Lo Spirito Santo fa la differenza

Cari sposi,

            oggi celebriamo la terza solennità, per importanza, dell’anno liturgico, la Pentecoste, il Cinquantesimo giorno dalla Pasqua in cui lo Spirito Santo entra pienamente in azione e diventa protagonista della storia della salvezza fino ai giorni nostri.

Non posso fare a meno di stagliare il Vangelo odierno sulla situazione che vivo da quasi due settimane e cioè il lavoro di recupero dai danni dell’alluvione nella mia terra. C’è una foto che ha fatto il giro del Web ed è di un ragazzo in sedia a rotelle che a Forlì sta spalando fango come tutti. Impressionante e commovente solo vederlo, segno di una volontà e tenacia fuori dal comune. Questo esempio, come dei tanti che si vedono in giro da queste parti, dimostra che è l’atteggiamento interiore, è la forza d’animo, è la motivazione che segna lo spartiacque nella vita. O per dirla da credenti: è lo Spirito Santo che fa la differenza nella vita di fede.

Per voi sposi è fondamentale la collaborazione attiva con il Paràclito, dal momento che siete chi siete, cioè sposi in Cristo, per sua grazia, per una sua speciale effusione dal giorno del vostro matrimonio. Don Carlo Rocchetta dice giustamente che ben pochi ne sono consapevoli di questo e vivono come se non esistesse lo Spirito nelle loro vite. Vi dico una delle tante motivazioni per cui è di vitale importante per voi che siate docili al Dolce Consolatore: per poter vivere con pienezza ed equilibrio l’essere una sola carne. Il rischio di esagerare in un senso o in un altro c’è eccome: o si accentua la diversità dei due e ci si incammina verso il divenire due binari paralleli che non comunicano più davvero benché coabitino oppure uno fagocita l’altro, pretendendo di cambiarlo. Papa Benedetto su questo ha un’espressione molto chiara e motivante: “Vorrei soffermarmi su un aspetto peculiare dell’azione dello Spirito Santo, vale a dire sull’intreccio tra molteplicità e unità. Di questo parla la seconda Lettura, trattando dell’armonia dei diversi carismi nella comunione del medesimo Spirito. Ma già nel racconto degli Atti che abbiamo ascoltato, questo intreccio si rivela con straordinaria evidenza. Nell’evento di Pentecoste si rende chiaro che alla Chiesa appartengono molteplici lingue e culture diverse; nella fede esse possono comprendersi e fecondarsi a vicenda. San Luca vuole chiaramente trasmettere un’idea fondamentale, che cioè all’atto stesso della sua nascita la Chiesa è già “cattolica”, universale” (Omelia, 11 maggio 2008).

Due in una sola carne, un’unità duale. Sembra un assurdo, un paradosso, come la quadratura del cerchio, eppure è proprio perché c’è lo Spirito in azione che una coppia cristiana può viverlo. Cari sposi, concludo parafrasando il grande patriarca ortodosso Atenagora (1886-1972), uno dei grandi propugnatori dell’ecumenismo: “con lo Spirito tutto, senza lo Spirito nulla”. Che in questa Pentecoste lo Spirito susciti in voi l’entusiasmo per renderlo sempre più parte della vostra vita.

ANTONIO E LUISA

Lo Spirito Santo che ci è donato diventa comandamento di vita. Dobbiamo collaborare con lo Spirito Santo, accoglierlo in noi oppurre non possiamo vivere da sposi cristiani. Spirito che è certamente sostegno, ma è anche impulso, pungolo, provocazione che ci chiede un continuo progredire nel diventare ciò che siamo. Uno Spirito che ci chiede di svegliarci, di aprire gli occhi e di rimboccarci le maniche. Chi meglio dello Spirito Santo, che è unione e relazione può aiutarci a progredire nella nostra unione ed amore? Le coppie di santi, che ci sembrano così perfette ed inarrivabili, non sono state più brave e migliori di noi perchè erano supereroi, ma perchè sono state più furbe. Avevano capito che dovevano lasciar fare allo Spirito Santo e così hanno raggiunto livelli altissimi. Cosa che tutti noi possiamo raggiungere se lasciamo spazio allo Spirito Santo. Chiara Corbella diceva: “Chiedo a Dio la Grazia di vivere la Grazia”. Chiara aveva capito e viveva in pienezza la sua missione. Era davvero aperta all’azione dello Spirito. Non era meglio di noi, o meglio lo è diventata perchè più è stata più furba di noi.

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Tu seguimi, non badare agli altri

Cari sposi,

siamo giunti all’epilogo di questi 50 giorni di Pasqua, che formano come un solo giorno dedicato alla Risurrezione. Il tempo cronologico difatti non coincide con quello liturgico. Abbiamo ripassato in lungo e in largo durate questo periodo tutto quello che Gesù ha predetto sulla sua risurrezione e ci siamo estasiati contemplando quel poco che ci condividono gli Atti e i Vangeli sulla convivenza di Gesù Risorto con gli apostoli.

La scena di oggi avvenne qualche giorno dopo la risurrezione, il tempo di tornare in Galilea da Gerusalemme e Gesù li stava aspettando là per convivere con loro e finire di trasmettere tante verità del Vangelo. Un bel mattino Pietro prende su barca e reti e torna a fare quello che ha sempre fatto fin da bambino: pescare in lago. Anche altri sei lo seguono, tra cui Giovanni. Sappiamo bene come sono andate le cose, la pesca miracolosa, la colazione preparata da Gesù stesso sulla riva, il commovente dialogo con Pietro. E poi questo epilogo curioso in cui trapela una certa rivalità tra Pietro e Giovanni, peraltro mai esacerbata né dall’uno né dall’altro.

Gesù che conosce il cuore di Pietro come le sue tasche coglie l’occasione per ricordargli il primato della sequela. “Non badare a quello che fanno gli altri, non farti condizionare, tu pensa a seguire me”. Sante parole! Quanto spesso invece ci succede che vorremmo sempre trovare un ambiente accogliente in cui vivere la fede, ci piacerebbe essere assecondati, spalleggiati, se non addirittura applauditi per quello in cui crediamo.

E quanto questo può succedere in una coppia che vuole vivere la fede! Ci sono tante aspettative sugli altri, il che è senza dubbio giusto essendo la coppia una sola carne ed avendo una vocazione ben precisa. Ma qui Gesù ci ricorda, e lo fa pure a voi sposi cristiani, che, così come ognuno di noi ha la propria storia, così anche ognuno di noi ha il suo modo di seguire Gesù. Nessuno è la copia esatta di un’altra persona. Ognuno di noi deve essere anzitutto testimone in prima persona nel seguire Gesù e poi viene la condivisione di quanto si è e si crede. Ci sono coppie in cui uno solo dei due fa un cammino e questo fa soffrire tanto ma quanto dice il Signore è assai consolante, perché Lui ci chiede una risposta personale e non vuol far dipendere il nostro cammino da come viene recepito dagli altri, fosse anche il coniuge.

Cari sposi, accogliamo questo invito ma anche questa sfida non facile a fissare lo sguardo su Gesù, sullo Sposo e confidiamo che questo porterà sempre frutto per la perseveranza nella fede del vostro coniuge.

padre Luca Frontali

Il segreto del matrimonio? Farci piccoli!

Ci sono dei momenti della vita in cui vorremmo dire: adesso basta! Non ti sopporto più! Ho tollerato abbastanza. Lui/lei sembra approfittarsi del nostro amore. Tutto l’impegno che ci mettiamo eppure non capisce. Continua a commettere sempre gli stessi errori. La misura è colma. Luisa quando è particolarmente irritata da un mio comportamento reiterato mi dice immancabilmente: allora dillo che lo fai apposta!

Anche noi cristiani, quando il nostro sposo o la nostra sposa cade sempre negli stessi errori, abbiamo la forte tentazione di reagire in questo modo. Forse è vero che quel suo atteggiamento può darci irritazione e magari anche sofferenza. Forse è vero che facciamo sempre più fatica a tollerarlo. Noi che invece siamo così bravi, noi che ci meriteremmo di essere ricambiati in ben altro modo e l’altro che non capisce quanto sia fortunato ad averci sposato. Spesso, non lo ammetteremmo mai neanche sotto tortura, pensiamo proprio così. Ed è proprio questo modo di pensare che non funziona. Significa contare solo sulle nostre forze. Significa continuare a tollerare gli sbagli dell’altro perchè noi siamo meglio, siamo più bravi. Arriva però un punto che non riusciamo più a tollerare. Perchè umanamente abbiamo finito la capacità di crescere, abbiamo raggiunto il massimo di quello che potevamo dare. E adesso? Cosa fare?

Prima di esplodere abbiamo una grande opportunità. Adesso abbiamo l’occasione di tornare a ragionare e ad amare l’altro come cristiani. Come Cristo ci ama. Santa Teresina scrisse una cosa che mi ha sempre colpito: quando non puoi più crescere fatti piccoloLa soluzione è farci piccoli. Smettere di pensare a quanto siamo bravi e belli per riconoscerci deboli. Io ho vissuto momenti così. Incapace di donarmi a Luisa per chi era. Mi sono riconosciuto incapace di prenderla tutta, di prendere il pacchetto completo, con tutti i suoi pregi, che mi hanno fatto innamorare e che ancora mi piacciono, ma anche con i suoi difetti. Li ho capito. Solo facendomi piccolo posso decentrare la mia attenzione da me e dalle mie pretese per spostarla su di lei. Solo riconoscendomi debole potrò farmi piccolo e inginocchiarmi davanti a Gesù. Solo così potrò liberare il mio cuore dalle mie aspettative e permalosità per far posto allo Spirito Santo. Il matrimonio è una cambiale in bianco che Gesù ha firmato e ci ha consegnato tra le mani. La cifra la possiamo mettere noi. Non si tira indietro. A noi è chiesta solo la fatica di riconoscere di averne bisogno, che da soli non riusciamo. Quando sono debole, è allora che sono forte.

Ci sono tre step fondamentali per imparare ad amare davvero. Mi riconosco debole, mi riconosco incompleto (ma che non posso essere completato da una persona per quanto possa essere bella e brava), mi riconosco amato da Dio. Solo affrontando questi tre passaggi avremo la capacità di fare il salto di qualità nella vita e nel matrimonio. Questo è un po’ il percorso che tutti noi, prima o poi, dobbiamo affrontare. Solo se intraprendiamo il percorso per guarire la nostra affettività, che spesso ci rende dipendenti, possiamo amare davvero l’altro. Saremo forti proprio perchè nella debolezza avremo fatto esperienza di Dio e l’altro non avrà più il potere di farci troppo male e di distruggerci nello spirito, come invece sovente avviene in tante coppie. Se da soli non ne veniamo fuori si può sempre ricorrere a uno psicoterapeuta. Sempre però per recuperare la nostra consapevolezza di valere e di essere amati a prescindere dall’altro. Per portare nella relazione la nostra ricchezza per riempire l’altro/a e non la nostra povertà per svuotare l’altro. C’è una breve storia di Bruno Ferrero che ci può far riflettere e forse può far comprendere meglio quanto ho voluto condividere:

Il padre guardava il suo bambino che cercava di spostare un vaso di fiori molto pesante. Il piccolino si sforzava, sbuffava, brontolava, ma non riusciva a smuovere il vaso di un millimetro.
“Hai usato proprio tutte le tue forze?”, gli chiese il padre.
“Sì”, rispose il bambino.
“No”, ribatté il padre, “perché non mi hai chiesto di aiutarti”.

Pregare è usare tutte le nostre forze.

Antonio e Luisa

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Guarigione affettiva: presupposto necessario per parlare di amore

Qualche giorno fa mi capita sotto agli occhi un articolo dove si parlava di due donne che si sono unite in un’unione civile davanti ai loro figli, avuti da precedenti relazioni. Preferisco non citare il giornale che pubblicava il pezzo, né i luoghi e i nomi delle persone coinvolte, perché mi preme molto di più riflettere su tematiche urgentissime nel nostro tempo e che riguardano tutti: in primis la differenza tra “infatuazione” e “amore”; in secondo luogo, il legame che può esserci tra “scelte avventate” e “ferite affettive pregresse”. Il giornalista metteva in chiaro, fin dall’inizio, che nell’articolo si sarebbe trovato “materiale in abbondanza” per “mandare in tilt” i sostenitori delle cosiddette “famiglie naturali”. Poiché mi trovo tra costoro (nel rispetto delle persone che la pensano diversamente, credo sia la relazione coniugale di un uomo e di una donna il fondamento della famiglia) incuriosita da questo incipit, che aveva tutta l’aria di preludere a qualcosa di rivoluzionario al suo interno, ho proseguito la lettura.

La prima cosa che mi è ha “mandato in tilt” è stato vedere che si parlava di “amore”, quando la relazione in questione aveva tutti i tratti di un’“infatuazione”. Andiamo con ordine. Protagoniste della vicenda sono due donne, entrambe sopra ai trent’anni, le quali si sono “unite in matrimonio” – così scriveva il giornalista – “lasciandosi alle spalle le precedenti relazioni”. Queste due donne avevano più di un figlio ciascuna, da altre storie, alcuni adolescenti, altri molto piccoli (sotto ai 10 anni). Le due mamme si conoscevano da tempo – si tenevano aggiornate sulle rispettive gravidanze ecc. – ma tra loro c’era una semplice amicizia. Entrambe avevano, appunto, una famiglia. Ad un certo momento, hanno iniziato a messaggiarsi, fino a passare delle notti sveglie per parlarsi e hanno sentito sbocciare un’attrazione tra di loro. Un giorno si sono incontrate e c’è stato un bacio. Un mese dopo questo bacio hanno iniziato a parlare di “matrimonio”. (Infatti, una ha chiesto all’altra di “sposarla” … sì, dopo appena un mese).

Senza voler giudicare la vita di nessuno (non spetta di certo a me!), ammetto che mi sono posta delle domande. La prima è stata dove si trovassero i padri dei loro figli mentre le due donne messaggiavano tutta la notte. Nell’articolo non si capisce se ci sia stato un tradimento oppure se le due si fossero incontrate da single…

Se erano storie già concluse, forse avevano lasciato delle ferite tanto profonde da far desiderare una fuga? (Me lo domando non perchè sono omofoba o perchè mi piace viaggiare con la fantasia, ma perché ho ascoltato la testimonianza di una ragazza che mi raccontava proprio questo. Era sposata con un uomo che faceva uso compulsivo della pornografia e lei si sentiva “trattata come un oggetto” nella sfera intima. Un giorno mi ha detto, molto seria: “Se dovessi riaccompagnarmi con qualcuno, sarà con una donna!”).

Forse le storie precedenti di queste due mamme hanno generato delusione, rammarico e un’immensa sete di comprensione?Se invece le due donne erano ancora sposate, forse non c’era reale comunione?

Non conosco bene la vicenda, ma parlo di quello che vedo nelle mie conoscenti e nelle persone che mi scrivono: una relazione dove non c’è profonda unità – o peggio, si verificano abusi o si vive male l’intimità – lascia un senso di amara solitudine. Questo può portare a cercare affetto altrove (talvolta, purtroppo, ovunque), senza, però, prima aver risolto e sanato le ferite generate da quella relazione nociva. E se due mamme parlano di “matrimonio” dopo un mese dal primo bacio, è giustificato chiederselo: cosa c’è nel loro passato?

Non sto scrivendo questo articolo per fare l’inquisizione, nè per generare pettegolezzi, ma perchè simili storie le leggono tanti giovani alla ricerca di sè stessi. Il giornalista dice che il pezzo è pensato per mandare in tilt chi difende la famiglia naturale… ma il pezzo, in realtà, a prescindere dalla comprensione della famiglia che si ha, ha tutte le carte in regola per mandare in tilt chiunque pensa che delle scelte importanti (e vincolanti per intere famiglie!) vadano soppesate con cura e prudenza…

Personalmente, troverei sconcertante sentir parlare di matrimonio dopo un mese di frequentazione (soprattutto quando si hanno dei figli a cui render conto delle proprie azioni!) anche se si trattasse di un uomo e di una donna. Queste storie mi fanno pensare che abbiamo bisogno urgente – ma che urgente? Di più! – di evangelizzatori che si prendano a cuore in modo particolare l’educazione all’affettività dei giovanissimi, che li aiutino a comprendere il peso delle proprie scelte, prima che finiscano in relazioni che lacerano i loro cuori e lasciano questo vuoto.

I ragazzi hanno bisogno – e diritto! – di sapere come costruire storie solide, che diano senso e pienezza alla vita. Come vivere un serio discernimento.

I nostri lettori conoscono la comprensione che abbiamo della famiglia (sposiamo, infatti, la visione del Magistero della Chiesa, che poggia sul Vangelo), ma lascia perplessi che anche chi abbia una comprensione diversa della famiglia esalti scelte così affrettate, senza intravedere dietro a tutto questo delle fragilità, che, forse, hanno bisogno di essere sanate (anche nell’interesse dei figli, che prendono come primi modelli relazionali proprio i genitori!).

Dopo cinque mesi dal primo appuntamento arriva la celebrazione dell’unione civile in comune davanti ai bambini e ai ragazzi delle due donne. La storia si conclude così: “‘Gli abbiamo detto come stavano le cose. Ci hanno detto: ‘Vediamo come sorridete, come siete felici, e lo siamo anche noi’. Più facile di così…”

Proprio questo lascia perplessi: sembra tutto troppo facile. Senza giudicare nessuno (auguriamo tutto il bene del mondo a queste donne e alle persone loro care) ai ragazzi che ci leggono vorrei dire: non abbiate fretta, scavatevi dentro, fate discernimento, cercate di capire quello che vi sta succedendo, risolvete la vostra affettività e infine sappiate che, anche in un mondo iper-sessualizzato come il nostro, si possono sperimentare ancora amicizie vere anche senza erotismo, nella gratuità. Cercatele e le troverete.

Cecilia Galatolo

Attraverso le nostre ferite traspare l’oro di Dio

Quando ci sposiamo, spesso tutto ci sembra perfetto e pensiamo che niente potrebbe arrivare a rovinare quell’amore così bello, così innocente e viscerale che ci ha portati a promettere una vita per sempre insieme: effettivamente questo è l’effetto dell’innamoramento che fa vedere solo una parte di realtà, quella più bella e ideale. Tuttavia, in ogni relazione, prima o poi, si arriva a comprendere che non è proprio possibile vivere sempre sulla luna, ma è necessario fare i conti con la realtà: le fatiche quotidiane, il lavoro, le incomprensioni, le divergenze di atteggiamento, i cambiamenti di personalità dovute a molteplici esperienze e l’educazione dei figli sono solo alcuni esempi. D’altra parte è da illusi ritenere che le farfalle continueranno a volare nel nostro stomaco per tanti anni, la perfezione non è di questo mondo.

Quando avvengono momenti o periodi difficili, questo non deve però spaventarci, fa parte del gioco e anzi è proprio quello il momento in cui è possibile crescere nella relazione, cioè quando si continua a dire “sì” e a rimanere, nonostante i problemi da affrontare: è un segno di maturità, un’occasione per dare una svolta e modificare quello che non va bene. A volte accade proprio quello che non vogliamo e che ci spaventa, altre volte siamo proprio noi a creare delle ferite negli altri, involontariamente, solo perché anche noi ci portiamo delle ferite, spesso generate nella nostra famiglia di origine (per quanto i nostri genitori si siano impegnati e ci abbiano amato, hanno commesso degli errori, perché solo Dio può amare in modo perfetto). Anch’io tante volte mi sento inadeguato nell’educare le mie figlie, sono sempre in bilico tra azioni energiche e lasciar correre, poi quando agisco, mi viene da pensare che forse avrei fatto meglio a fare diversamente. Chissà quante ferite dovranno guarire nelle loro relazioni future per causa mia!

Le ferite più grandi le riceviamo proprio dalle persone che più amiamo o che abbiamo amato: oltre ai nostri genitori, i nostri fratelli e le nostre sorelle, i nostri amici, le nostre storie d’amore, le persone che sono venute a mancare e ora anche nostro marito o nostra moglie. La separazione è una grande ferita, una tragedia peggiore anche di un lutto, perché il morire fa parte del ciclo vitale, si nasce, si cresce e si muore, lo sappiamo fin da piccoli, ma è molto più difficile accettare che una persona che ti ha promesso amore per tutta la vita, con la quale ti sei confidata e con la quale hai condiviso tutto, gli aspetti più intimi e l’unità fisica, ad un certo punto ti dica: “Io non ti amo più, non voglio più avere niente a che fare con te. È davvero uno tsunami, un terremoto fortissimo che ti mette in crisi e in ogni caso, cambia la tua vita.

Naturalmente questa croce è ancora più deleteria per i figli che avrebbero bisogno, per crescere correttamente, di un papà e una mamma che si vogliono bene: si creano delle ferite molto grandi. Ma in tutto questo quadro negativo c’è una bella notizia, le ferite possono essere curate. Come? In alcuni casi anche con un supporto psicologico, ma per esperienza, la psicologia aiuta, ma ha dei limiti, non può rispondere a delle domande profonde come Perché mi è successo questo? Perché soffro così tanto? Qual è il senso di quello che mi accade? Come posso perdonare? È possibile trasformare questo male in bene per me e per gli altri?. Ecco allora che entra in gioco la fede: solo con Gesù è possibile guarire delle ferite e fare in modo che le ferite si trasformino in feritoie, cioè aperture in cui passa la luce. Gesù quando è risorto, mostra tutte le ferite, perché non si possono cancellare, ma solo trasformare, anche perché sono il simbolo dell’amore immenso che ha avuto per noi.

A tale proposito esiste la tecnica del Kintsugi (“kin” (oro) e “tsugi” (riunire, riparare, ricongiungere)), una tecnica giapponese che significa letteralmente “riparare con l’oro”: consiste nel restauro di oggetti di ceramica rotti, assemblandoli con delle colature di oro. In questo modo le ceramiche rotte diventano non solo più belle, ma anche più preziose e soprattutto, uniche al mondo. Tale pratica nasce dall’idea che, dall’imperfezione e da una ferita, può nascere una forma ancora maggiore di perfezione, sia estetica che interiore: questo è molto bello, perché tutti noi ci portiamo dietro delle ferite, fanno parte della nostra vita, non devono essere nascoste; chi ci ama infatti deve prendersi carico anche delle nostre fragilità e accoglierci per quello che siamo. La ferita infatti può essere il terreno fertile in cui agisce la potenza di Dio: è lì che cominciano la vera resurrezione e la guarigione. Quando avviene questo, la coppia sperimenta cosa sia davvero morire a sé stessi e rinascere a una nuova vita, a una nuova fase di relazione ancora più salda e più bella, un livello nettamente superiore! (infatti, la ricostruzione fa diventare creature nuove).

Quando mi sono separato, in un certo senso mi sono “rotto” in tanti pezzi, ma sono stato riparato e rimesso in sesto da Dio che ha fatto colare l’olio della Sua grazia, della Sua consolazione, della Sua gioia e del Suo Amore in tutte le mie fratture: questo lo ritengo un miracolo nella mia vita e la mia rottura ha creato lo spazio per l’azione di Dio.

Ettore Leandri (Presidente Fraternità Sposi per Sempre)

Gli sposi? Una campagna pubblicitaria per Gesù

Dagli Atti degli Apostoli (At 19,1-8) Mentre Apollo era a Corìnto, Paolo, attraversate le regioni dell’altopiano, scese a Èfeso. Qui trovò alcuni discepoli e disse loro: «Avete ricevuto lo Spirito Santo quando siete venuti alla fede?». Gli risposero: «Non abbiamo nemmeno sentito dire che esista uno Spirito Santo». Ed egli disse: «Quale battesimo avete ricevuto?». «Il battesimo di Giovanni», risposero. Disse allora Paolo: «Giovanni battezzò con un battesimo di conversione, dicendo al popolo di credere in colui che sarebbe venuto dopo di lui, cioè in Gesù». Udito questo, si fecero battezzare nel nome del Signore Gesù e, non appena Paolo ebbe imposto loro le mani, discese su di loro lo Spirito Santo e si misero a parlare in lingue e a profetare. Erano in tutto circa dodici uomini. Entrato poi nella sinagoga, vi poté parlare liberamente per tre mesi, discutendo e cercando di persuadere gli ascoltatori di ciò che riguarda il regno di Dio.

Ci stiamo avvicinando alla grande festa di Pentecoste e la Chiesa ci prepara al tema dello Spirito Santo. I primi passi della Chiesa nascente (narrati anche in questo brano) sono di una vitalità straordinaria, di sicuro dovuta al fatto che erano ancora vivi i Dodici che avevano vissuto con Gesù, complice anche il fatto che S. Paolo è un convertito di non poco conto, con grandi doti umane perfezionate dalla Grazia, uno che ha vissuto un’esperienza di intimità col Cristo unica nel suo genere. Sta di fatto che da queste prime esperienze di evangelizzazione possiamo trarre tutti gli insegnamenti possibili sull’attività principale, se non addirittura unica, della Chiesa intesa come prolungamento di Cristo nel tempo: l’evangelizzazione.

Il mondo pensa che la Chiesa sia un fenomeno da relegare all’ 8×1000, una sorta di associazione benefica, una tra le tante Onlus con intenzioni pacifiche, ma il cuore pulsante della Chiesa non sta in qualche opera di volontariato (opere pur sempre necessarie e doverose), bensì nell’evangelizzare il mondo, nel portare Cristo tra gli uomini e gli uomini a Cristo, tutto il resto viene di conseguenza.

Purtroppo anche all’interno della Chiesa c’è questa corrente umanitaria che sembra aver preso il sopravvento sull’opera spirituale, ci sono cascate anche tante coppie di sposi, ma se leggiamo con attenzione il brano sopra riportato scopriamo che la prima opera della Chiesa è quella spirituale, quella umanitaria viene dopo, passa in secondo grado, è una conseguenza logica della prima. Senza la necessaria opera spirituale, l’azione umanitaria perde forza, non è più così prorompente, e perde il senso del proprio esistere.

Paolo non cincischia con gli abitanti di Efeso, va dritto al sodo, al nucleo per cui la sua presenza trova senso in quella città: «Avete ricevuto lo Spirito Santo quando siete venuti alla fede?». Perché venire alla fede senza Spirito Santo equivale ad essere monchi, come un’ automobile senza motore. Per vivere la fede e vivere di fede è necessario lo Spirito Santo, il quale ci santifica e ci vivifica dal di dentro; se è l’anima a dare vita al corpo e se è lo Spirito Santo a vivificare l’anima, allora il nostro corpo, quando vive nella Grazia, è una sorta di campagna pubblicitaria dello Spirito Santo che cammina. Dovremmo divenire simili a quei furgoni che girano per le nostre città con le pubblicità giganti oppure simili a quegli aerei con la pubblicità attaccata dietro che vediamo spesso volare sopra le nostre teste quando siamo in spiaggia al mare.

Quando si incontrano due sposi cristiani dovremmo leggere tra le righe quella campagna pubblicitaria dello Spirito Santo.. quando arrivano domande del tipo: Dove trovano la forza per amare/amarsi così? Cos’è che dà loro questa vitalità? La risposta dovrebbe essere: lo Spirito Santo. Noi lo abbiamo già ricevuto e lo incontriamo nei Sacramenti, ma la Sua presenza da sola non basta per santificarci, è necessario il nostro contributo, è necessario farLo abitare in stanze sempre più grandi dentro di noi, perché si comporta come un ospite delicato, rispettoso, riservato e discreto. Cari sposi, dobbiamo riscoprire questo ospite dolce dell’anima che è lo Spirito Santo, per farlo bisogna accostarsi spesso ai Sacramenti ed invocarlo ogni giorno in qualunque circostanza per qualunque esigenza, farlo insieme è ancora meglio.

Da ultimo vogliamo farvi notare come S. Paolo stette ad Efeso: <<discutendo e cercando di persuadere gli ascoltatori di ciò che riguarda il regno di Dio.>>. Anche in questo caso, l’azione primaria è l’evangelizzazione. Forse non tutti abbiamo capacità oratorie e la dialettica di S. Paolo, ma sicuramente dobbiamo saper essere pronti a rendere ragione della nostra fede, non importa se con parole semplici o con parole dotte, non importa se con 10 parole o con un discorso di 10 ore, se parliamo pieni di Spirito Santo la persuasione e la eventuale conversione sarà opera nostra con l’aiuto dello Spirito Santo (vista dalla parte umana), ma sarà soprattutto opera dello Spirito Santo che si è servito della nostra (povera ma necessaria) opera.

Coraggio quindi cari sposi, non abbiate paura di risultare antipatici o fuori moda se parlate col piglio dell’evangelizzatore, ci sono tante anime che aspettano le nostre povere parole, ma forse sono quelle decisive per cambiare vita.

Giorgio e Valentina.

Manca il desiderio nella coppia? La soluzione non può essere la pornografia.

Torno sul discorso pornografia. Alcuni giorni fa feci un articolo al riguardo. Un articolo che è stato molto apprezzato e condiviso. Questo mi fa molto piacere. Non tutti i commenti sono stati positivi come è normale che sia. Ognuno di noi ha delle idee e una storia che ci portano a pensare anche in modo diverso su determinate situazioni. Voglio riprendere una delle obiezioni ricevute perché mi permette di approfondire meglio il discorso.

Dipende! L’assenza di eros nella coppia è peggio, fidatevi!

Questa persona ci sta dicendo che a volte la pornografia può essere positiva se riesce a risvegliare il desiderio di avere una vita sessuale nella coppia. Sta dicendo anche un’altra cosa, forse ancora più importante: la pornografia aiuterebbe a risvegliare l’amore. Già perché l’eros nell’insegnamento morale della Chiesa è una manifestazione dell’amore. Ma stanno proprio così le cose? Facciamoci aiutare da chi queste dinamiche le ha analizzate e le ha insegnate in quella meravigliosa raccolta di catechesi che è la Teologia del Corpo. Mi riferisco naturalmente a papa Giovanni Paolo II. E poi mi direte voi se la pornografia può essere in grado di favorire davvero l’Eros. Metto in evidenza un pensiero del Santo polacco espresso nell’udienza del 5 novembre 1980.

Se ammettiamo che l’”eros” significa la forza interiore che “attira” l’uomo verso il vero, il buono e il bello, allora, nell’ambito di questo concetto si vede anche aprirsi la via verso ciò che Cristo ha voluto esprimere nel Discorso della montagna. Le parole di Matteo 5,27-28, se sono “accusa” del cuore umano, al tempo stesso sono ancor più un appello ad esso rivolto. Tale appello è la categoria propria dell’ethos della redenzione. La chiamata a ciò che è vero, buono e bello significa contemporaneamente, nell’ethos della redenzione, la necessità di vincere ciò che deriva dalla triplice concupiscenza. Significa pure la possibilità e la necessità di trasformare ciò che è stato appesantito dalla concupiscenza della carne. Inoltre, se le parole di Matteo 5,27-28 rappresentano tale chiamata allora significano che, nell’ambito erotico, l’”eros” e l’”ethos” non divergono tra di loro, non si contrappongono a vicenda, ma sono chiamati ad incontrarsi nel cuore umano, ed, in questo incontro, a fruttificare. Ben degno del “cuore” umano è che la forma di ciò che è “erotico” sia contemporaneamente forma dell’ethos, cioè di ciò che è “etico”.

Capisco che papa Giovanni Paolo II non è mai tanto semplice nelle sue analisi, anche quando si rivolge ai fedeli. E’ un fine teologo e filosofo e questo traspare nella complessità del suo pensiero. Per questo cercherò di rendere semplici e fruibili alcuni concetti chiave.

L’eros attira l’uomo verso il bello, il buono e il vero. La pornografia può mai attirare verso il bello? L’eros è una forza che spinge l’uomo (inteso come maschio e femmina) ad aprirsi all’altro. L’eros mi ha attirato verso Luisa, mi ha dato la forza di uscire dalla mia solitudine e dal mio sguardo ripiegato su me stesso, sulle mie esigenze, sulle mie emozioni, e mi ha dato la forza di volgere lo sguardo verso una alterità, una persona diversa da me. Mi ha dato la forza di voler bene a Luisa, di volere il suo bene. Anche quando facciamo l’amore per me è importante che stia bene lei, che si senta amata lei, che riceva i gesti da parte mia che più le piacciono, che la facciano sentire preziosa e al centro delle mie attenzioni. La pornografia può permettere questo tipo di relazione? Oppure la pornografia conduce l’uomo a ripiegarsi sulle sue fantasie e ad usare l’altro come strumento per metterle in atto?

Eros e Ethos si incontrano nell’amore vero. Giovanni Paolo II dice un’altra cosa importante. L’ethos non è contro l’eros. Al contrario l’ethos permette di realizzare l’eros in modo pieno. Cosa significa? L’ethos non è altro che la nostra responsabilità di agire secondo la nostra coscienza e la legge naturale universale. L’ethos è reso concreto dalla morale cattolica, cioè da tutte quelle regole e norme che ci sembrano tanto frustranti. In realtà il Papa ci dice che se vogliamo fare esperienza di un amore pieno ed autentico anche nel corpo dobbiamo cercare di viverlo in modo pienamente umano ed ecologico. Quelle regoline ci permettono di fare l’amore davvero. Ci permettono di vivere la nostra sessualità di maschio e di femmina in modo di riuscire a realizzare quello che siamo: una sola carne. Ci permettono di essere sempre più uno nell’altra e insieme uno nell’amore. La pornografia può permettere questo?

L’assenza di eros è peggio. Torniamo ora sull’affermazione della lettrice. Ha ragione quando scrive che l’assenza di eros (intende credo desiderio sessuale) sia un grave problema della coppia. Ma la soluzione non può essere nella pornografia. La pornografia stimola risposte basiche a livello pulsionale. E’ una falsa soluzione che aggrava solo la situazione allontanando sempre di più la coppia. Se non si crea comunione neanche durante il rapporto sessuale, è davvero grave. Se la persona c’è col corpo ma è distante presa dalle sue fantasie, con chi si sta unendo? La soluzione è un’altra. La soluzione si trova nella relazione. Incominciate a prendervi cura di voi, a prendervi del tempo, a corteggiarvi, a mettere l’altro al centro di attenzioni e di cura e vedrete che il desiderio tornerà, il desiderio buono, quello che spinge alla comunione, ad una comunione che esiste nei cuori e che si vuole concretizzare nel corpo.

Antonio e Luisa

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La nostra speranza è nei cieli

Cari sposi,

            scrivo nel bel mezzo dell’alluvione che ha colpito la Romagna nei giorni scorso. Mi trovo con i miei famigliari mentre spaliamo fango e buttiamo via tante cose belle del nostro passato. Un fatto sconvolgente, che ti cambia la vita e lo sguardo su tutte le cose, ti fa sentire estremamente impotente quando pensavi che mai cose del genere sarebbero potute accadere a te. Meditando il Vangelo del giorno, riguardante l’Ascensione, la salita di Gesù con la sua persona intera al Cielo, non potevo non continuare a pensare al fango che si è insinuato ovunque e che porto ancora sotto le unghie.

Il Cielo, la vita eterna, la comunione con Gesù e i santi… quanto poco medito su questa realtà oggettiva e vera! Ma mentre buttavo via, con un nodo in gola, ricordi di famiglia, libri di valore appartenuti ai nonni, oggetti che provengono da generazioni addietro mi chiedevo: dov’è la mia speranza? Dove ripongo il mio cuore? A quale certezza mi “attacco”? È così che questa solennità meravigliosa deve farci guardare sempre in alto. Non è affatto un caso che l’albero rovesciato, con le radici protese verso l’alto, affondate nella Trinità e il resto del tronco, con il diffuso fogliame, immerso nel mondo sia uno dei simboli più antichi della Chiesa e dei cristiani.

Cari sposi, questa festa è per voi in modo speciale, voi che vivete nel corpo la vostra chiamata nuziale e tramite quel corpo del coniuge siete chiamati ad andare in Cielo. Che belle parole usa Papa Francesco per esprimere questa verità: “Quella persona, con tutte le sue debolezze, è chiamata alla pienezza del Cielo. Là, completamente trasformata dalla risurrezione di Cristo, non esisteranno più le sue fragilità, le sue oscurità né le sue patologie. Là l’essere autentico di quella persona brillerà con tutta la sua potenza di bene e di bellezza. Questo altresì ci permette, in mezzo ai fastidi di questa terra, di contemplare quella persona con uno sguardo soprannaturale, alla luce della speranza, e attendere quella pienezza che un giorno riceverà nel Regno celeste, benché ora non sia visibile” (Amoris Laetitia 117).            

Che l’Ascensione di Gesù ridia vigore e slancio a questo sguardo profondamente verticale che dobbiamo avere sulla realtà che ci circonda, in modo che possiamo vedere ogni cosa che abbiamo e usiamo attraverso il prima della speranza cristiana.

ANTONIO E LUISA

Cosa ci dice l’Ascensione? Ci dice che non perderemo nulla di ciò che abbiamo qui, ma tutto sarà trasfigurato e reso pieno anche il nostro corpo. E il nostro matrimonio? Quello finirà perché non avrà più motivo di perdurare. Il matrimonio serve per amare Dio attraverso il coniuge. Nella vita eterna ameremo Dio direttamente. Ma resterà l’amore. L’amore sarà l’unico bagaglio che porteremo con noi nella vita eterna. Davvero possiamo pensare che i coniugi Quattrocchi, i coniugi Martin, Pietro e Gianna Beretta Molla, e tante altre coppie che hanno incarnato un amore matrimoniale stupendo poi non ne portino i segni anche nella vita eterna? Non ci credo. Di sicuro, più che una certezza è una speranza, resterà un’amicizia particolare. Sono sicuro, per quanto mi riguarda, che Luisa avrà un posto speciale nel mio cuore anche in Paradiso. Tutto quello che ho costruito con lei in questa vita non si cancella, non si resetta. Tutti i gesti di tenerezza, di cura, di intimità, di perdono, di ascolto, di presenza, di condivisione di gioie e dolori, tutte queste esperienze restano impresse in modo indelebile nel mio cuore. Il giorno della mia morte lascerò tutto qui in questa vita. Nella mia valigia porterò solo il mio cuore, l’amore dato e ricevuto e lei ne è parte integrante. Sono sicuro che il giorno del nostro matrimonio, il 29 giugno 2002, è iniziato un amore che durerà per sempre. 

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Il matrimonio secondo Pinocchio /3

Una volta messosi d’accordo con l’amico, comincia il terzo capitolo così:

<< Geppetto, tornato a casa, comincia subito a fabbricarsi il burattino e gli mette il nome di Pinocchio, prime monellerie del burattino>>

Con fine comicità l’autore racconta le prime monellerie del burattino, ma prima di tutto ciò:

<< Che nome gli metterò ? – disse fra sé e sé. – lo voglio chiamar Pinocchio. […] Quando ebbe trovato il nome al suo burattino, allora cominciò a lavorare a buono, e gli fece subito i capelli, poi la fronte, poi gli occhi. >>

Manteniamo ancora l’immagine di Geppetto come simbolica del Padre per aiutarci nella riflessione. E’ significativo che la prima cosa a cui pensi Geppetto sia il nome. Il nome non è un semplice orpello, non è una sorta di soprammobile che se c’è o non c’è fa lo stesso. Se ci pensiamo bene ognuno di noi avrà chiesto almeno una volta ai propri genitori il motivo del proprio nome, o se non l’ha chiesto ad essi, sicuramente se l’è chiesto tra sé e sé.

Per lo sviluppo armonico della persona è di fondamentale importanza il nome, lo sanno bene i fratelli di una famiglia numerosa, i quali conoscono bene il tempo che hanno a disposizione prima che la madre pronunci il loro nome dopo aver passato in rassegna i nomi di tutti gli altri figli. A volte succede anche a noi di confondere al telefono la voce di una figlia per un’altra, la reazione non è delle migliori, e bisogna stare attenti a non confondere i nomi dei professori nonché dei compagni di classe… un errore è considerato un mancato riconoscimento della propria identità anche se fatto notare con ironia. Quanto è importante il nome che abbiamo, e di solito la prima volta che lo abbiamo sentito è uscito dalla voce di mamma o papà, quando lo sentiamo pronunciato con dolcezza e tenerezza ci sono buone notizie all’orizzonte, ma quando lo sentiamo gridato oppure digrignato tra i denti sono guai e cerchiamo rifugio dalle ciabattate in arrivo.

Molti nomi vengono storpiati o modificati con vezzeggiativi, nomignoli, soprannomi o altro, e non è raro trovare persone più affezionate a quel soprannome perché non amano il proprio nome reale; ci sono altre persone che amano di più il nomignolo col quale le chiamava il nonno o la nonna ad esempio; ci sono persone che si arrabbiano qualora si sentano chiamare col loro vero nome anziché col soprannome, le reazioni sono le più disparate; ci sono poi persone che per fare carriera hanno cambiato il proprio nome in un nome d’arte; altri artisti nascondono per una vita intera la loro vera identità dietro il nome d’arte; vengono usati pseudonimi per ragioni militari come gli 007 oppure pensiamo ai falsi nomi usati dagli organi di polizia per agire in incognito; ci sono poi i nomignoli usati dagli adolescenti innamorati per comunicare tra loro in privato; ci sono gli odiati nomignoli che ci siamo sentiti ripetere mille volte dalla mamma, nonna, zia, pseudo-zia o altra persona, nomignoli con i quali continuano a chiamarci anche se siamo adulti e che ci fanno andare su tutte le furie; alcuni usano il soprannome solo con gli amici mentre i suoi familiari ne sono ignari in casa; di alcune persone si conosce il vero nome solo al funerale; ci sono altri nomignoli, soprannomi e appellativi che i genitori usano inconsapevolmente a danno dei propri figli, quali : “campione, genio, stordito, patatone/a, ciccino, amorino del papà, amore della mamma, gioia, stella, cucciolone/a, tesoro, ecc… ; ci sono poi i nomi imposti da rigidi protocolli come quelli di re e regine, nomi decisi molto tempo prima che la creatura sia stata concepita.

Come possiamo notare, il nome non è qualcosa di aggiunto a noi, esso è parte integrante di noi, delinea in qualche modo anche la nostra personalità, il nostro futuro, la nostra missione nel mondo. Ma per il cristiano c’è ancora qualcosa in più, Gesù così si esprime nel Vangelo di Luca: <<rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli.>>(Lc 10,20)

Se dunque Geppetto è figura del Padre, scopriamo che ognuno di noi, ancor prima di venire all’esistenza in questo mondo, non solo esisteva in qualche modo in mente Dei, ma ancor di più, è stato chiamato per nome fin dall’eternità, ed il nostro nome è, per usare una metafora, nell’elenco degli invitati al banchetto di nozze eterno.

Inoltre nel libro di Isaia il nostro nome ha anche un’altra accezione, è segno di appartenenza a Colui che da sempre ci ha amato e sulla Croce ce lo ha dimostrato, un’appartenenza di cui dobbiamo riscoprire sempre più l’orgoglio e la fierezza: <<Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni.>> (Is 43,1)

Care famiglie, i nostri nomi dicono molto di noi, dobbiamo imparare ad usarli bene, a pronunciarli con amore e rispetto, non possiamo disprezzarli, dobbiamo ridare loro la dignità filiale e regale insieme… dignità filiale perché figli di un Padre e regale perché, anche se monelli, siamo pur sempre figli di un Re. Coraggio famiglie, questa settimana abbiamo la possibilità di rieducarci a chiamare i nostri cari col loro nome, ed impegnarci affinché sentano il proprio nome pronunciato con tenerezza, con amore, con rispetto, con dignità. Ma il nome più bello, più soave e più dolce che le coppie e le famiglie devono sempre avere sulle labbra e nel cuore è il santissimo nome di Gesù, del quale esistono anche le litanie.

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Giorgio e Valentina.

Pornografia: un parassita nel matrimonio

C’è un parassita nel nostro matrimonio. Uno di quelli che non si vedono tanto ma possono fare dei danni enormi nell’intimità della coppia e nella relazione tutta. Mi riferisco alla pornografia. Ho pensato di fare questo articolo dopo l’ennesima confidenza da parte di una sposa che ha scoperto che il marito era completamente dentro questa situazione dannosissima. Spesso la donna arriva a scoprirlo dopo tempo. Se ne accorge perché ci sono problemi nell’intimità che sembrano dipendere da tutt’altro. Eppure quando ci sono problemi nell’intimità spesso dipende dalla pornografia.

Non sentitevi al sicuro. La pornografia riguarda un numero elevatissimo di persone. Tocca trasversalmente cristiani e non, sposati e non, giovani e più maturi, uomini e donne (seppur le donne in numero nettamente minore). Quindi statisticamente (non voglio giudicare nessuno né mettere zizzania nella coppia) è più probabile che questo brutto parassita sia presente anche nel vostro matrimonio. E tu che parli?, penserete voi. Anche io purtroppo faccio parte della maggioranza che ne ha fatto uso, ne ho capito i pericoli e la menzogna, ma ne porto ancora i segni nel cuore. Attenzione quindi!

La pornografia fa bene? Si avete capito bene. Non è una domanda provocatoria. Molti lo pensano davvero. C’è una fake news che gira e che è ormai entrata nel modo di pensare comune. La pornografia farebbe bene alla coppia perché aumenterebbe il desiderio sessuale. Ma è davvero così? In un certo senso sì. Accende sì il desiderio ma non di unirsi alla moglie, non di creare comunione. Tutt’altro. La moglie diventa solo lo strumento per mettere in atto le fantasie provocate dai video o dalle immagini visti. La moglie non è più una persona a cui donarsi e da accogliere ma diventa un corpo da usare. È questo il desiderio che cerchiamo? Vivere l’intimità in questo modo non riempie il cuore. Spesso tanta aridità sessuale della coppia nasce da questo. Non si fa esperienza di comunione. Altre volte l’uomo che fa uso di materiale pornografico non prova più desiderio verso la moglie. Sapete perché? Perché la nostra vita è stressante. Abbiamo tanti impegni e siamo stanchi. Fare l’amore bene costa fatica, c’è una relazione, c’è una persona che ha bisogno di tenerezza e di cura. Molto meglio soddisfarsi da soli guardando un video pornografico e fantasticando. Non c’è impegno di nessun tipo. Ma poi cosa resta?

Se ti vuole usare te ne accorgi! A una domanda specifica su come cambia il modo di fare l’amore di chi guarda pornografia, Piergiorgio medico sessuologo, mi ha risposto in modo molto chiaro.

Il marito non riesce ad avere più rapporti teneri con la propria moglie. In genere vale per tutti. Questo accade perché la donna è vista come un oggetto per il proprio appagamento sessuale. Perché ricercare la tenerezza (è il linguaggio dell’amore ndr) quando l’unico scopo è trarre un piacere sessuale? La donna viene usata. Se noti, nei video pornografici la donna non è una persona che ha pensieri o sentimenti. È una che ha solo desiderio di fare sesso. Quindi l’uomo la usa per questo. Tra l’altro, è importante metterlo in evidenza, non c’è bisogno di una relazione. Guardando la pornografia questa dinamica è molto evidente. Quindi il sesso è un qualcosa che si può avere in qualsiasi momento e in qualsiasi modo, senza bisogno di relazione. È come far ginnastica. Qualcosa di piacevole da fare lì per lì e poi venirne fuori. Qualcosa da consumare. Si dice, non a caso, consumare pornografia. Qualcosa che provoca una tensione, una agitazione, che deve essere consumata nel più breve tempo possibile. Quello è ciò che conta. Non la relazione, non la tenerezza, non l’amore. Questo non accade solo tra i giovani, ma anche tra coppie mature, già formate da tempo. Coppie che hanno nel cuore il desiderio di avere una sessualità normale e bella. Questo però non accade. Nella sessualità non si può mentire. È dove il corpo si incontra con il cuore. Se la persona che hai di fronte la vedi come oggetto, si capisce da come la tratti.

Cosa vi chiede di fare? Questo è un altro campanello d’allarme. Chi fa uso di pornografia di solito non desidera l’unione dei corpi come cosa più importante. Chi fa uso di pornografia chiederà insistentemente due tipologie di sesso: il sesso orale e il sesso anale. Di questi argomenti ne ho parlato specificatamente in altri articoli. Perché sono quelli più esaltati dalla pornografia. L’uomo che fa uso di pornografia desidera fortemente che la moglie si presti a questi gesti e trae piacere soprattutto da questi gesti e non tanto dalla penetrazione. Vi rendete conto? La pornografia distrugge completamente la comunione tra i due sposi. La donna che si presta a questo modo di vivere la sessualità difficilmente si sentirà amata e desiderata.

La pornografia non è la causa ma un sintomo. L’uso di pornografia spesso nasconde delle ferite del cuore che investono tutta la persona. Passare il tempo a guardare video pornografici permette un’evasione dalla realtà. Perchè c’è questa necessità? Va approfondito questo aspetto. A chi si trova in questa situazione consiglio di rivolgersi all’associazione Puri di cuore che da anni si spende per aiutare quelle persone che cadono nella pornografia, anche se non ne sono dipendenti. E’ un associazione senza scopo di lucro fondata sul lavoro gratuito di volontari. Collaborano anche professionisti come psicoterapeuti e medici.

Fare l’amore è la cosa più bella che c’è nel matrimonio. Cerchiamo di liberarci da tutta la menzogna di una sessualità falsa e di riappropriarci della capacità di trasformare l’incontro dei corpi in un’esperienza di comunione meravigliosa, dove l’orgasmo non è che la ciliegina sulla torta di un piacere molto più profondo ed intenso che viene dall’unione dei corpi e dei cuori. La cosa bella sta proprio in questo: più passa il tempo e più l’intimità diventa bella perché è il nostro amore ad essere più pieno e la nostra comunione più autentica. La pornografia rovina tutta questa bellezza.

Antonio e Luisa

Nel nostro nuovo libro affrontiamo questo tema e tanto altro inerente l’intimità. Potete visionare ed eventualmente acquistare il libro a questo link.

L’attesa è già gioia

Ciao cari sposi, l’ultimo nostro articolo, è stato a marzo, sui fuorischema di Dio nel nostro matrimonio. Abbiamo raccontato di noi, dei nostri due anni e mezzo di matrimonio e del fatto che non abbiamo ancora figli naturali. Ora, torniamo a voi, con questo articolo dove parleremo dell’attesa. Non l’attesa di un figlio biologico, ma di un figlio spirituale, dato dalla vocazione del nostro matrimonio cristiano.

Ogni coppia di sposi, infatti, ha una specifica chiamata di Dio, una vocazione, una missione che cammin facendo, scopre e con cui realizza la pienezza di vita e il Volto di Dio per umanità. C’e’ chi ha adottato figli o li ha avuti in affido, chi ha aperto una casa famiglia, chi é andato in missione, chi aiuta le famiglie e/o i fidanzati e/o i consacrati, chi apre la propria casa per farne cenacolo di preghiera e tanto altro, la creatività di Dio é infinita! 

Per scoprirla, ci vuole tanta preghiera, l’ascolto della Parola di Dio, il discernimento, l’adorazione, serve tempo, spazio, pazienza, silenzio, ascolto, guida spirituale, corsi, libri, testimonianze, condivisioni con gli Amici più avanti di noi nel cammino. Come ogni chiamata di Dio non si improvvisa, non si fa il fai da te, perché sostituendosi a Lui si fanno solo disastri e si dura poco.

Cosi, ultimamente, abbiamo fatto dei corsi per sposi, specificatamente dai frati minori ad Assisi e con Mistero Grande di don Renzo Bonetti. In questi corsi, abbiamo imparato che in primis bisogna essere fecondi tra noi coppia di sposi, io con mio marito e lui con me. Piccoli gesti quotidiani di tenerezza e di affetto, di attenzione reciproca, dialogo profondo, complicità, perdono, intimità e sessualità, vissute con bellezza, dono, incontro e verità. Da questa fecondità, nasce la missione specifica degli sposi, verso gli altri, verso chi li circonda, esattamente lì dove sono, nella realtà e nel tempo in cui vivono. La missione stessa, va incontro agli sposi!

Già anche solo l’attesa, quindi, porta frutto. L’attesa vissuta così da gioia, perché ci unisce di più, non è tempo perso, non è passività, non è subire. È come l’attesa per il seme seminato in terra che diverrà una pianta, o come un fiore che deve sbocciare e che diventerà  frutto, frutto che maturera’ e sarà colto e mangiato. Con il mio.padre spirituale, ho scoperto la mia vocazione, che é il matrimonio cristiano; mio marito é il volto di Dio per me, ed io lo sono per lui. Ora insieme scopriremo il Volto di Dio per noi.

Auguriamo, quindi, a tutti voi sposi, se non lo avete ancora fatto, di scoprire la vocazione della vostra coppia. Indipendentemente dal fatto che abbiate o meno figli, perché la vocazione è più di questo, ed é per tutti, non è mai troppo tardi per scoprirla ed è bellissimo!

Se volete, ci trovate su facebook.

Grazie e a presto !

Buon Cammino a tutti

Paola & G.

Sposi, re nell’amore

Cosa significa essere re. E poi, cosa significa essere re nel nostro matrimonio? Già, se vogliamo essere degli sposi santi o almeno decenti dobbiamo prenderci carico della nostra regalità. Essere re non è solo bello ma costa fatica. Costa fatica soprattutto per noi cristiani che abbiamo un Re che si è fatto mettere in croce. Ma non se ne scappa, perseguire la nostra regalità è il solo modo per essere liberi e quindi felici. Una delle persone più regali che credo esista è san Francesco. Tanto re da essersi “inventato” la perfetta letizia. Il fraticello di Assisi spiega molto bene cosa significhi, lo fa nei suoi fioretti rispondendo a fra Leone: Fra tutte le grazie dello Spirito Santo e doni che Dio concede ai suoi fedeli, c’è quella di superarsi proprio per l’amore di Dio per subire ingiustizie, disagi e dolori. Capisco che parole così fanno venire il mal di pancia e cozzano completamente contro la nostra idea di felicità. Però questa è la strada. Dio non ci chiede di arrivare ai livelli di Francesco ma di iniziare un cammino di piccoli passi possibili per avvicinarci sempre di più alla perfetta letizia.

San Francesco lo aveva intuito anche se non era certo uno studioso e un teologo: è un dono dello Spirito Santo. La nostra regalità, cioè la nostra capacità di amare nella libertà, è un dono del battesimo. Il battesimo ci rende uno con Cristo e tra i tanti doni che riceviamo c’é anche la regalità di Gesù. Il battesimo ci dà la capacità di amare al modo di Gesù e il matrimonio finalizza quel dono primariamente verso il nostro coniuge.

Dopo questa premessa necessaria, arriviamo adesso al libro. Un libro in cui credo tantissimo, perchè ci ho messo dentro venti anni di matrimonio con Luisa, ci ho messo anni di formazione sull’argomento e poi ad arricchire il tutto c’è la sapiente conoscenza di padre Luca Frontali (laureato in scienze della famiglia e teologia del matrimonio) e di Arianna e Kevin che lavorano da tempo nell’ambito educativo. E poi, se tutto questo non bastasse, ci sono tante testimonianze di amici. In questo testo abbiamo deciso di affrontare la nostra regalità in tre diversi ambiti: il dono gratuito (l’amore matrimoniale è gratuito ed incondizionato), la castità (essere casti e liberi nell’esprimere la nostra sessualità) e l’educazione (essere genitori non perfetti ma capaci di aiutare i nostri figli a diventare quell’uomo o quella donna che sono).

Dono gratuito. Ci siamo avvalsi del bellissimo Inno all’amore di san Paolo declinato sapientemente da papa Francesco nel quarto capitolo di Amoris Laetitia. Cosa significa amare con pazienza, con benevolenza, amabilmente, umilmente e tanto altro ancora? Lo raccontiamo nella prima parte. Con la certezza che nessuno di noi sia perfetto, ma con impegno e volontà possiamo migliorare giorno dopo giorno.

Castità. La castità è l’ambito in cui ci spendiamo maggiormente. Perchè ci piace, perchè è sempre stato il nostro punto debole, ma soprattutto perchè se ne parla troppo poco. La castità non é frustrante, non ci chiede di rinunciare ad un piacere immediato in cambio di un pugno di mosche. Tutt’altro! La castità ci educa ad amare in pienezza e nella verità e questo rende non solo il sesso migliore, ma tutta la nostra vita più bella. Abbiamo affrontato il tema partendo da lontano. La castità è infatti per tutti. Abbiamo arricchito l’esposizione con testimonianze di vita reale. Non solo la nostra di fidanzati prima e sposi poi, ma anche con quelle di un sacerdote, di una suora, di un fidanzato, di un uomo con tendenze omosessuali e di una sposa che cura da anni il marito non pienamente autosufficiente.

Infine l’educazione. Spesso ci giudichiamo come genitori con troppa poca misericordia. I nostri figli non sono perfetti, noi non siamo perfetti. Dio non ci chiede la perfezione. Ci chiede solo una cosa: riportateli a me! Ecco non lasciamoci scoraggiare se i nostri figli adolescenti non hanno magari voglia di dire il rosario e di andare a Messa. Non scoraggiamoci se un po’ più grandi andranno a convivere. Noi abbiamo il compito di testimoniare che la vita ha un senso e il senso è in Cristo. E’ importante mettere questo seme e poi al tempo giusto sarà Dio stesso a farsi presente nel loro cuore. Coraggio non smettiamo di crederci.

Se vi ho incuriosito potete visionare ed eventualmente acquistare il libro a questo link. In ogni caso avanti tutta impariamo sempre di più ad essere re.

Antonio e Luisa

L’ accoglienza è femminile.

Dagli Atti degli Apostoli (At 16,11-15) Salpati da Tròade, facemmo vela direttamente verso Samotràcia e, il giorno dopo, verso Neàpoli e di qui a Filippi, colonia romana e città del primo distretto della Macedònia. Restammo in questa città alcuni giorni. Il sabato uscimmo fuori della porta lungo il fiume, dove ritenevamo che si facesse la preghiera e, dopo aver preso posto, rivolgevamo la parola alle donne là riunite. Ad ascoltare c’era anche una donna di nome Lidia, commerciante di porpora, della città di Tiàtira, una credente in Dio, e il Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo. Dopo essere stata battezzata insieme alla sua famiglia, ci invitò dicendo: «Se mi avete giudicata fedele al Signore, venite e rimanete nella mia casa». E ci costrinse ad accettare.

Oggi ci lasciamo stuzzicare da questo breve passaggio descritto nel libro degli Atti per mettere a fuoco una caratteristica che si vive nel matrimonio: l’accoglienza femminile. Di solito la Parola di Dio non contiene troppi particolari descrittivi riguardo alle circostanze in cui un fatto è avvenuto, anzi, spesso è piuttosto scarna ed essenziale; per esempio di Zaccheo sappiamo solo il nome e che era il capo dei pubblicani, ricco e piccolo di statura… quattro elementi ma quelli essenziali per inquadrarlo subito e perché il resto non interessa ai fini della salvezza. Nel Vangelo di Giovanni troviamo questa utile spiegazione:

<<Questi testi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel Suo nome. […] Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù, che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere.>>

Se dunque sono arrivate a noi solo quelle pagine utili alla nostra salvezza, cosa vorrà dire a noi la vicenda di questa Lidia? Innanzitutto è significativo che le donne trovino ampio spazio nella Bibbia, considerando che la società in cui si svolgono gli eventi era una società di stampo maschilista, le donne vivevano un po’ ai margini della vita pubblica e politica, e forse questo è uno tra i motivi per cui la dignità della donna viene posta sullo stesso piano di quella dell’uomo nella Parola di Dio. Vogliamo ribadire che questa parità tra i due sessi creati da Dio è parità nella dignità, lo abbiamo ripetuto spesso su questo blog – citando l’immutato Magistero di sempre – , maschio e femmina sono come le due facce della stessa medaglia, differenti ma complementari; solo rispettando le differenze che i due sessi portano con sé si compie – seppur con tanti limiti – il disegno originale della Creazione.

Ma torniamo alle donne del brano di oggi: come per Zaccheo, anche di Lidia sappiamo alcuni particolari, ci pare che il più rilevante tra essi sia quel credente in Dio, evidentemente non ancora credente nel Signore Gesù. La nostra prima riflessione: in questo tempo pasquale la Chiesa non si stanca di ripeterci in tutte le salse che quel Gesù appeso alla Croce è il Figlio di Dio, il Cristo, l’Unto, il Messia tanto atteso e che il Suo Sacrificio come Agnello di Dio è NECESSARIO per la nostra salvezza, NON C’E’ altro nome nel quale possiamo essere salvati. In sostanza non è sufficiente credere che Dio esista (a ciò basta la ragione umana) non è sufficiente credere in Dio, nel senso più generico del termine, ma è importante credere che Gesù è il Figlio di Dio morto e risorto per la nostra salvezza. Questa Lidia aveva una fede a cui mancava qualcosa, come un motore a cui manca un ingranaggio essenziale che fa girare tutto, gli mancava la fede in Gesù Cristo.

Seconda riflessione: è probabile che l’uditorio a cui si rivolge S. Paolo sia formato per la maggior parte da donne con appresso i figli, in ogni caso l’autore mette in evidenza solo le donne; non conosciamo i motivi di tale scelta ma possiamo dedurne che questo “ritrovarsi” tra donne sia prolifico per se stesse ma anche per la diffusione del Vangelo, infatti la nostra Lidia, viene battezzata insieme alla sua famiglia. E l’esperienza ci insegna che per tante famiglie la vita di fede o la loro conversione è partita dalla donna di casa, dalla sposa, dalla mamma. Lo testimoniano tanti mariti “portati” alla fede grazie alla loro fedele sposa, lo testimoniano tanti figli che ritrovano la fede da adulti, riscoprendo la testimonianza di vita della madre ed i suoi insegnamenti.

Terza riflessione: in questo brano irrompe con tutta la sua vitalità l’accoglienza tipica del mondo femminile, non che i maschi ne siano privi, ma è una caratteristica peculiare della donna l’essere accogliente, ne è prova anche il corpo femminile quando accoglie il marito nell’intimità coniugale; ne è prova eccellente la maternità, il momento meraviglioso in cui la donna si fa accoglienza con tutta se stessa, momento delicato e sublime in cui la donna fa spazio dentro di sé, spazio che è simbolicamente riassunto nello spazio che il suo corpo crea ma che si dilata in ogni sua fibra. Ed è proprio questa esperienza della maternità che ci aiuta nel capire come fare spazio dentro di noi al Signore Gesù, dobbiamo imitare il corpo femminile che crea uno spazio dove prima sembrava che non ci fosse, eppure si crea ed è vitale.

Care sposi e care spose, imitiamo con tutto noi stessi l’accoglienza del Signore Gesù che Lidia ci insegna in questo brano degli Atti, non solo dobbiamo imparare a fare spazio dentro di noi per accogliere il nostro coniuge, ma, anche e soprattutto, affinché l’accoglienza dell’altro sia segno esteriore dell’accoglienza del Signore Gesù… accoglienza dimostrata con i fatti.

Coraggio sposi, Dio non si stanca di chiederci accoglienza nel nostro cuore, a volte lo fa attraverso lei/lui.

Giorgio e Valentina.

Diversità culturale e religiosa in famiglia

Quando qualcuno ci chiede il nostro segreto per restare fedeli e uniti in questi 50 anni di matrimonio, in sintesi generalmente rispondiamo: la capacità di solitudine e la reale e profonda accoglienza della diversità dell’altro. Questa profonda convinzione è nata dopo vari momenti di conflitto che abbiamo vissuto nonostante le nostre comuni visioni religiose, il nostro amore per l’umanità e i nostri impegni sociali. la nostra realizzazione non può dipendere solo dal coniuge ma è necessario coltivare anche un rapporto personale solido e profondo con la spiritualità di cui tutti abbiamo estremo bisogno, credenti e non credenti. Questo ci aiuterà ad accogliere la diversità dell’altro come un dono, a conservare lo stupore quotidiano per tutto il suo mondo interiore diverso dal nostro. Anche La condivisione di ideali comuni, la solidarietà della coppia verso i più deboli, sono carte vincenti per la vita di coppia ma l’attenzione alla nostra vita spirituale e il rispetto profondo dell’altro sono i motori di ogni rinascita.

Si parla oggi sempre più spesso di matrimoni “misti” per sottolineare la diversità di credo religioso ma in realtà tutti i matrimoni in qualche modo possono essere considerati “misti”, in quanto avvengono sempre tra due persone molto diverse tra loro, indipendentemente dal credo religioso. Ogni matrimonio è l’incontro di due diverse storie, chiamate a dare origine ad una nuova storia. E questo non è mai facile. Non basta essere entrambi credenti per riuscire ad armonizzare queste diverse storie, che generano differenze di vedute in tanti campi della vita. Certamente se accanto alle diversità caratteriali, culturali, genetiche si aggiungono anche le diversità di credo religioso, il rischio di crisi è maggiore.

I cosiddetti “matrimoni misti,” oggi sempre più in aumento per il fenomeno della globalizzazione e dell’immigrazione, rappresentano una realtà complessa, non facilmente decifrabile perché non possono essere raggruppati in maniera omogenea, perché ogni coppia ha delle caratteristiche specifiche ma non meno difficile è la vita familiare vissuta tra un credente e un non credente. Ecco l’esperienza di Diana Pezza Borrelli di Napoli in cui si intravedono strategie importanti per superare gli inevitabili ostacoli:
Un giorno eravamo a tavola con uno dei nostri due figli (aveva circa 5 anni) quando improvvisamente ci domandò: “Perché papà non viene mai a Messa con noi?”. I bambini venivano spesso a messa con me. Ci guardammo mio marito ed io e iniziammo a rispondere al figlio, ma anche l‘uno all’altro, ad una domanda che non ci eravamo mai fatto  (avevo sempre detto con grande libertà al fidanzato e, poi, al marito, la mia scelta  di andare a Messa ogni giorno; In viaggio di nozze, mi alzavo alle 5 del mattino, per andare a messa in un paesino vicino). Iniziammo a mettere in luce quanto ci univa: l’amore per gli ultimi, l’ansia di giustizia, la tutela del creato, i diritti delle donne, l’impegno per la pace…; tutti impegni legati al grande amore per l’umanità. Io per vivere così, cercavo aiuto in Gesù nell’Eucarestia e il papà attingeva forza  dalla sua coscienza…… Il bambino ci guardò sorridendo e disse : “Ho capito. Siete come il pane nero ed il pane bianco, ma sempre pane siete.” Quando i ragazzi sono un po’ cresciuti, uno di loro ci comunicò che nel fine settimana sarebbe andato nella nostra casa di vacanza. Eravamo contenti che prendesse dei giorni di tregua dallo studio….ma, soggiunse: “Vado con una ragazza”. Io restai in silenzio; fu mio marito a reagire :”Non permetto assolutamente che la nostra casa venga usata in questo modo. Esigo rispetto….” Finito il pranzo, mio marito andò a riposare ed il ragazzo mi disse: “Mamma,  mi aspettavo da te una reazione così, perché tu sei generalmente meno aperta alle novità non da papà che è un progressista…..”. In quel momento  gli potei spiegare che certi valori prescindono dal credo religioso e appartengono alla comune visione per raggiungere un’umanità realizzata…..”

Scrive p. Francesco nell’Amoris laetitia: “Sfide peculiari affrontano le coppie e le famiglie nelle quali un partner è cattolico e l’altro non credente. In tali casi è necessario testimoniare la capacità del Vangelo di calarsi in queste situazioni così da rendere possibile l’educazione alla fede cristiana dei figli” (248)
Come hanno fatto i nostri due amici a trovare un accordo? Diana continua: “La ricchezza della nostra famiglia è stata la moltitudine di rapporti con amici che condividevano la nostra visione di umanità realizzata: persone del Movimento (Focolari), sacerdoti, compagni di partito, parenti, ecc, per i quali il rapporto interpersonale è sempre stato più importante di qualsiasi diversità. Ancora oggi che mio marito è in Paradiso, tanti mi dicono che è difficile pensare a me senza pensare anche a lui. I nostri figli non hanno una pratica religiosa, ma ambedue si spendono e lavorano a favore dei più deboli e degli ultimi…..”  

Pensiamo ora ai matrimoni tra cristiani cattolici e cristiani di altre denominazioni. In realtà in questi matrimoni ci sono tante cose in comune, a partire dallo stesso battesimo, dalla stessa fede in Gesù e nella sua parola, ecc, anche se talvolta la diversità di tradizioni può creare delle distanze incolmabili. Tuttavia, poiché l’amore tende naturalmente alla indissolubilità, alla fedeltà, al per sempre, se i due riescono a cogliere il vero significato dell’amore e coltivano un rapporto personale con Dio a seconda delle loro specifiche tradizioni religiose, è facile avere un progetto comune sulla loro vita. Spesso non è facile decidere come educare religiosamente i figli. Tante coppie, di comune accordo, cercano di trasmettere con la testimonianza sincera più che con le parole, i valori delle rispettive chiese, sottolineando soprattutto valori e tradizioni comuni. Questi matrimoni, dice p. Francesco, possono essere di grande ricchezza perché “presentano, pur nella loro particolare fisionomia, numerosi elementi che è bene valorizzare e sviluppare, sia per il loro intrinseco valore, sia per l’apporto che possono dare al movimento ecumenico” (A.L.247)
Un discorso a parte meritano i matrimoni tra persone di religioni diverse, perché apparentemente sembrano inconciliabili; tuttavia con un impegno serio e costante, se i due si amano davvero, possono riuscire a confrontarsi, a cercare gli inevitabili grandi valori comuni, per trovare una propria armonia. Certamente non è sempre facile. Alcune culture, per esempio, sono aperte alla poligamia o hanno una visione ancora negativa della donna. Anche l’educazione religiosa dei figli può creare dei problemi, perché ognuno vorrebbe educarli secondo la propria tradizione. Se la coppia, però, riesce a fare un’esperienza di vera comunione nel rispetto delle specifiche diversità, questo diventa per i figli l’occasione per cogliere i lati più belli delle due religioni. In questo senso ci sono delle esperienze che fanno pensare. Nur El Din Nassar della Val d’Ossola in Piemonte è figlio di una coppia mista, lei cattolica, lui musulmano fervente. Fin da piccolo ha respirato a pieni polmoni la profonda fede dei genitori, di cui parla il suo stesso nome, che in arabo significa: “Luce della religione”. Dalla frequenza dell’oratorio e dall’amicizia con un sacerdote, decide di ricevere il battesimo fino a diventare sacerdote e missionario nel Ciad.

Maria e Raimondo Scotto

Il dono della maternità. Buona festa ad ognuna di noi.

Domenica 14 Maggio non è solo la sesta domenica del tempo pasquale del calendario liturgico, ma è anche la festa della Mamma. Quest’anno, rispetto allo scorso anno dove dedicai un articolo al Rosario, i miei pensieri sono andati incontro al dono della maternità a tutto campo.

Complice il dover preparare l’animazione della messa dei bambini di catechismo, mi sono ritrovata ad affrontare quel momento che negli anni addietro ho sempre mal sopportato: la benedizione delle mamme. Perché mal sopportato? Semplicemente mi sono sempre schierata dalla parte di chi attraversava il momento estremo di dolore per una mancata gravidanza. Ho sempre fatto notare al sacerdote di turno che trovavo ingiusto che, in quella giornata, non si pensasse anche a chi in quel momento stava soffrendo per non aver avuto il dono di un figlio. Indubbiamente vedere tutte quelle mamme felici non avrebbe lenito il loro dolore, tutt’altro.

Sicuramente è più istintivo gioire insieme che sedersi accanto ad un dolore. Se siete ferme nel limbo del dolore care donne fatevi coraggio, uscite andate a bussare alla porta della canonica e chiedete una benedizione, anzi chiedete di rinnovare le vostre promesse matrimoniali. Da nord a sud dell’Italia la liturgia di questo giorno va attraversata come se si camminasse sul ponte tibetano nei sentieri di montagna. Ci sarà un passo incerto e traballante ma si arriverà alla meta. Focalizzate la vostra attenzione al Vangelo del giorno e alle letture. Puntate in alto. Ricordandovi sempre che Dio non sarà mai contro di voi, ma per voi. Perché vi sto ricordando che Dio è accanto ed è l’unica via da percorrere? Perché noi per primi, da quando siamo tornati da un pellegrinaggio a Monte Sant’Angelo nella grotta di San Michele Arcangelo, abbiamo sperimentato ancora di più la presenza tangibile di Dio.

Care coppie non siamo soli. Esiste la protezione dall’Alto. Purché ci si arrenda e ci si abbandoni e ci si affidi. Ricordate il giardino degli Ulivi? Se Dio si è fatto uomo è stato anche per dimostrarci che la paura, la solitudine, la tristezza, il dolore, l’essere circondati da ” dormienti”, l’essere incompresi, l’essere traditi, l’essere feriti, fa parte di questa via da percorrere. L’unica via perché è il nostro Credo. Anche se vi siete allontanati per dolore da Dio ricordatevi che è un padre misericordioso e vi sta aspettando a braccia aperte, per quegli abbracci gratis che donano nuovi orizzonti da contemplare.

Perché vi sto dicendo questo? Perché ultimamente incontriamo persone che ci chiedono se sono incinta, perché ci vedono diversi, più luminosi. Beh amici indubbiamente il frequentare i sacramenti con assiduità aiuta eccome, sul fronte gravidanza che vi devo dire? Ormai abbiamo compreso che è un dono di Dio. Online mi sono imbattuta, in persone che si offrivano di aiutare le donne nella mia condizione, attraverso sedute di Reiki, yoga, e chi più ne ha più ne metta. Le guarigioni spirituali che vi offrono non sono la Via di Dio. Le guide spirituali vere attendibili sono i sacerdoti, le suore, i sacramenti. Per questo noi con il progetto Abramo e Sara, Antonio e Luisa, Padre Luca e gli altri blogger nel nostro piccolo vi stiamo accanto per evitarvi queste cadute nella rete sbagliata. Se una coppia rimane da sola, può accadere anche questo.

La Benedizione per la festa della Mamma la dovete osservare e accogliere come la benedizione per la famiglia. Non c’è mamma senza papà accanto. Non c’è sposa senza sposo accanto. È nel nostro DNA questo legame indissolubile con Dio fin dalla creazione. Vi ricordate il salmo 139: Non ti erano nascoste le mie membra quando venivo formato nel segreto, ricamato nel profondo della terra. I tuoi occhi hanno visto il mio embrione e nel tuo libro erano tutti scritti i giorni che mi erano stati fissati, quando neppure uno di essi esisteva ancora. Coraggio e se desiderate un figlio che tarda ad arrivare puntate sui santi come San Rita da Cascia. Abbiamo tantissime Sante alleate che intercedono per noi. Scegliete con cura la vostra Santa di Famiglia o Santo. Questa è la Via.

Simona e Andrea.

Vi aspettiamo se volete nel nostro Instagram nella nostra pagina Facebook Abramo e Sara, nel nostro canale Telegram e WhatsApp. Se passate da Roma ci trovate presso la parrocchia di San Giuseppe al Trionfale. E se volete continuare a sostenere il nostro progetto è disponibile online il nostro libro su Amazon.

Mai soli

Cari sposi,

vi siete mai sentiti orfani nella vita? Per orfano intendo, non esclusivamente colui che ha perso i genitori, quanto, in senso spirituale, la persona che sperimenta uno stato d’animo di lontananza da Dio, un non cogliere a fondo la presenza di Dio Padre, il vedersi soli, incompresi, specie nelle difficoltà e lotte interiori. Si può dire che orfano è colui che vive un che di desolazione…

Se questi stati d’animo e percezioni interiori fanno capolino di tanto in tanto nella vostra quotidianità, vuol dire che, lungi dal vedervi abbandonati e persi, siete invece nelle condizioni ottimali per iniziare a cogliere la presenza dello Spirito nella vostra vita e nella vostra coppia. Viceversa, non può sintonizzarsi con lo Spirito chi vive freneticamente correndo dietro ai propri affari, chi è gonfio dei propri risultati ottenuti nel lavoro o chi misura il valore della propria vita in base al rendimento economico o alla stima che gli altri hanno di lui. La fisica non fa sconti: uno spazio non può che essere occupato da due corpi allo stesso tempo, per la legge dell’impenetrabilità. Anche la vita spirituale funziona così: non si può essere cristiani e autoreferenziali. Perciò Papa Francesco afferma in Gaudete et Exsultate: “Ci sono ancora dei cristiani che si impegnano nel seguire un’altra strada: quella della giustificazione mediante le proprie forze, quella dell’adorazione della volontà umana e della propria capacità, che si traduce in un autocompiacimento egocentrico ed elitario privo del vero amore. Si manifesta in molti atteggiamenti apparentemente diversi tra loro: l’ossessione per la legge, il fascino di esibire conquiste sociali e politiche, l’ostentazione nella cura della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, la vanagloria legata alla gestione di faccende pratiche, l’attrazione per le dinamiche di auto-aiuto e di realizzazione autoreferenziale. In questo alcuni cristiani spendono le loro energie e il loro tempo, invece di lasciarsi condurre dallo Spirito sulla via dell’amore” (n. 57).

Come sappiamo dalla Parola, lo Spirito agisce nel silenzio e nella discrezione (cfr. l’incontro di Elia con Dio in 1 Re 18, 9-14, Gesù che è condotto dallo Spirito nel deserto in Mt 4, 1-11, Paolo che dopo la conversione si ritira nelle steppe attorno a Damasco, in Siria in Gal 1, 17). Pare strano ma lo Spirito ci spinge nei nostri deserti, ci porta a spogliarci del superfluo, ci isola dal rumore circostante. Non lo fa affatto per renderci “orsi” e tipi solitari, il motivo è ben altro. Pur se spirito, perdonatemi la ridondanza, lo Spirito ha bisogno di “spazio” perché possa agire e produrre in noi i suoi frutti. Vi invito a meditare e riflettere su quanto ci indica Galati 5, 22: “Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mansuetudine, autocontrollo”.

Come sarebbe la nostra vita se lo Spirito avesse mano libera per produrre in noi e nella nostra coppia tali frutti? Come sarebbe una vita piena di amore, di gioia, di pace, di pazienza, di benevolenza, di bontà, di fedeltà, di mansuetudine e dominio di sé? Sognate con lo Spirito! Sognate la vita che Lui vorrebbe viveste e ogni giorno sta ispirandovi perché sia così. Ben vengano allora le nostre orfanità e solitudini se ci servono ad aprirci di più al Signore e alla sua azione, se ci fanno capire di quanto abbiamo bisogno dello Spirito per dare sapore e significato alla nostra vita personale e di coppia. Sapete bene – quante volte in questo blog lo si è ripetuto – che è lo Spirito a fare la differenza nella vita di coppia, perché è lo Spirito che vi ha costituiti una sola carne nel sacramento. Siate sposi innamorati dello Spirito Santo benché sperimentiate momenti o periodi di vuoto e solitudine. Lo Spirito di consolazione agisce comunque e quando lo vorrà, vi farà sperimentare la Sua Dolce Presenza.

ANTONIO E LUISA

Tutto vero quello che ci ha scritto padre Luca. Mi permetto di aggiungere un consiglio personale. Quando le cose vanno male, quando c’è aridità nel cuore e non si sente la presenza e la vicinanza di Dio e il Suo Spirito sembra assente avremmo voglia di chiuderci in noi stessi. Di stare lontani anche da nostro marito o nostra moglie. Invece dobbiamo avere la volontà di contrastare questa inclinazione a ripiegarci e cercare comunque la comunione con l’altro. Anche se ci costa fatica, anche se non ne avremmo voglia ma è lì che possiamo trovare lo Spirito Santo. È lì nella nostra unione. Ce lo dice il nostro sacramento! Coraggio!

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Contemplare per nutrire l’amore e nutrirci dell’amore

Immersi ancora nel tempo di Pasqua e avvolti dal materno manto di Maria, questo mese ci soffermiamo sulla terza lettera della parola CONTEMPLARE e lo facciamo proprio nel giorno in cui ricorre il nostro anniversario di matrimonio. Nel camminare insieme, giorno dopo giorno, anno dopo anno, siamo ininterrottamente chiamati a “NUTRIRE” il nostro amore sponsale ma prima ancora a “NUTRIRCI” dell’Amore.

Ricorrendo al vocabolario, il primo significato che viene dato di nutrire in latino è allevare un fanciullo. E chi è il primo fanciullo della coppia se non la coppia stessa? Ci piace sempre paragonare il nostro amore alla fiammella di una candela ad olio che deve essere continuamente nutrita, alimentata affinché non si spenga. Ma con quale olio? Con l’olio che nasce dal rimanere sotto la continua “pressione” dello Spirito Santo che «ci ricorda tutto ciò che lo Sposo ci ha detto (Gv14, 26)» il giorno delle nozze, in particolare mediante le parole del vangelo che abbiamo scelto per la celebrazione: “ Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perchéfaccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli” (Mt 14,13-16).
E come potremo risplendere della luce di Cristo se non ci nutrissimo ogni giorno della Santissima Eucarestia dal quale il nostro amore riceve sostentamento? Per noi contemplare vuol dire nutrirci dello
Sposo per diventare non una sola “cosa” ma una sola persona cioè Cristo stesso e divenire così noi stessi Amore prima di regalare gesti d’amore. Così, come Maria che è stata il primo tabernacolo vivente della storia anche noi sposi, come diceva Paolo VI, siamo il “tabernacolo dell’alleanza”. Attraverso di noi si vede chi è Dio. E Chi è Dio? È un’alleanza di amore.
Cari sposi, in questo giorno speciale, portandovi nella nostra povera preghiera vi incoraggiamo a portare avanti con costanza, entusiasmo e tenerezza la missione sponsale perché come scrisse suor Lucia (una dei pastorelli che assistettero alle apparizioni della Vergine Maria a Fátima) al cardinale Caffarra: “Lo scontro finale tra il Signore e il regno di Satana sarà sulla famiglia e sul matrimonio. Non abbia paura, aggiungeva, perché chiunque lavora per la santità del matrimonio e della famiglia sarà sempre combattuto e avversato in tutti modi, perché questo è il punto decisivo. E poi concludeva: ma la Madonna gli ha già schiacciato la testa”.
ESERCIZIO PER NUTRIRE L’AMORE
Poniamo un lume ad olio davanti all’immagine di Maria. Durante il giorno, di tanto in tanto, aggiungiamo un piccola quantità di olio alternandoci, una volta lo sposo e una volta la sposa. Mentre versiamo l’olio ripetiamo: “O Maria ,alimenta il nostro Fiat alla chiamata sponsale con il fuoco dell’Amore”.
PREGHIERA DI COPPIA
Grazie Gesù, perché ad ogni Eucarestia che ricevo faccio l’esperienza che la donna che ho accanto
porta in sé un amore grande, forte, nuovo, lo stesso che trovo venendo da te;
Grazie Gesù, perché ad ogni eucarestia che ricevo faccio l’esperienza che l’uomo che ho accanto porta in sé un amore forte, pronto al sacrificio, disposto a perdere, lo stesso che trovo venendo da te”
Trasformaci giorno dopo giorno in un’Eucarestia per il mondo e fa che ripetiamo le tue stesse parole:
«Prendete e mangiate», questa è l’offerta del nostro corpo, del nostro tempo, delle nostre energie, del
nostro amore per voi”

Daniela e Martino

Italiani in via di estinzione?

Cari sposi,

            proprio oggi si sta svolgendo a Roma il terzo incontro sugli “Stati generali della natalità”, una riunione che interpella leaders di diverse provenienze per trattare il problema del declino delle nascite in Italia. Dobbiamo essere grati a Gigi e Anna Chiara De Palo che hanno avuto questa iniziativa, del tutto controcorrente, di mettere al centro dell’attenzione politica la denatalità del Bel Paese.

Che qualcuno finalmente mettesse il dito nella piaga ci voleva! Come se fosse una questione di taglio morale o un fatto privato. Il nostro tasso di crescita è del 1,24 nascite per donna, quasi la metà di quanto si richiede affinché le nascite superino le morti e ci possa essere il cosiddetto ricambio generazionale (che richiederebbe avere minimo il 2,1 figli per donna). E difatti, non c’era da meravigliarsi se, con questo andazzo, dal 2022 siamo in decrescita; l’ultimo dato, risalente ai primi di aprile scorso, afferma che nel 2022 sono nati 392.598 bambini, contro i più di 700.000 decessi, evidenziando così un dato sociale mai avvenuto dal secondo dopoguerra.

Che succede? Come mai? A farla da economista, le cause sono di tipo monetario (bassi stipendi e il costo della vita), organizzativo (carenza di servizi per le famiglie), sociale (sposi più grandi e conseguente minor fertilità). Ma siamo proprio sicuri che i cervelloni della finanza abbiamo definitivamente colto il nocciolo della questione? Senza nulla togliere al realismo delle cause elencate, direi che il punto è piuttosto culturale, per meglio dire, spirituale. Mi risulta che le famiglie dei nostri trisavoli, bisnonni e nonni, pur vivendo in un mondo con molte meno comodità e facilità, erano comunque più numerose delle nostre oggi. Per carità, ci devono essere risposte politiche ben precise, come altri paesi europei hanno adottato con buoni risultati.

Papa Francesco, con il suo abituale stile diretto e colorito, qualche tempo addietro, ha fatto un accenno al motivo di tale desertificazione popolare: “L’altro giorno, parlavo sull’inverno demografico che c’è oggi: la gente non vuole avere figli, o soltanto uno e niente di più. E tante coppie non hanno figli perché non vogliono o ne hanno soltanto uno perché non ne vogliono altri, ma hanno due cani, due gatti … Eh sì, cani e gatti occupano il posto dei figli. Sì, fa ridere, capisco, ma è la realtà. E questo rinnegare la paternità e la maternità ci sminuisce, ci toglie umanità. E così la civiltà diviene più vecchia e senza umanità, perché si perde la ricchezza della paternità e della maternità. E soffre la Patria, che non ha figli e – come diceva uno un po’ umoristicamente – “e adesso chi pagherà le tasse per la mia pensione, che non ci sono figli? Chi si farà carico di me?”: rideva, ma è la verità. Io chiedo a San Giuseppe la grazia di svegliare le coscienze e pensare a questo: ad avere figli. La paternità e la maternità sono la pienezza della vita di una persona” (Udienza, 5 gennaio 2022). 

La causa è una profonda paura di assumersi responsabilità e perdere la propria autonomia (cfr. Amoris Laetitia, 40). Paura, in un certo senso, giustificata perché dare la vita ed educare è quanto di più sublime e impegnativo possa compiere un essere umano. Non si tratta affatto di essere prolifici come conigli, il Magistero della Chiesa su questo punto è chiarissimo: “In rapporto alle condizioni fisiche, economiche, psicologiche e sociali, la paternità responsabile si esercita, sia con la deliberazione ponderata e generosa di far crescere una famiglia numerosa, sia con la decisione, presa per gravi motivi e nel rispetto della legge morale, di evitare temporaneamente od anche a tempo indeterminato, una nuova nascita” (Paolo VI, Humanae Vitae 10). 

Che possiamo fare, cari sposi, perché ci sia un futuro? Soprattutto voi avete la risposta. Credo che chi è fidanzato o nei primi anni di vita matrimoniale debba aprirsi fiduciosamente allo Spirito Santo, che con il Suo assoluto realismo e concretezza, può davvero guidarli a procreare generosamente una famiglia. Per chi è più maturo e grandicello o per chi non ha vissuto la difficoltà dell’infertilità, l’attenzione e il focus vanno sulla meravigliosa vocazione che ogni coppia, giovane e meno giovane, alla fecondità.

Voi coppie avete la missione nativa, cioè insita nel proprio DNA, non appioppata da noi preti in parrocchia, di “custodire, rivelare e comunicare l’amore, quale riflesso vivo e reale partecipazione dell’amore di Dio per l’umanità e dell’amore di Cristo Signore per la Chiesa sua sposa” (Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio 17).

Siete voi i santuari, gli oracoli del vero amore, quello che discende dal Cielo e si fa carne, non questo surrogato che gira nel mainstream. Dinanzi a un mondo occidentale che si sta spopolando, voi coppie credenti siete protagoniste della medesima scena che vide coinvolto il profeta Ezechiele (Ez 37, 1-14): «Mi disse: “Figlio d’uomo, queste ossa potrebbero rivivere?”, e io risposi: “Signore, Eterno, tu lo sai”. Egli mi disse: “Profetizza su queste ossa, e di’ loro: ‘Ossa secche, ascoltate la parola dell’Eterno!’». Le ossa di un’umanità in via di estinzione sono sparse attorno a noi ma lo Spirito vi sollecita a divenire profeti di un’umanità nuova, protagonisti della Civiltà dell’amore con l’apertura generosa alla vita e il volervi assumere seriamente la missione propria di sposi.

padre Luca Frontali

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Una mamma cristiana esempio per tutte le mamme: la venerabile Maria Cristina Cella Mocellin

La settimana scorsa abbiamo partecipato ad una mostra sulla vita e gli scritti della Venerabile Maria Cristina Cella Mocellin tenutasi dal 18 aprile sino al 14 maggio (giorno della festa della mamma) presso il Santuario della Madonna addolorata di Rho. Un bellissimo quadro di Maria Cristina con in braccio il suo bambino donato dalla associazione “Amici di Maria Cristina” al santuario è il volto di questa mostra: una mamma dallo sguardo dolce, gentile e sereno nonostante le grandi croci che Maria Cristina ha portato nel corso della sua vita.

Maria Cristiana nasce il 18 agosto 1969 a Monza; cresce in una famiglia devota che la invita a prendere parte alle attività del oratorio della Sacra Famiglia di Cinisello Balsamo (MI) dove abitava con i suoi genitori. Frequenta il catechismo tenuto dalle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida e si affeziona particolarmente a Suor Annarosa Pozzoli che le fa da guida per incamminarsi verso i primi sacramenti. Cristina mostra fin dalla sua infanzia particolare interesse e zelo nell’apprendimento e da adolescente si mette al servizio del oratorio di appartenenza prendendosi cura dei bambini e impegnandosi nella sua crescita spirituale.

Nelle sue lettere indirizzate ad una amica di nome Elena mostra già di aver compreso che la vita non è solo fatta di divertimento e che l’intelligenza è un dono di Dio da far fruttare. Dalla preadolescenza Cristina inizia a tenere un diario personale in cui annotare i passi del suo cammino di fede e ciò che emerge dal suo intimo e costante dialogo con quel Dio di cui è tanto innamorata. Nei suoi scritti afferma di sentire di essere chiamata da Lui ad un progetto diverso e particolare rispetto agli altri ragazzi; sempre in una lettera alla sua amica Elena sostiene di avere la sensazione di non fare abbastanza per gli altri nonostante sia catechista, animatrice in oratorio, frequenti un corso della Caritas e molto altro.

Nei suoi scritti possiamo ritrovare anche la sua preghiera di lode a Dio per il dono della amicizia; scrive Maria Cristina: È bello essere in due, darsi la mano e camminare insieme. È bello non temere nulla perché si ha un appoggio sicuro. È incoraggiante avere te, che mi aiuti a conoscermi, e a conoscere, ad accettarmi e ad accettare, ad amarmi e ad amare. Queste parole Maria Cristina le ha scritte ad una amica, ma non sarebbe bello se noi sposi le dedicassimo al nostro migliore amico che è il nostro coniuge?

Durante gli anni del liceo Cristina sviluppa il desiderio di unirsi alle suore della carità che la hanno accompagnata si da bambina nel suo incontrare Gesù e il cui motto sarà parola di vita concreta per tutta la vita di Cristina: Dio solo! Cristina riesce già ad abbandonarsi a tal punto alla volontà del Padre da scrivere: Aiutami a soffrire per te: Tu solo hai dato la vita per me! Cristina sapeva che quanto più ci sentiamo amati da Gesù tanto più abbiamo la forza di vivere secondo la Sua volontà le prove della vita aprendoci sempre al amore anche se a volte la tentazione è quella di rinchiudersi in sé stessi.

Nonostante percepisca di essere chiamata a prendere voti per il suo grande affidamento al Padre arriva a stendere queste parole: non importa se mi vuoi madre o suora, ciò che importa realmente è che faccia solo e sempre la Tua volontà. Queste parole si rivelano veritiere perché quando Dio mette sulla sua strada il suo futuro sposo Carlo Mocellin a Valstagna, dove Maria Cristina si trovava in vacanza con i nonni paterni, ella mette da parte il progetto della vocazione religiosa per vivere un amore che lei stessa definisce essere un morire perché amare è sacrificio e rinuncia. I suoi pensieri nel suo diario a questo punto si fanno un vero e proprio cantico di amore sponsale, leggendo le sue parole e pensando al nostro consorte abbiamo sentito la forza e l’intensità della sua capacità di amare il suo Carlo. Fa che il mio amore divenga anche esso preghiera: vorrei poterlo amare come Tu ami me; vorrei potergli dare ciò che Tu dai a me. Ti prego: che il mio cuore sia tanto limpido da non nascondergli niente; che il mio sguardo e pensiero sia tanto puro da amarlo come Tu mi ami. Maria Cristina già sentiva il forte bisogno di richiedere quella grazia santificante che a noi sposi viene concessa mediante il sacramento del matrimonio per amare pienamente e arriva a definire così il sacramento del matrimonio: lamore tra un uomo e una donna è il segno privilegiato dellamore di Dio per luomo.

Un’ altra importante consapevolezza che ci lascia questa grande moglie e mamma è che tutti siamo chiamati a un matrimonio, che sia esso determinato dalla vocazione sacerdotale e religiosa o con una creatura di Dio. In ogni matrimonio c’è una chiamata unica e importante non solo per la coppia ma per il mondo. Dio ci ama a tal punto da affidare a ciascuna coppia un Suo progetto al quale se non adempiremo noi nessuna altra coppia potrà farlo. Un solo anno dopo il fidanzamento Cristina trova davanti a sé una grande croce: un sarcoma alla coscia sinistra che la costringe a tre cicli di chemioterapia e mesi in ospedale dove scaturisce da lei la lode per questa vita così bella che Dio ci dona e per cui tante persone lottano ogni giorno. Carlo fa la spola tra Veneto e Lombardia per sorreggere la sua amata nella malattia; Cristina termina i suoi studi di liceo, si rimette completamente e i due si consacrano a Cristo Gesù come una sola carne (2 febbraio 1991).

Cristina non pretende di fare grandi cose in quanto ritiene che nessuno di noi ne sarebbe in grado, ma vuole mettere tanta buona volontà nelle piccole. Nelle lettere di Cristina a Carlo possiamo leggere anche di come lei veda la grandezza del sacramento del matrimonio in quanto ci permette di non essere sempre al meglio, forti, coraggiosi, vittoriosi e attraenti, ma ci permette di mostrarci all’altro anche quando, scrive Cristina, sarebbe stata meno dolce e meno affettuosa. A quale mamma, dopo tutte le fatiche della giornata, non è capitato il momento in cui ha perso la pazienza e ha alzato la voce con i figli per riprenderli?

Cristina va a vivere in Veneto, a Carpanè, e a due mesi dalle nozze ringrazia Dio e il Suo amato sposo per essersi donato così tanto a lei da donarle un figlio. Dieci mesi dopo le nozze nasce il primogenito di Maria Cristina e Carlo: Francesco e solo dopo un anno e mezzo dalla sua nascita la famiglia si allargherà con la secondogenita: Lucia. Maria Cristina, incinta di Lucia, teme di perdere la sua bambina, per questo scrive alla suora che tanto l’ha fatta crescere nel suo cammino spirituale, suor Annarosa Pozzoli, che durante la notte piange a singhiozzi, ma che ringrazia Dio che le ha donato un marito così premuroso che con le sue parole riesce sempre a calmarla.

Io Alessandra, al leggere queste parole, sentivo le lacrime agli occhi ripensando a quei mesi allettata incinta di Pietro e a quando sono stata operata al terzo mese di gravidanza con Pietro in grembo. Nei giorni trascorsi in ospedale, temendo di perdere il nostro bambino, la mia unica forza è stata il mio sposo che mi teneva la mano e Cristo Eucarestia che ogni giorno mi veniva a visitare. Credo che come mamme dovremmo comprendere non razionalmente, ma con il cuore che più ci abbeveriamo alla sorgente dell’amore vivo più saremo in grado di crescere quelle piccole pietre del tempio di Dio secondo i Suoi insegnamenti che da Lui ci sono state affidate. Una mamma più vive difficoltà e sofferenze con i figli, più i figli sono piccoli e bisognosi di tante cure, più dovrebbe pregare la Madonna di farle da guida, anche insieme al proprio sposo, perché la preghiera in coppia è come entrare in una galleria con l’eco, risuona più forte nei Cieli. Ma non solo, penso che per le mamme sia di vitale importanza, quando possibile, accostarsi quotidianamente alla Santa Eucarestia. Il nostro sacerdote Don Matteo, durante un’omelia, ha affermato che Gesù Eucarestia non rinfranca solo lo spirito, ma anche il corpo in quanto molte mamme e nonne che lui vede arrivare la sera alla Santa Messa feriale gli hanno poi confidato che quello era il loro momento che avevano scelto di passare con Gesù che gli dava la forza per poi il giorno dopo riprendere quella quotidianità fatta di pianti, corse, capricci e molto altro.

Mia moglie partecipa alla Santa Eucarestia feriale più spesso di me, io stesso la incoraggio a parteciparvi offrendomi di occuparmi di nostro figlio Pietro mentre lei “abbraccia” il Padre; sento in lei la necessità di sostare quotidianamente con Gesù per rigenerarsi e trovare in Lui conforto, silenzio e pace. Alessandra, in quanto mamma casalinga, trascorre più tempo con nostro figlio e credo che quanto più lei si sentirà amata da Dio tanto più potrà donarsi a Pietro ogni giorno con spirito di sacrificio.

Poco dopo la nascita di Lucia, Cristina resta nuovamente incinta di Riccardo e la notizia della gravidanza è accompagnata dalla comparsa nuovamente del sarcoma alla gamba. Cristina, di comune accordo con Carlo, si sottopone ad un intervento per asportare il sarcoma alla gamba, ma rifiuta di iniziate la chemioterapia per paura di nuocere al bambino. Nato Riccardo, Cristina inizia la chemio che, però non dà lo stesso esito positivo di cinque anni prima e si formano delle metastasi ai polmoni. Ha paura, ma sa che su di lei c’è un disegno di Dio troppo grande per essere facilmente compreso; si abbandona fiduciosamente al Padre e offre le Sue sofferenze per la salvezza di tutte le anime. Cristina sale al cielo il 22 ottobre 1995 e con lei il Padre ha regalato a tutte le mamme, come fatto con Santa Gianna Beretta Molla, un’amica, una confidente che prega per la loro santità matrimoniale e per la loro missione di educare nuovi figli di Dio, questo il progetto bellissimo che il Padre aveva su di lei.

Cristina stessa da ragazza ha molto apprezzato il dono dell’amicizia come abbiamo scritto, tanto da lodare Dio nel suo diario e Dio ha fatto di lei una amica fidata per tutte le mamme del mondo, che progetto e che mamma meravigliosi!

Alessandra e Riccardo

Anche le mamme possono provare piacere.

In questi giorni sta facendo il giro dei social una pubblicità, che ha provocato, come spesso accade in questi casi, moltissime polemiche e la consueta battaglia tra i ghibellini della liberazione della donna e i guelfi della morale. Ecco io non voglio entrare in questa logica. Io ho le mie idee, che sono molto chiare credo, ma voglio affrontare questo argomento come una provocazione. Non serve a nulla gridare allo scandalo molto meglio cercare di capire il fenomeno sociale che c’è dietro. Cosa ci dice questa pubblicità?

Anche le mamme possono provare piacere. L’azienda committente ha accompagnato la presentazione di questa campagna con un messaggio molto chiaro su Instagram. Ecco cosa scrive: Questa affissione non è mai uscita e il motivo non vi piacerà. Per la Festa della mamma volevamo rompere un tabù che da troppo tempo esiste e dire a chiare lettere che, sì, anche le mamme possono provare piacere. Naturalmente anche io sono d’accordo. Anzi credo che le mamme possano provare un gran piacere, ma forse non è lo stesso che intendono loro. Alla fine della mia riflessione giudicate pure voi qual è il vero piacere. Se lo è quello proposto dall’azienda o quello che propongo io.

Perchè una mamma? Non credo che la scelta della mamma sia casuale. Questa pubblicità, uscita proprio in occasione della festa della mamma, vuole lanciare un messaggio evidente. La mamma non smette di essere una donna. La donna, come peraltro l’uomo, ha bisogno di pensare al proprio benessere e l’appagamento sessuale ne è parte integrante. Non la relazione. Non è importante che ci sia una relazione, basta un sex toys. Conta solo l’appagamento sessuale. Quindi tiriamo le conseguenze. La mamma non è parte di una comunione, ma è una individualità che può, per il proprio benessere e per il proprio piacere, avere un marito e uno o più figli. Il marito e i figli sono parte dei suoi bisogni, come lo è quel dildo o un altro sex toys. Capite il messaggio che c’è dietro? Pensa a te stessa. L’egoismo che è proprio il contrario del dono di sè che dovrebbe caratterizzare la mamma. E’ qui che i pubblicitari hanno intercettato la nostra società. Perchè non facciamo più figli? Solo per una questione economica e lavorativa? Credete davvero che sia solo quello? C’è anche quello ma non solo. I figli chiedono rinunce e fatica. Quindi è importante per la donna ritagliarsi un momento in quella vita fatta di doveri dove può pensare a sè stessa nella beata solitudine con il suo dildo. E’ questo il matrimonio? E’ questo il piacere?

Io non basto? Un marito normale piuttosto che regalare questo aggeggio alla moglie credo si faccia una domanda: io non ti basto? Una donna che ha bisogno di quella roba lì evidentemente non è soddisfatta della propria vita sessuale. Torniamo sempre allo stesso discorso. Tanti sposi non sono capaci di fare l’amore. Ne approfitto per consigliare il nostro libro di prossima uscita Sposi, re nell’amore dove affrontiamo in modo molto approfondito questa tematica. Tanti vivono la sessualità in modo completamente fuori da quelle che sono le esigenze e la sensibilità della donna. Poi certo che una sessualità vissuta in questo modo non appagante, sommata ai tanti impegni e allo stress della vita di tutti i giorni, allontana i due sposi. Guardate che questa pubblicità racconta qualcosa di reale, per questo non va sottovalutata. Secondo i sondaggi dell’azienda WOW Tech, produttrice di sextoys, il 40-60% delle donne si masturba, percentuale che sale al 90-95% sul fronte maschile. Ci sono per forza molti uomini o donne sposate in questa percentuale. Questa percentuale va letta insieme ad un’altra. Secondo infatti Easytoys, uno dei principali produttori di giocattoli erotici in Europa, i sex toys stanno diventando sempre più popolari nel nostro paese, tanto che il 77,82% degli italiani intervistati ha dichiarato di aver usato un sex toy nel 2022. Molti in coppia ma tanti anche da soli.

Il sesso ricreativo. Ed ora arriviamo alla domanda centrale che dobbiamo porci. Cosa è il sesso per noi? Il sesso deve essere ricreativo. Ma cosa intende la Chiesa per ricreativo? Non qualcosa di leggero e ludico come può essere l’uso di un sex toys. Leggerezza in realtà solo apparente perchè ci “educa” a ripiegarci su di noi e a mettere il piacere fisico al centro. Capite che il marito o la moglie diventano strumenti per ottenerlo, esattamente come il sex toys. Per noi ricreazione significa esattamente ricreare. Creare attraverso il corpo qualcosa di molto più profondo e completo. In Familiaris Consortio possiamo leggere al paragrafo 11: Di conseguenza la sessualità, mediante la quale l’uomo e la donna si donano l’uno all’altra con gli atti propri ed esclusivi degli sposi, non è affatto qualcosa di puramente biologico, ma riguarda l’intimo nucleo della persona umana come tale. Essa si realizza in modo veramente umano, solo se è parte integrale dell’amore con cui l’uomo e la donna si impegnano totalmente l’uno verso l’altra fino alla morte. Comprendete la grandezza dell’intimità nel matrimonio? Stiamo ricreando la comunione d’amore tra le nostre due persone, che è immagine della comunione trinitaria. E il piacere viene da quella profondità e non solo da una stimolazione fisica. Nella nostra intimità possiamo davvero fare un’esperienza meravigliosa, sentendoci uno parte dell’altra. Dove la pentrazione dell’uomo che viene accolto dalla donna esprime una ricchezza che viviamo nel nostro cuore. Dio ci ha fatto sessuati per questo. Il sesso non è solo un’esigenza o un meccanismo biologico. Per noi uomini esprime molto di più. Esprime il desiderio del creatore di farci fare esperienza sensibile di ciò che siamo. Di ricreare nel corpo ciò che siamo. Dipende da noi. 

Per questo, senza voler giudicare nessuno, le uniche sensazioni che mi provoca questa pubblicità sono di tristezza e di solitudine. Quell’immagine rappresenta la povertà di chi non fa esperienza dell’amore che si fa comunione e si accontenta di un surrogato che dà l’illusione di appagamento ma che crea sempre più ferite nel cuore della donna o dell’uomo.

Antonio e Luisa

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Dall’Eucarestia la luce e la forza per capire e vivere da separato fedele

Oggi voglio fare un po’ di pubblicità al decimo Convegno Nazionale della Fraternità Sposi per Sempre, che si terrà a Loreto presso l’Istituto Salesiano, dal 10 al 13 agosto: l’obbiettivo non è quello di essere in tanti, ma di far arrivare la notizia e l’opportunità anche a quelle persone che, dopo la separazione vivono la solitudine, non solo di esser rimaste fisicamente sole, ma anche quella (e a volte fa più male) di non essere compresi.

Si, perché quando parli con qualcuno e confidi di aver scelto la fedeltà al coniuge e a Gesù, è probabile che ti prendano in giro o ti vogliano presentare qualche amica/o: cercare di spiegare è spesso inutile e una perdita di tempo. Tante persone che conosco hanno trovato molto giovamento nel conoscere la Fraternità e vi sono arrivate per varie strade, addirittura alcuni l’hanno trovata di notte su Internet, mentre cercavano qualcosa che potesse aiutarli, presi dalla disperazione e dall’insonnia. Quindi è possibile che quest’articolo venga proprio letto da qualcuno che è in cerca di “matti” come noi per condividere lo stesso cammino e la stesse fede (passare i tre giorni del Convegno con gente proveniente da tutta Italia (qualcuno anche dall’estero), alternando catechesi di don Renzo Bonetti, lavori in gruppo, momenti di preghiera e condivisione, è davvero molto bello e arricchente sotto tanti punti di vista).

Il titolo del Convegno sarà “Dall’Eucarestia la luce e la forza per capire e vivere da separato fedele”: abbiamo scelto questo tema, perché l’Eucarestia è un altro assurdo, come la nostra decisione di fedeltà. Come si può credere che un piccolo pezzo di pane possa contenere Dio? Come si può pensare che se prendo un’ostia e la divido in due parti, ognuno riceve tutto Dio?

Questo in matematica non torna, è contrario a quello che ci hanno sempre insegnato e che possiamo sperimentare nella pratica, ma effettivamente con Dio l’Amore non si divide, ma si moltiplica. Il nostro cervello si ribella a questo, il nostro cuore invece può intuirlo bene: io ho due figlie e l’amore che provo per loro non è quello totale diviso due, ma tutto per una e tutto per l’altra. Questo porta anche a comprendere che Dio ama tutti singolarmente, uno per uno, al massimo possibile. A riprova di questo, come dice don Renzo, basta notare che nessuno è mai riuscito a misurare l’amore, in una società odierna dove possiamo misurare qualsiasi altra cosa, anche complessa, come ad esempio il quoziente intellettivo.

Come l’Eucarestia è corpo dato per amore, pane spezzato, anche noi separati fedeli vogliamo in quest’ottica offrire il nostro corpo e il nostro servizio per il coniuge, per gli altri e per tutta la Chiesa (seppur con tutti i nostri grandi limiti e scarse capacità). Quindi se la comprensione della santa comunione aumenta, aumenta anche la comprensione della scelta che abbiamo fatto e del perché lo Spirito Santo ce l’ha messa nel cuore.

Inoltre, senza la santa comunione credo che un separato fedele riuscirebbe a fare poca strada, perché dà una forza straordinaria e una capacità di leggere quello che accade con una vista particolare, divina: al momento sembra di mangiare solo un piccolissimo pezzo di pane, ma poi ti rendi conto a volte che quello che riesci a fare o a dire non è proprio merito tuo, perché magari quella mattina ti sei alzato male e avresti mandato tutti “a quel paese” (è per questo che io consiglio sempre, se possibile, di andare alla messa la mattina, prima di andare al lavoro, in modo da poter affrontare tutte le sfide della giornata con una marcia in più). Sono convinto che don Renzo ci farà approfondire questo tema così importante e ci fornirà anche degli spunti pratici per permetterci di crescere anche in questo sacramento.

Ettore Leandri (Presidente Fraternità Sposi per Sempre)

Evangelizzare? È come il rugby.

Dagli Atti degli Apostoli (At 14,19-28) In quei giorni, giunsero [a Listra] da Antiòchia e da Icònio alcuni Giudei, i quali persuasero la folla. Essi lapidarono Paolo e lo trascinarono fuori della città, credendolo morto. Allora gli si fecero attorno i discepoli ed egli si alzò ed entrò in città. Il giorno dopo partì con Bàrnaba alla volta di Derbe. Dopo aver annunciato il Vangelo a quella città e aver fatto un numero considerevole di discepoli, ritornarono a Listra, Icònio e Antiòchia, confermando i discepoli ed esortandoli a restare saldi nella fede «perché – dicevano – dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni». Designarono quindi per loro in ogni Chiesa alcuni anziani e, dopo avere pregato e digiunato, li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto. Attraversata poi la Pisìdia, raggiunsero la Panfìlia e, dopo avere proclamato la Parola a Perge, scesero ad Attàlia; di qui fecero vela per Antiòchia, là dove erano stati affidati alla grazia di Dio per l’opera che avevano compiuto. Appena arrivati, riunirono la Chiesa e riferirono tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro e come avesse aperto ai pagani la porta della fede. E si fermarono per non poco tempo insieme ai discepoli.

Anche questa settimana ci troviamo di fronte ad una narrazione di fatti impressionante, forse siamo abituati a leggerla come fosse una bella favoletta a lieto fine, ma in realtà se provassimo per un attimo ad immergerci in queste descrizioni, seppur scarne, avvertiremmo tutta la portata di questi eventi.

Vogliamo solo rilevare alcuni particolari: innanzitutto si narra della lapidazione di S. Paolo come fosse la narrazione di uno che si allaccia le scarpe, ma la lapidazione non è mica un banale episodio di sfottò da parte di alcuni monelli di strada, inoltre Paolo viene trascinato fuori dalla città perché creduto morto. Trascinato non significa che abbiano usato la barella che usano in serie A per portar fuori dal campo gli infortunati, trascinato significa che è stato preso con tutta probabilità per le braccia e semi-rotolato su quel terreno sabbioso e ciottoloso – senza cura e senza alcun riguardo in quanto creduto morto – per decine di metri, vi lasciamo immaginare quanto dolore possa provocare quella simpatica ghiaietta sulle ferite – a viva pelle – ancora brucianti provocate dalla lapidazione, senza contare che il tragitto fino fuori le mura sarà stato accompagnato dagli sguardi indignati della gente appostata lungo i margini della strada, se non addirittura accompagnato dagli insulti e dagli improperi quando non da altri sassi.

Eppure viene liquidata l’intera faccenda con poche parole, perché? Perché il focus non è il dolore che Paolo sopporta per la sua fede in Cristo, il vero protagonista non è Paolo che come un antenato di Rambo si cuce da solo le ferite e riparte più forte di prima – ciò che non mi uccide mi rende più forte -, il vero protagonista è il Vangelo, la Buona notizia/novella – che viene predicato comunque e nonostante le molte tribolazioni. L’autore – S. Luca, l’evangelista – non si sofferma a descrivere i particolari delle ferite o delle altre tribolazioni sopportate da S. Paolo, eppure avrebbe potuto farlo essendo con tutta probabilità un medico; la parte dominante è l’incalzare dell’evangelizzazione, anche se per farlo, bisogna passare molti guai, la cosa importante è che La Parola corra veloce e che arrivi a tutti il più in fretta possibile.

L’urgenza è la salvezza delle anime, ma per ottenerla bisogna predicare la conversione e la fede in Gesù Cristo Figlio di Dio, risorto dai morti; e se la strada per evangelizzare è piena di sassi e di inciampi, irta e colma di pericoli nonché di fatiche di vario tipo, non ha importanza, la si percorre lo stesso, si rischia il tutto per tutto per la salvezza della anime; quando si intuisce la grandezza di essere discepoli del Signore, si è disposti a sopportare tutto pur di salvarsi e pur di salvare qualche altra anima.

Cari sposi, quante volte anche noi abbiamo avvertito questa urgenza all’interno delle nostre relazioni sponsali? O lasciamo andare le cose come vadano? Quante volte abbiamo sentito l’urgenza di salvare le anime dei nostri figli che magari stanno vivendo lontano da Dio? Certamente non possiamo oltrepassare la porta della coscienza altrui né con la prepotenza né con la superbia, ma almeno possiamo cominciare col rinnovare l’invito alla conversione, forse denunciare una situazione di peccato, soprattutto quando questo è mortale; ancor prima di fare questo sarebbe meglio mettere in preghiera – rafforzata dal digiuno – questa urgenza per chiedere al Signore di parlare con la Sua ferma dolcezza, di agire con la sua risoluta tenerezza, di essere Suoi strumenti per aprire una breccia nel cuore dei nostri cari.

Gli sposi inoltre sono come degli ambasciatori di Dio posti nel mondo in Sua vece, perciò ovunque essi si trovano a vivere, il mondo dovrebbe ricevere un annuncio simile a quello per cui S. Paolo è stato lapidato. Non a tutti è chiesto un annuncio a parole, ai più è chiesto un annuncio di vita vissuta nel matrimonio, conformi alla Grazia di questo sacramento. Se gli altri che vivono intorno a noi non si accorgono che siamo sposati in Cristo o nemmeno si accorgono che siamo cristiani, c’è qualcosa che non va nella nostra vita.

Coraggio sposi, quando si avverte che la cosa più preziosa di questa vita è viverla in funzione della salvezza e della costruzione del Regno di Dio, allora diveniamo simili a S. Paolo che non viene fermato da lapidazione, oltraggi, offese, naufragi, prigionie e molte altre tribolazioni. Impariamo dai giocatori di rugby che hanno lo sguardo puntato sulla meta, corrono il più veloce possibile con la palla in mano non curandosi di eventuali ostacoli che incontrano sul tragitto, l’importante è arrivare alla meta costi quel che costi.

Giorgio e Valentina.

Apertura all’amore

La Chiesa ci chiede di vivere il nostro incontro intimo in modo che sia “aperto alla vita”. Abbiamo già trattato in altri articoli questa tematica. Oggi vorremmo riprenderla per presentare una prospettiva diversa. Apertura alla vita intesa non solo come una semplice apertura alla procreazione, ma come apertura all’amore stesso. La nostra riflessione trae spunto dal Vangelo di ieri (domenica) nel quale Gesù, che è l’Amore, dice di sè stesso: io sono la via, la verità e la vita (Giovanni 14, 6).

IO SONO LA VIA

Tutto inizia con un cammino. Quando inizia una relazione affettiva ognuno arriva con le proprie convinzioni, idee, con la propria storia costellata di momenti gioiosi ma anche di sofferenza e di ferite più o meno aperte. Gesù ci chiede di essere radicali, ci chiede di deciderci e di metterci alla Sua sequela, di non tenere il piede in due scarpe ma di abbracciare il Suo insegnamento perchè è la strada per vivere in pienezza la nostra vocazione all’amore. Amore che si concretizza nel corpo. Alcuni di voi potrebbero pensare che Gesù non ha mai parlato di metodi naturali e anticoncezionali. E’ vero ma sappiamo bene come la Chiesa sia sposa di Cristo e come lo Spirito Santo parli attraverso di essa. Ricordiamo sempre che la legge morale non è una serie di regoline, limitazioni o divieti posti per chissà quale perverso desiderio di frustrare la gioia e la libertà delle persone. La legge morale non è altro che la descrizione di come siamo fatti, di cosa significa essere davvero uomo e davvero donna e di come possiamo essere realizzati e felici nelle nostre relazioni. L’apertura alla vita indica proprio questa pienezza. Perchè permette di vivere la sessualità per quello che è: la concretizzazione attraverso il corpo del dono totale del cuore dei due sposi. Il corpo diventa specchio del cuore, nella verità.

IO SONO LA VERITA’

Abbiamo terminato il paragrafo sulla via con la parola verità. Gesù è verità. Gesù è verità su tutto anche e soprattutto su come si ama fino in fondo, su come si è uomini fino in fondo. Anche l’intimità ha bisogno di verità. In una relazione matrimoniale è fondamentale. Da come si vive la sessualità nella coppia si può capire molto anche di tutto il resto. Perchè gli anticoncezionali non permettono di amare nella verità? L’abbiamo scritto diverse volte: non permettono il dono totale. I metodi naturali permettono di accogliere la propria sposa o il proprio sposo interamente nella sua fertilità femminile o maschile. Gli anticoncezionali escludono una parte della donna o dell’uomo lasciando spesso una sensazione negativa di incompiutezza e frustrazione.  C’è magari il piacere fisico ma viene a mancare una gran parte dell’unione profonda dei cuori. Manca l’ingrediente più importante. Quello che fa differenza. La differenza tra chi fa del sesso e chi concretizza, attraverso il corpo, l’unione intima che lega due sposi che vivono il loro matrimonio nel dono e nell’accoglienza autentica, piena e vicendevole. Manca il piacere che viene dalla comunione profonda dei due. Non c’è più verità tra cuore e corpo. Due sposi che si sono uniti per donarsi vicendevolmente tutto di sè come Gesù nell’Eucarestia poi, per essere realizzati e vivere in pienezza il matrimonio, hanno bisogno di concretizzare questo dono totale, senza riserve, attraverso il corpo. Solo così quel gesto porterà sempre vita.

IO SONO LA VITA

Vita in questo caso è sinonimo di amore perchè l’amore è sempre generativo. E’ un grande errore ridurre l’apertura alla vita alla sola procreazione. Certamente c’è anche quella, ma la fecondità dell’amore è molto di più della procreazione. E’ così che, quando il gesto è vissuto nella giusta via e nella piena verità, accade il miracolo. I due non sono più due ma sono uno. Sono una carne sola. Un sol corpo e sol cuore. Fanno esperienza nell’amplesso fisico di una comunione profonda che permette loro di rendere visibile e tangibile ciò che il matrimonio ha operato nel loro cuore. Vivere l’incontro intimo così genera sempre nuova vita-amore. Gli sposi si nutrono direttamente al loro sacramento per portare frutto nel mondo. L’amplesso fisico vissuto castamente (nel dono totale e nella verità) è non solo gesto sacramentale e liturgico ma redentivo. I due sposi si fanno santi anche attraverso l’amplesso fisico. Portano l’amore di Dio nella loro famiglia e nel mondo che li circonda. Perchè quell’amore di cui fanno esperienza poi viene donato. Donato al coniuge nei giorni a venire, ai figli e a tutte le persone che i due sposi incontreranno.

Vi rendete conto cosa significa essere aperti alla vita? Non è un obbligo ma è una scelta che riguarda tutta la nostra relazione e non solo il modo con cui abbiamo rapporti.

Antonio e Luisa

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E che ci vuole per sposarsi?

Cari sposi,

            la Parola di oggi esordisce con uno spaccato di vita ordinaria della primissima comunità cristiana. Dinanzi al problema di come aiutare le vedove, gli apostoli si trovano però in difficoltà. Dedicarsi a tempo pieno a preparare le omelie oppure distribuire focacce e vestiti a queste povere signore? Non bastava più il tempo per entrambe le cose, come spesso accade a tanti sacerdoti oggi, divisi tra la pastorale e la burocrazia parrocchiale. La soluzione non è poi così “geniale” agli occhi nostri, ma attenzione: quella che potrebbe sembrare un semplice incarico e una mansione molto terra terra, divenne un vero e proprio ministero istituito – il diaconato -, nientemeno che il primo grado dell’ordine sacerdotale. Pensate a questo: per poter servire la comunità cristiana non basta solo trovare del tempo libero e avere un po’ di buona volontà ma nientemeno che l’essere investiti dalla Potenza dello Spirito Santo! Già qui ci sarebbe tanto da riflettere…

Ecco allora qui uno stupendo assist al matrimonio. In effetti, il diaconato nella Chiesa è stato successivamente compreso come il primo gradino verso il sacerdozio e i diaconi in tal modo rientrano in un vero e proprio “ordine” (cfr. Catechismo, 1537), cioè una categoria specifica nella Chiesa, in forza della consacrazione dello Spirito Santo. Ma anche voi sposi carissimi formate un ordine, una comunità all’interno della Chiesa (cfr. Catechismo, 1631). Siete così a tutti gli effetti quel popolo sacerdotale, quella nazione santa di cui parla S. Pietro nella Seconda lettura e il Signore vi ha costituiti tali con il Suo Spirito. E per cosa? Per proclamare le Sue opere ammirevoli.

A questo punto potreste sentirvi un po’ persi: “che opere annunciamo io e il mio coniuge? Magari qualche disastro” può dire qualcuno… e invece voi sposi avete il dono di essere annunciatori di una grandissima opera di Dio. Voi siete riflesso del volto trinitario di Dio, potete essere per noi Chiesa una carezza di Gesù, uno sguardo Paterno, un soffio di Spirito. Un dono, in definitiva, che attende di essere messo in opera. Voi siete, cari sposi, quel volto paterno di Dio, e lo siete non solo per i figli che Lui vi ha concesso, ma lo siete anche per tutta la Chiesa nella quale vivete. Ecco la “opera ammirevole” per la quale il Signore vi ha costituito un “ordine”, una corpo unito nella Chiesa; Egli vi concede di rendere sensibile e usufruibile la presenza di Dio con il vostro amore fedele e fecondo.

Tornando ai diaconi, si coglie un interessante parallelo con voi sposi. Infatti, ci voleva tanto per organizzare una piccola Caritas per le vedove, al punto da scomodare lo Spirito Santo? Analogamente, che bisogno c’è dello Spirito per volersi bene, avere figli ed educarli, se in fin dei conti è ciò che le coppie fanno fin dalla preistoria e se tutto ciò è qualcosa di spontaneo? Ebbene sì, ci vuole lo Spirito, non solo per essere sposi ma soprattutto perché facendo le stesse cose di tutte le coppie di ieri e oggi, voi “proclamiate le Sue opere ammirevoli”. Solo con lo Spirito tutto lo sforzo e l’amore ci mettete o ci vorreste mettere in quello che fate acquista un valore soprannaturale ed eterno e rende la vostra coppia “«scultura» vivente” proprio perché “capace di manifestare il Dio creatore e salvatore” e così diventare “il simbolo delle realtà intime di Dio” (cfr. Amoris Laetitia, 11).

ANTONIO E LUISA

Padre Luca l’ha toccata piano. Ci ha soltanto detto che da come ci amiamo noi sposi nella vita di tutti i giorni si dovrebbe “vedere” il modo di amare di Dio. Una cosa da niente. Ma se ci pensate bene è proprio così! Ed è così proprio perchè non siamo perfetti. Il matrimonio è immagine dell’amore di Dio che è perfetto. Non perchè siamo perfetti noi sposi, ma perchè la nostra imperfezione, i nostri errori, i nostri limiti e le nostre debolezze, quando vissuti nell’abbandono a Dio e nella Grazia di Dio, sono motivo per perdonare, per amare gratuitamente e senza merito alcuno il nostro coniuge. Questo è l’amore misericordioso di Dio. Questo è quell’amore di cui noi sposi siamo chiamati ad essere immagine.

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Pinocchio /2

Terminato l’iniziale incontro alquanto burrascoso tra “quel pezzo di legno” e Mastro Ciliegia, ecco che il secondo capitolo comincia con un altro falegname, amico del primo, il quale bussa alla porta della bottega, teatro di un improbabile tafferuglio. Entra quindi in scena un secondo lavoratore del legno, il famoso Geppetto, il quale, a differenza di Mastro Ciliegia, ha già un’idea in testa: “Ho pensato di fabbricarmi da me un bel burattino di legno; ma un burattino maraviglioso, che sappia ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali.“.

Questa frase sembra solo uno stratagemma letterario per passare la palla a Geppetto, quasi che l’autore non avesse più idea di come far proseguire l’iniziale baruffa tra Mastro Ciliegia e il pezzo di legno; all’inizio infatti ci è sembrato di intuire che a volte anche noi facciamo così: quando non riusciamo a “trattare” con i nostri figli o con il nostro coniuge, cominciamo una battaglia, e nel bel mezzo di questa capita di voler gettare la spugna, un po’ come se aspettassimo un nostro Geppetto che finalmente ci liberi da questa fatica. E’ a questo punto che partono frasi del tipo: “Ma chi me l’ha fatto fare di sposarti?… aveva ragione mia mamma , mi aveva messo in guardia… ecc… “, ci sembra che l’altro sia come un’armadio dell’Ikea che non riusciamo a montare senza istruzioni, ci pare impossibile addirittura averlo scelto al negozio e di averlo già tra i piedi in casa… e invochiamo un fantomatico Geppetto che bussi alla porta e se lo/a prenda.

Cari sposi, a volte nel matrimonio si vivono momenti così, ma per capire come uscirne non dobbiamo invocare il nostro Geppetto, ma chiederci se non siamo noi ad essere come Mastro Ciliegia, se non siamo noi ad aver perso lo sguardo sul nostro coniuge, quello sguardo che intravede già un burattino. Continuando però nella riflessione su questo inizio del capitolo secondo, si può notare come salti all’occhio una differenza sostanziale tra i due falegnami: Mastro Ciliegia non sa che farsene di quel pezzo di legno e se ne vuole disfare, Geppetto, al contrario ha già un’idea in mente, viene alla porta di Mastro Ciliegia spinto proprio da quell’idea.

Il suo approccio è totalmente diverso perché ha un progetto molto ardito, ci vuole infatti molta immaginazione per intravedere dentro un pezzo di legno da stufa un burattino che sappia ballare. Se ci pensiamo bene Geppetto sta addirittura come raffigurazione di Dio Padre. Ed ognuno di noi in fondo è come quel pezzo di legno, del quale il Creatore ha deciso di farne un burattino che sappia ballare, su ognuno di noi c’è un progetto ardito e ben definito, ognuno di noi è stato pensato e fortemente voluto da Qualcuno prima di noi. Praticamente Pinocchio esisteva nella mente di Geppetto ancora prima di esistere, ancor prima di uscire da quel legno; similmente ognuno di noi esisteva nel pensiero di Dio dall’eternità.

Quando ero piccolo sentivo i racconti di fatti della mia famiglia accaduti prima che io nascessi, e la risposta alla mia faccina esterrefatta che sentivo spesso rivolgermi era: “Tu eri ancora in mente Dei“. Col tempo ho capito la profondità di tal modo di dire, perché è vero che prima ancora che ognuno di noi venisse all’esistenza era già in mente Dei, cioè nella mente di Dio, nei Suoi progetti, nelle Sue intenzioni.

E questa consapevolezza è la prima fonte di gioia della vita: la gioia di sapermi visto, voluto ed amato da sempre. Di fronte alle domande sulla nostra origine ci sono solo due strade: o tutto è un caso oppure tutto è stato voluto, tertium non datur, cioè la terza soluzione non esiste. Se volessimo seguire la strada del caso fino alle sue estreme conseguenze, tenendo come bussola il caso, rimanendo coerenti con questa tesi, finiremmo nella più desolata delle disperazioni, non troveremmo senso neanche dentro il più bello degli amori, dentro la più bella esperienza di affetto o di amicizia, e nemmeno si spiegherebbe il desiderio di infinito che alberga dentro il nostro cuore.

Al contrario, la visione di un Dio che, per sua libera ed insindacabile decisione decide di crearmi – senza chiedermene il permesso – è sicuramente eccedente ad ogni umana comprensione, ma è un mistero che illumina l’intera esistenza. Il motivo per cui il Creatore abbia deciso di creare me tra le molteplici ed infinite possibilità che aveva a disposizione resta oscuro alla mia ragione, l’unica risposta ragionevole è l’amore; alla radice della mia esistenza c’è un puro atto di amore incondizionato ed infinito perché la mia venuta all’esistenza non ha nessuna giustificazione convincente.

Facciamo un’ultima riflessione: se la radice del nostro essere è eterna, l’unico destino della nostra vita non può che essere eterno; in Dio infatti tutto esiste da sempre senza evoluzioni o successioni, ne sovviene che chi in qualche modo affonda le proprie radici nell’eternità, è fatto per vivere eternamente. La ragionevolezza della vita eterna quindi trova la sua spiegazione nell’atto creativo di Dio, in Lui l’inizio e la fine sono correlati, poiché in realtà inizio e fine sono categorie dell’umano pensiero, ma in Dio coincidono essendo in Se stesso infinito ed eterno.

Cari sposi, ogni tanto fermiamoci a ringraziare il Signore che – nonostante le nostre reticenze – ci ha donato il coniuge che da sempre ha pensato per noi, non ce n’era un altro migliore, ci ha donato quello perfetto, non perfetto in sé stesso, ma perfetto per amare solo noi e per lasciarsi amare solo da noi di un amore sponsale che deve avere il sapore dell’amore di Dio. Ma questo vale anche in relazione ai nostri figli: di genitori migliori di noi ce ne sono a bizzeffe, ma Lui ha scelto di fidarsi di noi perché solo noi abbiamo le caratteristiche perfette per amare quei figli, quelli e non altri, per realizzare il Suo progetto su quei figli ha bisogno di noi come genitori, nonostante – ma anche attraverso – le nostre povertà, le nostre fragilità, i nostri sbagli.

Coraggio sposi, non stiamo semplicemente insieme per il capriccio casuale di forze anonime alle quali siamo indifferenti, ma siamo uniti in virtù di una trascendente volontà di comunione che sta all’origine della nostra esistenza. Parafrasando le parole di Geppetto, il Creatore direbbe: “Ho pensato di fabbricarmi da me una coppia di sposi che…“.

Giorgio e Valentina.

Mio marito è attratto da altre donne. Lo vivo come un tradimento

Oggi rispondo ad un messaggio arrivato sotto un altro articolo. In questo articolo ho scritto di essere attratto da tante donne anche adesso che sono sposato. La lettrice mi ha quindi scritto: riguardo la tua frase “(…) seppur io mi senta attratto da tantissime donne(…)”:vorrei essere aiutata a comprendere e accogliere questa realtà. Io lo vivo come un tradimento.

Mi sono preso del tempo per rispondere a questa richiesta. Non è facile perchè mi obbliga a mettere a nudo alcune mie debolezze che dipendono da ferite del passato. Ma non solo questo! C’è qualcosa che caratterizza noi maschi e ci differenzia dalle donne. E questo spesso voi donne non lo prendete in considerazione o proprio non lo sapete. Viviamo in una società che cerca di appianare ogni differenza, che ci dice che uomo e donna sono esattamente uguali ed intercambiabili. Non è così! Abbiamo un cervello completamente differente e reagiamo in modo differente alle stimolazioni esterne. Siamo biologicamente differenti e questo non lo si prende mai in considerazione. Vi darò ora alcune informazioni che possono essere utili ad una riflessione personale e di coppia.

Il testosterone fa la differenza. Non si tratta di accampare scuse o di giustificare dei comportamenti sbagliati. È semplice e pura biologia. È oggettivo. L’uomo è biologicamente più portato a pensare al sesso. Raggiunta la pubertà, noi uomini abbiamo dieci volte il testosterone delle donne. Il testosterone è l’ormone sessuale più importante che resta, in noi maschi, in quantità elevate fino ai 30 anni e poi tende a diminuire molto lentamente (circa 1% all’anno). Questo significa che influenza le pulsioni maschili ben oltre i 30 anni. Questo care donne significa che essere attratti da altre creature di sesso femminile è normale, risponde ad una pulsione biologica. Ciò che fa la differenza è come reagiamo a quella pulsione. Ma la pulsione non dipende da noi, fa parte di noi.

La vista fa la differenza. Anche in questo, care rappresentanti dell’altro sesso, siamo completamente differenti. L’uomo ha negli occhi un vero e proprio stimolante sessuale. L’uomo si eccita con la vista. Per la donna la vista ha un impatto meno importante. Anche questo è un fattore non indifferente. La donna si sente stimolata dal corteggiamento, dal sentirsi al centro delle attenzioni dell’uomo. Per lei è importante sentirsi preziosa. Certo l’uomo deve piacere fisicamente ma quello è solo l’inizio. Per l’uomo invece spesso basta la vista di una donna con determinate caratteristiche fisiche per sentirsi attratto. Certo sta anche a noi uomini non esprimere in modo troppo evidente questa attrazione. Il modo può certamente ferire nostra moglie.

La pornografia ha una forza dirompente. La pornografia va ad accentuare le caratteristiche sopra descritte. Vi do solo due dati che sono rilevanti rispetto alla tesi che voglio presentare. L’uso di pornografia è prevalentemente maschile. Solo ultimamente sta crescendo la quota femminile che si attesta, secondo le ultime ricerche, ad un terzo del totale. La quota sta crescendo non solo per un minor stigma sociale (non ci si vergogna più) o per una facilità maggiore nell’accesso, ma anche per una maggior attenzione dei produttori a dare ciò che le donne cercano. I video pornografici per un pubblico femminile sono costruiti in modo diverso. I video per le donne mostrano un rapporto sessuale con la donna al centro dei preliminari, e colmo di di attenzioni tenere e romantiche del partner. Comunque l’uso della pornografia da parte dell’uomo crea una incapacità a vedere la donna nella sua interezza di persona, ma “educa” a guardare la donna come oggetto. Purtroppo la pornografia lascia delle conseguenze anche quando si smette di guardarla. L’uomo che ha visto pornografia farà più fatica a guardare la donna nella sua interezza.

Tutte queste premesse per arrivare alle conclusioni. L’uomo che si sente attratto sessualmente da donne diverse dalla moglie non è un porco o una persona poco seria. È semplicemente un uomo con tutte le sue caratteristiche che sono differenti da quelle femminili. Un uomo che, nella maggior parte dei casi, ha fatto o fa ancora uso di pornografia ed è ferito e quindi fa ancor più fatica ad avere uno sguardo limpido. Ciò che la donna dovrebbe comprendere è proprio questa differenza. Perche se comprende ed accoglie questa differenza poi non ci rimane male. Quello che non deve fare la donna, è mettere se stessa in discussione, come se lui guardasse un’altra perchè lei non è abbastanza per lui. Non è così (almeno di solito). Io ho la fortuna di poterne parlare liberamente con Luisa. Mi capita qualche volta anche di scherzare con lei. Di dirle cose del tipo: visto quella che carina. Mi serve per creare vicinanza e complicità. Per rimettere mia moglie al centro dei miei pensieri. Lei ormai ha capito e non se la prende. Il peccato non sta nella tentazione ma nel dare corda a quella tentazione. Io vedo tantissime donne da cui mi sento attratto ma tutto resta lì. Basta non dare peso, non alimentare quell’attrazione e pensare a mia moglie. Luisa ormai è per me la più bella. Non perchè lo sia oggettivamente. Ci sono tantissime donne fisicamente più giovani e belle di mia moglie. È la più bella soggettivamente, per me. Per come la conosco, per come tutto il suo corpo è trasfigurato ai miei occhi da tutto l’amore che ci siamo dati. Lei per me non è solo un corpo ma è Luisa nella sua interezza di corpo, anima, sensibilità, cuore. Il suo corpo esprime la bellezza di tutta la sua persona. Per questo lei per me è l’unica e non sento il desiderio di fare l’amore con un’altra che non sia lei.

Antonio e Luisa

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L’uomo che lava i piatti è meno uomo?

Oggi scateniamo un po’ di polemiche. Naturalmente spero di non farlo, ma quando si prova a riflettere su questi temi spesso le discussioni si accendono. Forse perchè abbiamo delle idee radicate che poi influenzano tutta la nostra quotidianità e le nostre relazioni ed è quindi difficile metterle in discussione. Riporto una frase pronunciata durante un’intervista a Domenica In da Laura Chiatti, un’attrice abbastanza conosciuta ed apprezzata in Italia. Laura ha detto esattamente queste parole: “L’uomo che fa il letto o lava i piatti mi uccide l’eros”.

Premesso che si tratta di una frase estrapolata e, come dalla stessa attrice poi specificato, detta in modo scherzoso e goliardico, esprime comunque un concetto caro ad una fetta di italiani. Un concetto che piace a quella parte di popolazione più conservatrice e cristiana, di cui non mi vergogno di fare parte. Ciò è confermato dal fatto che Pillon e Adinolfi hanno ripreso queste parole esprimendo sui social la propria soddisfazione per questa presa di posizione da parte di una donna che apprezza la virilità di un uomo che fa l’uomo in casa.

In questo caso però, caro Pillon e caro Marione Adinolfi (ti voglio comunque bene), non sono d’accordo con voi. L’uomo virile non è quello che in casa ha il ruolo di essere servito. Quello di solito è un mammone che cerca di trovare nella moglie un surrogato della mamma. La differenza tra uomo e donna esiste ma non si concretizza nel confinare in ruoli prestabiliti i due sessi. Mi spiego meglio. Io posso tranquillamente pulire casa, ciò che mi differenzia da mia moglie è il modo e l’atteggiamento con cui lo faccio. Esistono delle predisposizioni più maschili o più femminili per determinate attività, ma ciò non significa che l’uomo non possa fare determinati lavori. Fino ad alcuni anni fa la donna si occupava prevalentemente della casa perchè non lavorava fuori. I ruoli erano ben definiti. Oggi non è più così. Non sta a me dire se sia meglio o peggio. Anche perchè se prima la donna era “obbligata” a stare a casa, ora è “obbligata” a lavorare perchè uno stipendio in casa non basta. Mia moglie mi ha più volte confidato che le sarebbe piaciuto fare la casalinga e occuparsi dei figli. Invece ha dovuto lasciare i figli ad altri per occuparsi dei figli degli altri (è un’insegnante). Anche questa non è libertà. Come non lo era prima. L’unica eccezione dove esistono ruoli che è meglio non modificare è nell’ambito genitoriale. Mamma e papà sono differenti e questa differenza è fondamentale per la crescita sana dei figli. Ma non mi soffermo su questo aspetto. Ci sarebbero troppe cose da dire.

Ma quindi come è un uomo virile? Ce lo dice il Vangelo in Efesini 5:  E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei. Già perchè di solito noi uomini facciamo fatica a donarci completamente. Abbiamo questo egoismo marcato che ci spinge ad usare nostra moglie Non voglio affermare che noi uomini siamo tutti egoisti mentre le donne tutte perfette. Come in tutta la complessità umana esistono varie sfumature, ma è altrettanto vero che noi uomini siamo mediamente più egoisti. Quindi l’uomo virile è quello che è capace di morire per la moglie. E’ capace di voler bene alla moglie, di volere il suo bene. Di farsi servo per amore. Infatti in Efesini troviamo scritto anche:  il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa. Una frase che sembra il massimo del maschilismo e del patriarcato ma che esprime invece la bellezza dell’amore. Già perchè ci viene chiesto di essere capo ma al modo di Gesù. Gesù si è inginocchiato e ha lavato i piedi ai discepoli. Questo è il modo che un vero uomo deve adottare per manifestare la sua virilità.

Quindi l’uomo virile è quello capace di sacrificio, di servizio, di cura, di tenerezza verso la propria sposa. Quello che desidera nel profondo del cuore la felicità della persona che ha accanto. Io sono grato a Luisa per tutto quello che fa ma vedo anche la fatica che le costa. Collaborare non è solo un dovere verso di lei e verso la famiglia ma è il modo più concreto per amarla. Quindi lavare i piatti, fare i letti, pulire casa non solo mi rende più uomo ma mi rende più cristiano. Perchè ogni gesto d’amore compiuto nel matrimonio è un gesto sacro, è un sacrificio offerto a Dio.

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Serve un comandamento per amare?

Sono di ritorno dall’incontro nazionale dell’associazione di cui Luisa ed io facciamo parte da ormai 15 anni, l’Intercomunione delle famiglie. Come sempre accade, sono stati tre giorni di grazia e di amicizia. Quest’anno abbiamo avuto il piacere di ospitare Giuseppe Spimpolo. Non lo conoscevo ed è stato amore a prima vista. Amore per la passione con la quale ci ha portato le sue conoscenze e la sua testimonianza di sposo, genitore (di 5 figli) ed educatore. Amore per la verità e per la bellezza che è riuscito a raccontare. Amore per l’amore che Giuseppe ha per sua moglie, che traspariva limpido e che ne ha fatto un testimone credibile. Giuseppe è insegnante di religione, ricercatore universitario (filosofia) e educatore dell’Istituto per l’Educazione alla sessualità e alla Fertilità (INER) di Verona. Ho deciso quindi di riprendere la sua catechesi e farne diversi articoli. Non solo riportando fedelmente le sue parole ma cercando di elaborarle e facendone una riflessione anche mia.

In questo primo articolo mi soffermo su Genesi 2, in particolare su un versetto: Dio li benedisse e disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra. Giuseppe qui ha lanciato una provocazione importante. Era necessario che Dio desse questo primo comandamento? Che Dio dovesse dire, anche con imperativo che non lascia molte repliche, cosa dovessero fare uomo e donna? Giuseppe ci ha fornito anche un piccolo suggerimento. Ci ha invitato a cercare la risposta nella bellissima enciclica di papa Benedetto Deus Caritas est. Questa enciclica è il primo documento di un pontefice in cui potete trovare la parola eros come manifestazione dell’amore. Qualcosa quindi di molto concreto. Io sono andato a riprendere il documento in questione. Mi sono lasciato provocare da un paragrafo in particolare che vi riporto:

Due sono qui gli aspetti importanti: l’eros è come radicato nella natura stessa dell’uomo; Adamo è in ricerca e « abbandona suo padre e sua madre » per trovare la donna; solo nel loro insieme rappresentano l’interezza dell’umanità, diventano « una sola carne ». Non meno importante è il secondo aspetto: in un orientamento fondato nella creazione, l’eros rimanda l’uomo al matrimonio, a un legame caratterizzato da unicità e definitività; così, e solo così, si realizza la sua intima destinazione. All’immagine del Dio monoteistico corrisponde il matrimonio monogamico. Il matrimonio basato su un amore esclusivo e definitivo diventa l’icona del rapporto di Dio con il suo popolo e viceversa: il modo di amare di Dio diventa la misura dell’amore umano. Questo stretto nesso tra eros e matrimonio nella Bibbia quasi non trova paralleli nella letteratura al di fuori di essa.

Cosa ci vuole dire il Papa? Io vi fornisco la mia interpretazione.

Dio vuole un amore che sia anche nella carne. L’eros non è una tentazione. L’eros non è qualcosa da rifuggire, l’eros non ci allontana da Dio, ma è stato Dio stesso a donarci questo modo di amare: l’eros è come radicato nella natura stessa dell’uomo. Noi cristiani siamo gli unici a credere in un Dio fatto carne. Un Dio che ha preso un corpo e che ha manifestato l’amore attraverso il Suo corpo. Gesù amava con lo sguardo, con le parole, con le mani, con tutto il suo corpo. L’eros è ciò che ci spinge ad aprirci ad una relazione. L’eros è il motore che ci dà la spinta ad uscire dalla nostra solitudine per fare esperienza della relazione con un’alterità e che permette poi l’amore. Non ci può essere amore senza relazione. Per questo Dio non è da solo ma sono Tre Persone. Perchè Dio è amore e l’amore è possibile solo nella relazione. Quindi non guardiamo l’eros come un pericolo. L’eros è parte dell’amore ed è quindi parte del dono più grande che Dio ci ha fatto. Ma l’eros è solo una parte dell’amore. E’ un anticipo di bellezza. Ci fa pregustare ciò a cui siamo chiamati. Ce lo fa desiderare. Il peccato sta nel ridurre l’amore alla sola parte sensibile. Lì poi si annida l’incompiutezza e la povertà. Quindi il comandamento di Dio in Genesi ci dice proprio di andare fino in fondo alla nostra chiamata all’amore. Ci dice di non accontentarci!

La pienezza dell’amore è nel matrimonio. L’eros permette di aprirci, ci spingi fuori dalla nostra solitudine ma è solo un assaggio della bellezza. Poi l’amore si completa nel matrimonio. Non meno importante è il secondo aspetto: in un orientamento fondato nella creazione, l’eros rimanda l’uomo al matrimonio, a un legame caratterizzato da unicità e definitività; così, e solo così, si realizza la sua intima destinazione. Noi abbiamo la nostaglia di una destinazione. Abbiamo la nostalgia di un amore che sia unico e definitivo. Un amore che troveremo pienamente solo in Dio ma che possiamo assaporare già su questa terra attraverso il matrimonio. Il matrimonio è l’opportunità che Dio ci offre di fare esperienza del Suo amore già su questa terra. Certo in modo limitato ed imperfetto ma comunque meraviglioso. Il matrimonio è caraterizzato da una relazione davvero totale (anima, corpo e psiche) e da un amore completo (eros, agape e filia). Un amore dove l’eros diventa espressione del dono (dell’agape) e dove il corpo sessuato (maschio e femmina) diventa luogo della comunione e per questo capace di essere fecondo.

Mi spiace quando vedo il matrimonio ridicolizzato e banalizzato. Mi spiace quando constato che tanti giovani hanno paura di sposarsi o non vedono la bellezza del matrimonio. Mi spiace perchè tanti rinunciano alla più grande occasione che Dio può dare loro di fare un’esperienza di Lui nella vita. Qualcuno diceva che nell’amore si può perdere ma chi non ci prova ha perso in partenza. Non vale la pena provarci?

Antonio e Luisa

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La persecuzione feconda.

Dagli Atti degli Apostoli (At 11,19-26) In quei giorni, quelli che si erano dispersi a causa della persecuzione scoppiata a motivo di Stefano erano arrivati fino alla Fenicia, a Cipro e ad Antiòchia e non proclamavano la Parola a nessuno fuorché ai Giudei. Ma alcuni di loro, gente di Cipro e di Cirène, giunti ad Antiòchia, cominciarono a parlare anche ai Greci, annunciando che Gesù è il Signore. E la mano del Signore era con loro e così un grande numero credette e si convertì al Signore. Questa notizia giunse agli orecchi della Chiesa di Gerusalemme, e mandarono Bàrnaba ad Antiòchia. Quando questi giunse e vide la grazia di Dio, si rallegrò ed esortava tutti a restare, con cuore risoluto, fedeli al Signore, da uomo virtuoso quale era e pieno di Spirito Santo e di fede. E una folla considerevole fu aggiunta al Signore. Bàrnaba poi partì alla volta di Tarso per cercare Sàulo: lo trovò e lo condusse ad Antiòchia. Rimasero insieme un anno intero in quella Chiesa e istruirono molta gente. Ad Antiòchia per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani.

Anche in questo brano degli Atti troviamo un elenco di fatti che apparentemente potrà sembrare scarno, ma è alquanto essenziale per capire alcune dinamiche dell’evangelizzazione. Antiochia è diventata famosa perché è la città nella quale per la prima volta i discepoli di Gesù Cristo furono chiamati cristiani, ma come ha fatto il Vangelo ad arrivare in questa città benedetta sì da meritarsi un anno di predicazione del grande Apostolo delle genti, San Paolo, insieme al suo inseparabile Barnaba, ci viene raccontato in questo brano.

Tutto parte da alcune persone di Cipro e di Cirene, i quali, trasgredendo la consuetudine di allora, cominciano ad evangelizzare ai gentili, cioè ai non-Giudei. E il Signore benedisse questa apparente noncuranza delle “regole degli evangelizzatori”, questa sfrontatezza di permettersi di parlare ai non-Giudei. Ma possiamo premiarli semplicemente come dei pionieri dell’evangelizzazione oppure liquidarli alla stregua di sprovveduti a cui è semplicemente andata bene?

Nessuna delle due ipotesi sarebbe rispettosa di questi discepoli, essi infatti non sono degli improvvisatori ma hanno seguito l’intuito che lo Spirito Santo ha messo nei loro cuori, ma questo intuito non è venuto dal nulla come per incanto. Essi erano sfuggiti alla persecuzione causata da Stefano – ve lo ricordate quello che onoriamo il 26 Dicembre ed è definito il protomartire? – tra molte tribolazioni e pericoli, hanno viaggiato con prudenza e coraggio fino a giungere ad Antiochia. Quando si sopravvive ad una persecuzione – soprattutto una di quelle cruenti – non si può restare a braccia conserte aspettando il tempo che passa; è probabile che questa gente abbia conosciuto direttamente Stefano, in ogni caso, il fatto di essere sopravvissuti ad una persecuzione nonché ad un viaggio rischioso ed insidioso, avrà interrogato i loro cuori, e loro hanno risposto generosamente a questo appello della coscienza, hanno ricevuto nuova forza e coraggio dallo Spirito Santo per evangelizzare in questa nuova città anche i non-Giudei.

Cari sposi, di sicuro molti di noi sono “sopravvissuti” a tante tribolazioni, forse non a persecuzioni cruente, ci sono molte coppie che sono “risorte” dopo anni di relazione morta, ci sono sposi che hanno perdonato tradimenti nel silenzio del proprio cuore, nella totale indifferenza del mondo, forse, ma non sono indifferenti al Signore. Oggi ci rivolgiamo particolarmente a questi sposi: vi siete mai chiesti perché siete “sopravvissuti”?

Forse il Signore vi sta chiedendo di andare ad evangelizzare la vostra “Antiochia”, non lasciate cadere invano la richiesta dello Spirito Santo ad essere Suoi testimoni veraci, basta rispondere con generosità all’appello del Signore, almeno come atto di giustizia a Colui che un tempo si è mostrato tanto generoso con voi da donarvi un “nuova vita”.

Alla fine di questo brano si capisce cosa intende la Chiesa quando ci insegna che le persecuzioni sono feconde, quando ci insegna che il sangue dei martiri diventa come il fertilizzante che nutre e fa germogliare la terra: tutto nasce dal martirio di Santo Stefano e dalla persecuzione scoppiata a causa sua, questa gente scappa fino ad Antiochia, lì giunge Barnaba, il quale chiama pure San Paolo, si fermano almeno un anno ed il Vangelo comincia ad essere predicato ai non-Giudei. Tutto è partito dal martirio di Santo Stefano, se ci pensiamo bene noi che non siamo dei Giudei siamo stati evangelizzati grazie a questa vicenda narrata in questo brano, poteva Stefano immaginarsi che il suo sacrificio sarebbe stato così fecondo? No di sicuro!

Coraggio sposi, quando siamo perseguitati, quando stiamo vivendo un sacrificio per Cristo, non temiamo di vivere senza un senso, perché il Signore sa rendere fecondo ogni nostro piccolo gesto di amore per Lui, anche se noi non vedremo i frutti con i nostri occhi.

Giorgio e Valentina.

Il cristiano medio e il matrimonio

Oggi permettetemi un articolo un po’ diverso dal solito. Mi sono immaginato il cristiano medio italico davanti al matrimonio. Ho provato a ragionare con la mentalità del nostro tempo. Non che io mi creda migliore. Semplicemente ho avuto la grazia di incontrare persone che mi hanno fatto capire e una moglie eccezionale. Altrimenti sarei anche io dentro questo modo di pensare. Ne è uscito un quadro direi desolante dove il sacramento non è che un rito senza sostanza. Dove love is love. Finché c’è il love naturalmente. Dove la promessa non sono che parole vuote, dette senza consapevolezza. Quanti si sposano davvero convinti di voler restare sempre e comunque, anche se l’altro li abbandonasse? Credo molto pochi.

Ho appena finito il corso prematrimoniale. Una rottura di scatole. Non vedevo l’ora finisse. Non ci ho capito nulla. Certo che ne hanno dette di cose. Ho solo una domanda: perché mi devo sposare in chiesa? No perché non so se ne vale davvero la pena. L’amore cristiano è davvero qualcosa di strano. Questo Gesù che per amore di gentaglia che non merita nulla, che lo tradisce, si lascia umiliare, picchiare e addirittura uccidere sulla croce. Lo fa per amore e, secondo la nostra fede, attraverso questo amore che viene offerto a chi ne è indegno, redime e salva il mondo. E’ ben strana questa cosa. Non è finita qui. Fosse solo questo. Gesù pretende che anche noi facciamo altrettanto. Chiede ad ognuno di noi di amare in quel modo. Ma siamo matti! Un Dio che si rispetti non mi può volere infelice. Figurati se il matrimonio può essere una croce. No! Non se ne parla. Se non sono felice mollo tutto e cerco altrove. D’altronde Dio a cosa serve? A rendermi felice. E allora come la mettiamo?

Il bello è che chiede proprio a noi sposi di amare così. Lo chieda ai suoi preti! E invece no. Lo chiede in particolare a noi sposi. Bella fregatura insomma averci appioppato il compito di essere icona di Dio, immagine del Suo amore. E si! Come se io fossi un povero cretino che accetta di salire in croce per amore. Scusa Gesù nessuna allusione a te, sia chiaro. Tu puoi, sei Dio, ma io sono un povero uomo. Io voglio essere felice, mi accontento di poco. Vorrei trovare una donna che mi faccia stare bene, che sia disponibile, che quando ho voglia faccia l’amore con me, che mi cucini bene, che mi lasci guardare le partite di Champions senza chiedermi di aiutarla a piegare le lenzuola (sembra lo faccia di proposito, arriva sempre in quel momento). Insomma voglio una donna che mi dia tutto quello che mi manca senza rompere troppo. Non voglio stravolgere la mia vita.

L’amore non è forse questo? Stare bene insieme. Naturalmente stare bene insieme significa che sto bene io. D’altronde l’amore è quella cosa che non puoi governare. Ti viene e così come è venuto se ne va. Non ti amo più, non sento più nulla. Non è colpa mia. Forse è colpa tua che non sei più quella di prima. Non sei quella che credevo tu fossi. Sei sempre insoddisfatta, dici che non ti faccio sentire amata, che non mi prendo cura di te. Cosa pretendi? Devo lavorare e poi lasciami respirare un po’. E poi la dico tutta, è passato qualche anno e non sei più così bella. Non hai più quel seno sodo, è diventato un po’ cadente. E in viso si vede qualche ruga e in testa i capelli bianchi. No non va bene così! Merito di meglio. Ho provato a volerti bene ma proprio non riesco più. Meglio lasciarci.

Non so a voi ma questa breve descrizione a me è sembrata un incubo. Eppure la mentalità di oggi è questa. Ho esagerato, ne ho fatto una descrizione caricaturale, ma è così che il mondo ci porta a pensare. Io, io e poi ancora io. Il MIO matrimonio è buono fino a quando l’altro MI fa stare bene. Il matrimonio è uno strumento come altri per il MIO benessere psicofisico. Come spesso è la fede. La fede va bene finché mi dà qualcosa. Così il matrimonio. Se le difficoltà sono maggiori rispetto alle gioie e allora non ne vale la pena. Ci devo guadagnare. Se trovo di meglio perché no?

Perché invece il matrimonio cristiano è diverso, e diventa davvero un mezzo di salvezza? Badate bene non ho detto di gioia. Non ho detto gioia perché il matrimonio può anche essere causa di sofferenza e di dolore. La croce è li a ricordarcelo. Ho detto DI SALVEZZA! Il matrimonio cristiano ci permette di imparare a donarci. Ci permette di non avere una vista miope. Il miope vede benissimo gli oggetti vicini, sé stesso, ma fa fatica a mettere a fuoco l’altro, la persona amata. Ecco il matrimonio è come se fosse un paio di occhiali che ci permette di focalizzarci sulla persona che abbiamo accanto e sul suo bene. Prima del nostro. E questo cambia la vita, la vita dell’altro che si sente amato in modo gratuito ed incondizionato e anche la mia che in quel dono imparo ad essere chi sono davvero e in quel dono incontro Gesù. Capite che cosa grande è il matrimonio? Uscendo da me stesso trovo chi sono davvero.

Ecco se per voi il matrimonio non può mai essere croce, non sposatevi in chiesa. Convivete, sposatevi civilmente ma non in chiesa. Stareste facendo solo una sceneggiata. Il sacramento ti chiede di amare tutta la vita. Come fate a prometterlo se non pensate che l’amore che date all’altro e a Dio sia un atto di volontà prima che un sentimento, e che a volte significa abbracciare la croce. Sposarsi in Cristo è rischioso ma nulla riempie la vita come dare tutto per amore.

Antonio e Luisa

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