Gesù entra in Gerusalemme cavalcando un asino. Non entra in sella a un destriero come ci si aspetterebbe da un re. Lui è re ma lo è al modo di Dio. Lui – lo vedremo ancora meglio nel Triduo che inizia domani – è venuto per servire e non per essere servito. Comprendere questo ha fatto tutta la differenza del mondo nel mio matrimonio, nella mia relazione con Luisa e nel mio atteggiamento. Ho compreso quanto fosse importante mettermi a servizio della mia sposa. Prendermi cura di lei, esserle tenero, ascoltarla, essere presente, perdonarla e chiederle perdono. Accogliere naturalmente anche il suo dono.

Mi sono nel tempo liberato della mia personale bilancia interiore. Appena sposato pesavo continuamente quanto ricevevo da lei e quanto davo. E ogni volta che percepivo che stavo dando più di quanto ricevevo, mi sentivo derubato di qualcosa che mi spettava e iniziavo con le ritorsioni e piccole vendette. Musi lunghi, parole dette freddamente, distacco, litigate e così via. Nel tempo ho imparato invece a donarmi gratuitamente. È importante riuscire a fare questo salto di qualità. Perché ho davvero compreso come nel dono gratuito di tutto ciò che siamo, possiamo davvero trovare il senso profondo della vita, trovare Gesù. Mi sono liberato delle pretese verso Luisa. Ora tutto quello che lei mi dona di sé, il suo tempo, il suo ascolto, il suo corpo, le sue tenerezze e tutto ciò che rientra in una relazione sponsale lo accolgo come un dono. Non lo do mai per scontato, ma ne apprezzo ogni istante. E se non riesce per qualsiasi motivo a darmi nulla, cerco di donarmi comunque perché nel dono gratuito c’è il significato della nostra vita.

Gesù sorgente.

Naturamente quanto scritto finora è reso possibile dai sacramenti. I sacramenti sono il cuore della nostra relazione con Gesù. Solo trovando forza, nutrimento e speranza in Lui saremo capaci di liberarci, saremo liberi di amare l’altro gratuitamente. Solo nella relazione con Gesù potremo essere abbastanza ricchi per amare senza pretendere nulla in cambio.

Antonio e Luisa

Sprecarsi in amore non è mai uno spreco

Ieri siamo stati a Rovigo dove don Cristian e la pastorale familare diocesana ci hanno accolto fraternamente. Abbiamo raccontato un po’ di cose riguardanti sessualità e relazione e abbiamo terminato con un compitino che abbiamo affidato alle coppie presenti. Il Vangelo di oggi si lega perfettamente a quanto da noi proposto all’incontro e che ora proponiamo a tutti voi.

Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. E qui gli fecero una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. Maria allora, presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento.

Il Vangelo ci  riporta quanto successo a casa di Lazzaro. Ritroviamo Marta e Maria. Maria si occupa di Gesù, lo adora, lo ama teneramente, gli cosparge i piedi con olio di puro nardo e dolcemente li asciuga con i suoi capelli. Maria, infatti, ama senza riserve, senza limite, oltre il necessario, tanto che il suo amore appare quasi uno spreco. Non è necessario darsi così tanto. Invece Gesù la esalta proprio per questo. Perché l’amore deve essere così.

Nel nostro matrimonio abbiamo rotto il vaso di nardo? Oppure siamo avari e diamo qualche goccia ogni tanto per non sprecarne? Ci sprechiamo in gesti di tenerezza, di servizio, di cura, di attenzione oppure limitiamo tutto al minimo indispensabile, dando per scontato l’amore che ci unisce? Io mi sento molto provocato da questo Vangelo. Ho ancora tanta strada davanti. Ancora troppo mi risparmio. Troppe volte aspetto una ricompensa o una gratitudine per ciò che faccio. Troppe volte mi sento non apprezzato abbastanza. Troppe volte faccio il minimo. Troppe volte mi risparmio e non do tutto, perchè non credo sia così importante. Troppe volte aspetto che sia Luisa a darsi da fare, quando invece potrei anticiparla. Troppe volte non sono capace di amarla fino in fondo.

Questo gesto è raccontato anche nel Vangelo di Marco, l’abbiamo ascoltato nella liturgia della domenica scorsa. È posto proprio all’inizio della Passione, proprio a mettere in evidenza il modo di amare di Gesù che arriverà da lì a poco a donare tutto di sé nella croce. Meditiamo, gente! Buona settimana santa!

Antonio e Luisa

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Sposi: missionari nella vita di tutti i giorni

Prima di sposarsi in chiesa, sarebbe bene comprendere in maniera approfondita cosa ci si appresta a fare, l’impegno che si prende e le relative conseguenze: poiché siamo di fronte a una vera e propria vocazione, è indispensabile acquisire una formazione appropriata. Questo non vuol dire diventare teologi o fare una preparazione di almeno cinque anni come i sacerdoti, non è necessario, ma nemmeno ridurre tutto a qualche incontro dopo cena in prossimità del giorno del matrimonio.

Eppure, gli sposi cominciano anche anni prima a organizzare le nozze, fissando la data, la villa, il catering, la musica, il fotografo, la fiorista, la parrucchiera, il viaggio di nozze etc, mentre l’aspetto più importante, quello spirituale che dovrebbe avere la precedenza, viene completamente trascurato o sottovalutato. Così tutto questo influisce sulla stabilità del matrimonio che cresce sulla sabbia e non sulla roccia, portando spesso alla separazione dei coniugi, con numeri preoccupanti negli ultimi tempi.

La formazione non è naturalmente la sola causa di fallimento, ma ritengo che in molti casi possa fare la differenza: poiché anche io ci ho dovuto sbattere il naso prima di imparare certe cose, vorrei evitare che questo accada ad altri. Quindi ho pensato di parlare della missione degli sposi, sconosciuta a tante coppie, prendendo spunto dalle catechesi di don Renzo Bonetti e aggiungendo alcuni miei pensieri. Ora farò una breve presentazione e poi in fondo all’articolo richiamerò i prossimi cinque, sperando che possano essere di aiuto ai fidanzati, agli sposi e ai separati (fedeli).

Innanzitutto, la missione di cui parliamo non è solo umana, ma, poiché avviene una propria effusione dello Spirito Santo, ha il compito di rivelare Dio e il Suo amore. Amoris Laetitia n. 121: Gli sposi in forza del sacramento vengono investiti di una vera e propria missione perché possano rendere visibile, a partire dalle cose semplici e ordinarie, l’amore con cui Cristo sta amando la Chiesa”.

Quando si pensa alla missione vengono subito in mente i Paesi poveri dove missionari e volontari si danno da fare per aiutare chi non ha niente; io ritengo che sia altrettanto importante, in questo periodo storico, prendere consapevolezza che la missione matrimoniale degli sposi, come quella sacerdotale dei preti, sono un bene indispensabile per la Chiesa e per tutta l’umanità. Avere la coscienza che il matrimonio non è un fatto privato, limitato alla propria famiglia, ma in grado di generare tantissimi frutti e salvare tante persone, può cambiare completamente la prospettiva della propria vita e di conseguenza le scelte da intraprendere.

L’ho detto altre volte, ma lo ripeto: il livello più alto per un cristiano è il battesimo, perché non esiste niente di più importante che diventare figli di Dio ed essere così immortali. L’ordine (sacerdozio) e il matrimonio sono due sacramenti che specificano la grazia battesimale, proprio con lo scopo di affidare una missione specifica e sono fra di loro complementari (quindi non si aggiunge niente al Battesimo, si va solo a specializzare la rispettiva vocazione).

Leggiamo infatti al n. 32 del documento della C.E.I. 1975 “Evangelizzazione e sacramento del matrimonio”: L’Ordine e il Matrimonio significano e attuano una nuova e particolare forma del continuo rinnovarsi dell’alleanza nella storia. L’uno e l’altro specificano la comune e fondamentale vocazione battesimale ed hanno una diretta finalità di costruzione e di dilatazione del popolo di Dio.

Per gli sposi, a differenza del sacerdote, si tratta essenzialmente di fare cose semplici, ordinarie in un certo modo (ad esempio posso cucinare per cena qualcosa per la famiglia perché è il mio compito e perché lo devo fare, oppure posso cucinare la stessa cosa con amore e con l’obbiettivo di far star bene gli altri, aiutandoli anche a superare le difficoltà della giornata).

La missione degli sposi viene portata avanti in forza del sacramento del matrimonio e mediante la sua grazia (non perché siamo bravi), perché dal giorno delle nozze c’è fra gli sposi la presenza sacramentale di Gesù, cioè il Signore è presente (anche se il coniuge non lo sa, non ne tiene conto o non vuole tenerne conto) per aiutare e sostenere la coppia.

Infatti, l’indissolubilità si fonda qui, sulla presenza indissolubile di Gesù e non tanto sulle promesse che si scambiano gli sposi, come è riportato su Gaudium et Spes n. 48: La famiglia Cristiana renderà manifesta a tutti la viva presenza del Salvatore del mondo”. Questa Presenza, che rimane anche se uno dei due decide di andarsene, deve portare a costruire, creare comunione e relazioni con gli altri, anche se c’è chi non ama, non è interessato e non ne vuole sapere niente.

Ecco i prossimi cinque articoli che insieme rappresentano la missione degli sposi:

Immagine e somiglianza, unità e distinzione nell’amore (3 aprile)

Come Cristo ama la Chiesa e come Dio ama l’umanità (17 aprile)

Paternità e maternità (1 maggio)

Fraternità (15 maggio)

Annuncio di eternità (29 maggio)

Ettore Leandri (Presidente Fraternità Sposi per Sempre)

Essere padri ma quanto è difficile?

Oggi festa del papà. Un articolo un po’ diverso. Un articolo dove non racconto solo la bellezza di essere papà ma anche la fragilità che sento di avere come padre. Io sono papà di 4 bellissimi ragazzi, tre maschi e una femmina, oltre che di Giò che è nato al Cielo poche settimane dopo il concepimento. Io oggi mi sento terribilmente inadeguato. Spesso non mi reputo capace di essere un padre. Non sono capace perché nella relazione con i miei figli non riesco a essere libero. Mi illudo di esserlo ma poi porto dentro quella relazione le ferite del mio bambino interiore che influenzano la mia parte adulta.

Non sono libero quando li consiglio, li sprono, li consolo, quando sto con loro. Non sono libero soprattutto quando mi arrabbio con loro, perché non giudico mai solo il loro comportamento ma anche quello che il loro comportamento provoca in me che non dipende da loro ma da me.

C’è sempre quel bambino dentro di me che mi ricorda la sua relazione con un padre anaffettivo e incapace di mostrare i suoi sentimenti verso il figlio. Un padre che mi ha amato immensamente – questo l’ho capito che ero già grande – ma che non ha mai saputo dimostrarmelo e che mi ha fatto sentire sempre non abbastanza. Un padre normativo che cercava un dialogo con me solo per riprendermi quando non mi comportavo bene.

Io tutto questo l’ho portato poi nel mio essere marito e ancor di più nel mio essere padre. Quanti errori che ho fatto con i miei figli. Ho cercato di insegnare loro la vita e mi sono accorto di aver imparato io tanto da loro. Ho imparato che non sono miei, che non posso decidere io per loro. E l’ho imparato dopo che il mio primo figlio si è ribellato a una mia decisione. Aveva già 16 anni. Ne è nata una litigata furiosa ma alla fine ho capito che dovevo lasciarlo libero di scegliere diversamente da quello che io volevo.

Ho imparato a uscire dai miei schemi. Ma dove è scritto che un bravo figlio deve comportarsi nel modo che io mi aspetto. Un figlio è un mistero che va accolto, amato come è e accompagnato. Un figlio è una ricchezza che non va impoverita con i miei pregiudizi ma va scoperta e aiutata a svilupparsi.

Ho fatto tanti danni ma ciò che mi consola è che ho cercato di insegnare loro ciò che è davvero importante. Ho mostrato loro sì che non sono perfetto, che ho i miei limiti. Attenzione: i figli hanno bisogno di credere di avere un papà supereroe solo fino all’infanzia poi è meglio capiscano che il loro papà è un uomo con i suoi pregi e i suoi difetti. Dobbiamo essere capaci di ammettere i nostri errori con loro e anche di chiedere scusa. L’insegnamento davvero importante è però un altro: la mia forza viene da Dio. Loro sono figli amati da un padre imperfetto come me ma anche da un Padre eterno e capace di amore infinito come Dio. Ecco credo che se sono riuscito a trasmettere loro questo sapranno riuscire nella vita nonostante un padre con tanti limiti come posso essere stato io.

Dio senza di te e senza il tuo costante perdono e amore non sarei mai riuscito a salvare la mia vita figuriamoci ad accompagnare verso la bellezza e la pienezza quella dei figli che mi hai affidato. Grazie anche alla mia sposa che mi ha sempre incoraggiato e sostenuto. Non mi ha mai fatto pesare i miei limiti.

Antonio e Luisa

L’adultera era già morta, come tanti sposi

Nel Vangelo di oggi viene ripreso un brano molto conosciuto, sicuramente tra i più famosi. I farisei trovano una donna in flagranza di adulterio e la sottopongono al giudizio di Gesù. Ai farisei non importa nulla di quella donna, il loro intento è solo quello di mettere alla prova Gesù per poi poterlo accusare. I farisei fanno riferimento alla Legge data a Mosè. Una legge, come sappiamo, scritta sulla pietra. Gesù con il suo comportamento dimostra uno sguardo carico di misericordia. Riesce e guardare quella donna come solo uno sposo innamorato riesce a fare. Gesù ci dice che la legge di Dio è sì scritta sulla pietra, ma il nostro peccato sulla sabbia. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra.

Gesù ci ricorda una verità cruciale che spesso trascuriamo: Egli non ci giudica in base ai nostri errori, ma ci guarda con amore infinito. Quanto è importante per noi separare la nostra identità dal peccato che commettiamo?

Noi spesso ci comportiamo in modi che non rispecchiano quello di Gesù, ma che assomigliano molto di più a quelli dei farisei che avrebbero voluto prendere l’adultera e lapidarla. Tentano di ucciderla lanciandole addosso delle pietre, pietre che rappresentano la Legge, il decalogo scritto dal dito di Dio sulle tavole di pietra. Il nostro giudizio a volte è spietato: “La Legge di Dio ti condanna perché l’hai tradita.” Quante volte, anche noi, in quanto coniugi, usiamo la Legge di Dio come un’arma contro l’altro. Invece, Gesù non lo fa. Gesù si china a scrivere sulla sabbia. Non lancia alcuna pietra contro l’adultera. Gesù non la definisce adultera. Egli vede una donna, vede quella donna e lei si sente osservata da Lui in tutta la sua interezza, non solo come colpevole di adulterio.

La legge è scritta sulla pietra perché noi potessimo costruire la nostra casa, il nostro matrimonio su di essa. Non per prenderla e darla in testa all’altro. La legge serve per costruire una relazione e non per distruggere l’altra persona. Ricordiamo bene che noi sposi possiamo essere come i farisei ma altre volte trovarci al posto dell’adultera.  A volte siamo come l’adultera perché adulteriamo il nostro amore, mettiamo il nostro egoismo davanti alla relazione. Altre volte siamo come i farisei, pronti a giudicare e condannare l’altro non appena scivola in qualche debolezza o semplicemente sbaglia più o meno consapevolmente.

Facciamo memoria delle tante volte in cui ci siamo sentiti come l’adultera di fronte a Gesù. Tante volte ci ha perdonato. I nostri peccati per Lui sono come scritte sulla sabbia. Egli non giudica i nostri errori, ma ci osserva con lo sguardo di chi è innamorato e vede la meraviglia della persona, non la bruttura del peccato. Egli ci mostra la strada: l’adultera non è il suo peccato. Infatti, nel Vangelo non troverete mai scritto “l’adultera”, ma “una donna sorpresa in adulterio”. Gesù non l’avrebbe mai chiamata “adultera”. Non avrebbe mai limitato una persona al suo peccato.

Gesù ha saputo guardare quella donna non con il disprezzo dei farisei, ma con lo sguardo dell’innamorato che scorge tutto il valore della sua amata. Ciò che siamo chiamati a fare noi sposi l’uno con l’altra. Il segreto che ho imparato nel mio matrimonio, per essere capace di scrivere sulla sabbia le mancanze della mia sposa e non di lanciarle pietre, come magari facevo all’inizio della nostra storia insieme, è proprio essere capace di fare memoria. Memoria di tutte le volte che ho sentito l’amore misericordioso di Gesù su di me e sulla mia storia e memoria di tutte le volte che ho mancato nell’amare la mia sposa e lei mi ha perdonato. La cosa bella è che più passano gli anni e più la mia memoria si riempie di perdoni dati e ricevuti e questo mi lega sempre più alla mia sposa in una relazione toccata dalla fragilità e dagli errori e per questo capace di far sperimentare un amore gratuito e benedetto da Dio.

Gesù poteva lanciarle una pietra ed ucciderla. Ha scelto di guardarla con amore affinché lei potesse sentirsi amata e così tornare a vivere abbandonando il peccato che la stava uccidendo giorno dopo giorno. Non l’ha uccisa perché era già morta ma con il Suo sguardo le ha restituito la vita.

Antonio e Luisa

Il vostro matrimonio ha delle mancanze? Meglio così

Beati i poveri in spirito. Ma chi sono i poveri? Sono quelle persone che sentono di non avere tutto. E’ povero chi sente la mancanza di qualcosa. Quindi se sentite una mancanza nella vostra vita non è per forza qualcosa di negativo. Può essere la vostra salvezza.

Vedete, noi riceviamo tante confidenze di lettori o follower che raccontano con sofferenza la loro mancanza di qualcosa. C’è chi sente di non essere amato abbastanza dal marito o dalla moglie, c’è chi non si sente capito dall’altro, c’è chi non avverte di essere prezioso e considerato dall’altro. Questa mancanza è si qualcosa da indagare e sistemare nella nostra relazione ma ha un risvolto molto positivo. Questa mancanza ci sta dicendo che quel matrimonio non ci può colmare di tutto. Ci dice che nostro marito o nostra moglie non ci può riempiere tutto quel desiderio di amore e senso che abbiamo dentro. La mancanza in una relazione può creare un profondo dolore e insicurezza. Tuttavia, è importante comprendere che nessuna persona può soddisfare completamente tutti i nostri bisogni e desideri. 

Quindi ben venga che nel nostro matrimonio non troviamo tutto. Perchè il matrimonio non può essere tutto. Anche quando le cose vanno bene. Perchè il matrimonio resta una relazione tra persone imperfette e finite.

Qundi è importante essere consapevoli di questa povertà che ci caratterizza. Questa mancanza che è ontologica. Quando qualcuno si avvicina a noi esprimendo il proprio disagio emotivo, è importante non solo offrire supporto pratico e guidare verso risorse adeguate, ma anche comunicare la profonda verità che la mancanza può fungere da veicolo per un incontro più intimo con Dio.

La scelta di come affrontare la mancanza è cruciale nella vita di ognuno di noi. È un bivio in cui ci troviamo di fronte, con due strade ben distinte da percorrere. La prima porta a un isolamento, ci allontaniamo emotivamente sempre di più dall’altro. In questo stato, inevitabilmente ci concentriamo sui difetti del marito o della moglie, perdendo tempo prezioso nel lamentarci e nel desiderio di cambiarlo. Questo percorso, solitamente, porta a un sentimento di insoddisfazione e alla solitudine. Dall’altra parte, c’è la strada che ci invita a rivolgere lo sguardo verso chi può colmare quel vuoto in modo completo e duraturo. Chi sceglie questa via si apre alla cura di sé in modo sano, mantenendo una relazione profonda con il Signore per sentirsi amato e protetto dall’Amante perfetto e infinito.

Se la mancanza ci porta tra le braccia di Dio allora avremo fatto bingo. Saremo persone capaci di amare l’altro per come è, con tutti i suoi difetti, perchè avremo trovato in Dio una fonte di amore inesauribile.

Antonio e Luisa

Contemplare per lodare l’amato

Carissimi sposi sicuramente può sembrare un po’ strano sentir parlare di lode in questo tempo di Quaresima in cui la Chiesa da sempre ci richiama ad uno stile penitenziale, ma Papa Francesco ci suggerisce che «La Quaresima non è un tempo triste! Su questo dobbiamo essere attenti. È un tempo di penitenza, ma non è un tempo di lutto. È un impegno gioioso e serio per spogliarci del nostro egoismo, del nostro uomo vecchio, e rinnovarci secondo la grazia del nostro Battesimo».

Prima di condividere con voi qualche “lume” della nostra esperienza di lode quaresimale, diamo uno sguardo al vocabolario: il verbo lodare deriva dal latino laudare, da laus laudis «lode», e vuol dire esprimere con parole la propria approvazione per le qualità, gli atti, l’operato o il comportamento d’una persona; più genericamente, parlar bene di qualcuno o di qualche cosa.

Stando a quanto apprendiamo dal dizionario lodare presupporrebbe l’uso della parola; quindi, l’esternalizzazione di ciò che di buono c’è mediante il linguaggio verbale. Ma per noi la lode è un qualcosa di più, cioè implica prima di tutto il riconoscimento di Qualcosa che costituisce l’Essenza della nostra vita. Questo Qualcosa è una Presenza, e questa Presenza è Dio. Possiamo dire che lodare Dio non significa soltanto esprimere una preghiera o un canto (perché appunto quella è l’espressione) ma riconoscerlo presente nella sostanza della nostra vocazione.

Ora, se la sostanza della vocazione matrimoniale è l’amore coniugale quale segno (imperfetto) dell’amore tra Cristo e la Chiesa non ci resta che stare ai piedi della Croce, poiché è proprio da lì che possiamo riconoscere e contempLare la lode di Dio per noi e, di conseguenza, LODARLO nella nostra vita di sposi; è la Croce che diventa la Parola più eloquente di Dio e ciò che sembra silenzio è, invece, il grande Verbo dell’amore di Dio Padre.

E se, come sposi, fossimo al posto di Maria e di Giovanni? Con le parole di Chiara Lubich faremmo il nostro atto di riconoscenza: «Abbiamo un solo Sposo sulla terra: Gesù crocifisso e abbandonato, non abbiamo altro Dio fuori di Lui». Ogni coppia dovrebbe chiedersi quale Gesù cerca: quello della moltiplicazione dei pani, quello del successo, dei miracoli, degli applausi?

Noi ci affidiamo al Gesù che conosce la sconfitta, il dolore, la perdita, per educarci continuamente alla via della croce perché crediamo sia il più alto percorso che realizza davvero l’esperienza d’amore di ogni coppia. Per noi è la più alta via per raggiungere l’unità perché se accogliamo il Crocifisso impariamo ad accogliere anche i rispettivi difetti e peccati, proprio come Cristo che sulla croce ha preso su di sé i peccati del mondo e li ha bruciati nell’amore.

Ecco l’amore che trasforma la lode in una presenza redentiva. Che ogni coppia, il Venerdì Santo, con Maria, possa ripetere il suo “sì” che è diverso da quello della prima chiamata (“Tu sarai madre”): è invece un “sì” infinitamente più grande, è il “sì” delle nozze compiute. Nel dolore tutto è donato, non resta più nulla di nostro. Davvero «Tutto è compiuto!».

ESERCIZIO PER LODARE L’AMATO

Durante la pia pratica della Via Crucis immaginate quella che S. Ignazio di Loyola nei suoi esercizi chiama “la composizione di luogo” della XII stazione e “ascoltate” nel silenzio ciò che il Crocifisso consegna alla vostra coppia.

PREGHIERA DEGLI SPOSI SOTTO LA CROCE

Oh nostro Sposo,

il calice è pronto,

riempito d’amore fino all’orlo,

come nelle giare traboccanti delle nozze,

come nella barca ricolma di pesci sul lago,

come nelle ceste di pezzi avanzati del miracolo …

Anche ora la misura del nostro amore è senza misura,

come lo Spirito che stai per donare ad ogni famiglia e al mondo assetato.

Il dolore trabocca dagli squarci della tua carne inchiodata,

come dai brandelli di ogni famiglia ferita.

Hai sete, sete ardente come al pozzo di Sicar,

sete di dare il tuo Amore alla nostra coppia

affinché a chiunque daremo da bere la tua Gioia

riconosca che non viene da carne mortale perché viene dall’alto,

sete di consacrarci nella verità.

Oh nostro Sposo,

l’opera volge al termine e le lacrime sono giunte al giubilo della mietitura.

Beati gli sposi che non temeranno di seguirti e non saranno scandalizzati da questo legno insanguinato.

Il chicco di grano sta per dare la spiga e gli uccelli già volano al riparo del grande albero.

Rimarremo muti al tuo grido ma sarà il tuo abbandono a salvarci.

Tutto è pronto nella nostra stanza nuziale.

Sotto le cupe nuvole rosse,

anch’esse bagnate di sangue,

brilla l’olio delle nostre lampade accese.

Le luci del Sabato sono già accese.

Con noi c’è la tua e nostra Madre,

anche lei accoglie in silenzio il tuo ultimo soffio.

È proprio perché c’è lei nulla è perduto,

il tuo sacrificio diventa fecondo.

Nel suo abbraccio il nostro pianto diventa la sorgente zampillante della nostra vita familiare.

Tutto ormai è dato in tal morte feconda.

Solo l’amore resta.

Amen

Una Santa Pasqua di Resurrezione ad ogni coppia di sposi che ha fatto della Croce di Cristo il suo talamo nuziale.

Daniela & Martino, Sposi Contemplativi dello Sposo

I livelli del tradimento

Oggi voglio rispondere a una domanda che mi è stata rivolta da una lettrice. Riguarda il peccato. Mi è stato chiesto: tradire con la mente ha la stessa gravità che tradire con il corpo? Come non pensare ai versetti del Vangelo chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore (Matteo 5, 28)

Come dobbiamo leggere queste parole che sembrano tanto chiare? Dobbiamo leggere in modo non superficiale. Ci viene in aiuto il card. Ravasi che commentando questo versetto scrive: Non era la semplice emozione istantanea e spontanea di fronte a una persona o a una realtà attraente, bensì una decisione profonda della volontà che pianifica un progetto vero e proprio per conquistare l’oggetto del desiderio, anche attraverso una macchinazione o una tensione psicologica intima o una costante concupiscenza. 

Siete d’accordo che così cambia tutto? Mi permetto di fare alcune considerazioni. Esistono diversi piani di tradimento. Non hanno le stesse implicazioni e non credo neanche la stessa gravità. Come sempre io non voglio fare un discorso strettamente religioso e di peccato ma semplicemente umano per rivolgermi a tutti.

Primo livello. Il pensiero (la tentazione).

Permettetemi di essere chiaro. Essere attratti da altre donne che non siano mia moglie non è peccato. Naturalmente vale anche per mia moglie verso altri uomini. Le tentazioni ci sono e dipendono da una serie di diversi fattori. Non colpevolizziamoci se sentiamo attrazione per altri. Non sono pensieri volontari. Vengono e basta. Spesso dipendono da nostre fragilità o inclinazioni personali. Sono spesso istintive e non volute. Noi commettiamo peccato quando scegliamo di allontanrci dal nostro impegno quotidiano di mettere al centro del nostro amore nostro marito o nostra moglie. Quando lo decidiamo. Quindi arriviamo ora al secondo livello.

Secondo livello Nutrire il desiderio sbagliato.

Se ci fermiamo al primo livello stiamo sereni. Se entriamo invece nel secondo dovremmo prestare invece molta attenzione. Cosa succede nel secondo livello. Succede che quella persona che ci ha attratto prende spazio nei nostri pensieri e nel nostro cuore. Ma qui non c’è solo una dinamica involontaria ma iniziamo a provare piacere nel pensare a quella persona. Ciò può avvenire anche senza che quella persona sappia nulla. Senza che nostra moglie o nostro marito sappia nulla. Attenzione: quando una tentazione entra nel livello due spesso ciò è favorito dalla salute del nostro matrimonio. Se non viviamo un matrimonio sano dove c’è dialogo e cura reciproca faremo più fatica a resistere alle tentazioni. Quindi parte della responsabilità, in caso di cadute, va ricercata nella relazione stessa. Dove sta il peccato? Semplicemente che stiamo togliendo spazio alla persona che abbiamo sposato. In questo tipo di tradimento rientra anche la pornografia. Non stiamo tradendo fisicamente l’altro ma lo stiamo sostituendo. Stiamo dedicando spazio, tempo, energie fisiche e mentali verso qualcosa o qualcuno che ci allontana dalla nostra promessa sponsale. Stiamo sottraendo qualcosa che abbiamo donato all’altro. In questo livello rientrano tante situazioni. Mi viene in mente una sposa che si era rivolta a noi perchè quando faceva l’amore con il marito per eccitarsi pensava ad altri uomini. Siamo nel tradimento mentale. Oppure i sempre più frequesti tradimenti online. Dove non c’è contatto fisico ma semplicemente un corteggiamento o un dialogo allusivo. Capite dove sta il peccato? Peccare sappiamo che significa sbagliare bersaglio. E’ esattamente questo. Dedicare le nostre attenzioni ad altri o ad altro e, così facendo, impoverire sempre di più la nostra relazione sponsale allontanandoci sempre di più l’uno dall’altro.

Terzo livello Metterci il corpo.

Perchè questo è il livello più grave? Perchè è il più profondo. Il peccato è lo stesso del livello due ma le implicazioni sono molto più devastanti. Io credo che la maggior gravità dipenda da due fattori principali. Tradire fisicamente significa aver condotto il tradimento fino alla sua completa attuazione. Significa non aver voluto fermare tutto prima. Ma la cosa ancora più grave è aver vissuto quel tradimento in modo completo, in mente, cuore e corpo. Significa aver compromesso tutta la persona in una relazione che è altra rispetto a quella matrimoniale. Fare l’amore è il gesto che è parte integrante del sacramento del matrimonio. Dopo la promessa in Chiesa serve l’unione dei corpi per rendere il sacramento efficace. Questo proprio perchè nell’amplesso stiamo dicendo, con tutta la nostra persona, il nostro sì a voler essere uniti indissolubilmente. Quando avviene il tradimento fisico stiamo compiendo lo stesso atto unitivo con un’altra persona. Stiamo rinnegando dentro di noi quell’unità che abbiamo promesso all’altro e a Dio. Per questo il tradimento fisico è ancora più grave. Perchè non abbiamo lasciato fuori nulla di noi. Ci siamo dentro completamente. Ed è quello da cui poi è più difficile – quando scoperto – essere perdonati e che porta spesso a separazioni e divorzi.

Antonio e Luisa

Don Antonio: ho sempre riconosciuto una sensibilità per la pastorale familiare

Mi presento. Sono don Antonio. Un uomo di 46 anni e da 21 sacerdote. Sono parroco di due parrocchie in provincia di Salerno. Ho studiato prima nel seminario di Potenza, e poi presso S. Anselmo a Roma dove ho compiuto la licenza in Teologia sacramentaria. Sono stato educatore nel seminario di Salerno per 9 anni, e dal 2005 insegno teologia dei sacramenti ai futuri sacerdoti. Sono impegnato nella formazione permanente del clero e nell’accompagnamento di fidanzati e coppie sposate. In passato anche della vita consacrata femminile.

Fin da quando ero in seminario, ho sempre riconosciuto una sensibilità per la pastorale familiare. Devo ringraziare l’impegno pastorale presente in Italia in modo particolare ad opera dei sacerdoti don Renzo Bonetti e don Carlo Rocchetta. Li ho incontrati personalmente una sola volta. Ma grazie ai social sono come dei padri spirituali per la mia formazione pastorale. Sono loro riconoscente per il fatto che “penso la mia vita sacerdotale” sempre in relazione “alla vita familiare” e sono incamminato nel Regno divino “dell’amore sponsale” impegnandomi nella virtù della “tenerezza”.

Qualche tempo fa, un pomeriggio, lessi un commento su questo blog ad un post di Antonio. Era un forte giudizio, ormai diventato comune, su papa Francesco e sul suo collaboratore il card. Fernandez. Si accese un moto interiore e scrissi un messaggio in privato ad Antonio … e conversando anche a viva voce ricevetti la proposta di condividere le mie riflessioni con voi. Io sto con il papa. Questo o quello. Senza magistero papale non c’è Chiesa di Gesù, e allora non c’è neppure Gesù. Quello degli apostoli. Pur sapendo che Gesù agisce anche fuori dai “confini” della sua Chiesa. Ma intanto che io vivo nel suo corpo della Chiesa, non posso stare qui e anche fuori lì. Perciò io sto sempre con la Chiesa.

Forse perché da giovane le sue rughe, scavate sul Volto, a causa della sua umana fragilità, mi hanno spaventato e allontanato da Lei e quindi da Gesù. Poi ho imparato che puntare il dito significa non amare, non perché si giudica, ma perché si vuole prendere le distanze. Io, prete, attendo dalla famiglia che nasce dal sacramento del matrimonio di essere aiutato ad amare di più questa Chiesa, la Chiesa di oggi, che cresce e si sviluppa a partire dalla Chiesa di ieri, e vuole diventare sempre più per domani la Chiesa di Gesù Cristo.

La famiglia, piccola Chiesa domestica, riflette e incarna l’amore di Gesù per la Chiesa, ma anche quello della Chiesa per Gesù. Perciò, io che sono prete, ho bisogno veramente di questo sano amore della famiglia per la Chiesa, affinché io possa amare la mia chiesa parrocchiale così come il sacramento dell’amore ogni giorno edifica la Chiesa e la società.

Ritornando e concludendo la mia presentazione, con Antonio abbiamo pensato che i miei interventi saranno dei “frammenti sui sette segni”. In questo primo contatto ho voluto dare voce soltanto al frammento sulla mia persona affinché dietro a questa firma – don Antonio Marotta – ciascuno d’ora in poi possa essere certo del mio intento: risvegliare la Chiesa nelle anime (R. Guardini) – fu il messaggio di papa Benedetto XVI nel suo ultimo discorso pubblico – che esplicitato su questo blog significa voler ri-leggere i tratti familiari dei sette sacramenti. La dimensione ecclesiale dei sacramenti. I sette sacramenti per la chiesa domestica.

Don Antonio Marotta