Conoscere Dio per conoscere noi stessi

Nella Bibbia il nome ha un significato davvero molto profondo. Nel linguaggio semitico (che è quello della Bibbia) il nome indica la realtà della persona, l’essere costitutivo, la sua essenza: “Come è il suo nome, così è lui”. – 1Sam 25:25. Capite quindi? In un certo senso conoscere il nome della persona significa conoscere la persona. Non è banale. Dare il nome ha un significato ancora più forte. Dare il nome significa conoscere a tal punto quella persona da poterla “inquadrare”. Per questo Dio nella Bibbia non ha nome se non il tetragramma. Il tetragramma scritto in ebraico significa qualcosa di simile a io sono l’esistente. Il tetragramma è composto solo da consonanti e per questo nessuno ne conosce la pronuncia esatta. Il tetragramma deriva direttamente da Mosè e da quanto accaduto nel roveto ardente.

Allora Mosè disse a DIO: “Se io vengo al popolo d’Israele e dico loro: ‘Il DIO dei vostri padri mi ha mandato da voi’, ed essi mi chiedono: ‘Qual è il suo nome?’, cosa devo dire loro? DIO disse a Mosè: “Io sono Colui che sono”. E disse: “Di questo al popolo d’Israele: ‘Io Sono mi ha mandato a voi’”. DIO disse anche a Mosè: “Di questo al popolo d’Israele: ‘Il SIGNORE, il DIO dei vostri padri, il DIO di Abramo, il DIO di Isacco e il DIO di Giacobbe, mi ha mandato a voi’. Questo è il mio nome per sempre e così sarò ricordato per tutte le generazioni”. (Es. 3, 13-15)

Cosa possiamo trarre da questo racconto biblico? Mi permetto di offrirvi alcuni spunti di riflessione utili in particolare alla coppia

Dio non si può conoscere se non in Gesù. Dio è così infinito che non possiamo conoscerlo. Per questo non possiamo chiamarlo con un nome. Dio è troppo grande per essere comprensibile a noi. Quando abbiamo potuto conoscerlo davvero? Quando si è incarnato. Quando il suo essere infinito ha preso forma in un corpo che è come il nostro. Cosa abbiamo capito di Dio attraverso Gesù che è Dio e uomo? Che Dio è infinito amore e che Gesù nella concretezza di un corpo ci ha mostrato cosa significa. Ecco perché noi sposi siamo immagine di Dio. Perché possiamo amarci e amare come Dio. Siamo chiamati a dare la vita. Possiamo comprendere qualcosa di Dio solo nell’amore vissuto e l’uomo e la donna che si donano completamente in anima e corpo sono la manifestazione concreta più simile a Dio Amore. Dio l’ha pensato fin dal principio. Lo dice il nostro corpo. Il nostro corpo è sessuato, siamo maschio e femmina perchè in quell’incontro tra due differenze complementari si potesse scorgere una scintilla di Dio. L’amplesso fisico è esattamente questo: essere uno nell’altra per diventare uno, per darsi completamente ed essere generativi. Non sempre dall’amplesso di un uomo di una donna nascerà un bambino ma sempre sarà generato amore. Per questo il matrimonio è solo tra un uomo e una donna e per questo il sesso è santo è buono solo nel matrimonio.

Conoscere Dio significa conoscere noi stessi. Chi era Mosé? Fino al roveto ardente non lo sapeva neanche lui. Era ebreo o egiziano? Oppure era un madianita visto che aveva sposato una di loro e aveva vissuto con loro per un periodo? Qual era la sua missione nella vita? Non lo sapeva neanche lui. Nato da ebrei, cresciuto nella famiglia del faraone e poi divenuto pastore una volta fuggito dall’Egitto. Mosè era confuso, non sapeva chi fosse e cosa dovesse fare nella vita. Eppure è diventato il più grande dei profeti e ha portato in salvo il popolo d’Israele.  Non è più sorto in Israele un profeta come Mosè (De 34, 10). Il roveto ardente cambia la vita di Mosè. Quell’incontro diretto con Dio mette in ordine le tessere di tutto il puzzle. Mosé capisce chi è e perché è al mondo. Ognuno di noi può mettere ordine nella propria vita quando incontra Dio. Perché tutto acquista senso e finalmente la nebbia si dirada. C’è un però. Come si accosta Mosè al roveto ardente?  Dio disse: «Non ti avvicinare qua; togliti i calzari dai piedi, perché il luogo sul quale stai è suolo sacro» (Es. 3, 5). Dio non è che vuole un atto di sottomissione di Mosé formale. Il significato è molto più profondo. Dio sta dicendo a Mosé: se vuoi conoscermi e conoscere te stesso levati i calzari, le tue sicurezze, i tuoi pregiudizi e ascoltami. Lasciati sorprendere! Ecco noi sposi possiamo comprendere chi siamo e la missione della nostra coppia quando ci accostiamo con questo atteggiamento a Dio. Quanti esempi anche su questo blog. C’è Ettore che ha compreso come la fedeltà ad una moglie che lo ha abbandonato sia la sua missione. Ci sono Simona ed Andrea che togliendosi i calzari si sono scoperti fecondi in mille modi diversi. La vocazione è esattamente questo. Togliersi i calzari, incontrare Dio, mettersi in ascolto, sentirsi amati personalmente e teneramente ed avere il desiderio di restituire quell’amore. Ed è quello che cerchiamo di fare noi Luisa ed Antonio, Simona ed Andrea, Ettore, padre Luca e credo anche tutti voi se avete fatto esperienza di Gesù.

Incontrare Dio cambia la vita! Coraggio togliamoci i calzari e mettiamoci in ascolto!

Antonio e Luisa

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Chi comanda affettivamente? Noi o le nostre ferite?

Ascoltando una catechesi di don Luigi Maria Epicoco sono rimasto folgorato da una frase del sacerdote. Don Luigi, riferendosi all’amore e al matrimonio, ha affermato: il matrimonio serve a disobbedire alle nostre ferite e non a lenirle, non a soddisfarle. E’ una frase bellissima perché in una riga ha sintetizzato il lavoro che noi sposi dobbiamo fare. Questa è la fatica più grande del matrimonio ma è anche il modo per liberarci sempre di più dalle nostre zavorre che ci impediscono di essere liberi di amare e di diventare sempre più quell’uomo o quella donna che siamo.

Quell’uomo o quella donna che avete sposato non vi è piaciuto solo perchè vi ha attratto fisicamente o perchè vi è sembrato compatibile con voi. Quella persona che avete accanto, chi più chi meno, è stata scelta anche dalle vostre ferite. Mi sono imbattuto tantissime volte in coppie di sposi dentro questa situazione dove la donna, ad esempio, aveva scelto un uomo che si comportava esattamente come il padre. Altre volte uomini che avevano scelto donne che li trattassero come dei bambini, perchè immaturi e incapaci di essere coerenti. Mi ricordo di una giovane che trovava sempre fidanzati che la sminuivano e la criticavano e lei ci stava malissimo. Ma perché li sceglieva? Perché nutrivano la sua mancanza di autostima. Le dicevano continuamente: non vai bene così come sei. Esattamente quello che lei sentiva forte dentro di sé.

Il matrimonio è l’occasione più grande che abbiamo per guarire le nostre ferite. Non le guariremo mai del tutto ma almeno riusciremo a guardarle in faccia, a conoscerle e a controllarle. La nostra libertà non è fare quello che ci passa per la testa come il mondo ci insegna, non è soddisfare ogni desiderio e seguire ogni impulso. Quello serve solo a renderci sempre più schiavi delle nostre ferite perchè spesso gli impulsi e i desideri non sono frutto di un discernimemnto su ciò che ci fa bene, ma sono spinte che nascono dalla pancia, dalla nostra parte più emotiva che è controllata dalle nostre ferite.

Quando parliamo di “ferita del cuore” dobbiamo intendere questa ferita, come una lacerazione affettiva, il cui taglio non è esternamente visibile, ma non per questo meno doloroso. Io ad esempio sono cresciuto in una famiglia anaffettiva. Non perché i miei genitori non mi amassero, ma hanno sempre dimostrato il loro amore con il servizio e mai con le carezze e con gli abbracci. Io che invece sono affamato di questi gesti ne ho sempre sofferto tanto (in modo inconsapevole sulle cause fino a quando sono andato a fondo della cosa). Mi porto ancora dietro i segni, mi è rimasta una lieve balbuzie che si aggrava nei momenti di stress o quando devo parlare in pubblico. Io ho portato le mie ferite nel matrimonio e con Luisa ero guidato da questo: desideravo continuamente che lei mi desse quello che mi è sempre mancato. Solo che poi questo si scontra con il bene suo e il bene della coppia. Me ne sono accorto nel matrimonio. Ci sono stati diversi momenti in cui ho dovuto lottare contro le mie ferite, dove il cuore e la testa hanno combattuto contro la pancia. E con il tempo sono migliorato, mi sono liberato in un certo senso e ho preso il controllo di me stesso. Non facendo tutto quello che avrei voluto fare e mi sentivo spinto a fare, ma anche dicendo dei no alle mie pulsioni per il bene di Luisa e della nostra relazione. Non è facile. Per questo da soli spesso non ce la facciamo. Non arrendiamoci. Il matrimonio è la nostra occasione ma rischiamo di fallirla se afrfrontiamo da soli questa battaglia. Affidiamoci a delle guide, che possono essere sacerdoti, ma anche amici equilibrati e che ci vogliono bene. E perché no? Anche gli psicologi (se buoni) possono aiutarci.

Coraggio! La battaglia va vinta per essere liberi di diventare quell’uomo e quella donna che siamo e anche essere liberi di donarci all’altro.

Antonio e Luisa

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Sposarsi senza convivere prima? Il matrimonio funziona di più.

C’è un falso mito che fa parte ormai della mentalità comune: bisogna convivere prima di sposarsi. Parlando con un’amica solo pochi giorni fa è uscito il discorso. Mi raccontava stupita come un suo collega più giovane sia restato sconvolto dal fatto che lei si sia sposata con il marito senza prima “provarlo”. La sua obiezione è quella della quasi totalità dei giovani italiani: e se poi non funzionava? Se non eravate fatti per vivere insieme? La normalità di una ventina d’anni fa è diventata oggi una scelta strana. Ma è davvero meglio adesso? E’ davvero necessario passare dalla prova convivenza prima del matrimonio? In realtà i dati sembrano contraddire questa credenza.

Secondo una recente ricerca sembra che le coppie che hanno convissuto prima di sposarsi abbiano più probabilità di andare incontro ad una separazione. Secondo una ricerca effettuata negli Stati Uniti e apparsa sul  Wall Street Journal,   le coppie che convivevano hanno il 15% in più di probabilità di divorziare. Questi i dati. Cerchiamo ora di dare una spiegazione. Vi lancio alcune provocazioni.

Chi convive non si abbandona completamente all’altro. Detto così potrebbe sembrare meglio. In realtà bisogna pensarci bene. Esiste un esperimento scientifico che è stato messo in atto per dimostrare la differenza. Sono state prese in considerazione 54 coppie, 27 sposate e 27 conviventi. E’ stato messo uno dei due partner all’interno di una macchina per risonanza e gli è stato detto che avrebbe potuto ricevere una piccola scossa elettrica sulla caviglia. Questo per creare tensione e ansia nella persona coinvolta nell’esperimento. Poi è stato chiesto ai due partner di tenersi per mano. Qui si è vista una grande differenza tra i conviventi e gli sposati. L’esaminato, se era sposato, subiva una decelerazione immediata dell’ipotalamo, regione del cervello che ha un ruolo chiave nella regolazione delle reazioni dinanzi ad una minaccia esterna, cosa che indicava un alto livello di fiducia e tranquillità tra i partner. A differenza di quanto è avvenuto se l’esaminato era invece convivente che mostrava un rilassamento molto meno marcato. Secondo i ricercatori il prendersi la mano ha un effetto regolatorio più forte fra le coppie sposate che tra quelle che convivono. Questo non perchè chi si sposa faccia qualcosa di diverso rispetto a chi convive. Anzi in apparenza tante coppie di conviventi sembrano più belle e più unite. C’è però qualcosa di inconscio, di non esplicito. Quello che noi diciamo da sempre. Chi convive lancia un messaggio evidente: io sto con te perché mi fai stare bene. Io non mi abbandono completamente a te ma tu sei sempre sotto esame. Chi si sposa lancia tutt’altro messaggio: io sono pronto a scommettere tutto su di te. Ti do la mia vita, il mio cuore e il mio corpo. Te lo do adesso e per sempre. Perché voglio donarmi a te. Completamente un’altra cosa. Questo atteggiamento del cuore poi cambia la percezione che abbiamo dell’altro e della relazione con l’altro. Permette una fiducia nettamente superiore. Poi l’altro può tradire questa fiducia ma questo è un altro discorso.

Nella convivenza i difetti sono meno pesanti. Questa provocazione nasce da una chiacchierata avuta con un amico psicologo. Lui segue tante coppie in crisi. Mi raccontava come la convivenza sia una prova non attendibile di quello che sarà poi il matrimonio. Si è accorto che tanti difetti dell’altro sottovalutati durante la convivenza risultavano poi intollerabili durante il matrimonio. Perchè succede questo? Semplicemente perchè, che ne siamo consapevoli o meno, il matrimonio è una scelta definitiva e quello che ci sembrava tollerabile quando avevamo una via d’uscita in ogni momento, diventa improvvisamente pesantissimo quando ci leghiamo ad un’altra persona per tutta la vita. Lasciate stare che esiste il divorzio e quindi ormai tanti si slegano anche dal matrimonio. Psicologicamente le due relazioni sono percepite ancora in modo molto diverso.

Per concludere. Possiamo trarre alcune conclusioni. Chi decide di passare dalla convivenza va incontro a due illusioni e possibili pericoli: si educa a non fidarsi mai completamente dell’altro e si illude che la quotidianità vissuta da convivente sia uguale a quella da sposato. Chi convive è di solito quello che non vuole sorprese e vuole avere la situazione sotto controllo. Chi si sposa è consapevole che non potrà mai conoscere fino in fondo l’altro e che non potrà mai avere sotto controllo completamente la situazione. Decide però di buttarsi e di darsi totalmente alla persona che ha scelto affrontando gli imprevisti non come un fallimento ma come parte del gioco.

Antonio e Luisa

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Le crepe delle famiglie felici

In questi giorni tutti i maggiori media hanno ripreso un’intervista a Gabriele Muccino. Un’intervista rilasciata per promuovere la seconda stagione della serie televisiva A casa tutto bene. Si tratta della prima volta del regista alle prese con una serie tv. Ammetto di non averla vista, ma le recensioni presenti on line mi raccontano di una trama tipica che caratterizza il lavoro di Muccino. Il regista racconta sempre di famiglie piene di problemi, nevrasteniche, dove si tradisce e non ci si capisce. Insomma un dipinto non proprio attraente della famiglia italiana e della famiglia come realtà sociale. Ricordo ancora il primo film di Muccino che vidi. Si trattava de L’ultimo bacio. Era il 2001, lo vidi con Luisa, avevamo già programmato il matrimonio che celebrammo nell’estate del 2002. Quel film mi lasciò davvero un velo di tristezza. Una rappresentazione triste e povera della famiglia. Un inferno più che un paradiso.

Torniamo all’intervista! Cosa ha detto il regista? Non ho mai creduto alle famiglie felici, anche quelle perfette nascondono crepe. Su una cosa ha ragione: non esistono le famiglie perfette perchè tutte hanno delle crepe. Questo è assolutamente vero! Ma è sulla prima parte che si sbaglia. Certo sempre più spesso è come dice lui. Se tanti matrimoni falliscono significa che queste crepe alla fine hanno portato ad una frattura. Però è altrettanto vero che quelle crepe, cioè le nostre personali ferite, le nostre imperfezioni, i nostri peccati e anche le nostre differenze, possono essere invece una grande opportunità. L’opportunità più bella per fare esperienza della misericordia, dell’amore gratuito capace di perdonare.

L’ho scritto tante volte. Il matrimonio è immagine dell’amore di Dio che è perfetto. Non perchè siamo perfetti noi sposi, ma perchè la nostra imperfezione, i nostri errori, i nostri limiti e le nostre debolezze, quando vissuti nell’abbandono a Dio e nella Grazia di Dio, sono motivo per perdonare, per amare gratuitamente e senza merito alcuno il nostro coniuge. Questo è l’amore misericordioso di Dio. Questo è quell’amore di cui noi sposi siamo chiamati ad essere immagine.

Quello che rende un matrimonio perfetto è proprio la sua imperfezione, la nostra personale imperfezione di sposi. Io mi sento maggiormente amato da Luisa, non quando sono brillante e faccio o dico la cosa giusta, ma quelle volte che mi rendo conto di aver sbagliato, di averla fatta soffrire con il mio atteggiamento e le mie parole e lei non smette di amarmi. Quando io sono imperfetto e il mio modo di relazionarmi con lei è imperfetto e lei comunque è lì accanto a me e mi continua ad amare mi sento l’uomo più fortunato del mondo perchè il suo dono gratuito, e in quei casi immeritato, mi fa fare esperienza dell’amore misericordioso, l’amore di Dio.

Ecco perchè caro Muccino la debolezza di tante famiglie è anche la loro forza. Perchè in quello stress, in quelle litigate, in quel casino si può fare esperienza di Dio.

Antonio e Luisa

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Il segreto del matrimonio? Farci piccoli!

Ci sono dei momenti della vita in cui vorremmo dire: adesso basta! Non ti sopporto più! Ho tollerato abbastanza. Lui/lei sembra approfittarsi del nostro amore. Tutto l’impegno che ci mettiamo eppure non capisce. Continua a commettere sempre gli stessi errori. La misura è colma. Luisa quando è particolarmente irritata da un mio comportamento reiterato mi dice immancabilmente: allora dillo che lo fai apposta!

Anche noi cristiani, quando il nostro sposo o la nostra sposa cade sempre negli stessi errori, abbiamo la forte tentazione di reagire in questo modo. Forse è vero che quel suo atteggiamento può darci irritazione e magari anche sofferenza. Forse è vero che facciamo sempre più fatica a tollerarlo. Noi che invece siamo così bravi, noi che ci meriteremmo di essere ricambiati in ben altro modo e l’altro che non capisce quanto sia fortunato ad averci sposato. Spesso, non lo ammetteremmo mai neanche sotto tortura, pensiamo proprio così. Ed è proprio questo modo di pensare che non funziona. Significa contare solo sulle nostre forze. Significa continuare a tollerare gli sbagli dell’altro perchè noi siamo meglio, siamo più bravi. Arriva però un punto che non riusciamo più a tollerare. Perchè umanamente abbiamo finito la capacità di crescere, abbiamo raggiunto il massimo di quello che potevamo dare. E adesso? Cosa fare?

Prima di esplodere abbiamo una grande opportunità. Adesso abbiamo l’occasione di tornare a ragionare e ad amare l’altro come cristiani. Come Cristo ci ama. Santa Teresina scrisse una cosa che mi ha sempre colpito: quando non puoi più crescere fatti piccoloLa soluzione è farci piccoli. Smettere di pensare a quanto siamo bravi e belli per riconoscerci deboli. Io ho vissuto momenti così. Incapace di donarmi a Luisa per chi era. Mi sono riconosciuto incapace di prenderla tutta, di prendere il pacchetto completo, con tutti i suoi pregi, che mi hanno fatto innamorare e che ancora mi piacciono, ma anche con i suoi difetti. Li ho capito. Solo facendomi piccolo posso decentrare la mia attenzione da me e dalle mie pretese per spostarla su di lei. Solo riconoscendomi debole potrò farmi piccolo e inginocchiarmi davanti a Gesù. Solo così potrò liberare il mio cuore dalle mie aspettative e permalosità per far posto allo Spirito Santo. Il matrimonio è una cambiale in bianco che Gesù ha firmato e ci ha consegnato tra le mani. La cifra la possiamo mettere noi. Non si tira indietro. A noi è chiesta solo la fatica di riconoscere di averne bisogno, che da soli non riusciamo. Quando sono debole, è allora che sono forte.

Ci sono tre step fondamentali per imparare ad amare davvero. Mi riconosco debole, mi riconosco incompleto (ma che non posso essere completato da una persona per quanto possa essere bella e brava), mi riconosco amato da Dio. Solo affrontando questi tre passaggi avremo la capacità di fare il salto di qualità nella vita e nel matrimonio. Questo è un po’ il percorso che tutti noi, prima o poi, dobbiamo affrontare. Solo se intraprendiamo il percorso per guarire la nostra affettività, che spesso ci rende dipendenti, possiamo amare davvero l’altro. Saremo forti proprio perchè nella debolezza avremo fatto esperienza di Dio e l’altro non avrà più il potere di farci troppo male e di distruggerci nello spirito, come invece sovente avviene in tante coppie. Se da soli non ne veniamo fuori si può sempre ricorrere a uno psicoterapeuta. Sempre però per recuperare la nostra consapevolezza di valere e di essere amati a prescindere dall’altro. Per portare nella relazione la nostra ricchezza per riempire l’altro/a e non la nostra povertà per svuotare l’altro. C’è una breve storia di Bruno Ferrero che ci può far riflettere e forse può far comprendere meglio quanto ho voluto condividere:

Il padre guardava il suo bambino che cercava di spostare un vaso di fiori molto pesante. Il piccolino si sforzava, sbuffava, brontolava, ma non riusciva a smuovere il vaso di un millimetro.
“Hai usato proprio tutte le tue forze?”, gli chiese il padre.
“Sì”, rispose il bambino.
“No”, ribatté il padre, “perché non mi hai chiesto di aiutarti”.

Pregare è usare tutte le nostre forze.

Antonio e Luisa

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Attraverso le nostre ferite traspare l’oro di Dio

Quando ci sposiamo, spesso tutto ci sembra perfetto e pensiamo che niente potrebbe arrivare a rovinare quell’amore così bello, così innocente e viscerale che ci ha portati a promettere una vita per sempre insieme: effettivamente questo è l’effetto dell’innamoramento che fa vedere solo una parte di realtà, quella più bella e ideale. Tuttavia, in ogni relazione, prima o poi, si arriva a comprendere che non è proprio possibile vivere sempre sulla luna, ma è necessario fare i conti con la realtà: le fatiche quotidiane, il lavoro, le incomprensioni, le divergenze di atteggiamento, i cambiamenti di personalità dovute a molteplici esperienze e l’educazione dei figli sono solo alcuni esempi. D’altra parte è da illusi ritenere che le farfalle continueranno a volare nel nostro stomaco per tanti anni, la perfezione non è di questo mondo.

Quando avvengono momenti o periodi difficili, questo non deve però spaventarci, fa parte del gioco e anzi è proprio quello il momento in cui è possibile crescere nella relazione, cioè quando si continua a dire “sì” e a rimanere, nonostante i problemi da affrontare: è un segno di maturità, un’occasione per dare una svolta e modificare quello che non va bene. A volte accade proprio quello che non vogliamo e che ci spaventa, altre volte siamo proprio noi a creare delle ferite negli altri, involontariamente, solo perché anche noi ci portiamo delle ferite, spesso generate nella nostra famiglia di origine (per quanto i nostri genitori si siano impegnati e ci abbiano amato, hanno commesso degli errori, perché solo Dio può amare in modo perfetto). Anch’io tante volte mi sento inadeguato nell’educare le mie figlie, sono sempre in bilico tra azioni energiche e lasciar correre, poi quando agisco, mi viene da pensare che forse avrei fatto meglio a fare diversamente. Chissà quante ferite dovranno guarire nelle loro relazioni future per causa mia!

Le ferite più grandi le riceviamo proprio dalle persone che più amiamo o che abbiamo amato: oltre ai nostri genitori, i nostri fratelli e le nostre sorelle, i nostri amici, le nostre storie d’amore, le persone che sono venute a mancare e ora anche nostro marito o nostra moglie. La separazione è una grande ferita, una tragedia peggiore anche di un lutto, perché il morire fa parte del ciclo vitale, si nasce, si cresce e si muore, lo sappiamo fin da piccoli, ma è molto più difficile accettare che una persona che ti ha promesso amore per tutta la vita, con la quale ti sei confidata e con la quale hai condiviso tutto, gli aspetti più intimi e l’unità fisica, ad un certo punto ti dica: “Io non ti amo più, non voglio più avere niente a che fare con te. È davvero uno tsunami, un terremoto fortissimo che ti mette in crisi e in ogni caso, cambia la tua vita.

Naturalmente questa croce è ancora più deleteria per i figli che avrebbero bisogno, per crescere correttamente, di un papà e una mamma che si vogliono bene: si creano delle ferite molto grandi. Ma in tutto questo quadro negativo c’è una bella notizia, le ferite possono essere curate. Come? In alcuni casi anche con un supporto psicologico, ma per esperienza, la psicologia aiuta, ma ha dei limiti, non può rispondere a delle domande profonde come Perché mi è successo questo? Perché soffro così tanto? Qual è il senso di quello che mi accade? Come posso perdonare? È possibile trasformare questo male in bene per me e per gli altri?. Ecco allora che entra in gioco la fede: solo con Gesù è possibile guarire delle ferite e fare in modo che le ferite si trasformino in feritoie, cioè aperture in cui passa la luce. Gesù quando è risorto, mostra tutte le ferite, perché non si possono cancellare, ma solo trasformare, anche perché sono il simbolo dell’amore immenso che ha avuto per noi.

A tale proposito esiste la tecnica del Kintsugi (“kin” (oro) e “tsugi” (riunire, riparare, ricongiungere)), una tecnica giapponese che significa letteralmente “riparare con l’oro”: consiste nel restauro di oggetti di ceramica rotti, assemblandoli con delle colature di oro. In questo modo le ceramiche rotte diventano non solo più belle, ma anche più preziose e soprattutto, uniche al mondo. Tale pratica nasce dall’idea che, dall’imperfezione e da una ferita, può nascere una forma ancora maggiore di perfezione, sia estetica che interiore: questo è molto bello, perché tutti noi ci portiamo dietro delle ferite, fanno parte della nostra vita, non devono essere nascoste; chi ci ama infatti deve prendersi carico anche delle nostre fragilità e accoglierci per quello che siamo. La ferita infatti può essere il terreno fertile in cui agisce la potenza di Dio: è lì che cominciano la vera resurrezione e la guarigione. Quando avviene questo, la coppia sperimenta cosa sia davvero morire a sé stessi e rinascere a una nuova vita, a una nuova fase di relazione ancora più salda e più bella, un livello nettamente superiore! (infatti, la ricostruzione fa diventare creature nuove).

Quando mi sono separato, in un certo senso mi sono “rotto” in tanti pezzi, ma sono stato riparato e rimesso in sesto da Dio che ha fatto colare l’olio della Sua grazia, della Sua consolazione, della Sua gioia e del Suo Amore in tutte le mie fratture: questo lo ritengo un miracolo nella mia vita e la mia rottura ha creato lo spazio per l’azione di Dio.

Ettore Leandri (Presidente Fraternità Sposi per Sempre)

Manca il desiderio nella coppia? La soluzione non può essere la pornografia.

Torno sul discorso pornografia. Alcuni giorni fa feci un articolo al riguardo. Un articolo che è stato molto apprezzato e condiviso. Questo mi fa molto piacere. Non tutti i commenti sono stati positivi come è normale che sia. Ognuno di noi ha delle idee e una storia che ci portano a pensare anche in modo diverso su determinate situazioni. Voglio riprendere una delle obiezioni ricevute perché mi permette di approfondire meglio il discorso.

Dipende! L’assenza di eros nella coppia è peggio, fidatevi!

Questa persona ci sta dicendo che a volte la pornografia può essere positiva se riesce a risvegliare il desiderio di avere una vita sessuale nella coppia. Sta dicendo anche un’altra cosa, forse ancora più importante: la pornografia aiuterebbe a risvegliare l’amore. Già perché l’eros nell’insegnamento morale della Chiesa è una manifestazione dell’amore. Ma stanno proprio così le cose? Facciamoci aiutare da chi queste dinamiche le ha analizzate e le ha insegnate in quella meravigliosa raccolta di catechesi che è la Teologia del Corpo. Mi riferisco naturalmente a papa Giovanni Paolo II. E poi mi direte voi se la pornografia può essere in grado di favorire davvero l’Eros. Metto in evidenza un pensiero del Santo polacco espresso nell’udienza del 5 novembre 1980.

Se ammettiamo che l’”eros” significa la forza interiore che “attira” l’uomo verso il vero, il buono e il bello, allora, nell’ambito di questo concetto si vede anche aprirsi la via verso ciò che Cristo ha voluto esprimere nel Discorso della montagna. Le parole di Matteo 5,27-28, se sono “accusa” del cuore umano, al tempo stesso sono ancor più un appello ad esso rivolto. Tale appello è la categoria propria dell’ethos della redenzione. La chiamata a ciò che è vero, buono e bello significa contemporaneamente, nell’ethos della redenzione, la necessità di vincere ciò che deriva dalla triplice concupiscenza. Significa pure la possibilità e la necessità di trasformare ciò che è stato appesantito dalla concupiscenza della carne. Inoltre, se le parole di Matteo 5,27-28 rappresentano tale chiamata allora significano che, nell’ambito erotico, l’”eros” e l’”ethos” non divergono tra di loro, non si contrappongono a vicenda, ma sono chiamati ad incontrarsi nel cuore umano, ed, in questo incontro, a fruttificare. Ben degno del “cuore” umano è che la forma di ciò che è “erotico” sia contemporaneamente forma dell’ethos, cioè di ciò che è “etico”.

Capisco che papa Giovanni Paolo II non è mai tanto semplice nelle sue analisi, anche quando si rivolge ai fedeli. E’ un fine teologo e filosofo e questo traspare nella complessità del suo pensiero. Per questo cercherò di rendere semplici e fruibili alcuni concetti chiave.

L’eros attira l’uomo verso il bello, il buono e il vero. La pornografia può mai attirare verso il bello? L’eros è una forza che spinge l’uomo (inteso come maschio e femmina) ad aprirsi all’altro. L’eros mi ha attirato verso Luisa, mi ha dato la forza di uscire dalla mia solitudine e dal mio sguardo ripiegato su me stesso, sulle mie esigenze, sulle mie emozioni, e mi ha dato la forza di volgere lo sguardo verso una alterità, una persona diversa da me. Mi ha dato la forza di voler bene a Luisa, di volere il suo bene. Anche quando facciamo l’amore per me è importante che stia bene lei, che si senta amata lei, che riceva i gesti da parte mia che più le piacciono, che la facciano sentire preziosa e al centro delle mie attenzioni. La pornografia può permettere questo tipo di relazione? Oppure la pornografia conduce l’uomo a ripiegarsi sulle sue fantasie e ad usare l’altro come strumento per metterle in atto?

Eros e Ethos si incontrano nell’amore vero. Giovanni Paolo II dice un’altra cosa importante. L’ethos non è contro l’eros. Al contrario l’ethos permette di realizzare l’eros in modo pieno. Cosa significa? L’ethos non è altro che la nostra responsabilità di agire secondo la nostra coscienza e la legge naturale universale. L’ethos è reso concreto dalla morale cattolica, cioè da tutte quelle regole e norme che ci sembrano tanto frustranti. In realtà il Papa ci dice che se vogliamo fare esperienza di un amore pieno ed autentico anche nel corpo dobbiamo cercare di viverlo in modo pienamente umano ed ecologico. Quelle regoline ci permettono di fare l’amore davvero. Ci permettono di vivere la nostra sessualità di maschio e di femmina in modo di riuscire a realizzare quello che siamo: una sola carne. Ci permettono di essere sempre più uno nell’altra e insieme uno nell’amore. La pornografia può permettere questo?

L’assenza di eros è peggio. Torniamo ora sull’affermazione della lettrice. Ha ragione quando scrive che l’assenza di eros (intende credo desiderio sessuale) sia un grave problema della coppia. Ma la soluzione non può essere nella pornografia. La pornografia stimola risposte basiche a livello pulsionale. E’ una falsa soluzione che aggrava solo la situazione allontanando sempre di più la coppia. Se non si crea comunione neanche durante il rapporto sessuale, è davvero grave. Se la persona c’è col corpo ma è distante presa dalle sue fantasie, con chi si sta unendo? La soluzione è un’altra. La soluzione si trova nella relazione. Incominciate a prendervi cura di voi, a prendervi del tempo, a corteggiarvi, a mettere l’altro al centro di attenzioni e di cura e vedrete che il desiderio tornerà, il desiderio buono, quello che spinge alla comunione, ad una comunione che esiste nei cuori e che si vuole concretizzare nel corpo.

Antonio e Luisa

Nel nostro nuovo libro affrontiamo questo tema e tanto altro inerente l’intimità. Potete visionare ed eventualmente acquistare il libro a questo link.

Pornografia: un parassita nel matrimonio

C’è un parassita nel nostro matrimonio. Uno di quelli che non si vedono tanto ma possono fare dei danni enormi nell’intimità della coppia e nella relazione tutta. Mi riferisco alla pornografia. Ho pensato di fare questo articolo dopo l’ennesima confidenza da parte di una sposa che ha scoperto che il marito era completamente dentro questa situazione dannosissima. Spesso la donna arriva a scoprirlo dopo tempo. Se ne accorge perché ci sono problemi nell’intimità che sembrano dipendere da tutt’altro. Eppure quando ci sono problemi nell’intimità spesso dipende dalla pornografia.

Non sentitevi al sicuro. La pornografia riguarda un numero elevatissimo di persone. Tocca trasversalmente cristiani e non, sposati e non, giovani e più maturi, uomini e donne (seppur le donne in numero nettamente minore). Quindi statisticamente (non voglio giudicare nessuno né mettere zizzania nella coppia) è più probabile che questo brutto parassita sia presente anche nel vostro matrimonio. E tu che parli?, penserete voi. Anche io purtroppo faccio parte della maggioranza che ne ha fatto uso, ne ho capito i pericoli e la menzogna, ma ne porto ancora i segni nel cuore. Attenzione quindi!

La pornografia fa bene? Si avete capito bene. Non è una domanda provocatoria. Molti lo pensano davvero. C’è una fake news che gira e che è ormai entrata nel modo di pensare comune. La pornografia farebbe bene alla coppia perché aumenterebbe il desiderio sessuale. Ma è davvero così? In un certo senso sì. Accende sì il desiderio ma non di unirsi alla moglie, non di creare comunione. Tutt’altro. La moglie diventa solo lo strumento per mettere in atto le fantasie provocate dai video o dalle immagini visti. La moglie non è più una persona a cui donarsi e da accogliere ma diventa un corpo da usare. È questo il desiderio che cerchiamo? Vivere l’intimità in questo modo non riempie il cuore. Spesso tanta aridità sessuale della coppia nasce da questo. Non si fa esperienza di comunione. Altre volte l’uomo che fa uso di materiale pornografico non prova più desiderio verso la moglie. Sapete perché? Perché la nostra vita è stressante. Abbiamo tanti impegni e siamo stanchi. Fare l’amore bene costa fatica, c’è una relazione, c’è una persona che ha bisogno di tenerezza e di cura. Molto meglio soddisfarsi da soli guardando un video pornografico e fantasticando. Non c’è impegno di nessun tipo. Ma poi cosa resta?

Se ti vuole usare te ne accorgi! A una domanda specifica su come cambia il modo di fare l’amore di chi guarda pornografia, Piergiorgio medico sessuologo, mi ha risposto in modo molto chiaro.

Il marito non riesce ad avere più rapporti teneri con la propria moglie. In genere vale per tutti. Questo accade perché la donna è vista come un oggetto per il proprio appagamento sessuale. Perché ricercare la tenerezza (è il linguaggio dell’amore ndr) quando l’unico scopo è trarre un piacere sessuale? La donna viene usata. Se noti, nei video pornografici la donna non è una persona che ha pensieri o sentimenti. È una che ha solo desiderio di fare sesso. Quindi l’uomo la usa per questo. Tra l’altro, è importante metterlo in evidenza, non c’è bisogno di una relazione. Guardando la pornografia questa dinamica è molto evidente. Quindi il sesso è un qualcosa che si può avere in qualsiasi momento e in qualsiasi modo, senza bisogno di relazione. È come far ginnastica. Qualcosa di piacevole da fare lì per lì e poi venirne fuori. Qualcosa da consumare. Si dice, non a caso, consumare pornografia. Qualcosa che provoca una tensione, una agitazione, che deve essere consumata nel più breve tempo possibile. Quello è ciò che conta. Non la relazione, non la tenerezza, non l’amore. Questo non accade solo tra i giovani, ma anche tra coppie mature, già formate da tempo. Coppie che hanno nel cuore il desiderio di avere una sessualità normale e bella. Questo però non accade. Nella sessualità non si può mentire. È dove il corpo si incontra con il cuore. Se la persona che hai di fronte la vedi come oggetto, si capisce da come la tratti.

Cosa vi chiede di fare? Questo è un altro campanello d’allarme. Chi fa uso di pornografia di solito non desidera l’unione dei corpi come cosa più importante. Chi fa uso di pornografia chiederà insistentemente due tipologie di sesso: il sesso orale e il sesso anale. Di questi argomenti ne ho parlato specificatamente in altri articoli. Perché sono quelli più esaltati dalla pornografia. L’uomo che fa uso di pornografia desidera fortemente che la moglie si presti a questi gesti e trae piacere soprattutto da questi gesti e non tanto dalla penetrazione. Vi rendete conto? La pornografia distrugge completamente la comunione tra i due sposi. La donna che si presta a questo modo di vivere la sessualità difficilmente si sentirà amata e desiderata.

La pornografia non è la causa ma un sintomo. L’uso di pornografia spesso nasconde delle ferite del cuore che investono tutta la persona. Passare il tempo a guardare video pornografici permette un’evasione dalla realtà. Perchè c’è questa necessità? Va approfondito questo aspetto. A chi si trova in questa situazione consiglio di rivolgersi all’associazione Puri di cuore che da anni si spende per aiutare quelle persone che cadono nella pornografia, anche se non ne sono dipendenti. E’ un associazione senza scopo di lucro fondata sul lavoro gratuito di volontari. Collaborano anche professionisti come psicoterapeuti e medici.

Fare l’amore è la cosa più bella che c’è nel matrimonio. Cerchiamo di liberarci da tutta la menzogna di una sessualità falsa e di riappropriarci della capacità di trasformare l’incontro dei corpi in un’esperienza di comunione meravigliosa, dove l’orgasmo non è che la ciliegina sulla torta di un piacere molto più profondo ed intenso che viene dall’unione dei corpi e dei cuori. La cosa bella sta proprio in questo: più passa il tempo e più l’intimità diventa bella perché è il nostro amore ad essere più pieno e la nostra comunione più autentica. La pornografia rovina tutta questa bellezza.

Antonio e Luisa

Nel nostro nuovo libro affrontiamo questo tema e tanto altro inerente l’intimità. Potete visionare ed eventualmente acquistare il libro a questo link.

L’attesa è già gioia

Ciao cari sposi, l’ultimo nostro articolo, è stato a marzo, sui fuorischema di Dio nel nostro matrimonio. Abbiamo raccontato di noi, dei nostri due anni e mezzo di matrimonio e del fatto che non abbiamo ancora figli naturali. Ora, torniamo a voi, con questo articolo dove parleremo dell’attesa. Non l’attesa di un figlio biologico, ma di un figlio spirituale, dato dalla vocazione del nostro matrimonio cristiano.

Ogni coppia di sposi, infatti, ha una specifica chiamata di Dio, una vocazione, una missione che cammin facendo, scopre e con cui realizza la pienezza di vita e il Volto di Dio per umanità. C’e’ chi ha adottato figli o li ha avuti in affido, chi ha aperto una casa famiglia, chi é andato in missione, chi aiuta le famiglie e/o i fidanzati e/o i consacrati, chi apre la propria casa per farne cenacolo di preghiera e tanto altro, la creatività di Dio é infinita! 

Per scoprirla, ci vuole tanta preghiera, l’ascolto della Parola di Dio, il discernimento, l’adorazione, serve tempo, spazio, pazienza, silenzio, ascolto, guida spirituale, corsi, libri, testimonianze, condivisioni con gli Amici più avanti di noi nel cammino. Come ogni chiamata di Dio non si improvvisa, non si fa il fai da te, perché sostituendosi a Lui si fanno solo disastri e si dura poco.

Cosi, ultimamente, abbiamo fatto dei corsi per sposi, specificatamente dai frati minori ad Assisi e con Mistero Grande di don Renzo Bonetti. In questi corsi, abbiamo imparato che in primis bisogna essere fecondi tra noi coppia di sposi, io con mio marito e lui con me. Piccoli gesti quotidiani di tenerezza e di affetto, di attenzione reciproca, dialogo profondo, complicità, perdono, intimità e sessualità, vissute con bellezza, dono, incontro e verità. Da questa fecondità, nasce la missione specifica degli sposi, verso gli altri, verso chi li circonda, esattamente lì dove sono, nella realtà e nel tempo in cui vivono. La missione stessa, va incontro agli sposi!

Già anche solo l’attesa, quindi, porta frutto. L’attesa vissuta così da gioia, perché ci unisce di più, non è tempo perso, non è passività, non è subire. È come l’attesa per il seme seminato in terra che diverrà una pianta, o come un fiore che deve sbocciare e che diventerà  frutto, frutto che maturera’ e sarà colto e mangiato. Con il mio.padre spirituale, ho scoperto la mia vocazione, che é il matrimonio cristiano; mio marito é il volto di Dio per me, ed io lo sono per lui. Ora insieme scopriremo il Volto di Dio per noi.

Auguriamo, quindi, a tutti voi sposi, se non lo avete ancora fatto, di scoprire la vocazione della vostra coppia. Indipendentemente dal fatto che abbiate o meno figli, perché la vocazione è più di questo, ed é per tutti, non è mai troppo tardi per scoprirla ed è bellissimo!

Se volete, ci trovate su facebook.

Grazie e a presto !

Buon Cammino a tutti

Paola & G.

Sposi, re nell’amore

Cosa significa essere re. E poi, cosa significa essere re nel nostro matrimonio? Già, se vogliamo essere degli sposi santi o almeno decenti dobbiamo prenderci carico della nostra regalità. Essere re non è solo bello ma costa fatica. Costa fatica soprattutto per noi cristiani che abbiamo un Re che si è fatto mettere in croce. Ma non se ne scappa, perseguire la nostra regalità è il solo modo per essere liberi e quindi felici. Una delle persone più regali che credo esista è san Francesco. Tanto re da essersi “inventato” la perfetta letizia. Il fraticello di Assisi spiega molto bene cosa significhi, lo fa nei suoi fioretti rispondendo a fra Leone: Fra tutte le grazie dello Spirito Santo e doni che Dio concede ai suoi fedeli, c’è quella di superarsi proprio per l’amore di Dio per subire ingiustizie, disagi e dolori. Capisco che parole così fanno venire il mal di pancia e cozzano completamente contro la nostra idea di felicità. Però questa è la strada. Dio non ci chiede di arrivare ai livelli di Francesco ma di iniziare un cammino di piccoli passi possibili per avvicinarci sempre di più alla perfetta letizia.

San Francesco lo aveva intuito anche se non era certo uno studioso e un teologo: è un dono dello Spirito Santo. La nostra regalità, cioè la nostra capacità di amare nella libertà, è un dono del battesimo. Il battesimo ci rende uno con Cristo e tra i tanti doni che riceviamo c’é anche la regalità di Gesù. Il battesimo ci dà la capacità di amare al modo di Gesù e il matrimonio finalizza quel dono primariamente verso il nostro coniuge.

Dopo questa premessa necessaria, arriviamo adesso al libro. Un libro in cui credo tantissimo, perchè ci ho messo dentro venti anni di matrimonio con Luisa, ci ho messo anni di formazione sull’argomento e poi ad arricchire il tutto c’è la sapiente conoscenza di padre Luca Frontali (laureato in scienze della famiglia e teologia del matrimonio) e di Arianna e Kevin che lavorano da tempo nell’ambito educativo. E poi, se tutto questo non bastasse, ci sono tante testimonianze di amici. In questo testo abbiamo deciso di affrontare la nostra regalità in tre diversi ambiti: il dono gratuito (l’amore matrimoniale è gratuito ed incondizionato), la castità (essere casti e liberi nell’esprimere la nostra sessualità) e l’educazione (essere genitori non perfetti ma capaci di aiutare i nostri figli a diventare quell’uomo o quella donna che sono).

Dono gratuito. Ci siamo avvalsi del bellissimo Inno all’amore di san Paolo declinato sapientemente da papa Francesco nel quarto capitolo di Amoris Laetitia. Cosa significa amare con pazienza, con benevolenza, amabilmente, umilmente e tanto altro ancora? Lo raccontiamo nella prima parte. Con la certezza che nessuno di noi sia perfetto, ma con impegno e volontà possiamo migliorare giorno dopo giorno.

Castità. La castità è l’ambito in cui ci spendiamo maggiormente. Perchè ci piace, perchè è sempre stato il nostro punto debole, ma soprattutto perchè se ne parla troppo poco. La castità non é frustrante, non ci chiede di rinunciare ad un piacere immediato in cambio di un pugno di mosche. Tutt’altro! La castità ci educa ad amare in pienezza e nella verità e questo rende non solo il sesso migliore, ma tutta la nostra vita più bella. Abbiamo affrontato il tema partendo da lontano. La castità è infatti per tutti. Abbiamo arricchito l’esposizione con testimonianze di vita reale. Non solo la nostra di fidanzati prima e sposi poi, ma anche con quelle di un sacerdote, di una suora, di un fidanzato, di un uomo con tendenze omosessuali e di una sposa che cura da anni il marito non pienamente autosufficiente.

Infine l’educazione. Spesso ci giudichiamo come genitori con troppa poca misericordia. I nostri figli non sono perfetti, noi non siamo perfetti. Dio non ci chiede la perfezione. Ci chiede solo una cosa: riportateli a me! Ecco non lasciamoci scoraggiare se i nostri figli adolescenti non hanno magari voglia di dire il rosario e di andare a Messa. Non scoraggiamoci se un po’ più grandi andranno a convivere. Noi abbiamo il compito di testimoniare che la vita ha un senso e il senso è in Cristo. E’ importante mettere questo seme e poi al tempo giusto sarà Dio stesso a farsi presente nel loro cuore. Coraggio non smettiamo di crederci.

Se vi ho incuriosito potete visionare ed eventualmente acquistare il libro a questo link. In ogni caso avanti tutta impariamo sempre di più ad essere re.

Antonio e Luisa

Diversità culturale e religiosa in famiglia

Quando qualcuno ci chiede il nostro segreto per restare fedeli e uniti in questi 50 anni di matrimonio, in sintesi generalmente rispondiamo: la capacità di solitudine e la reale e profonda accoglienza della diversità dell’altro. Questa profonda convinzione è nata dopo vari momenti di conflitto che abbiamo vissuto nonostante le nostre comuni visioni religiose, il nostro amore per l’umanità e i nostri impegni sociali. la nostra realizzazione non può dipendere solo dal coniuge ma è necessario coltivare anche un rapporto personale solido e profondo con la spiritualità di cui tutti abbiamo estremo bisogno, credenti e non credenti. Questo ci aiuterà ad accogliere la diversità dell’altro come un dono, a conservare lo stupore quotidiano per tutto il suo mondo interiore diverso dal nostro. Anche La condivisione di ideali comuni, la solidarietà della coppia verso i più deboli, sono carte vincenti per la vita di coppia ma l’attenzione alla nostra vita spirituale e il rispetto profondo dell’altro sono i motori di ogni rinascita.

Si parla oggi sempre più spesso di matrimoni “misti” per sottolineare la diversità di credo religioso ma in realtà tutti i matrimoni in qualche modo possono essere considerati “misti”, in quanto avvengono sempre tra due persone molto diverse tra loro, indipendentemente dal credo religioso. Ogni matrimonio è l’incontro di due diverse storie, chiamate a dare origine ad una nuova storia. E questo non è mai facile. Non basta essere entrambi credenti per riuscire ad armonizzare queste diverse storie, che generano differenze di vedute in tanti campi della vita. Certamente se accanto alle diversità caratteriali, culturali, genetiche si aggiungono anche le diversità di credo religioso, il rischio di crisi è maggiore.

I cosiddetti “matrimoni misti,” oggi sempre più in aumento per il fenomeno della globalizzazione e dell’immigrazione, rappresentano una realtà complessa, non facilmente decifrabile perché non possono essere raggruppati in maniera omogenea, perché ogni coppia ha delle caratteristiche specifiche ma non meno difficile è la vita familiare vissuta tra un credente e un non credente. Ecco l’esperienza di Diana Pezza Borrelli di Napoli in cui si intravedono strategie importanti per superare gli inevitabili ostacoli:
Un giorno eravamo a tavola con uno dei nostri due figli (aveva circa 5 anni) quando improvvisamente ci domandò: “Perché papà non viene mai a Messa con noi?”. I bambini venivano spesso a messa con me. Ci guardammo mio marito ed io e iniziammo a rispondere al figlio, ma anche l‘uno all’altro, ad una domanda che non ci eravamo mai fatto  (avevo sempre detto con grande libertà al fidanzato e, poi, al marito, la mia scelta  di andare a Messa ogni giorno; In viaggio di nozze, mi alzavo alle 5 del mattino, per andare a messa in un paesino vicino). Iniziammo a mettere in luce quanto ci univa: l’amore per gli ultimi, l’ansia di giustizia, la tutela del creato, i diritti delle donne, l’impegno per la pace…; tutti impegni legati al grande amore per l’umanità. Io per vivere così, cercavo aiuto in Gesù nell’Eucarestia e il papà attingeva forza  dalla sua coscienza…… Il bambino ci guardò sorridendo e disse : “Ho capito. Siete come il pane nero ed il pane bianco, ma sempre pane siete.” Quando i ragazzi sono un po’ cresciuti, uno di loro ci comunicò che nel fine settimana sarebbe andato nella nostra casa di vacanza. Eravamo contenti che prendesse dei giorni di tregua dallo studio….ma, soggiunse: “Vado con una ragazza”. Io restai in silenzio; fu mio marito a reagire :”Non permetto assolutamente che la nostra casa venga usata in questo modo. Esigo rispetto….” Finito il pranzo, mio marito andò a riposare ed il ragazzo mi disse: “Mamma,  mi aspettavo da te una reazione così, perché tu sei generalmente meno aperta alle novità non da papà che è un progressista…..”. In quel momento  gli potei spiegare che certi valori prescindono dal credo religioso e appartengono alla comune visione per raggiungere un’umanità realizzata…..”

Scrive p. Francesco nell’Amoris laetitia: “Sfide peculiari affrontano le coppie e le famiglie nelle quali un partner è cattolico e l’altro non credente. In tali casi è necessario testimoniare la capacità del Vangelo di calarsi in queste situazioni così da rendere possibile l’educazione alla fede cristiana dei figli” (248)
Come hanno fatto i nostri due amici a trovare un accordo? Diana continua: “La ricchezza della nostra famiglia è stata la moltitudine di rapporti con amici che condividevano la nostra visione di umanità realizzata: persone del Movimento (Focolari), sacerdoti, compagni di partito, parenti, ecc, per i quali il rapporto interpersonale è sempre stato più importante di qualsiasi diversità. Ancora oggi che mio marito è in Paradiso, tanti mi dicono che è difficile pensare a me senza pensare anche a lui. I nostri figli non hanno una pratica religiosa, ma ambedue si spendono e lavorano a favore dei più deboli e degli ultimi…..”  

Pensiamo ora ai matrimoni tra cristiani cattolici e cristiani di altre denominazioni. In realtà in questi matrimoni ci sono tante cose in comune, a partire dallo stesso battesimo, dalla stessa fede in Gesù e nella sua parola, ecc, anche se talvolta la diversità di tradizioni può creare delle distanze incolmabili. Tuttavia, poiché l’amore tende naturalmente alla indissolubilità, alla fedeltà, al per sempre, se i due riescono a cogliere il vero significato dell’amore e coltivano un rapporto personale con Dio a seconda delle loro specifiche tradizioni religiose, è facile avere un progetto comune sulla loro vita. Spesso non è facile decidere come educare religiosamente i figli. Tante coppie, di comune accordo, cercano di trasmettere con la testimonianza sincera più che con le parole, i valori delle rispettive chiese, sottolineando soprattutto valori e tradizioni comuni. Questi matrimoni, dice p. Francesco, possono essere di grande ricchezza perché “presentano, pur nella loro particolare fisionomia, numerosi elementi che è bene valorizzare e sviluppare, sia per il loro intrinseco valore, sia per l’apporto che possono dare al movimento ecumenico” (A.L.247)
Un discorso a parte meritano i matrimoni tra persone di religioni diverse, perché apparentemente sembrano inconciliabili; tuttavia con un impegno serio e costante, se i due si amano davvero, possono riuscire a confrontarsi, a cercare gli inevitabili grandi valori comuni, per trovare una propria armonia. Certamente non è sempre facile. Alcune culture, per esempio, sono aperte alla poligamia o hanno una visione ancora negativa della donna. Anche l’educazione religiosa dei figli può creare dei problemi, perché ognuno vorrebbe educarli secondo la propria tradizione. Se la coppia, però, riesce a fare un’esperienza di vera comunione nel rispetto delle specifiche diversità, questo diventa per i figli l’occasione per cogliere i lati più belli delle due religioni. In questo senso ci sono delle esperienze che fanno pensare. Nur El Din Nassar della Val d’Ossola in Piemonte è figlio di una coppia mista, lei cattolica, lui musulmano fervente. Fin da piccolo ha respirato a pieni polmoni la profonda fede dei genitori, di cui parla il suo stesso nome, che in arabo significa: “Luce della religione”. Dalla frequenza dell’oratorio e dall’amicizia con un sacerdote, decide di ricevere il battesimo fino a diventare sacerdote e missionario nel Ciad.

Maria e Raimondo Scotto

Contemplare per nutrire l’amore e nutrirci dell’amore

Immersi ancora nel tempo di Pasqua e avvolti dal materno manto di Maria, questo mese ci soffermiamo sulla terza lettera della parola CONTEMPLARE e lo facciamo proprio nel giorno in cui ricorre il nostro anniversario di matrimonio. Nel camminare insieme, giorno dopo giorno, anno dopo anno, siamo ininterrottamente chiamati a “NUTRIRE” il nostro amore sponsale ma prima ancora a “NUTRIRCI” dell’Amore.

Ricorrendo al vocabolario, il primo significato che viene dato di nutrire in latino è allevare un fanciullo. E chi è il primo fanciullo della coppia se non la coppia stessa? Ci piace sempre paragonare il nostro amore alla fiammella di una candela ad olio che deve essere continuamente nutrita, alimentata affinché non si spenga. Ma con quale olio? Con l’olio che nasce dal rimanere sotto la continua “pressione” dello Spirito Santo che «ci ricorda tutto ciò che lo Sposo ci ha detto (Gv14, 26)» il giorno delle nozze, in particolare mediante le parole del vangelo che abbiamo scelto per la celebrazione: “ Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perchéfaccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli” (Mt 14,13-16).
E come potremo risplendere della luce di Cristo se non ci nutrissimo ogni giorno della Santissima Eucarestia dal quale il nostro amore riceve sostentamento? Per noi contemplare vuol dire nutrirci dello
Sposo per diventare non una sola “cosa” ma una sola persona cioè Cristo stesso e divenire così noi stessi Amore prima di regalare gesti d’amore. Così, come Maria che è stata il primo tabernacolo vivente della storia anche noi sposi, come diceva Paolo VI, siamo il “tabernacolo dell’alleanza”. Attraverso di noi si vede chi è Dio. E Chi è Dio? È un’alleanza di amore.
Cari sposi, in questo giorno speciale, portandovi nella nostra povera preghiera vi incoraggiamo a portare avanti con costanza, entusiasmo e tenerezza la missione sponsale perché come scrisse suor Lucia (una dei pastorelli che assistettero alle apparizioni della Vergine Maria a Fátima) al cardinale Caffarra: “Lo scontro finale tra il Signore e il regno di Satana sarà sulla famiglia e sul matrimonio. Non abbia paura, aggiungeva, perché chiunque lavora per la santità del matrimonio e della famiglia sarà sempre combattuto e avversato in tutti modi, perché questo è il punto decisivo. E poi concludeva: ma la Madonna gli ha già schiacciato la testa”.
ESERCIZIO PER NUTRIRE L’AMORE
Poniamo un lume ad olio davanti all’immagine di Maria. Durante il giorno, di tanto in tanto, aggiungiamo un piccola quantità di olio alternandoci, una volta lo sposo e una volta la sposa. Mentre versiamo l’olio ripetiamo: “O Maria ,alimenta il nostro Fiat alla chiamata sponsale con il fuoco dell’Amore”.
PREGHIERA DI COPPIA
Grazie Gesù, perché ad ogni Eucarestia che ricevo faccio l’esperienza che la donna che ho accanto
porta in sé un amore grande, forte, nuovo, lo stesso che trovo venendo da te;
Grazie Gesù, perché ad ogni eucarestia che ricevo faccio l’esperienza che l’uomo che ho accanto porta in sé un amore forte, pronto al sacrificio, disposto a perdere, lo stesso che trovo venendo da te”
Trasformaci giorno dopo giorno in un’Eucarestia per il mondo e fa che ripetiamo le tue stesse parole:
«Prendete e mangiate», questa è l’offerta del nostro corpo, del nostro tempo, delle nostre energie, del
nostro amore per voi”

Daniela e Martino

Una mamma cristiana esempio per tutte le mamme: la venerabile Maria Cristina Cella Mocellin

La settimana scorsa abbiamo partecipato ad una mostra sulla vita e gli scritti della Venerabile Maria Cristina Cella Mocellin tenutasi dal 18 aprile sino al 14 maggio (giorno della festa della mamma) presso il Santuario della Madonna addolorata di Rho. Un bellissimo quadro di Maria Cristina con in braccio il suo bambino donato dalla associazione “Amici di Maria Cristina” al santuario è il volto di questa mostra: una mamma dallo sguardo dolce, gentile e sereno nonostante le grandi croci che Maria Cristina ha portato nel corso della sua vita.

Maria Cristiana nasce il 18 agosto 1969 a Monza; cresce in una famiglia devota che la invita a prendere parte alle attività del oratorio della Sacra Famiglia di Cinisello Balsamo (MI) dove abitava con i suoi genitori. Frequenta il catechismo tenuto dalle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida e si affeziona particolarmente a Suor Annarosa Pozzoli che le fa da guida per incamminarsi verso i primi sacramenti. Cristina mostra fin dalla sua infanzia particolare interesse e zelo nell’apprendimento e da adolescente si mette al servizio del oratorio di appartenenza prendendosi cura dei bambini e impegnandosi nella sua crescita spirituale.

Nelle sue lettere indirizzate ad una amica di nome Elena mostra già di aver compreso che la vita non è solo fatta di divertimento e che l’intelligenza è un dono di Dio da far fruttare. Dalla preadolescenza Cristina inizia a tenere un diario personale in cui annotare i passi del suo cammino di fede e ciò che emerge dal suo intimo e costante dialogo con quel Dio di cui è tanto innamorata. Nei suoi scritti afferma di sentire di essere chiamata da Lui ad un progetto diverso e particolare rispetto agli altri ragazzi; sempre in una lettera alla sua amica Elena sostiene di avere la sensazione di non fare abbastanza per gli altri nonostante sia catechista, animatrice in oratorio, frequenti un corso della Caritas e molto altro.

Nei suoi scritti possiamo ritrovare anche la sua preghiera di lode a Dio per il dono della amicizia; scrive Maria Cristina: È bello essere in due, darsi la mano e camminare insieme. È bello non temere nulla perché si ha un appoggio sicuro. È incoraggiante avere te, che mi aiuti a conoscermi, e a conoscere, ad accettarmi e ad accettare, ad amarmi e ad amare. Queste parole Maria Cristina le ha scritte ad una amica, ma non sarebbe bello se noi sposi le dedicassimo al nostro migliore amico che è il nostro coniuge?

Durante gli anni del liceo Cristina sviluppa il desiderio di unirsi alle suore della carità che la hanno accompagnata si da bambina nel suo incontrare Gesù e il cui motto sarà parola di vita concreta per tutta la vita di Cristina: Dio solo! Cristina riesce già ad abbandonarsi a tal punto alla volontà del Padre da scrivere: Aiutami a soffrire per te: Tu solo hai dato la vita per me! Cristina sapeva che quanto più ci sentiamo amati da Gesù tanto più abbiamo la forza di vivere secondo la Sua volontà le prove della vita aprendoci sempre al amore anche se a volte la tentazione è quella di rinchiudersi in sé stessi.

Nonostante percepisca di essere chiamata a prendere voti per il suo grande affidamento al Padre arriva a stendere queste parole: non importa se mi vuoi madre o suora, ciò che importa realmente è che faccia solo e sempre la Tua volontà. Queste parole si rivelano veritiere perché quando Dio mette sulla sua strada il suo futuro sposo Carlo Mocellin a Valstagna, dove Maria Cristina si trovava in vacanza con i nonni paterni, ella mette da parte il progetto della vocazione religiosa per vivere un amore che lei stessa definisce essere un morire perché amare è sacrificio e rinuncia. I suoi pensieri nel suo diario a questo punto si fanno un vero e proprio cantico di amore sponsale, leggendo le sue parole e pensando al nostro consorte abbiamo sentito la forza e l’intensità della sua capacità di amare il suo Carlo. Fa che il mio amore divenga anche esso preghiera: vorrei poterlo amare come Tu ami me; vorrei potergli dare ciò che Tu dai a me. Ti prego: che il mio cuore sia tanto limpido da non nascondergli niente; che il mio sguardo e pensiero sia tanto puro da amarlo come Tu mi ami. Maria Cristina già sentiva il forte bisogno di richiedere quella grazia santificante che a noi sposi viene concessa mediante il sacramento del matrimonio per amare pienamente e arriva a definire così il sacramento del matrimonio: lamore tra un uomo e una donna è il segno privilegiato dellamore di Dio per luomo.

Un’ altra importante consapevolezza che ci lascia questa grande moglie e mamma è che tutti siamo chiamati a un matrimonio, che sia esso determinato dalla vocazione sacerdotale e religiosa o con una creatura di Dio. In ogni matrimonio c’è una chiamata unica e importante non solo per la coppia ma per il mondo. Dio ci ama a tal punto da affidare a ciascuna coppia un Suo progetto al quale se non adempiremo noi nessuna altra coppia potrà farlo. Un solo anno dopo il fidanzamento Cristina trova davanti a sé una grande croce: un sarcoma alla coscia sinistra che la costringe a tre cicli di chemioterapia e mesi in ospedale dove scaturisce da lei la lode per questa vita così bella che Dio ci dona e per cui tante persone lottano ogni giorno. Carlo fa la spola tra Veneto e Lombardia per sorreggere la sua amata nella malattia; Cristina termina i suoi studi di liceo, si rimette completamente e i due si consacrano a Cristo Gesù come una sola carne (2 febbraio 1991).

Cristina non pretende di fare grandi cose in quanto ritiene che nessuno di noi ne sarebbe in grado, ma vuole mettere tanta buona volontà nelle piccole. Nelle lettere di Cristina a Carlo possiamo leggere anche di come lei veda la grandezza del sacramento del matrimonio in quanto ci permette di non essere sempre al meglio, forti, coraggiosi, vittoriosi e attraenti, ma ci permette di mostrarci all’altro anche quando, scrive Cristina, sarebbe stata meno dolce e meno affettuosa. A quale mamma, dopo tutte le fatiche della giornata, non è capitato il momento in cui ha perso la pazienza e ha alzato la voce con i figli per riprenderli?

Cristina va a vivere in Veneto, a Carpanè, e a due mesi dalle nozze ringrazia Dio e il Suo amato sposo per essersi donato così tanto a lei da donarle un figlio. Dieci mesi dopo le nozze nasce il primogenito di Maria Cristina e Carlo: Francesco e solo dopo un anno e mezzo dalla sua nascita la famiglia si allargherà con la secondogenita: Lucia. Maria Cristina, incinta di Lucia, teme di perdere la sua bambina, per questo scrive alla suora che tanto l’ha fatta crescere nel suo cammino spirituale, suor Annarosa Pozzoli, che durante la notte piange a singhiozzi, ma che ringrazia Dio che le ha donato un marito così premuroso che con le sue parole riesce sempre a calmarla.

Io Alessandra, al leggere queste parole, sentivo le lacrime agli occhi ripensando a quei mesi allettata incinta di Pietro e a quando sono stata operata al terzo mese di gravidanza con Pietro in grembo. Nei giorni trascorsi in ospedale, temendo di perdere il nostro bambino, la mia unica forza è stata il mio sposo che mi teneva la mano e Cristo Eucarestia che ogni giorno mi veniva a visitare. Credo che come mamme dovremmo comprendere non razionalmente, ma con il cuore che più ci abbeveriamo alla sorgente dell’amore vivo più saremo in grado di crescere quelle piccole pietre del tempio di Dio secondo i Suoi insegnamenti che da Lui ci sono state affidate. Una mamma più vive difficoltà e sofferenze con i figli, più i figli sono piccoli e bisognosi di tante cure, più dovrebbe pregare la Madonna di farle da guida, anche insieme al proprio sposo, perché la preghiera in coppia è come entrare in una galleria con l’eco, risuona più forte nei Cieli. Ma non solo, penso che per le mamme sia di vitale importanza, quando possibile, accostarsi quotidianamente alla Santa Eucarestia. Il nostro sacerdote Don Matteo, durante un’omelia, ha affermato che Gesù Eucarestia non rinfranca solo lo spirito, ma anche il corpo in quanto molte mamme e nonne che lui vede arrivare la sera alla Santa Messa feriale gli hanno poi confidato che quello era il loro momento che avevano scelto di passare con Gesù che gli dava la forza per poi il giorno dopo riprendere quella quotidianità fatta di pianti, corse, capricci e molto altro.

Mia moglie partecipa alla Santa Eucarestia feriale più spesso di me, io stesso la incoraggio a parteciparvi offrendomi di occuparmi di nostro figlio Pietro mentre lei “abbraccia” il Padre; sento in lei la necessità di sostare quotidianamente con Gesù per rigenerarsi e trovare in Lui conforto, silenzio e pace. Alessandra, in quanto mamma casalinga, trascorre più tempo con nostro figlio e credo che quanto più lei si sentirà amata da Dio tanto più potrà donarsi a Pietro ogni giorno con spirito di sacrificio.

Poco dopo la nascita di Lucia, Cristina resta nuovamente incinta di Riccardo e la notizia della gravidanza è accompagnata dalla comparsa nuovamente del sarcoma alla gamba. Cristina, di comune accordo con Carlo, si sottopone ad un intervento per asportare il sarcoma alla gamba, ma rifiuta di iniziate la chemioterapia per paura di nuocere al bambino. Nato Riccardo, Cristina inizia la chemio che, però non dà lo stesso esito positivo di cinque anni prima e si formano delle metastasi ai polmoni. Ha paura, ma sa che su di lei c’è un disegno di Dio troppo grande per essere facilmente compreso; si abbandona fiduciosamente al Padre e offre le Sue sofferenze per la salvezza di tutte le anime. Cristina sale al cielo il 22 ottobre 1995 e con lei il Padre ha regalato a tutte le mamme, come fatto con Santa Gianna Beretta Molla, un’amica, una confidente che prega per la loro santità matrimoniale e per la loro missione di educare nuovi figli di Dio, questo il progetto bellissimo che il Padre aveva su di lei.

Cristina stessa da ragazza ha molto apprezzato il dono dell’amicizia come abbiamo scritto, tanto da lodare Dio nel suo diario e Dio ha fatto di lei una amica fidata per tutte le mamme del mondo, che progetto e che mamma meravigliosi!

Alessandra e Riccardo

Anche le mamme possono provare piacere.

In questi giorni sta facendo il giro dei social una pubblicità, che ha provocato, come spesso accade in questi casi, moltissime polemiche e la consueta battaglia tra i ghibellini della liberazione della donna e i guelfi della morale. Ecco io non voglio entrare in questa logica. Io ho le mie idee, che sono molto chiare credo, ma voglio affrontare questo argomento come una provocazione. Non serve a nulla gridare allo scandalo molto meglio cercare di capire il fenomeno sociale che c’è dietro. Cosa ci dice questa pubblicità?

Anche le mamme possono provare piacere. L’azienda committente ha accompagnato la presentazione di questa campagna con un messaggio molto chiaro su Instagram. Ecco cosa scrive: Questa affissione non è mai uscita e il motivo non vi piacerà. Per la Festa della mamma volevamo rompere un tabù che da troppo tempo esiste e dire a chiare lettere che, sì, anche le mamme possono provare piacere. Naturalmente anche io sono d’accordo. Anzi credo che le mamme possano provare un gran piacere, ma forse non è lo stesso che intendono loro. Alla fine della mia riflessione giudicate pure voi qual è il vero piacere. Se lo è quello proposto dall’azienda o quello che propongo io.

Perchè una mamma? Non credo che la scelta della mamma sia casuale. Questa pubblicità, uscita proprio in occasione della festa della mamma, vuole lanciare un messaggio evidente. La mamma non smette di essere una donna. La donna, come peraltro l’uomo, ha bisogno di pensare al proprio benessere e l’appagamento sessuale ne è parte integrante. Non la relazione. Non è importante che ci sia una relazione, basta un sex toys. Conta solo l’appagamento sessuale. Quindi tiriamo le conseguenze. La mamma non è parte di una comunione, ma è una individualità che può, per il proprio benessere e per il proprio piacere, avere un marito e uno o più figli. Il marito e i figli sono parte dei suoi bisogni, come lo è quel dildo o un altro sex toys. Capite il messaggio che c’è dietro? Pensa a te stessa. L’egoismo che è proprio il contrario del dono di sè che dovrebbe caratterizzare la mamma. E’ qui che i pubblicitari hanno intercettato la nostra società. Perchè non facciamo più figli? Solo per una questione economica e lavorativa? Credete davvero che sia solo quello? C’è anche quello ma non solo. I figli chiedono rinunce e fatica. Quindi è importante per la donna ritagliarsi un momento in quella vita fatta di doveri dove può pensare a sè stessa nella beata solitudine con il suo dildo. E’ questo il matrimonio? E’ questo il piacere?

Io non basto? Un marito normale piuttosto che regalare questo aggeggio alla moglie credo si faccia una domanda: io non ti basto? Una donna che ha bisogno di quella roba lì evidentemente non è soddisfatta della propria vita sessuale. Torniamo sempre allo stesso discorso. Tanti sposi non sono capaci di fare l’amore. Ne approfitto per consigliare il nostro libro di prossima uscita Sposi, re nell’amore dove affrontiamo in modo molto approfondito questa tematica. Tanti vivono la sessualità in modo completamente fuori da quelle che sono le esigenze e la sensibilità della donna. Poi certo che una sessualità vissuta in questo modo non appagante, sommata ai tanti impegni e allo stress della vita di tutti i giorni, allontana i due sposi. Guardate che questa pubblicità racconta qualcosa di reale, per questo non va sottovalutata. Secondo i sondaggi dell’azienda WOW Tech, produttrice di sextoys, il 40-60% delle donne si masturba, percentuale che sale al 90-95% sul fronte maschile. Ci sono per forza molti uomini o donne sposate in questa percentuale. Questa percentuale va letta insieme ad un’altra. Secondo infatti Easytoys, uno dei principali produttori di giocattoli erotici in Europa, i sex toys stanno diventando sempre più popolari nel nostro paese, tanto che il 77,82% degli italiani intervistati ha dichiarato di aver usato un sex toy nel 2022. Molti in coppia ma tanti anche da soli.

Il sesso ricreativo. Ed ora arriviamo alla domanda centrale che dobbiamo porci. Cosa è il sesso per noi? Il sesso deve essere ricreativo. Ma cosa intende la Chiesa per ricreativo? Non qualcosa di leggero e ludico come può essere l’uso di un sex toys. Leggerezza in realtà solo apparente perchè ci “educa” a ripiegarci su di noi e a mettere il piacere fisico al centro. Capite che il marito o la moglie diventano strumenti per ottenerlo, esattamente come il sex toys. Per noi ricreazione significa esattamente ricreare. Creare attraverso il corpo qualcosa di molto più profondo e completo. In Familiaris Consortio possiamo leggere al paragrafo 11: Di conseguenza la sessualità, mediante la quale l’uomo e la donna si donano l’uno all’altra con gli atti propri ed esclusivi degli sposi, non è affatto qualcosa di puramente biologico, ma riguarda l’intimo nucleo della persona umana come tale. Essa si realizza in modo veramente umano, solo se è parte integrale dell’amore con cui l’uomo e la donna si impegnano totalmente l’uno verso l’altra fino alla morte. Comprendete la grandezza dell’intimità nel matrimonio? Stiamo ricreando la comunione d’amore tra le nostre due persone, che è immagine della comunione trinitaria. E il piacere viene da quella profondità e non solo da una stimolazione fisica. Nella nostra intimità possiamo davvero fare un’esperienza meravigliosa, sentendoci uno parte dell’altra. Dove la pentrazione dell’uomo che viene accolto dalla donna esprime una ricchezza che viviamo nel nostro cuore. Dio ci ha fatto sessuati per questo. Il sesso non è solo un’esigenza o un meccanismo biologico. Per noi uomini esprime molto di più. Esprime il desiderio del creatore di farci fare esperienza sensibile di ciò che siamo. Di ricreare nel corpo ciò che siamo. Dipende da noi. 

Per questo, senza voler giudicare nessuno, le uniche sensazioni che mi provoca questa pubblicità sono di tristezza e di solitudine. Quell’immagine rappresenta la povertà di chi non fa esperienza dell’amore che si fa comunione e si accontenta di un surrogato che dà l’illusione di appagamento ma che crea sempre più ferite nel cuore della donna o dell’uomo.

Antonio e Luisa

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Dall’Eucarestia la luce e la forza per capire e vivere da separato fedele

Oggi voglio fare un po’ di pubblicità al decimo Convegno Nazionale della Fraternità Sposi per Sempre, che si terrà a Loreto presso l’Istituto Salesiano, dal 10 al 13 agosto: l’obbiettivo non è quello di essere in tanti, ma di far arrivare la notizia e l’opportunità anche a quelle persone che, dopo la separazione vivono la solitudine, non solo di esser rimaste fisicamente sole, ma anche quella (e a volte fa più male) di non essere compresi.

Si, perché quando parli con qualcuno e confidi di aver scelto la fedeltà al coniuge e a Gesù, è probabile che ti prendano in giro o ti vogliano presentare qualche amica/o: cercare di spiegare è spesso inutile e una perdita di tempo. Tante persone che conosco hanno trovato molto giovamento nel conoscere la Fraternità e vi sono arrivate per varie strade, addirittura alcuni l’hanno trovata di notte su Internet, mentre cercavano qualcosa che potesse aiutarli, presi dalla disperazione e dall’insonnia. Quindi è possibile che quest’articolo venga proprio letto da qualcuno che è in cerca di “matti” come noi per condividere lo stesso cammino e la stesse fede (passare i tre giorni del Convegno con gente proveniente da tutta Italia (qualcuno anche dall’estero), alternando catechesi di don Renzo Bonetti, lavori in gruppo, momenti di preghiera e condivisione, è davvero molto bello e arricchente sotto tanti punti di vista).

Il titolo del Convegno sarà “Dall’Eucarestia la luce e la forza per capire e vivere da separato fedele”: abbiamo scelto questo tema, perché l’Eucarestia è un altro assurdo, come la nostra decisione di fedeltà. Come si può credere che un piccolo pezzo di pane possa contenere Dio? Come si può pensare che se prendo un’ostia e la divido in due parti, ognuno riceve tutto Dio?

Questo in matematica non torna, è contrario a quello che ci hanno sempre insegnato e che possiamo sperimentare nella pratica, ma effettivamente con Dio l’Amore non si divide, ma si moltiplica. Il nostro cervello si ribella a questo, il nostro cuore invece può intuirlo bene: io ho due figlie e l’amore che provo per loro non è quello totale diviso due, ma tutto per una e tutto per l’altra. Questo porta anche a comprendere che Dio ama tutti singolarmente, uno per uno, al massimo possibile. A riprova di questo, come dice don Renzo, basta notare che nessuno è mai riuscito a misurare l’amore, in una società odierna dove possiamo misurare qualsiasi altra cosa, anche complessa, come ad esempio il quoziente intellettivo.

Come l’Eucarestia è corpo dato per amore, pane spezzato, anche noi separati fedeli vogliamo in quest’ottica offrire il nostro corpo e il nostro servizio per il coniuge, per gli altri e per tutta la Chiesa (seppur con tutti i nostri grandi limiti e scarse capacità). Quindi se la comprensione della santa comunione aumenta, aumenta anche la comprensione della scelta che abbiamo fatto e del perché lo Spirito Santo ce l’ha messa nel cuore.

Inoltre, senza la santa comunione credo che un separato fedele riuscirebbe a fare poca strada, perché dà una forza straordinaria e una capacità di leggere quello che accade con una vista particolare, divina: al momento sembra di mangiare solo un piccolissimo pezzo di pane, ma poi ti rendi conto a volte che quello che riesci a fare o a dire non è proprio merito tuo, perché magari quella mattina ti sei alzato male e avresti mandato tutti “a quel paese” (è per questo che io consiglio sempre, se possibile, di andare alla messa la mattina, prima di andare al lavoro, in modo da poter affrontare tutte le sfide della giornata con una marcia in più). Sono convinto che don Renzo ci farà approfondire questo tema così importante e ci fornirà anche degli spunti pratici per permetterci di crescere anche in questo sacramento.

Ettore Leandri (Presidente Fraternità Sposi per Sempre)

Apertura all’amore

La Chiesa ci chiede di vivere il nostro incontro intimo in modo che sia “aperto alla vita”. Abbiamo già trattato in altri articoli questa tematica. Oggi vorremmo riprenderla per presentare una prospettiva diversa. Apertura alla vita intesa non solo come una semplice apertura alla procreazione, ma come apertura all’amore stesso. La nostra riflessione trae spunto dal Vangelo di ieri (domenica) nel quale Gesù, che è l’Amore, dice di sè stesso: io sono la via, la verità e la vita (Giovanni 14, 6).

IO SONO LA VIA

Tutto inizia con un cammino. Quando inizia una relazione affettiva ognuno arriva con le proprie convinzioni, idee, con la propria storia costellata di momenti gioiosi ma anche di sofferenza e di ferite più o meno aperte. Gesù ci chiede di essere radicali, ci chiede di deciderci e di metterci alla Sua sequela, di non tenere il piede in due scarpe ma di abbracciare il Suo insegnamento perchè è la strada per vivere in pienezza la nostra vocazione all’amore. Amore che si concretizza nel corpo. Alcuni di voi potrebbero pensare che Gesù non ha mai parlato di metodi naturali e anticoncezionali. E’ vero ma sappiamo bene come la Chiesa sia sposa di Cristo e come lo Spirito Santo parli attraverso di essa. Ricordiamo sempre che la legge morale non è una serie di regoline, limitazioni o divieti posti per chissà quale perverso desiderio di frustrare la gioia e la libertà delle persone. La legge morale non è altro che la descrizione di come siamo fatti, di cosa significa essere davvero uomo e davvero donna e di come possiamo essere realizzati e felici nelle nostre relazioni. L’apertura alla vita indica proprio questa pienezza. Perchè permette di vivere la sessualità per quello che è: la concretizzazione attraverso il corpo del dono totale del cuore dei due sposi. Il corpo diventa specchio del cuore, nella verità.

IO SONO LA VERITA’

Abbiamo terminato il paragrafo sulla via con la parola verità. Gesù è verità. Gesù è verità su tutto anche e soprattutto su come si ama fino in fondo, su come si è uomini fino in fondo. Anche l’intimità ha bisogno di verità. In una relazione matrimoniale è fondamentale. Da come si vive la sessualità nella coppia si può capire molto anche di tutto il resto. Perchè gli anticoncezionali non permettono di amare nella verità? L’abbiamo scritto diverse volte: non permettono il dono totale. I metodi naturali permettono di accogliere la propria sposa o il proprio sposo interamente nella sua fertilità femminile o maschile. Gli anticoncezionali escludono una parte della donna o dell’uomo lasciando spesso una sensazione negativa di incompiutezza e frustrazione.  C’è magari il piacere fisico ma viene a mancare una gran parte dell’unione profonda dei cuori. Manca l’ingrediente più importante. Quello che fa differenza. La differenza tra chi fa del sesso e chi concretizza, attraverso il corpo, l’unione intima che lega due sposi che vivono il loro matrimonio nel dono e nell’accoglienza autentica, piena e vicendevole. Manca il piacere che viene dalla comunione profonda dei due. Non c’è più verità tra cuore e corpo. Due sposi che si sono uniti per donarsi vicendevolmente tutto di sè come Gesù nell’Eucarestia poi, per essere realizzati e vivere in pienezza il matrimonio, hanno bisogno di concretizzare questo dono totale, senza riserve, attraverso il corpo. Solo così quel gesto porterà sempre vita.

IO SONO LA VITA

Vita in questo caso è sinonimo di amore perchè l’amore è sempre generativo. E’ un grande errore ridurre l’apertura alla vita alla sola procreazione. Certamente c’è anche quella, ma la fecondità dell’amore è molto di più della procreazione. E’ così che, quando il gesto è vissuto nella giusta via e nella piena verità, accade il miracolo. I due non sono più due ma sono uno. Sono una carne sola. Un sol corpo e sol cuore. Fanno esperienza nell’amplesso fisico di una comunione profonda che permette loro di rendere visibile e tangibile ciò che il matrimonio ha operato nel loro cuore. Vivere l’incontro intimo così genera sempre nuova vita-amore. Gli sposi si nutrono direttamente al loro sacramento per portare frutto nel mondo. L’amplesso fisico vissuto castamente (nel dono totale e nella verità) è non solo gesto sacramentale e liturgico ma redentivo. I due sposi si fanno santi anche attraverso l’amplesso fisico. Portano l’amore di Dio nella loro famiglia e nel mondo che li circonda. Perchè quell’amore di cui fanno esperienza poi viene donato. Donato al coniuge nei giorni a venire, ai figli e a tutte le persone che i due sposi incontreranno.

Vi rendete conto cosa significa essere aperti alla vita? Non è un obbligo ma è una scelta che riguarda tutta la nostra relazione e non solo il modo con cui abbiamo rapporti.

Antonio e Luisa

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Mio marito è attratto da altre donne. Lo vivo come un tradimento

Oggi rispondo ad un messaggio arrivato sotto un altro articolo. In questo articolo ho scritto di essere attratto da tante donne anche adesso che sono sposato. La lettrice mi ha quindi scritto: riguardo la tua frase “(…) seppur io mi senta attratto da tantissime donne(…)”:vorrei essere aiutata a comprendere e accogliere questa realtà. Io lo vivo come un tradimento.

Mi sono preso del tempo per rispondere a questa richiesta. Non è facile perchè mi obbliga a mettere a nudo alcune mie debolezze che dipendono da ferite del passato. Ma non solo questo! C’è qualcosa che caratterizza noi maschi e ci differenzia dalle donne. E questo spesso voi donne non lo prendete in considerazione o proprio non lo sapete. Viviamo in una società che cerca di appianare ogni differenza, che ci dice che uomo e donna sono esattamente uguali ed intercambiabili. Non è così! Abbiamo un cervello completamente differente e reagiamo in modo differente alle stimolazioni esterne. Siamo biologicamente differenti e questo non lo si prende mai in considerazione. Vi darò ora alcune informazioni che possono essere utili ad una riflessione personale e di coppia.

Il testosterone fa la differenza. Non si tratta di accampare scuse o di giustificare dei comportamenti sbagliati. È semplice e pura biologia. È oggettivo. L’uomo è biologicamente più portato a pensare al sesso. Raggiunta la pubertà, noi uomini abbiamo dieci volte il testosterone delle donne. Il testosterone è l’ormone sessuale più importante che resta, in noi maschi, in quantità elevate fino ai 30 anni e poi tende a diminuire molto lentamente (circa 1% all’anno). Questo significa che influenza le pulsioni maschili ben oltre i 30 anni. Questo care donne significa che essere attratti da altre creature di sesso femminile è normale, risponde ad una pulsione biologica. Ciò che fa la differenza è come reagiamo a quella pulsione. Ma la pulsione non dipende da noi, fa parte di noi.

La vista fa la differenza. Anche in questo, care rappresentanti dell’altro sesso, siamo completamente differenti. L’uomo ha negli occhi un vero e proprio stimolante sessuale. L’uomo si eccita con la vista. Per la donna la vista ha un impatto meno importante. Anche questo è un fattore non indifferente. La donna si sente stimolata dal corteggiamento, dal sentirsi al centro delle attenzioni dell’uomo. Per lei è importante sentirsi preziosa. Certo l’uomo deve piacere fisicamente ma quello è solo l’inizio. Per l’uomo invece spesso basta la vista di una donna con determinate caratteristiche fisiche per sentirsi attratto. Certo sta anche a noi uomini non esprimere in modo troppo evidente questa attrazione. Il modo può certamente ferire nostra moglie.

La pornografia ha una forza dirompente. La pornografia va ad accentuare le caratteristiche sopra descritte. Vi do solo due dati che sono rilevanti rispetto alla tesi che voglio presentare. L’uso di pornografia è prevalentemente maschile. Solo ultimamente sta crescendo la quota femminile che si attesta, secondo le ultime ricerche, ad un terzo del totale. La quota sta crescendo non solo per un minor stigma sociale (non ci si vergogna più) o per una facilità maggiore nell’accesso, ma anche per una maggior attenzione dei produttori a dare ciò che le donne cercano. I video pornografici per un pubblico femminile sono costruiti in modo diverso. I video per le donne mostrano un rapporto sessuale con la donna al centro dei preliminari, e colmo di di attenzioni tenere e romantiche del partner. Comunque l’uso della pornografia da parte dell’uomo crea una incapacità a vedere la donna nella sua interezza di persona, ma “educa” a guardare la donna come oggetto. Purtroppo la pornografia lascia delle conseguenze anche quando si smette di guardarla. L’uomo che ha visto pornografia farà più fatica a guardare la donna nella sua interezza.

Tutte queste premesse per arrivare alle conclusioni. L’uomo che si sente attratto sessualmente da donne diverse dalla moglie non è un porco o una persona poco seria. È semplicemente un uomo con tutte le sue caratteristiche che sono differenti da quelle femminili. Un uomo che, nella maggior parte dei casi, ha fatto o fa ancora uso di pornografia ed è ferito e quindi fa ancor più fatica ad avere uno sguardo limpido. Ciò che la donna dovrebbe comprendere è proprio questa differenza. Perche se comprende ed accoglie questa differenza poi non ci rimane male. Quello che non deve fare la donna, è mettere se stessa in discussione, come se lui guardasse un’altra perchè lei non è abbastanza per lui. Non è così (almeno di solito). Io ho la fortuna di poterne parlare liberamente con Luisa. Mi capita qualche volta anche di scherzare con lei. Di dirle cose del tipo: visto quella che carina. Mi serve per creare vicinanza e complicità. Per rimettere mia moglie al centro dei miei pensieri. Lei ormai ha capito e non se la prende. Il peccato non sta nella tentazione ma nel dare corda a quella tentazione. Io vedo tantissime donne da cui mi sento attratto ma tutto resta lì. Basta non dare peso, non alimentare quell’attrazione e pensare a mia moglie. Luisa ormai è per me la più bella. Non perchè lo sia oggettivamente. Ci sono tantissime donne fisicamente più giovani e belle di mia moglie. È la più bella soggettivamente, per me. Per come la conosco, per come tutto il suo corpo è trasfigurato ai miei occhi da tutto l’amore che ci siamo dati. Lei per me non è solo un corpo ma è Luisa nella sua interezza di corpo, anima, sensibilità, cuore. Il suo corpo esprime la bellezza di tutta la sua persona. Per questo lei per me è l’unica e non sento il desiderio di fare l’amore con un’altra che non sia lei.

Antonio e Luisa

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L’uomo che lava i piatti è meno uomo?

Oggi scateniamo un po’ di polemiche. Naturalmente spero di non farlo, ma quando si prova a riflettere su questi temi spesso le discussioni si accendono. Forse perchè abbiamo delle idee radicate che poi influenzano tutta la nostra quotidianità e le nostre relazioni ed è quindi difficile metterle in discussione. Riporto una frase pronunciata durante un’intervista a Domenica In da Laura Chiatti, un’attrice abbastanza conosciuta ed apprezzata in Italia. Laura ha detto esattamente queste parole: “L’uomo che fa il letto o lava i piatti mi uccide l’eros”.

Premesso che si tratta di una frase estrapolata e, come dalla stessa attrice poi specificato, detta in modo scherzoso e goliardico, esprime comunque un concetto caro ad una fetta di italiani. Un concetto che piace a quella parte di popolazione più conservatrice e cristiana, di cui non mi vergogno di fare parte. Ciò è confermato dal fatto che Pillon e Adinolfi hanno ripreso queste parole esprimendo sui social la propria soddisfazione per questa presa di posizione da parte di una donna che apprezza la virilità di un uomo che fa l’uomo in casa.

In questo caso però, caro Pillon e caro Marione Adinolfi (ti voglio comunque bene), non sono d’accordo con voi. L’uomo virile non è quello che in casa ha il ruolo di essere servito. Quello di solito è un mammone che cerca di trovare nella moglie un surrogato della mamma. La differenza tra uomo e donna esiste ma non si concretizza nel confinare in ruoli prestabiliti i due sessi. Mi spiego meglio. Io posso tranquillamente pulire casa, ciò che mi differenzia da mia moglie è il modo e l’atteggiamento con cui lo faccio. Esistono delle predisposizioni più maschili o più femminili per determinate attività, ma ciò non significa che l’uomo non possa fare determinati lavori. Fino ad alcuni anni fa la donna si occupava prevalentemente della casa perchè non lavorava fuori. I ruoli erano ben definiti. Oggi non è più così. Non sta a me dire se sia meglio o peggio. Anche perchè se prima la donna era “obbligata” a stare a casa, ora è “obbligata” a lavorare perchè uno stipendio in casa non basta. Mia moglie mi ha più volte confidato che le sarebbe piaciuto fare la casalinga e occuparsi dei figli. Invece ha dovuto lasciare i figli ad altri per occuparsi dei figli degli altri (è un’insegnante). Anche questa non è libertà. Come non lo era prima. L’unica eccezione dove esistono ruoli che è meglio non modificare è nell’ambito genitoriale. Mamma e papà sono differenti e questa differenza è fondamentale per la crescita sana dei figli. Ma non mi soffermo su questo aspetto. Ci sarebbero troppe cose da dire.

Ma quindi come è un uomo virile? Ce lo dice il Vangelo in Efesini 5:  E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei. Già perchè di solito noi uomini facciamo fatica a donarci completamente. Abbiamo questo egoismo marcato che ci spinge ad usare nostra moglie Non voglio affermare che noi uomini siamo tutti egoisti mentre le donne tutte perfette. Come in tutta la complessità umana esistono varie sfumature, ma è altrettanto vero che noi uomini siamo mediamente più egoisti. Quindi l’uomo virile è quello che è capace di morire per la moglie. E’ capace di voler bene alla moglie, di volere il suo bene. Di farsi servo per amore. Infatti in Efesini troviamo scritto anche:  il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa. Una frase che sembra il massimo del maschilismo e del patriarcato ma che esprime invece la bellezza dell’amore. Già perchè ci viene chiesto di essere capo ma al modo di Gesù. Gesù si è inginocchiato e ha lavato i piedi ai discepoli. Questo è il modo che un vero uomo deve adottare per manifestare la sua virilità.

Quindi l’uomo virile è quello capace di sacrificio, di servizio, di cura, di tenerezza verso la propria sposa. Quello che desidera nel profondo del cuore la felicità della persona che ha accanto. Io sono grato a Luisa per tutto quello che fa ma vedo anche la fatica che le costa. Collaborare non è solo un dovere verso di lei e verso la famiglia ma è il modo più concreto per amarla. Quindi lavare i piatti, fare i letti, pulire casa non solo mi rende più uomo ma mi rende più cristiano. Perchè ogni gesto d’amore compiuto nel matrimonio è un gesto sacro, è un sacrificio offerto a Dio.

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Serve un comandamento per amare?

Sono di ritorno dall’incontro nazionale dell’associazione di cui Luisa ed io facciamo parte da ormai 15 anni, l’Intercomunione delle famiglie. Come sempre accade, sono stati tre giorni di grazia e di amicizia. Quest’anno abbiamo avuto il piacere di ospitare Giuseppe Spimpolo. Non lo conoscevo ed è stato amore a prima vista. Amore per la passione con la quale ci ha portato le sue conoscenze e la sua testimonianza di sposo, genitore (di 5 figli) ed educatore. Amore per la verità e per la bellezza che è riuscito a raccontare. Amore per l’amore che Giuseppe ha per sua moglie, che traspariva limpido e che ne ha fatto un testimone credibile. Giuseppe è insegnante di religione, ricercatore universitario (filosofia) e educatore dell’Istituto per l’Educazione alla sessualità e alla Fertilità (INER) di Verona. Ho deciso quindi di riprendere la sua catechesi e farne diversi articoli. Non solo riportando fedelmente le sue parole ma cercando di elaborarle e facendone una riflessione anche mia.

In questo primo articolo mi soffermo su Genesi 2, in particolare su un versetto: Dio li benedisse e disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra. Giuseppe qui ha lanciato una provocazione importante. Era necessario che Dio desse questo primo comandamento? Che Dio dovesse dire, anche con imperativo che non lascia molte repliche, cosa dovessero fare uomo e donna? Giuseppe ci ha fornito anche un piccolo suggerimento. Ci ha invitato a cercare la risposta nella bellissima enciclica di papa Benedetto Deus Caritas est. Questa enciclica è il primo documento di un pontefice in cui potete trovare la parola eros come manifestazione dell’amore. Qualcosa quindi di molto concreto. Io sono andato a riprendere il documento in questione. Mi sono lasciato provocare da un paragrafo in particolare che vi riporto:

Due sono qui gli aspetti importanti: l’eros è come radicato nella natura stessa dell’uomo; Adamo è in ricerca e « abbandona suo padre e sua madre » per trovare la donna; solo nel loro insieme rappresentano l’interezza dell’umanità, diventano « una sola carne ». Non meno importante è il secondo aspetto: in un orientamento fondato nella creazione, l’eros rimanda l’uomo al matrimonio, a un legame caratterizzato da unicità e definitività; così, e solo così, si realizza la sua intima destinazione. All’immagine del Dio monoteistico corrisponde il matrimonio monogamico. Il matrimonio basato su un amore esclusivo e definitivo diventa l’icona del rapporto di Dio con il suo popolo e viceversa: il modo di amare di Dio diventa la misura dell’amore umano. Questo stretto nesso tra eros e matrimonio nella Bibbia quasi non trova paralleli nella letteratura al di fuori di essa.

Cosa ci vuole dire il Papa? Io vi fornisco la mia interpretazione.

Dio vuole un amore che sia anche nella carne. L’eros non è una tentazione. L’eros non è qualcosa da rifuggire, l’eros non ci allontana da Dio, ma è stato Dio stesso a donarci questo modo di amare: l’eros è come radicato nella natura stessa dell’uomo. Noi cristiani siamo gli unici a credere in un Dio fatto carne. Un Dio che ha preso un corpo e che ha manifestato l’amore attraverso il Suo corpo. Gesù amava con lo sguardo, con le parole, con le mani, con tutto il suo corpo. L’eros è ciò che ci spinge ad aprirci ad una relazione. L’eros è il motore che ci dà la spinta ad uscire dalla nostra solitudine per fare esperienza della relazione con un’alterità e che permette poi l’amore. Non ci può essere amore senza relazione. Per questo Dio non è da solo ma sono Tre Persone. Perchè Dio è amore e l’amore è possibile solo nella relazione. Quindi non guardiamo l’eros come un pericolo. L’eros è parte dell’amore ed è quindi parte del dono più grande che Dio ci ha fatto. Ma l’eros è solo una parte dell’amore. E’ un anticipo di bellezza. Ci fa pregustare ciò a cui siamo chiamati. Ce lo fa desiderare. Il peccato sta nel ridurre l’amore alla sola parte sensibile. Lì poi si annida l’incompiutezza e la povertà. Quindi il comandamento di Dio in Genesi ci dice proprio di andare fino in fondo alla nostra chiamata all’amore. Ci dice di non accontentarci!

La pienezza dell’amore è nel matrimonio. L’eros permette di aprirci, ci spingi fuori dalla nostra solitudine ma è solo un assaggio della bellezza. Poi l’amore si completa nel matrimonio. Non meno importante è il secondo aspetto: in un orientamento fondato nella creazione, l’eros rimanda l’uomo al matrimonio, a un legame caratterizzato da unicità e definitività; così, e solo così, si realizza la sua intima destinazione. Noi abbiamo la nostaglia di una destinazione. Abbiamo la nostalgia di un amore che sia unico e definitivo. Un amore che troveremo pienamente solo in Dio ma che possiamo assaporare già su questa terra attraverso il matrimonio. Il matrimonio è l’opportunità che Dio ci offre di fare esperienza del Suo amore già su questa terra. Certo in modo limitato ed imperfetto ma comunque meraviglioso. Il matrimonio è caraterizzato da una relazione davvero totale (anima, corpo e psiche) e da un amore completo (eros, agape e filia). Un amore dove l’eros diventa espressione del dono (dell’agape) e dove il corpo sessuato (maschio e femmina) diventa luogo della comunione e per questo capace di essere fecondo.

Mi spiace quando vedo il matrimonio ridicolizzato e banalizzato. Mi spiace quando constato che tanti giovani hanno paura di sposarsi o non vedono la bellezza del matrimonio. Mi spiace perchè tanti rinunciano alla più grande occasione che Dio può dare loro di fare un’esperienza di Lui nella vita. Qualcuno diceva che nell’amore si può perdere ma chi non ci prova ha perso in partenza. Non vale la pena provarci?

Antonio e Luisa

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Il cristiano medio e il matrimonio

Oggi permettetemi un articolo un po’ diverso dal solito. Mi sono immaginato il cristiano medio italico davanti al matrimonio. Ho provato a ragionare con la mentalità del nostro tempo. Non che io mi creda migliore. Semplicemente ho avuto la grazia di incontrare persone che mi hanno fatto capire e una moglie eccezionale. Altrimenti sarei anche io dentro questo modo di pensare. Ne è uscito un quadro direi desolante dove il sacramento non è che un rito senza sostanza. Dove love is love. Finché c’è il love naturalmente. Dove la promessa non sono che parole vuote, dette senza consapevolezza. Quanti si sposano davvero convinti di voler restare sempre e comunque, anche se l’altro li abbandonasse? Credo molto pochi.

Ho appena finito il corso prematrimoniale. Una rottura di scatole. Non vedevo l’ora finisse. Non ci ho capito nulla. Certo che ne hanno dette di cose. Ho solo una domanda: perché mi devo sposare in chiesa? No perché non so se ne vale davvero la pena. L’amore cristiano è davvero qualcosa di strano. Questo Gesù che per amore di gentaglia che non merita nulla, che lo tradisce, si lascia umiliare, picchiare e addirittura uccidere sulla croce. Lo fa per amore e, secondo la nostra fede, attraverso questo amore che viene offerto a chi ne è indegno, redime e salva il mondo. E’ ben strana questa cosa. Non è finita qui. Fosse solo questo. Gesù pretende che anche noi facciamo altrettanto. Chiede ad ognuno di noi di amare in quel modo. Ma siamo matti! Un Dio che si rispetti non mi può volere infelice. Figurati se il matrimonio può essere una croce. No! Non se ne parla. Se non sono felice mollo tutto e cerco altrove. D’altronde Dio a cosa serve? A rendermi felice. E allora come la mettiamo?

Il bello è che chiede proprio a noi sposi di amare così. Lo chieda ai suoi preti! E invece no. Lo chiede in particolare a noi sposi. Bella fregatura insomma averci appioppato il compito di essere icona di Dio, immagine del Suo amore. E si! Come se io fossi un povero cretino che accetta di salire in croce per amore. Scusa Gesù nessuna allusione a te, sia chiaro. Tu puoi, sei Dio, ma io sono un povero uomo. Io voglio essere felice, mi accontento di poco. Vorrei trovare una donna che mi faccia stare bene, che sia disponibile, che quando ho voglia faccia l’amore con me, che mi cucini bene, che mi lasci guardare le partite di Champions senza chiedermi di aiutarla a piegare le lenzuola (sembra lo faccia di proposito, arriva sempre in quel momento). Insomma voglio una donna che mi dia tutto quello che mi manca senza rompere troppo. Non voglio stravolgere la mia vita.

L’amore non è forse questo? Stare bene insieme. Naturalmente stare bene insieme significa che sto bene io. D’altronde l’amore è quella cosa che non puoi governare. Ti viene e così come è venuto se ne va. Non ti amo più, non sento più nulla. Non è colpa mia. Forse è colpa tua che non sei più quella di prima. Non sei quella che credevo tu fossi. Sei sempre insoddisfatta, dici che non ti faccio sentire amata, che non mi prendo cura di te. Cosa pretendi? Devo lavorare e poi lasciami respirare un po’. E poi la dico tutta, è passato qualche anno e non sei più così bella. Non hai più quel seno sodo, è diventato un po’ cadente. E in viso si vede qualche ruga e in testa i capelli bianchi. No non va bene così! Merito di meglio. Ho provato a volerti bene ma proprio non riesco più. Meglio lasciarci.

Non so a voi ma questa breve descrizione a me è sembrata un incubo. Eppure la mentalità di oggi è questa. Ho esagerato, ne ho fatto una descrizione caricaturale, ma è così che il mondo ci porta a pensare. Io, io e poi ancora io. Il MIO matrimonio è buono fino a quando l’altro MI fa stare bene. Il matrimonio è uno strumento come altri per il MIO benessere psicofisico. Come spesso è la fede. La fede va bene finché mi dà qualcosa. Così il matrimonio. Se le difficoltà sono maggiori rispetto alle gioie e allora non ne vale la pena. Ci devo guadagnare. Se trovo di meglio perché no?

Perché invece il matrimonio cristiano è diverso, e diventa davvero un mezzo di salvezza? Badate bene non ho detto di gioia. Non ho detto gioia perché il matrimonio può anche essere causa di sofferenza e di dolore. La croce è li a ricordarcelo. Ho detto DI SALVEZZA! Il matrimonio cristiano ci permette di imparare a donarci. Ci permette di non avere una vista miope. Il miope vede benissimo gli oggetti vicini, sé stesso, ma fa fatica a mettere a fuoco l’altro, la persona amata. Ecco il matrimonio è come se fosse un paio di occhiali che ci permette di focalizzarci sulla persona che abbiamo accanto e sul suo bene. Prima del nostro. E questo cambia la vita, la vita dell’altro che si sente amato in modo gratuito ed incondizionato e anche la mia che in quel dono imparo ad essere chi sono davvero e in quel dono incontro Gesù. Capite che cosa grande è il matrimonio? Uscendo da me stesso trovo chi sono davvero.

Ecco se per voi il matrimonio non può mai essere croce, non sposatevi in chiesa. Convivete, sposatevi civilmente ma non in chiesa. Stareste facendo solo una sceneggiata. Il sacramento ti chiede di amare tutta la vita. Come fate a prometterlo se non pensate che l’amore che date all’altro e a Dio sia un atto di volontà prima che un sentimento, e che a volte significa abbracciare la croce. Sposarsi in Cristo è rischioso ma nulla riempie la vita come dare tutto per amore.

Antonio e Luisa

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Il matrimonio simbolico? Povertà senza impegno

Sembra che anche in Italia sia arrivato il matrimonio simbolico. Devo ammettere che non ero a conoscenza di questa nuova tendenza nata, come spesso accade per le nuove tendenze sociali, negli States. Un fenomeno ancora poco conosciuto, ma comunque in forte crescita nel nostro Paese visto che, secondo Liana Moca presidente di Federcelebranti, le richieste per questo tipo di “unione” sono cresciute nel 2022 di ben il 330%. Pensate che all’estero, almeno in alcuni Paesi, queste celebrazioni sembrano essere addirittura i due terzi del totale. Tra i personaggi illustri che in Italia hanno celebrato questa “unione” ci sono Silvio Berlusconi e Marta Fascina. Non un fenomeno trascurabile ma che probabilmente diventerà sempre più frequente anche da noi.

Di cosa si tratta? Un po’ si può comprendere dal nome. Non si tratta né di un matrimonio civile né di un’unione civile. Una celebrazione completamente privata ed informale e senza nessuna implicazione sociale o giuridica. Insomma per lo Stato nessun dovere e nessun diritto. Questo “matrimonio” è completamente simbolico. Non ha formule o riti particolari, ognuno può scegliere quella che preferisce per promettersi amore, non ha la necessità né di un sacerdote né di un rappresentante del comune, chiunque può celebrare questo rito. A cosa serve quindi? Semplicemente a dare voce alla nostra parte più emotiva ma senza impegno e responsabilità. Un rito che è perfetto per la nostra società caratterizzata da un forte narcisismo, da egocentrismo ed egoismo. Una società sempre più allergica all’impegno e al per sempre. Questa tendenza mi permette alcune riflessioni.

La socialità fa parte delle esigenze dell’amore. Perché non accontentarsi di convivere e decidere di celebrare il proprio amore con amici e parenti? Perché la socialità è parte integrante dell’amore. Noi abbiamo bisogno di condividere il nostro amore con le persone a cui vogliamo bene. Ne sentiamo proprio il desiderio. Due cuori ed una capanna va bene per i film romantici. Poi esiste la vita reale. Faccio un esempio stupido. Mi ero appena fidanzato con Luisa e passeggiando con lei per il centro cittadino ho incrociato degli amici. Istintivamente ho smesso di tenerla per mano. Lei se l’è presa tantissimo. Ho capito poi che il mio gesto l’aveva ferita. Era come se non volessi comunicare agli altri la nostra relazione e questo la faceva sentire meno amata. Ed è così. Quindi una cerimonia di questo tipo risponde alla fame di rendere pubblico l’amore dei due celebranti. Un altro esempio. Un’amica di Luisa ha intrattenuto una relazione con un uomo sposato. Fortunatamente ora si sono separati. La sofferenza che lamentava con Luisa non era solo dovuta al fatto di non averlo sempre con sé e di doverlo dividere con un’altra ma provava un malessere anche nel dover tenere nascosta la relazione. Le sembrava una relazione a metà. Ed era così infatti.

Il per sempre fa paura. Perché non sposarsi allora? Almeno civilmente tutti lo possono fare. Perché molti sono guidati dalla pancia e non dal cuore. Sono capaci di grandi promesse, di pronunciare parole strappalacrime dove descrivono un amore immenso, un amore capace di spostare le montagne ma poi non hanno nessuna intenzione di impegnarsi per la vita. Perché fa loro paura e perché non lo vogliono davvero. Quindi questa cerimonia è perfetta. Non porta nessun impegno concreto ma permette dei grandi discorsi e dei grandi pianti. Insomma tutta fuffa? No per nulla. I due che celebrano probabilmente ci credono pure a quello che stanno dicendo, perché provano davvero quella passione fortissima l’uno per l’altra. Il problema è che il centro sono loro. Quello che chiamano amore non è altro che un’emozione che li fa stare bene. Vogliono stare con l’altro per quello che provano e che hanno, non per donarsi davvero. Se i presupposti sono questi è normale che non si voglia prendere impegni ma solo prendere l’uno dall’altra. Poi è normale che le relazioni finiscano perché l’altro non dà più abbastanza o perché si trova chi dà di più.

Questo matrimonio simbolico poi ci fa davvero sentire amati?

Un matrimonio che lascia vie di fuga quando l’altro non è più come lo vorremmo magari è più facile e meno impegnativo, ma non permette di amare davvero e soprattutto di sentirsi davvero amati. L’indissolubilità l’abbiamo scritta dentro. Desideriamo con tutto il cuore una persona che ci voglia bene perché siamo noi. Non perché facciamo qualcosa o ci comportiamo in un determinato modo. Sentire di doversi meritare l’amore dell’altro è terribile. Non lo percepiamo come amore. Dentro abbiamo questo desiderio grande di essere amati perché siamo noi e per sempre.

Antonio e Luisa

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Le coppie caste durano di più e sono più felici

La castità rende le relazioni più stabili e la soddisfazione sessuale nel matrimonio più alta. Una ricerca della Brigham Young University, riportata da diverse testate, conferma quanto la morale cristiana cerca di promuovere in un mondo, il nostro, che va invece da tutt’altra parte. La nostra società permette una “libertà” affettiva e sessuale pressoché totale senza per questo garantire una soddisfazione relazionale alta. Al contrario spesso le nostre relazioni sono caratterizzate da sofferenza, tradimenti e precarietà.

Vi riassumo i risultati di questo studio molto interessante commissionato dalla Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni (i Mormoni). Non lasciatevi trarre in inganno. Seppur l’input è arrivato da una delle tante chiese protestanti americane, l’analisi e lo studio sono avvenuti seguendo il metodo scientifico dei ricercatori universitari. Il tutto è avvenuto studiando il comportamento di 3750 persone, un campione abbastanza significativo per trarre delle conclusioni attendibili.

Quali risultati hanno osservato i ricercatori dell’università? I risultati sono molto interessanti.

  1. Chi arriva casto al matrimonio ha una probabilità maggiore del 200% (3 volte di più) di avere stabilità e durata nella relazione
  2. Tra i soggetti osservati che hanno avuto un solo partner sessuale risulta che il 45% di essi abbia una vita matrimoniale molto soddisfacente. Questa percentuale cala di un 6,5% per ogni partener sessuale aggiuntivo rispetto al marito o alla moglie. Negli Stati Uniti la media dei partner avuti risulta essere di 6,7 a soggetto (non c’è differenza tra uomo o donna)
  3. Anche dal punto di vista della gratificazione sessuale risulta che i soggetti senza esperienza con altri partner abbiano il doppio della soddisfazione rispetto a chi ha avuto diversi partner

Questi risultati confutano completamente una delle obiezioni più frequenti alla castità. Prima di sposarsi bisogna avere rapporti per capire se ci sia quell’intesa sessuale necessaria poi nel matrimonio. Non è così e questa ricerca lo conferma. Perché non è così?

L’intesa sessuale si costruisce. Non esiste una chimica prestabilita tra i due sposi. E’ necessario che ci sia attrazione fisica poi il resto si costruisce nel tempo, nella relazione, nell’abbandono. La relazione sessuale è una relazione. La relazione cresce nella conoscenza reciproca. Più ci si conosce, più si impara a fidarsi l’uno dell’altra e più il rapporto sessuale sarà appagante. Sbaglia chi crede che il sesso dipenda da un fatto solo ormonale. L’intimità è un vestito costruito su misura dai due sposi. L’appagamento sessuale, soprattutto per la donna, dipende da come si sente amata e desiderata nella relazione tutta, nel matrimonio. Quindi più si sentirà amata in modo esclusivo, fedele e incondizionato e più saprà abbandonarsi al sesso. Più saprà abbandonarsi all’intimità e più per lei quel gesto sarà bello ed appagante. Più sarà per lei bello e appagante e più lo sarà anche per lui. Capite come tutto sia legato. Un intreccio di anima, cuore e corpo che se non è curato in ogni sua componente poi non funziona.

Il sesso è totalizzante. E’ inutile far finta che non sia così. L’amplesso fisico è un gesto che totalizza la relazione. Le sensazioni e le pulsioni che vengono provocate dall’intimità sessuale sprigionano una carica emotiva che copre ogni altro aspetto della relazione. Chi ha rapporti prima del matrimonio tende a sottovalutare e non approfondire alcuni aspetti dello stare insieme, del progetto matrimoniale e dei difetti dell’altro. Poi nel matrimonio inevitabilmente i nodi vengono al pettine.

Il sesso ha un volto. Capisco che la castità prematrimoniale ormai riguardi davvero una piccola percentuale anche tra i cattolici. Andrebbe però rivalutata. I papi, compreso Francesco, hanno più volte invitato a riscoprirla. Per me e Luisa è stata ed è tutt’ora una grazia. Io quando faccio l’amore ho in mente solo un volto, quello di mia moglie. Questo crea una idea dentro di me. Quel gesto lo concepisco solo con Luisa. Credo che, seppur io mi senta attratto da tantissime donne, non sarei capace di vivere quel gesto con una donna che non sia mia moglie. Per questo anche quando ci sono dei momenti di difficoltà e anche di aridità non ho mai pensato di cercare un’altra donna ma piuttosto di far di tutto per recuperare l’intesa perduta con la sola donna che voglio amare anche nel corpo.

La castità non è solo una richiesta assurda di una morale bigotta e fuori dal tempo. In questo articolo non ho mai volutamente parlato di Gesù. La castità è vincente soprattutto sul piano umano. Permette di costruire una relazione più piena e più vera. Naturalmente anche la castità non è sempre vissuta bene e può nascondere insidie e blocchi relazionali, ma ne ho già parlato in quest’altro articolo.

Antonio e Luisa

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La pace di Dio è un anticipo di paradiso

Mi sono fermato tante volte a riflettere su come sarà o come potrebbe essere il Paradiso, quello che faremo tutto il giorno (ci sarà un giorno?) e quello che saremo in grado di comprendere, di conoscere e anche la nostra fisionomia: nonostante i miei sforzi, quello che posso immaginare è solo fantasia, legata alla mia condizione di creatura e per questo non sono abilitato ad accedere al “livello superiore”.  Però di una cosa sono sicuro: si potrà accedere al Paradiso solo se avremo amato, perché Dio è Amore e quindi non potrà esserGli vicino nessuno che in qualche modo non si sia esercitato all’Amore, verso Dio e verso gli altri.

Amare è una scelta che cambia la vita e genera tanta pace in chi s’impegna per raggiungere l’obbiettivo; per questo rimango abbastanza perplesso da chi pensa in questo modo: ”Soffro qui sulla terra e così avrò la mia ricompensa in cielo; tengo duro ora, per avere poi un giorno il meritato premio”. Onestamente io vivo qui, su questa terra e una ricompensa futura mi attrae, ma non mi basta, voglio essere felice ora, oggi. Certo la sofferenza e il male esistono, in cielo non ci saranno più, ma io voglio credere che, per chi ama, il Paradiso sia già iniziato e che la morte sarà solo un cambio di “stato”, un passaggio che non ci toglierà niente, se abbiamo speso tutto quello che avevamo/potevamo (”Dov’è o morte il tuo pungiglione?)”.

Noi separati fedeli viviamo in quest’ottica, cioè abbiamo scelto e scegliamo di amare ogni giorno: questo non vuol dire che siamo migliori degli altri, non è vero, anzi, siamo peccatori come tutti gli altri, ma ci impegniamo a portare avanti una decisione presa, per sempre. La gente ha spesso una scarsa considerazione di noi, ci ritiene fissati, estremisti, esagerati, menomati e poco credibili, fino ad arrivare a “poveretti”, sfortunati, bloccati nelle relazioni e incapaci di trovare un’altra persona (tanto che spesso parte la gara a farti conoscere amiche/amici che potrebbero fidanzarsi con te).

D’altra parte è normale, ci sono cose che si comprendono solo nella fede, però una caratteristica comune a tutti posso testimoniarla: chi sceglie di amare nonostante le offese, i tradimenti e le difficoltà, riceve in cambio la pace e la conferma che il Paradiso è già cominciato qui, fin da ora. Infatti mi colpiscono sempre, in questo tempo pasquale, le parole di Gesù che, quando appare ai suoi amici, per prima cosa dice: ”Pace a voi”, quando magari noi avremmo detto cose completamente diverse, del tipo: “Che bello rivedervi”, oppure “Avete visto, come vi avevo detto sono risorto”, oppure  “Non sono arrabbiato con voi, anche se mi avete tradito tutti”. No, Lui augura la pace come prima cosa, una pace che l’uomo non può costruire, perché anche dove non c’è guerra in questo momento, non c’è pace, ma paura, ansia e incertezza, con il rischio che qualcuno si svegli male e lanci qualche missile.

La pace vera la dà solo Dio e Lui vuole che noi possiamo vivere in pace: si può essere in pace su un letto di ospedale e si può invece non essere in pace facendo l’amore tuto il giorno (ammesso che sia possibile). Vivere in pace non ha prezzo, perché ti colloca già in cielo, tra le braccia di Gesù e quindi auguro a tutti di trovare la vera Pace!

Ettore Leandri (Presidente Fraternità Sposi per Sempre)

Non amatevi come il primo giorno ma come se fosse l’ultimo

Ci sono tante persone che, per enfatizzare quanto si vogliano ancora bene dopo tanti anni passati insieme, affermano: ci amiamo come il primo giorno! Io ho sempre trovato questo modo di descrivere la pienezza di una relazione come stonato. Il primo giorno io amavo Luisa molto meno di come la amo oggi. E’ normale che sia così. Il nostro padre spirituale ci diceva sempre che l’amore non è qualcosa di statico. Non è qualcosa che dobbiamo cercare di cristallizzare e custodire così com’è, come in una teca. Papa Francesco ha espresso lo stesso concetto in un modo ancora più chiaro: Il Matrimonio è come una pianta…non è come un armadio, che si mette lì, nella stanza, e basta spolverarlo ogni tanto…Una pianta è viva, va curata ogni giorno: vedere come sta, mettere l’acqua, e così via… Il Matrimonio è una realtà viva

Il nostro amore è quanto di più vivo (o morto, se non curato) ci possa essere. Muta continuamente. Esattamente come una pianta. Da un giorno all’altro sembra lo stesso, ma se lo si osserva per periodi lunghi si notano delle differenze enormi. E’ normale che sia così perché l’amore non ha vita propriala relazione non ha vita propria, ma si nutre attraverso i due sposi. Attraverso i gesti, la vita, le attenzioni, il tempo, la cura, il perdono, gli scontri, i litigi, dei due sposi.

L’amore si nutre della vita dei due sposi. Esattamente come i bambini che crescono nel grembo di una mamma. D’altronde l’amore non è forse una forza generativa? Non è forse vita? Così accade che in una vita insieme, due persone che, nonostante i loro limiti, si impegnano giorno dopo giorno a farsi prossimi all’altro e dono l’una per l’altro, diventano sempre più capaci di amarsi. Diventano sempre più comunione, sempre più un cuore solo. Il loro cuore diventa sempre più grande e capace.

Non solo accade questo. Accade anche che i loro cuori si riempiono di tutto l’amore che sono stati capaci di donarsi nella loro relazione. Come un forziere che si riempie del bene donato. Non so voi, io ricordo tantissimi episodi e gesti in cui Luisa mi ha fatto sentire profondamente amato, e queste sono perle che restano per la vita e che arricchiscono il nostro matrimonio e mi permettono di guardarla con uno sguardo pieno di questo bene ricevuto. Come uno di quei filtri della fotocamera del mio smartphone che mi permettono di rendere più bella la persona che riprendo.

In sintesi giorno dopo giorno diventiamo sempre più capaci di amarci. Per questo il massimo della mia capacità di amare Luisa nel 2002, quando ci siamo sposati, era molto meno di ciò che posso fare oggi. Oggi sono molto più capace di entrare in comunione con la mia sposa e per questo anche il rapporto fisico è molto più bello ora. Altro che stancarsi con il tempo. Diventa sempre più bello.

Per questo mi sentirei di fare un augurio diverso alle persone che si vogliono bene. Non direi loro amatevi come il primo giorno ma direi amatevi come se fosse il vostro ultimo giorno insieme, dando tutto, non risparmiando nulla. Sono sicuro che chi ama in questo modo è capace di un amore molto più profondo e grande.

Un’ultima considerazione. Anche il rapporto intimo diventa sempre più bello e sempre più profondo con il tempo. Già, perchè ciò che rinnova davvero quel gesto non è cambiare il modo o il partner, ma è l’amore degli sposi che giorno dopo giorno è sempre più profondo, più grande e più maturo. Oggi sono molto più capace di entrare in comunione con la mia sposa e per questo anche il rapporto fisico è molto più bello ora. Altro che stancarsi con il tempo. Diventa sempre più bello. Come il vino delle nozze di Cana. Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un po’ brilli, quello meno buono; tu invece hai conservato fino ad ora il vino buono (Gv 2, 10)

Antonio e Luisa

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Non sottovalutiamo i sacramenti!

I sacramenti sono uno strumento dirompente che abbiamo a disposizione e, in molti casi, ne facciamo scarso uso. Perché questo? Perché in fondo non ci crediamo tanto. Mi ci metto anche io che faccio una gran fatica ad entrare nella realtà trascendente dei sacramenti. Eppure, se ci pensiamo un attimo, essi sono davvero un dono immenso che Gesù ci ha dato. Traggono forza da Lui direttamente, dal Suo sacrificio sulla croce, dove ha pagato per tutti. Ha pagato per salvarci. Cosa significa salvarci nel nostro matrimonio? Significa che non soffriremo mai? No. Significa che faremo sempre la cosa giusta? No. Significa ridonarci lo sguardo delle origini. Lo sguardo di chi era in armonia con Dio Padre e di conseguenza capace di amare e di donarsi ai fratelli. Ecco, Gesù è morto in croce per restituirci quello sguardo.

Questo è vero in ogni ambito della nostra vita. Lo è ancor di più nel matrimonio, perché la relazione sponsale stessa è sacramento perenne dove Gesù è presente in modo reale e misterioso, in modo simile all’Eucarestia. Due sposi hanno questa grande possibilità di tornare ad avere l’uno per l’altra lo sguardo di Dio. Ecco che, quando ci sono problemi in famiglia o nella coppia, spesso non torniamo alla fonte del nostro amore redento, che sono appunto i sacramenti. Spesso ci sentiamo soli nella nostra sofferenza. Quando c’è qualche problema più grave ricorriamo a psicologi o psicoterapeuti. Che va benissimo. E’ importante capire la causa psicologica delle nostre fragilità per poterle conoscere, limitare e curare. Ma non basta.

Come prima cosa dovremmo tornare alle origini della nostra relazione, che sono proprio i sacramenti. Diceva un sacerdote che i sacramenti sono il modo di Dio per rendere visibile il Suo Amore e farsi presente nella nostra vita. Accostarci all’Eucarestia per essere uno con Gesù, riconciliarci con Lui attraverso la confessione e quando possibile fare l’amore tra noi sposi, perché quello è il nostro rito sacramentale specifico del matrimonio. Sono tutti modi per ritrovare quello sguardo delle origini indispensabile per vedere l’altro con lo stesso sguardo di Gesù, che nonostante il male subito ha continuato ad amare i suoi carnefici chiedendo a Dio di perdonarli. Fino all’ultimo.

Certo a volte sembra non servire. Ho in mente tanti amici che nonostante questo si sono separati. Un caro saluto a Giuseppe, Francesco, Ettore, Anna. Eppure ha funzionato anche per loro. Sì, perché, attraverso i sacramenti, hanno riacquistato quello sguardo che ha permesso loro di trovare la pace nella sofferenza dell’abbandono (che c’è e resta) e sono riusciti ad amare nonostante tutto il loro coniuge che li ha abbandonati, offrendo la loro sofferenza per lui o per lei. Non è un miracolo questo?

Antonio e Luisa

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Quanti errori in camera da letto

Oggi entriamo in camera da letto. Già perché c’è un problema. Un grande problema. Ne discutevo anche con un mio caro amico sacerdote. Lui sostiene che queste sono questioni sulle quali approcciarsi con pudore. In camera da letto lui non si sente di entrare. Eppure nella mia piccola esperienza di ascolto di coppie che fanno fatica ho capito che tanti problemi si annidano proprio lì. Nella camera da letto. Per questo dobbiamo superare questo pudore ed entrarci, non per voyaerismo, ma per farci aiuto concreto ai fratelli. Noi maschi spesso crediamo di sapere tutto sul sesso e su come appagare la nostra sposa. E’ davvero così? Non credo, tranne qualche eccezione. E’ vero che sappiamo tanto. Per anni ci siamo educati alla scuola pornografica. Ci siamo scambiati consigli ed esperienze con amici ignoranti come noi, se non peggio. Abbiamo avuto donne ignoranti quanto noi sull’argomento. Il risultato qual è? Spesso la donna non è gratificata dal rapporto sessuale nel matrimonio. Non prova piacere, si sente usata, a volte avverte dolore. A lungo andare tutto ciò porta la donna a rifuggire i momenti di intimità e porta frustrazione e lontananza tra gli sposi. Cercherò ora di sintetizzare gli errori più frequenti che noi uomini commettiamo, spesso inconsapevolmente (pensiamo di agire nel modo migliore), e che non permettono alla donna di vivere nella gioia e nella pienezza l’incontro intimo. Nel matrimonio, l’amplesso, è riattualizzazione del sacramento. Qualcosa di molto importante anche per noi cristiani, soprattutto, azzarderei dire, per noi cristiani.

  1. I preliminari non finiscono mai. Noi uomini siamo fatti così. Non tutti, ma molti. Abbiamo l’abitudine a separare nettamente il momento dell’amplesso dalla nostra vita di tutti i giorni. Siamo capaci di non guardare la nostra sposa per tutto il giorno, presi da tante preoccupazioni ed attività, salvo poi ricordarci di lei ed essere subito pronti per entrare in intimità con lei. Viviamo l’intimità quasi come affetti da bipolarismo. L’uomo amante non c’entra con l’uomo marito. Per la donna non funziona così. Trattarla così, soprattutto quando si è sposati, equivale a farla sentire usata e oggetto da cui trarre piacere. Qualcosa da tenere nello sgabuzzino e da tirar fuori quando ne sentiamo il desiderio. Invece i preliminari devono durare tutto il giorno e tutti i giorni. Uno sguardo, una carezza, un abbraccio, una telefonata, un gesto di servizio, ascoltarla, cercarla, dirle che è bella ecc. Insomma i preliminari possono e devono diventare corte continua. Solo così la sposa si sentirà desiderata e amata. Solo così l’amplesso fisico diventerà culmine e naturale conseguenza di quanto si è preparato durante tutto il giorno e non un qualcosa di avulso da tutto il resto.
  2. I preliminari sono per la donna. Uomo e donna sono diversi. Hanno tempi molto diversi per prepararsi all’amplesso. All’uomo spesso basta l’idea dell’incontro per essere pronto fisicamente. L’uomo si eccita con tatto e vista. Per la donna la natura ha previsto tempi e modi diversi. Per permettere al corpo della donna di modificarsi ed essere nella condizione ideale per la penetrazione servono dai venti ai trenta minuti. Cosa succede ai genitali della donna? In questo tempo la vagina si allunga internamente (non lo sapevate vero?) da circa 6/7 cm a circa 9/10 cm e l’utero si posiziona in maniera diversa per agevolare l’entrata del pene. Oltre ciò, durante i preliminari la vagina si lubrifica sia internamente che nella parte esterna (vulva). È diverso anche il modo di eccitarsi. L’uomo deve vedere e toccare, basta poco; la donna cerca altro, è più complessa. L’uomo così facendo, seguendo il suo desiderio, la sua modalità di cercare piacere, sta in realtà urtando la sensibilità della sua sposa. L’intimità fisica è trasformata in qualcosa di frettoloso e grossolano. In questo modo è impossibile vivere in pienezza e con gioia il rapporto. La donna vuole tenerezza, dolcezza, carezze, abbracci. Vuole percepire di essere preziosa e importante. Vuole sentirsi desiderata e amata. La pornografia mette al centro dei preliminari sempre l’uomo e i suoi genitali. Dimentichiamolo! Al centro deve esserci la sposa, con tutto il suo corpo e nel modo che piace a lei. I preliminari non sono tecniche eccitatorie per l’uomo (non sono sbagliate, ma non devono occupare tutto il tempo o quasi), ma gesti che sfamano il bisogno di tenerezza della donna; proprio perché l’uomo è già pronto fisicamente, rischia di fare una corsa perdendo di vista il bello del viaggio. I preliminari sono il tempo necessario a entrambi uomo e donna per entrare in comunione, l’uomo è già pronto fisicamente all’atto sessuale, ma ha bisogno di entrare in relazione con la donna per vivere in pienezza l’intimità, quindi non è solo attendere i tempi fisici della donna, sarebbe un’attesa sterile per il cuore. Perciò i preliminari sono indispensabili nell’intimità sessuale e sono gesti di tenerezza e dolcezza che rendono felice la persona amata.
  3. La penetrazione deve essere dolce e controllata. Se i preliminari sono stati vissuti come dialogo d’amore, l’amplesso diventerà il culmine di questo dialogo. Siamo dunque giunti alla compenetrazione dei corpi, che deve essere dolce e rispettosa. L’uomo entra dolcemente nel corpo della donna e lei lo accoglie in sé per formare insieme un solo corpo: espressione tangibile e concreta della fusione dei cuori, di quell’amore esclusivo, totale e per sempre che rende uno. San Giovanni Paolo II durante un incontro con le famiglie disse: L’unione dei corpi, voluta da Dio stesso come espressione della comunione più profonda ancora del loro spirito e del loro cuore, compiuta con tanto rispetto e tanta tenerezza, rinnova il dinamismo e la giovinezza del loro impegno solenne, del loro primo “sì”.
    La pornografia, al contrario, distrugge questa immagine. Non mostra delicatezza, ma ci insegna che più la penetrazione è violenta e profonda e più sarà piacevole per entrambi. Falsità! Riflettiamoci. Stiamo parlano del gesto più alto per esprimere
    amore al nostro amato, alla nostra amata. Stiamo entrando in un luogo sacro, il luogo dove nasce la vita e dove la coppia salda e accresce la propria unità! Luogo sacro della donna e luogo che è solo per lo sposo, che può e deve entrare con tutto il rispetto che quel dono richiede. E’ importante sottolineare, inoltre, che si devono rispettare le dimensioni anatomiche. Stando alla scuola pornografica, al contrario, sembrerebbe che non ci sono limiti… anzi, più il pene è lungo e grosso, più la donna sarà soddisfatta. FALSITA’. RIPETO: TUTTE FALSITA’. Cosa ho scritto nell’approfondimento dei preliminari? La vagina normalmente ha una profondità di 7 cm e quando è eccitata arriva a circa 10 cm. Cosa significa? Una cosa molto semplice da capire: il pene può entrare per quella profondità e tutta la parte in eccesso deve restare fuori. Diversamente se l’uomo segue i dettami della pornografia, cioè entra nella vagina con tutto il pene e con violenza, soprattutto quando lo ha di dimensioni superiori agli 11-12 cm, certamente impedisce ogni piacere per la donna, se non superficiale e limitato (spesso generando in lei anche sensi di colpa e sospetti di frigidità) e non di rado le provoca dolore, nei casi peggiori, escoriazioni ed emorragie. Capite la pornografia quanti danni provoca? In pronto soccorso, a volte i ginecologi devono curare lesioni postcoitali; le stesse che si verificano in caso di stupro… Può essere un simil-stupro un gesto d’amore?
  4. Restare uniti anche dopo. L’uomo, abbiamo detto prima, tende ad essere bipolare. Alcuni istanti dopo aver raggiunto il piacere può tranquillamente voltarsi dall’altra parte o messaggiare con l’amico sulla partita di calcetto del giorno dopo. Per la donna questa cosa è inconcepibile. Questa insensibilità dell’uomo può rovinare tutto e trasmettere alla donna la sensazione di essere stata usata. Lei ha bisogno di condividere la gioia di quel momento in un abbraccio profondo. E’ il momento dell’assimilazione della gioia. Una volta raggiunto il culmine del piacere e dell’unione, gli sposi (soprattutto lei) avvertono la necessità di un abbraccio finale. È un momento in cui si assapora e si gusta l’esperienza appena vissuta. Abbracciati e senza parlare, gli sposi assimilano la gioia della comunione profonda. Il piacere e la gioia sperimentati nella carne vengono assimilati dal cuore. Questa assimilazione porta un frutto di pace molto profondo. Una pace, una gioia, un amore e, vedremo con il sacramento, un’effusione di Spirito Santo, che ci daranno forza e sostegno nelle ore e nei giorni a venire.

Sono sicuro di una cosa. L’uomo che decide di mettersi in ascolto della sua sposa, e di vivere il rapporto fisico davvero come dono di sé verso la sua sposa, otterrà in cambio tantissimo. L’uomo che cercherà davvero di assecondare i desideri e la sensibilità della sua sposa anche nel talamo nuziale riuscirà a guarire miracolosamente i mal di testa della sposa e a donarle un’intimità che sarà gioia, pace e comunione vera. Spesso non è la sposa che non ha desiderio verso lo sposo. Cambiamo prospettiva. E’ lo sposo che non è capace di generare desiderio nella sua sposa. I concetti che ho espresso non sono solo frutto della mia esperienza personale e di ascolto verso gli altri, ma sono arricchiti della competenza e della preparazione della dott.ssa Luisa Scalvi, che ringrazio. Luisa è medico ginecologo. Ho cercato di sintetizzare quello che potete trovare scritto in modo più approfondito nel nostro libro L’ecologia dell’amore. 

Antonio e Luisa

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Mostrò loro le mani e il costato

Vorrei oggi tornare sul Vangelo di ieri, domenica in Albis e domenica della Divina Misericordia. Sapete perch[ la prima domenica dopo Pasqua è chiamata in albis? Deriva dalla tradizione. Durante i primi secoli i cristiani avevano la consuetudine di battezzare i catecumeni durante la veglia di Pasqua. I nuovi battezzati ricevevano una veste bianca che indossavano poi per l’intera settimana successiva, per poi deporla proprio la domenica seguente. Da qui il nome Domenica in albis (il nome completo sarebbe Domenica in albis vestibus depositis).

Torniamo ora al Vangelo di ieri. Come avete ascoltato durante la Messa, è stato proclamato il Vangelo dove Gesù appare due volte agli apostoli nel cenacolo. La prima volta senza la presenza di Tommaso e la successiva dove c’è anche l’incredulo apostolo. Quello che mi preme è riprendere un breve passaggio del Vangelo per evidenziare un atteggiamento del Risorto che potrebbe passare inosservato. Venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il costato.

Collocate questa immagine nel vostro matrimonio. Quegli apostoli nel cenacolo erano gli stessi che avevano abbandonato il Cristo, erano scappati nascondendosi. Pietro lo aveva addirittura rinnegato dopo che poche ore prima aveva promesso di rimanergli accanto in ogni situazione. Gesù entra e rompe il ghiaccio con pace a voi, un modo per riaffermare quel rapporto d’amore e d’amicizia che almeno dalla parte del Cristo non era mai venuto meno. Ricostruite nella vostra mente la scena. Gesù dice queste parole non nascondendo le ferite della passione e della crocifissione, ma al contrario le mostra. Ferite trasfigurate dalla Resurrezione ma che hanno lasciato, sul corpo glorioso di Gesù, segni evidenti.

Questo atteggiamento del Cristo può insegnare davvero tanto a noi sposi. Anche noi siamo pieni di ferite. Alcune aperte e sanguinanti, altre chiuse ma non ancora guarite del tutto, altre che hanno lasciato cicatrici. Le relazioni con le persone sono per noi vitali, nel senso che ci rendono vivi e non possiamo farne a meno, ma sono anche pericolose. Quante ferite abbiamo ricevuto proprio dalle persone che più abbiamo amato. I nostri genitori, i nostri fratelli e le nostre sorelle, i nostri amici, ed ora anche nostro marito o nostra moglie. Spesso non veniamo feriti per deliberata cattiveria. Semplicemente la relazione implica l’aprirsi a persone che come noi sono abitate dalla contraddizione della caduta, persone abitate dal peccato ed incapaci di amare in modo perfetto e infallibile. Succede che i nostri genitori possano farci del male con il loro comportamento. Non lo fanno perché non amano i figli. Non sanno amarli come Dio li ama, e mettono ciò che sono e ciò che possono dare in quella relazione d’amore. Anche io chissà quanti errori ho fatto e ancora farò con i miei figli. Chissà quante ferite dovranno guarire nelle loro relazioni future.

Tutta questa premessa per dire solo una cosa. Quando vi accostate a vostro marito o vostra moglie fatelo come ha fatto Gesù. Portate la vostra parola di pace e il vostro sguardo d’amore, ma fatelo non nascondendo le ferite. Mostratevi completamente perché quella pace che voi offrite non cancella tutte le sofferenze che avete passato, non sana le vostre ferite che continuano a sanguinare. Nascondere le ferite significa solo rimandare il problema e poi con il tempo esplodere con l’altro o implodere in sé stessi. Invece mostrandoci nudi nelle nostre fragilità potremo essere accolti ed amati. E’ lì che comincia per noi la vera resurrezione, la guarigione del male passato della famiglia di origine e del male presente della nostra relazione sponsale.

Antonio e Luisa

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L’amore non si può comprare

Torno a scrivere di Onlyfans (vi lascio il link all’articolo precedente) perché una notizia divenuta virale nei giorni scorsi mi ha sconvolto. Capisco che si tratta di un caso limite, che non è la “normalità” di chi usufruisce di questi “servizi”, ma è stato comunque scioccante. Paga 10.000 dollari per un abbraccio con ragazza di OnlyFans, lei con i soldi va in vacanza con il fidanzato. Questo è il titolo di una notizia che abbiamo potuto leggere in tantissimi siti di informazione. Un fatto quasi surreale che evidenzia chiaramente la povertà relazionale e la solitudine di tanti uomini e di tante donne del nostro tempo. Quanta solitudine da una parte e quanta superficialità dall’altra. Ma veniamo ai fatti.

Un ragazzo contatta una ragazza su Onlyfans e le offre 10’000 dollari solo per incontrarla ed abbracciarla. Sapete come funziona Onlyfans? Un breve recap per fare chiarezza per chi è un boomer come me e magari non è a conoscenza dell’esistenza e del funzionamento di questa piattaforma virtuale. Onlyfans è un social come lo sono Facebook e Instagram, ma con una differenza sostanziale: ogni creator (chi carica contenuti sulla piattaforma si chiama così) chiede un abbonamento mensile per accedere alle proprie gallerie video e fotografiche. Un abbonamento solitamente di pochi euro, ma che permette a chi riesce ad ottenere un alto numero di abbonamenti di racimolare somme ingenti di denaro. E non sono poche quelle donne che si arricchiscono così. Manco a dirlo spesso i contenuti sono più o meno espliciti e non di rado pornografici. Questo è quindi il contesto. La differenza con i video pornografici “tradizionali” è che in Onlyfans si crea una sorta di “relazione” virtuale tra la creator e gli abbonati, che possono interagire con lei in chat o in altro modo. Nella notizia che ho riportato c’è quindi uno di questi abbonati che finalmente è riuscito a coronare il suo sogno: incontrare dal vivo la sua creator preferita, che tanto lo ha fatto “innamorare”. E’ riuscito addirittura ad avere un contatto fisico con lei, per un momento è riuscito ad eliminare ogni barriera e a a ricevere addirittura un abbraccio da parte della ragazza. Il tutto per la modica cifra di 10’000 dollari.

Cosa spinge un ragazzo a spendere una tale somma per un abbraccio? Sembra davvero incomprensibile. Anche se quell’uomo fosse spudoratamente ricco e avesse soldi da buttare perché fissarsi con lei quando avrebbe potuto avere molto di più con una escort, magari anche più bella di quella ragazza che non sembra avere nulla di speciale, spendendo sicuramente molto di meno? Semplicemente lui voleva quella ragazza e non un altra. Tutti abbiamo nel cuore il desiderio di essere accolti ed amati per quelli che siamo e l’innamoramento (sicuramente quell’uomo a suo modo si è innamorato della proiezione ideale che si è fatto della ragazza) ci fa desiderare di essere accolti da quella donna e non da un’altra. Capite la povertà e la menzogna che c’è dietro tutto questo?

A fine anni novanta ed inizio duemila era molto conosciuta la pubblicità di Mastercard. Una pubblicità che proponeva diversi filmati dove veniva raccontato sempre un avvenimento speciale, un amore o un legame affettivo, un sentimento e poi tutte le storie si concludevano sempre con lo stesso slogan: ci sono cose che non si possono comprare per tutto il resto c’è Mastercard. Ve la ricordate? Come ad evidenziare l’ovvio. I soldi possono comprare ciò che è materiale e non le emozioni o i sentimenti. Oggi non è più così. Non è più ovvio. Quel ragazzo un po’ sovrappeso, che ha probabilmente grossi problemi di autostima e di accettazione di sé, pensa di poter comprare la considerazione di quella ragazza che lui vede come speciale. Lui vuole quella ragazza e non un’altra. Risponde ad una sana spinta ad uscire da sé per incontrare un tu in un modo completamente malato. Oggettivando la persona. Dandole dei soldi perché incapace di offrire sé stesso perché pensa di non valere nulla. Lo dicono tutti gli esperti: per amare gli altri devi prima di tutto amare te stesso. Lo dice anche Gesù nei Vangeli: Ama il prossimo tuo come te stesso. Non dice solo ama il prossimo tuo ma aggiunge come te stesso. Solo così potrai amare. Capite la povertà?

Parliamo invece di lei. In questo caso le è bastato abbracciare un ragazzo sudaticcio e grassottello per avere in cambio una consistente sommetta. Ma ne è valsa davvero la pena? Anche perché su quel social di solito non ci si limita ad un abbraccio ma si offrono contenuti dove quantomeno la creator si spoglia. Molti penseranno che non ci sia nessun male. Solo i soliti bigotti ci possono vedere qualcosa di sporco e di moralmente sbagliato. In realtà non è così. Abituarsi a vendersi, a vendere il proprio corpo, anche se solo virtualmente e senza un reale contatto carnale, crea una mentalità in chi lo fa. Abitua il creator a darsi un prezzo. A considerarsi quindi una cosa disponibile, naturalmente al “giusto prezzo”. Quindi anche in questo caso c’è di fondo una considerazione non adeguata di sé stessi. Non ci si ama davvero. Anche creator bellissime che hanno migliaia di abbonati in realtà non si amano perché si vendono come una merce in esposizione. E questo non può che portare scompensi a livello emotivo e psicologico. Lo dicono già i primi studi.

Alla fine la conclusione è sempre la stessa. Vogliamo evitare tutta questa povertà? Viviamo in una società che nella logica delle libertà sta oggettivando la persona umana. Onlyfans risponde alla stessa logica dell’utero in affitto. La nostra vita ha un prezzo. Il nostro corpo ha un prezzo. Questo distrugge il significato autentico della persona umana e dell’amore. Non lasciamoci corrompere da questa mentalità totalmente deleteria e sprezzante della dignità umana. Lasciamoci amare da Dio, sentiamoci figli amati e doniamoci completamente. Il matrimonio non richiede nessun abbonamento ma costa molto di più. Richiede il nostro per sempre ma in cambio non ci dà un amore farlocco ma uno capace di dare senso alla vita e a tutto ciò che ci accade. Noi siamo ricchissimi, siamo figli di Re! Testimoniamolo ai nostri figli e al mondo intero. Solo così potrà forse cambiare qualcosa. Concludo con un pensiero di papa Francesco che mette in evidenza l’inganno del nostro tempo, quello che non ci permette di sviluppare la nostra capacità di amare e non ci permette di crescere e di diventare ciò che siamo: immagine di Dio:

Amare come Cristo significa dire di no ad altri “amori” che il mondo ci propone: amore per il denaro – chi ama il denaro non ama come ama Gesù –, amore per il successo, la vanità, per il potere…. Queste strade ingannevoli di “amore” ci allontanano dall’amore del Signore e ci portano a diventare sempre più egoisti, narcisisti, prepotenti. E la prepotenza conduce a una degenerazione dell’amore, ad abusare degli altri, a far soffrire la persona amata. Penso all’amore malato che si trasforma in violenza – e quante donne sono vittime oggigiorno di violenze. Questo non è amore. Amare come ci ama il Signore vuol dire apprezzare la persona che ci sta accanto, rispettare la sua libertà, amarla così com’è, non come noi vogliamo che sia; come è, gratuitamente. In definitiva, Gesù ci chiede di rimanere nel suo amore, abitare nel suo amore, non nelle nostre idee, non nel culto di noi stessi. Chi abita nel culto di sé stesso, abita nello specchio: sempre a guardarsi. Ci chiede di uscire dalla pretesa di controllare e gestire gli altri. Non controllare, servirli. Aprire il cuore agli altri, questo è amore, e donarci agli altri. (Regina Caeli 9 maggio 2021)

Antonio e Luisa

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Ci sposiamo per gli altri

Uno degli ostacoli più grandi per la crescita spirituale è quello di credere di sapere tutto, aver capito tutto e di non aver bisogno così di ascoltare e approfondire: è un errore grave che spesso impedisce la conversione, di cui abbiamo bisogno ogni secondo, per correggere la nostra strada e tenerla orientata a Gesù Cristo, risorto. Mi sono trovato in questa condizione e quando l’ho capito, è stato come aver ricevuto un forte pugno nello stomaco, sono rimasto davvero senza fiato. Ricordo bene una delle volte in cui successo: ero con don Renzo Bonetti e lui ci fece riflettere su questo articolo del catechismo della chiesa cattolica, il numero 1534 (anno 1980): Due altri sacramenti, l’Ordine e il Matrimonio, sono ordinati alla salvezza altrui. Se contribuiscono anche alla salvezza personale, questo avviene attraverso il servizio degli altri. Essi conferiscono una missione particolare nella Chiesa e servono all’edificazione del popolo di Dio.

E’ un articolo che mi ha sconvolto, perché mi ha fatto capire subito quanto avevo sbagliato e quanti giovani che si preparano al matrimonio stanno sbagliando, come me a suo tempo. Tralasciando chi si sposa in chiesa per motivi futili (vestito bianco, foto più belle, bellezza della chiesa), qual è il motivo vero per cui viene fatta questa scelta? Ripensando a me, ero innamorato di una bella ragazza, volevo che Dio benedisse la nostra unione, affinché diventasse la mia sposa, per creare così la mia famiglia, nella mia casa. Non ho scritto a caso per tre volte la parola ”mia” e credo che nessuno avrebbe da ridire o troverebbe del male nelle mie buone intenzioni. Invece è completamente sbagliato, perché è il modo più veloce per mancare il bersaglio e finire male, come ho potuto sperimentare io personalmente e anche in tante altre persone. Sembra quasi un controsenso, ma ci si deve sposare per gli altri e se questo Sacramento ci permetterà un giorno di accedere al Paradiso, è SOLO in funzione di questo, di quanto avremo portato avanti la missione che ci è stata affidata con e per gli altri.

Quando vado a fare una testimonianza, di solito l’articolo 1534 è la prima citazione che faccio, perché i giovani devo almeno sapere le basi, anche se poi faranno fatica o non cominceranno subito a metterlo in pratica: non devono pensare che ricevono un Sacramento che “sistema” solo l’aspetto sessuale, così possono finalmente avere rapporti sessuali senza commettere peccato (è evidente che sarebbe una motivazione con poco senso). L’unità che si sperimenta durante l’unione fisica non deve restare all’interno della camera da letto, ma deve essere portata fuori con tutti: il piacere sessuale deve fornire le energie, la gioia e l’amore con cui svolgere la missione. Questo non vuol dire che gli sposi devono partire per un Paese straniero ad aiutare le persone povere: no, la missione deve essere svolta qui, con i vicini di casa che mi ritrovo, con i colleghi di lavoro, con gli amici e con tutte le persone che incontro (e quanto mai ce n’è bisogno in questo momento storico!).

Eppure non siamo capaci di metterla in pratica neanche la domenica, in chiesa, nella nostra parrocchia, durante la messa: basta guardare come scegliamo i posti a sedere ben distanti (il covid ha peggiorato le cose, ma stavano già andando male da prima), come guardiamo gli altri, quali parole usiamo (spesso per spettegolare) o quanto stiamo in silenzio (anche quando magari sappiamo che la persona vicina di panca sta vivendo un momento difficile e avrebbe bisogno di una parola di conforto o di amicizia: il detto “chi si fa i cavoli suoi, arriva a cento anni” è l’opposto del cristianesimo). Appena finita la messa, ognuno per i fatti suoi, neanche ci si saluta a volte, altro che fratelli e sorelle! (anche se pochi minuti prima abbiamo detto “Padre nostro”).

Una volta mi raccontavano che in qualche parte del mondo, come ad esempio in Africa, dopo la messa c’è un momento di condivisione con mangiare e bere per tutti, grandi e piccoli, è una bella iniziativa: altrimenti è inutile fare la comunione con Gesù che non vediamo, se poi non facciamo la comunione con gli altri che vediamo e tocchiamo. Inoltre, noi che andiamo alla messa domenicale, almeno con il pensiero, ci dovremmo preoccupare della stragrande maggioranza che non è venuta e che non conosce la bellezza di questo appuntamento con Gesù, perché Lui vuole salvare anche loro.

Così agli sposi è consegnato questo compito di usare il corpo per creare il Corpo di Cristo, cioè la famiglia grande: ci sono persone che solo noi possiamo abbracciare, essere loro vicine e prendercene cura. Siamo strumenti di Dio: chi può mostrare come Gesù ama, se non chi ha ricevuto il Sacramento del matrimonio e lo sperimenta quotidianamente nella relazione con l’altro/a? Ecco, cerchiamo di portare avanti la nostra missione sacramentale e ricordiamoci sempre che esistiamo come Sacramento prima di tutto per costruire ed edificare il popolo di Dio.

Ettore Leandri (Presidente Fraternità Sposi per Sempre)

Cosa ci ha lasciato la Pasqua?

Il lunedì dopo Pasqua è un giorno strano. É passata la botta emotiva della Veglia del Sabato Santo. É passata la domenica di Pasqua fatta di momenti in famiglia e di festa insieme. É come se la vita ordinaria fosse ricominciata. Sì è ancora un giorno di vacanza e si può fare la classica gita fuori porta, ma siamo tornati in un certo senso sulla terra dopo aver contemplato l’eternità di Dio e nutrito la nostra parte spirituale, quella più profonda. Cosa ci ha lasciato la Pasqua? Siamo come prima? Ricominciamo a vivere le nostre difficoltà, le nostre sofferenze, le nostre fatiche allo stesso modo di prima? Guerra, denatalità, crisi energetica ed economica torneranno a farci vedere tutto nero, senza speranza per il futuro? Nulla è quindi cambiato? Gesù è morto e risorto per niente allora?

Sono domande che faccio a me stesso. Questo blog è prima di tutto un modo per condividere pensieri ad alta voce con tutti voi. É una domanda decisiva. Perché, se davvero credo che Gesù è morto per me, se credo davvero che Gesù mi ama così tanto da dare la sua vita per me, se davvero credo che Gesù è risorto e ha sconfitto la morte, allora nulla può più essere come prima. La Pasqua credo serva soprattutto a questo. Per tanti serve a fare memoria di quanto avvenuto in quei giorni di circa 2000 anni fa. Solo per pochi però diventa molto più di una semplice celebrazione e di una memoria. Per alcuni diventa esperienza d’amore, diventa abbraccio di Gesù, diventa relazione concreta. Solo a questi ultimi la Pasqua cambia davvero la vita.

Per vivere davvero la Pasqua non basta essere religiosi, dirsi cattolici, sentirsi parte di un gruppo di persone che condividono con noi valori e riti. Serve diventare cristiani. Serve iniziare e perfezionare una relazione d’amore con Gesù da costruire ogni giorno. Come ogni altra relazione d’amore. Più di ogni altra relazione d’amore perché questo Amore diventa sorgente per ogni altro amore.

Quando riusciamo a fare questo salto di qualità nella nostra vita spirituale allora avviene una vera conversione. Conversione che non significa altro che cambiare direzione. Ecco è proprio questo. Sappiamo di avere una vera relazione con Gesù quando la nostra vita non è più la stessa. Quando siamo capaci di fare scelte che per altri sono folli. Quando il nostro amore diventa radicale. Quando nel nostro matrimonio siamo capaci di donarci l’uno all’altro davvero in modo incondizionato e gratuito. Quando vogliamo riempire l’altro del nostro amore e non pretendiamo che lui/lei riempia la nostra povertà come avviene per la maggior parte delle coppie. Il nostro matrimonio è la nostra cartina al tornasole anche di come sta la nostra fede. Quando siamo lì, a pesare ogni volta quanto l’altro ci sta dando e quanto stiamo dando noi, a pensare a quanto ci convenga stare con lui/lei, a valutare quanto ci fa stare bene significa che anche in Gesù cerchiamo la stessa cosa. Gesù diventa un mezzo per riempire le nostre paure, il nostro bisogno di non sentirci soli in questo mondo difficile, ma non lo stiamo amando. Lo stiamo usando esattamente come stiamo usando il nostro coniuge.

Coraggio Antonio datti da fare perché la strada è ancora lunga. Il matrimonio con Luisa mi ha permesso di intraprendere un cammino, Pasqua dopo Pasqua mi sento sempre più vicino a Gesù, ma ancora non sono un cristiano vero. Non riesco ancora a fidarmi fino in fondo. C’è una parte di me che ancora fa resistenza, c’è ancora tanto egoismo in me, però so che la strada è quella giusta e non voglio smettere di percorrerla.

La Pasqua è passata ma la nostra relazione con Gesù ricomincia ogni giorno. Tutta la nostra vita passa da una domanda che Gesù rivolge ad ognuno di noi: Chi dite che io sia? (Marco 8, 29) domanda che ribalto sul nostro matrimonio: Cosa è il nostro matrimonio? Un modo per riempire dei bisogni affettivi e sessuali o la nostra strada per essere santi e per imparare ad amare e a lasciarci amare?

Antonio e Luisa

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