Domenica e famiglia: un connubio possibile /57

Eccoci giunti all’ultima puntata del nostro lungo percorso alla riscoperta della Santa Messa, abbiamo avuto modo di approfondire più o meno dettagliatamente i vari momenti all’interno della divina Liturgia, ora vedremo la Messa nel suo insieme e qualche aspetto ad essa connesso come in una panoramica finale. Facciamo qualche premessa doverosa ma chiarificatrice:

  • la Messa non è un’azione esterna a noi, non è nemmeno un rituale che il parroco si vede costretto a compiere ogni Domenica, e per il quale necessita di un po’ di compagnia; il parroco non sta pagando ad un dio ignoto e cattivo un tributo per ingraziarselo e tenerselo buono a favore di tutto il popolo sicché sentiamo un po’ il dovere di sostenerlo perché sta agendo anche a nome nostro, non sia mai che il divino si adiri contro noi che non eravamo presenti al rituale;
  • la Messa non è un evento sociale a sfondo religioso; non è neanche lo show di qualche strampalato parroco desideroso di trasformare il presbiterio nel palco di un’intrattenitore; non è nemmeno un contenitore dove inserire tutto ciò che ci salta in mente: dal balletto all’offertorio con signorine poco vestite alla barzelletta durante l’omelia, dalla presentazione di eventi mondani alla festa per la vittoria del derby inter-parrocchiale, dall’applauso a Gesù risorto all’usare come canto d’inizio il brano vincitore di Sanremo;
  • la Messa non è uno spettacolo teatrale un po’ più serio condito da qualche proverbio saggio; la Messa non è una cosa vecchia che ha bisogno di essere modernizzata o spolverata o sostituita; non è un tradizionale rito sociale a cui assistere per sentirsi parte di una comunità, alla stregua di una sagra;
  • la Messa non è nemmeno il luogo dove dare uno sterile sfoggio delle proprie abilità musicali, canore, recitative od organizzative per nutrire il proprio ego; non è il momento per incontrare altri e fare pettegolezzi e/o chiacchiere da bar.

Quello sopra riportato è un triste (e parziale) elenco di situazioni desacralizzanti veramente accadute, ma la Santa Messa è tutt’altro, nel Messale (che riporta parte di altri testi dottrinali) viene così definita:

«Il nostro Salvatore nell’ultima Cena istituì il sacrificio eucaristico del suo Corpo e del suo Sangue, al fine di perpetuare nei secoli, fino al suo ritorno, il sacrificio della croce, e di affidare così alla sua diletta sposa, la Chiesa, il memoriale della sua morte e risurrezione» e qualche riga più avanti: «ogni volta che celebriamo il memoriale di questo sacrificio, si compie l’opera della nostra redenzione». Altrove la descrive con parole diverse ma uguali nella sostanza: La celebrazione della Messa, in quanto azione di Cristo e del popolo di Dio gerarchicamente ordinato, costituisce il centro di tutta la vita cristiana per la Chiesa universale, per quella locale, e per i singoli fedeli. Nella Messa, infatti, si ha il culmine sia dell’azione con cui Dio santifica il mondo in Cristo, sia del culto che gli uomini rendono al Padre, adorandolo per mezzo di Cristo Figlio di Dio nello Spirito Santo. […] Tutte le altre azioni sacre e ogni attività della vita cristiana sono in stretta relazione con la Messa: da essa derivano e ad essa sono ordinate.

La Messa è quindi il centro della vita da cui irradiano tutte le altre attività, il centro da cui tutto prende senso e al quale tutto è ordinato, non può essere trattata come un impegno tra i tanti che un prete ha durante le proprie attività giornaliere, altrimenti queste stesse attività diventeranno predicazione di se stesso.

La chiesa dove si celebra la Messa è un luogo sacro, consacrato al Signore, è il luogo dell’incontro con il Re dei Re, il Dio vivo, l’unico e vero Dio, che resta sempre in mezzo al suo popolo con il Suo Corpo ed il Suo Sangue, la Sua anima e la Sua Divinità… ed in questo luogo non possiamo entrarci come quando si entra in un teatro, una sala concerto, un auditorium, un cinema o un museo. E’ il luogo della presenza di Dio, ma non è solo una presenza spirituale che io avverto in base alla mia fede, ma la Sua presenza è reale, vera e sostanziale nel tabernacolo, e non dipende dalla mia fede perché Lui è lì comunque.

Quale donna, per esempio, oserebbe presentarsi al cospetto del Presidente della Repubblica con un vestito scollato fino all’ombelico o con una minigonna da infarto? Quale uomo si presenterebbe alla corte di un sovrano in tuta da relax casalingo? Se per questi eventi mondani sappiamo come vestirci, perché pensiamo che in chiesa tutto sia lecito?

Sappiamo benissimo quanta importanza abbia il linguaggio non verbale nella comunicazione, gli esperti dicono che sfiori l’80%, ma questo dato non vale solo nell’educazione dei bambini o nella relazione tra sposi, il nostro modo di vestire dice dell’importanza che noi diamo a ciò che stiamo vivendo. La Domenica è un piccolo anticipo di Paradiso, ma dobbiamo aiutare noi stessi a viverlo come tale anche nella carne, e dobbiamo aiutare gli altri a vivere lo stesso. E questo significa che tutto nella Domenica deve essere diverso: la preghiera al mattino, la preparazione alla Messa, il vestito, la colazione, il pranzo, la tavola, il modo di parlare, il contenuto dei dialoghi, i gesti di carità fraterna, il modo di impegnare il tempo nella giornata, se non diventa vita la nostra fede rimane un bel soprammobile a cui togliere un po’ di polvere almeno la Domenica.

Coraggio famiglie, tocca a noi far vivere una nuova primavera alla Chiesa intera.

Giorgio e Valentina

Uscite . Venite fuori!

Dal libro del profeta Isaìa (Is 49,8-15) Così dice il Signore: «Al tempo della benevolenza ti ho risposto, nel giorno della salvezza ti ho aiutato. Ti ho formato e ti ho stabilito come alleanza del popolo, per far risorgere la terra, per farti rioccupare l’eredità devastata, per dire ai prigionieri: “Uscite”, e a quelli che sono nelle tenebre: “Venite fuori”.

Chi si ostina a pensare alla Quaresima come ad un tempo ostile e triste è perché in fondo non l’ha mai vissuta veramente, basterebbe ascoltare gli accorati appelli del Signore alla conversione che abbiamo in parte analizzato in questi articoli per rendersi conto di come il Signore non molli la presa, non sia uno che getta la spugna alla prima difficoltà e prometta ai Suoi figli pace, gioia, consolazione… è come se il Signore ci volesse mettere l’acquolina in bocca.

Assomiglia ai nostri (spesso vani) tentativi di genitori di convincere i nostri piccoli circa la bellezza di un gesto: se non funziona la prima o la seconda volta con un ordine, ecco che allora diamo il via alla tattica del convincimento elogiando i (molteplici) risvolti positivi del gesto che intendiamo insegnare loro. Similmente anche il Signore dapprima (all’inizio della Quaresima) comincia con un ordine, anche se tenero e dolce ma pur sempre ordine, circa le opere quaresimali di digiuno, preghiera, penitenza, elemosina e carità; e poi man mano che i giorni avanzano ci ricorda le gesta di questo o quell’uomo di fede per spronarci all’imitazione, ma poi a metà Quaresima la Chiesa sa che l’uomo ha bisogno di un ristoro (anche spirituale) per poter riprendere il cammino con maggior vigore e con rinnovato slancio, ed è per questo che Domenica scorsa il colore viola si è un po’ attenuato verso il rosa. Ed anche nei giorni seguenti ci vengono proposti dei brani dove viene più volte descritta l’abbondanza della natura per una nuova epoca di pace che verrà se il popolo si convertirà, abbondanza che è simbolo della abbondanza della misericordia di Dio. Anche nel brano riportato sopra possiamo notare come la nota di fondo sia un’incoraggiamento all’attesa di una nuova vita in cui tutto verrà restaurato, la terra risorgerà ecc…

Ti ho formato e ti ho stabilito come alleanza del popolo” è il Signore che parla a Isaia, ma è chiaro che egli sia solo una prefigura di Colui che sarà la nuova ed eterna alleanza, sancita nel Suo sangue, il sangue dell’Agnello.

per far risorgere la terra” e qual è la terra che deve risorgere nei nostri matrimoni? E’ proprio la terra delle nostre relazioni, che forse col tempo ha perso un pochino della sua fecondità, forse per qualcuno è una terra seccata e riarsa dalla siccità di una relazione fredda e senza tenerezza e dolcezza. E’ tempo ormai di lasciare la terra della nostra relazione in mano al contadino migliore che ci sia: Gesù. Bisogna che diamo a Lui il pieno potere sul nostro matrimonio, diamo a Lui le chiavi del trattore che lavorerà il nostro terreno, perché c’è bisogno di arare, di rigirare la terra, di concimare per poter poi piantare nuove semine ed irrigarle.

“per farti rioccupare l’eredità devastata quale eredità è stata devastata? Ci sono molti sposi che sono stati devastati dalla lussuria… la quale agisce come un ladro che occupa un’eredità non sua. I nostri corpi battezzati divengono tempio dello Spirito Santo e quando gli sposi uniscono i propri corpi nel sacro gesto dell’intimità coniugale lo Spirito Santo dovrebbe esplodere di gioia in loro, è come se Esso trovasse una casa sempre più grande e dilatata per poterci stare sempre più comodo. E’ questa eredità che la lussuria viene a portar via, i corpi (e le anime) ne restano devastati e non vedono più Dio perché “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio“, di conseguenza chi non vive la castità, la purezza, non può vedere Dio, si diventa quindi ciechi.

“per dire ai prigionieri: “Uscite”, e a quelli che sono nelle tenebre: “Venite fuori”. abbiamo incontrato tanti sposi che non riescono a dare una svolta decisiva al proprio matrimonio perché prigionieri del peccato. Esso infatti è come uno specchietto per le allodole : ti promette gioia e ti appaga, sì ma per pochi istanti, per brevi momenti, poi ti lascia in bocca un’amarezza che stai peggio di prima, poi ti lascia un vuoto incolmabile che tentiamo di riempire con un altro peccato, e poi un altro ancora fino a che si diviene prigionieri perché non facciamo più quello che vogliamo ma quello che ci viene imposto da questo inganno diabolico. E dentro in quella prigione gli occhi sono spenti, senza luce, non sono occhi pieni di vigore, pieni di voglia di vivere, sono invece occhi gonfi di tristezza, di incompiutezza. Ecco allora che abbiamo bisogno di qualcuno che ci tiri fuori da questa prigione, ed è Gesù l’unico liberatore, l’unico che ha la chiave di quella prigione, e la chiave è nella Sua Croce. Gesù è l’unico che ci tira fuori dalle tenebre della disperazione, è l’unico a cui poter chiedere di illuminare i nostri occhi.

Coraggio sposi, abbiamo ancora la possibilità di uscire dalle nostri prigioni. Il Signore ce lo sta gridando attraverso le parole di Isaia, non lasciamoci scappare questa opportunità di far rifiorire il nostro matrimonio.

Giorgio e Valentina.

I fuorischema di Dio nel nostro matrimonio (2 parte)

Ieri ci siamo lasciati quando io e mio marito stavamo affrontando la difficoltà nel riuscire ad avere figli (clicca per leggere la prima parte). Per non stare fermi, inchiodati nel dolore, nella mancanza e nel vuoto, ho cominciato a cercare famiglie senza figli. Grazie a Dio tra i nostri amici c’era già qualche famiglia senza figli, e abbiamo cercato di frequentare quelle famiglie. Abbiamo amici anche con figli, ma in quel periodo ci pesava stare con loro, sentire parlare sempre e solo di figli; ci sentivamo non accolti, non compresi, fuori posto. Guardandoci in giro (non restate mai fermi nel vostro dolore), abbiamo trovato altre famiglie senza figli, attraverso i frati di Assisi e anche con Mistero Grande di don Renzo Bonetti. Ci siamo accorti come queste famiglie, fossero ugualmente bellissime e feconde! Sono bellissime, perché feconde spiritualmente, e ci si è aperto un nuovo mondo, quello della fecondità spirituale, che ci ha affascinato sin da subito.

Essere testimoni di Dio agli altri, per gli altri e con gli altri. Non vogliamo vivere per noi stessi, chiusi nel nostro nido e nella nostra coppia. Desideriamo portare frutto, restituire quanto ricevuto, ringraziare Dio, come afferma il nostro passo di Vangelo, quello scelto per le nostre nozze: Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto(Gv 15, 2). Abbiamo capito che A Dio nulla è impossibile (Lc 1,37), Se solo Dio volesse potrebbe risolvere il nostro problema e quello di tutte le coppie infertili in un attimo. Se non lo fa significa che ha un Suo progetto di vita e di senso anche per le famiglie senza figli. Non siamo, quindi, famiglie di serie B, ma di serie A, come tutte le altre famiglie. Abbiamo solo una chiamata diversa, speciale, ma altrettanto bella, ricca, alta. Sta a noi scoprirla e viverla a pieno, per portare Dio a tutti, con amore, gioia, speranza, fiducia; facendoci dono, servizio, fecondità. 

Per esempio con i single, con i fidanzati, con le famiglie, con i vicini di casa, con la gente di paese, con i colleghi di lavoro, con tutti quelli che incontriamo per essere sale della terra e luce del mondo (Mt 5,13 16).Noi, quindi, ci stiamo inserendo, nel gruppo famiglie della nostra parrocchia, contiamo di aprire la nostra casa una sera la settimana per fare un cenacolo di preghiera. Stiamo pensando di seguire i fidanzati; dal 2019 al 2021 abbiamo seguito i single in un percorso di fede a loro dedicato. Abbiamo capito/visto, che ogni coppia ‘sterile’, trova con Dio la sua via di felicità e di fecondità, come dice la Sua Parola: Rallegrati, sterile, che non partorisci, grida nell’allegria tu che non conosci i dolori del parto, perché molti sono i figli dell’abbandonata, più di quelli della donna che ha marito(Is 54,1-10).

Con questa nuova consapevolezza siamo riusciti a comprendere le parole del rito delle nozze siate fecondi e i figli che Dio vorrà donarvi.  Quel passaggio non si limita ai figli biologici ma anche a quelli spirituali, perché con Dio e grazie a Dio, la biologia non ha l’ultima parola! Dio porta vita dove c’è morte. Noi dobbiamo solo scegliere di collaborare con Lui, e vedremo miracoli, orizzonti nuovi. Non vale la pena rinchiudersi, fermarsi in ciò che manca e che si vuole, altrimenti Dio non può operare, perché rispetta la libertà di ognuno, ma così facendo, ci si priva di bellezza, e si resta bloccati fermi.

In questo nostro passaggio, da fertilità a fecondità, c’è stato anche il periodo in cui la mia ginecologa, mi propose la PMA (procreazione medicalmente assistita), vista la mia età. Mi propose anche di chiedere ovociti di una giovane donna per avere un figlio sano. Ci siamo un po’ informati sulla PMA, e per noi è una specie di vivisezione della donna, con esami specifici, continui controlli medici, con ulteriore stress per la coppia, e con scariche di ormoni sul corpo della donna, che diventa quindi un oggetto, in mano ai medici. Saremmo diventati schiavi dell’idolo del figlio a tutti i costi, avremmo speso tanti soldi, senza neppure la garanzia del buon esito. Tutto ciò è, a nostro avviso e anche per la Chiesa, contro natura e contro Dio; senza contare che la PMA può causare anche aborti. Male su male. Non fa per noi. Tutto ciò, ci è bastato per dire no grazie!!! Nello stesso periodo, abbiamo visto/capito che, il primo figlio della coppia è la coppia stessa. Il noi va quindi custodito, alimentato, amato, rispettato, fatto crescere, reso bello. Abbiamo, quindi, deciso, che una/due volte l’anno, parteciperemo a corsi/ritiri per famiglie ad Assisi dai frati minori, o da Mistero Grande di don Renzo Bonetti.

Concludiamo questo articolo, dicendo che, il mondo, davanti alla sofferenza, dice di schivarla, scappare, rifiutarla. Vedi “soluzioni” come aborto, divorzio, eutanasia, PMA. Gesù, invece, dice di accettarla e passarci in mezzo con Lui, e li si trova la chiave, la risposta, la Resurrezione, la vita nuova e noi preferiamo questa, che è Via, Verità, Vita. L’avevano detto, al corso vocazione, che avevo fatto nel 2002, che l’unica risposta alla sofferenza, ce l’ha Gesù Cristo, ed è vero. Lo confermo dopo averne fatto esperienza Lode e Gloria a Te Gesù !

Buon Cammino a tutti

Grazie e a presto

Paola & G.

Chi vuole contattarmi/ci, mi/ci trova su facebook (Paola Bt) e abitiamo nel nord Italia. Se ci sono famiglie senza figli,  possiamo fare anche un gruppo facebook, o whatsapp, o telegram, per tenerci in contatto, aggiornate, sostenerci. Cosa ne dite?! 

I fuorischema di Dio nel nostro matrimonio

Cari sposi, eccoci con un nuovo articolo sul blog. I primi 3 articoli sono stati sulla testimonianza della mia vita (Paola); ora scriverò di noi e del nostro matrimonio cristiano.

Come ho già scritto in precedenza, ho partecipato ai corsi ad Assisi di padre Giovanni Marini, dopodiché ho scelto come padre spirituale un frate del suo team, e con lui ho fatto il mio cammino di fede per 15 anni, andando avanti e indietro da Assisi. Dopo questi 15 anni, causa forza maggiore, non sono più potuta andare ad Assisi dal mio padre spirituale, ma dopo qualche mese, è arrivato quello che poi è diventato mio marito. Questo conferma che Dio non ci lascia mai soli, anzi!

Credo che Dio mi abbia preparato e a quel punto ero pronta ad entrare nella Terra Promessa della mia vita. Il mio padre spirituale, è stato il mio Mosè, il mio San Giovanni Battista. Solo con Gesù, infatti, si entra e si vive nella terra promessa, come lui stesso mi disse in un colloquio. Infatti, è stato Giosuè colui che ha portato fisicamente il popolo di Israele dentro la Terra Promessa, e il suo nome vuol dire Gesù in ebraico antico; mentre Giovanni Battista ha indicato ai suoi discepoli di seguire l’Agnello di Dio, che è sempre Gesù. Con mio marito, abbiamo avuto e abbiamo tuttora guide per il nostro cammino, ma il padre che ti porta alla fede, rimane uno solo, come lui stesso mi ha confermato in un colloquio, per questo lui sarà sempre il mio fratone, che comunque tengo sempre aggiornato sulle mie vicissitudini.

Siamo così giunti al nostro matrimonio cristiano; sapete che è più bello ora, dopo 2 anni e mezzo di matrimonio, che all’inizio. Appena sposati, infatti, eravamo due persone poco più che 40enni, che avevano vissuto tanto tempo da sole ed iniziavano a vivere insieme. Non è stato quindi per niente facile, pur essendoci amore e scelta comune di vita. Di comune accordo, infatti, non abbiamo convissuto, ma abbiamo scelto e seguito gli insegnamenti saggi di Madre Chiesa. Abbiamo atteso il Sacramento del Matrimonio, per andare a vivere insieme e per essere una carne sola. Con nostra grande sorpresa, però, i primi mesi sono stati duri, tremendi, con forti scossoni di assestamento, per litigi, per il nostro carattere e per le nostre abitudini. Pensavamo di aver sbagliato tuttooo!!! Inoltre, eravamo entrambi in smart working, vivevamo in un piccolo appartamento in affitto, trovato in fretta a maggio 2020, quando ancora si poteva andare nelle agenzie immobiliari. Inoltre non siamo andati subito in viaggio di nozze perché a causa del lockdown non ci si poteva muovere, e siamo partiti solo a novembre, Siamo stati al Lago di Garda dove abbiamo staccato e ci siamo un po’ ricaricati.

Non ci aspettavamo, quindi, tutta questa tempesta, che pauraaa! Ma nella tempesta, abbiamo visto la forza e la presenza del Sacramento delle Nozze, di Gesù in mezzo a noi, con noi e per noi, Grazie a Dio! Grazie anche alle catechesi, che ascoltavamo, per capire il presente che stavamo vivendo. Durante il fidanzamento, abbiamo partecipato a dei corsi fidanzati, ma nessuno ci aveva preannunciato quello a cui saremmo andati incontro o ce l’avevano accennato appena; in quanto, ormai, in questi corsi, ci sono già diversi conviventi o addirittura coppie con figli. Secondo noi, però, la Verità, che scaturisce dagli insegnamenti del Vangelo e della Bibbia, va sempre detta e non tralasciata! In questa tempesta e dopo la tempesta, grazie a Dio, siamo andati avanti con piccoli passi possibili quotidiani, nel venirci incontro reciprocamente, per creare la nuova vita/famiglia, pregando insieme, dialogando, perdonandoci, costruendo la nostra intimità.  Abbiamo iniziato, quindi, a costruire la nostra famiglia, come la casa costruita sulla roccia del Vangelo (Mt 7,24-28). Ed è proprio vero che Dio salva nella croce/morte/difficoltà, e non dalla croce/morte/difficoltà, proprio come mi disse a suo tempo il mio padre spirituale.

Una volta sposati, inoltre, pensavamo di avere subito dei figli. Nel fidanzamento, ci eravamo detti, che forse, non li avremmo avuti, per via della nostra età; ma da sposati, e vivendo la bella apertura alla vita, ci è venuto normale pensare, sperare, e desiderare ciò. E invece, mese dopo mese, niente da fare. Cominciavamo a vivere la nostra intimità con l’orologio biologico nella testa, e quindi con ansia, stress, dovere, rabbia, tristezza, speranza, delusione, etc.

Per il proseguo vi aspettiamo domani con la seconda parte della nostra testimonianza.

Paola & G.

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Quello che io ora faccio tu non lo capisci un giorno lo capirai.

Pochi giorni fa abbiamo festeggiato la festività di San Giuseppe. Noi in parrocchia abbiamo vissuto un triduo di celebrazioni iniziate con il rito penitenziale di venerdì presieduto addirittura dal Santo Padre Francesco. Abitare a Roma vuole dire avere anche queste occasioni di incontro. Io e Andrea, come due normali pellegrini muniti di biglietto, ci siamo recati ad assistere all’ incontro proprio nel luogo che ci ha visto muovere i primi passi come neo sposi. Dove abbiamo iniziato la nostra attività cercando di far parte del progetto tanto amato dal Papa: la Chiesa in uscita. Abbiamo cercato, di farci missionari tra le persone in strada.

Personalmente non ho provato molta emozione nel vedere il Papa e nello stargli così vicino, fin da piccola ho avuto la fortuna di poter interagire con tutti i Papi grazie al lavoro di mio padre. Ciò non vuol dire provare freddezza ma bensì saper gestire le emozioni. Ascoltando l’ omelia ho ripensato indubbiamente a tutto il nostro percorso di vita e matrimoniale, ma più che altro è stato nell’attesa del suo arrivo che ho rivisto tutta la mia vita umana e anche spirituale. Umana perché proprio fin da piccola e grazie al lavoro di mio padre ho potuto imparare l’importanza e la cura verso la persona. Occuparsi della sicurezza del Santo Padre ti aiuta a uscire da te stesso per prenderti cura di un altro, differente da te, anche se così importante. Il lavoro di mio padre è stato mezzo per lui dove esercitare la sua paternità a tutto tondo. Anche quando ha dovuto dire dei no ai collaboratori per evitare problemi al Santo Padre. Quei No che diventano essenziali quando educhi un figlio. Mio padre si chiama Giuseppe e, complice anche l’omonimia, ho sempre visto in lui la figura di San Giuseppe.

Uno dei miei santi preferiti. San Giuseppe è il mio preferito perché mi sento pienamente compresa da lui. Mi fa sentire un’appartenenza a quella figliolanza che ci rende fratelli tutti. Nonostante la bellezza delle nostre fragilità e debolezze. San Giuseppe è una figura che abbiamo rivisto ieri anche nel Pontefice mentre salutava festoso tutti i suoi figli, ma anche nella sua fermezza durante un rimprovero. Un padre che ricorda che dopo l’ inverno arriva la primavera con i suoi timidi germogli. In fondo cosa è la Pasqua? L’unica via da percorrere. La stessa via che si percorre nel matrimonio. La croce è la via per l’ eternità. Così come il confessionale diventa la fiaccola che ci aiuta a vedere in un cammino al buio. Quante volte magari ci portiamo dentro dei pesi che ci affaticano il cammino. Ci sono le incomprensioni e i nostri schemi mentali, da cui spesso non riusciamo ad uscirne da soli e fatichiamo ad ammettere che abbiamo bisogno di aiuto per farlo. Nessuno si salva da solo.

Il Papa ce lo ricorda spesso. Il confessionale è un potente mezzo per amare ed essere amati. Il confessionale è stato proprio uno dei mezzi per entrare in relazione con Dio, e nel nostro caso è servita per impostare il Tomtom della nostra via matrimoniale. Avere la grazia di incontrare un padre spirituale è indubbiamente il più bel dono di matrimonio che Dio ci abbia fatto. Andrea ha sperimentato e ha scoperto di poter essere anche lui, non solo un cuore e un volto di padre, ma anche di poter esserlo nella maniera più bella. Lo ha scoperto proprio relazionandosi con il nostro padre spirituale. Ha imparato l’ arte di amare. L’arte di rimanere accanto ad una persona e custodirla dall’inizio alla fine. Questi stessi insegnamenti che sono divenuti una candela da tenere sempre accesa come durante il battesimo da passare alla nostra Alice e ai nostri bambini e giovani dell’oratorio che fanno parte della nostra famiglia, il nostro Noi, il nostro essere sposi è anche merito loro.

Vi aspettiamo se volete nel nostro Instagram nella nostra pagina Facebook Abramo e Sara, nel nostro canale Telegram e WhatsApp. Se passate da Roma ci trovate presso la parrocchia di San Giuseppe al Trionfale. E se volete continuare a sostenere il nostro progetto è disponibile online il nostro libro su Amazon.

Simona e Andrea

Contemplare per onorare l’Amato

Immersi nel cammino quaresimale, vogliamo soffermarci sulla seconda lettera della parola CONTEMPLARE. Per noi contemplare vuol dire ONORARE l’Amato. Ricorrendo al significato etimologico, onorare vuol dire «circondare di stima e di ossequio qualcuno». È ciò che fece san Giuseppe, la cui celebrazione quest’anno è stata spostata ad oggi, verso la sua sposa Maria e in modo speciale verso Gesù. Riconoscendo la singolare paternità di Giuseppe, qui, vogliamo contemplare il suo rapporto con Maria. Al n. 20 della Redemptoris Custos leggiamo che: “Mediante il sacrificio totale di sè Giuseppe esprime il suo generoso amore verso la Madre di Dio, facendole «dono sponsale di sé». Pur deciso a ritirarsi per non ostacolare il piano di Dio che si stava realizzando in lei, egli per espresso ordine angelico la trattiene con sè e ne rispetta l’esclusiva appartenenza a Dio”.

In questa Esortazione Apostolica, Giovanni Paolo II mette in particolare rilievo il legame sponsale di Maria e Giuseppe, rivendicando a Giuseppe le chiare caratteristiche dello sposo che “prese con sé la sua sposa” poiché quello che è generato in lei “viene dallo Spirito Santo” (Mt 1). E da qui che possiamo “desumere che anche il suo amore di uomo viene rigenerato dallo Spirito Santo. Non bisogna forse pensare che l’amore di Dio, che è stato riversato nel cuore umano per mezzo dello Spirito Santo (Rm 5,5), forma nel modo più perfetto ogni amore umano? Esso forma anche – ed in modo del tutto singolare – l’amore sponsale dei coniugi, approfondendo in esso tutto ciò che umanamente è degno e bello, ciò che porta i segni dell’esclusivo abbandono, dell’alleanza delle persone e dell’autentica comunione sull’esempio del mistero trinitario” (RC n 19).

Carissimi sposi anche noi, il giorno del matrimonio, abbiamo promesso di onorarci tutti i giorni della nostra vita. Ma in che modo lo facciamo? Nella vita ordinaria vi sono mille modi per farlo e ogni coniuge conosce quale sia quello migliore per la propria coppia. Per noi onorarci vuol dire onorare Dio, o meglio onorare l’immagine di Dio impressa in noi. Ogni uomo deve essere onorato in quanto immagine di Dio ma, come sposi, la promessa matrimoniale ci porta ad impegnarci a cercare, e portare alla luce, nel nostro sposo/a quei tratti, quelle caratteristiche per cui somiglia maggiormente a Gesù. Significa in definitiva potergli dire: “tu mi ricordi Dio”, “tu per me sei degno/a del mio ossequio”. Questo ci porta a sperimentare prima di tutto l’esserCi di Dio nella nostra vita sponsale e poi anche il fatto che senza onorare la persona che si è scelto di sposare si perderebbe una bella fetta di felicità.

ESERCIZIO PER ONORARE L’AMATO
Come sposo, sull’esempio di san Giuseppe, mi impegno ad aiutare la mia sposa a far crescere un seme che il Signore ha piantato nel suo cuore, sia esso una virtù o un talento. Come sposa, “riverso” sulle imperfezioni del mio sposo tutta la tenerezza di cui sono portatrice.

PREGHIERA DI COPPIA
O nostro Divino Sposo,
onorandoci onoriamo Te in noi;
onorandoci scopriamo che portiamo il Tuo dna nelle fibre del nostro corpo;
onorandoci ti ringraziamo di aver posto la Tua dimora in noi
e, insieme a Giuseppe e Maria, camminiamo fiduciosi lungo i sentieri della vita.
Amen

Daniela & Martino, Sposi Contemplativi dello Sposo

Cosa vuoi fare da grande?

Cosa vuoi fare da grande?” Il ragazzo ancora indeciso, rispose: “Non lo so, sai mi piacerebbe salvare le persone come fa un pompiere. Anzi no, essere un pilota di aerei per viaggiare in tutto il mondo. Anzi no, mi piacerebbe fare il dottore per aiutare chi non sta bene. O forse lo scienziato, il ricercatore per scoprire cose nuove. Oppure sarebbe bello fare il maestro per insegnare ai bambini le materie: la matematica, la storia. Anzi mi piacerebbe essere un uomo di borsa, che conosce l’economia. Sai sarebbe però bello anche fare l’artigiano, fare il falegname come Giuseppe o il meccanico o be’ saper costruire le case come un muratore…” Mentre il bambino parlava e continuava ad elencare tanti bellissimi lavori, il nonno alzò lo sguardo e dalla panchina dove erano seduti vide passare una famiglia. Mamma, papà e due bambini. Lei era in attesa, si intravedeva il pancino gonfio che sporgeva. I bambini che saltavano e gridavano, rincorrendosi intorno alle gambe di papà. I due sposi che mano nella mano cercavano di procedere sul sentiero del parco in riva al lago, guardandosi negli occhi. Il nonno mise la mano sulla spalla del nipote che si interruppe nel parlare e gli disse: “Non ti piacerebbe da grande essere uno sposo? Un padre? Un marito? Il bambino che aveva alzato lo sguardo e osservava la scena familiare davanti a sé, guardò i coetanei che giocavano, un uomo e una donna che si amavano e dopo un attimo di silenzio fissò il nonno e disse: “Sì nonno! Quello voglio fare da grande! …Ma POI anche Be magari l’idraulico, il gelataio, il poliziotto ….

Ecco ci piace oggi iniziare con questa piccola pagina di narrativa, per dirvi quanto è bello, bellissimo, importante e primario vivere la bellezza della vocazione all’amore! Abbiamo voluto guardare a questa immagine: un nonno, un anziano che mostra la bellezza della famiglia ad un giovane, ad un nipote, ad un ragazzino in età adolescenziale, nell’età delle scelte. A passare sul quel sentiero nel parco sul lago, poteva essere anche una semplice coppia giovane o anziana, che stringendosi mano nella mano mostrava la grandezza del volto di Dio. Uomo e donna, che si stringono, si uniscono a diventare unico corpo, nella loro complementarietà. Non alludiamo a quella complementarietà che ci mostrano i media: metà mela te, metà mela io, ma ad una complementarietà fatta nel fisico, nella psiche che ha origine e fine non in loro ma in Dio. Poi il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile» (Gn 1, 18)

Un uomo e una donna mano nella mano, testimoni di infinito, di un amore per sempre, di amore tenace, che non si scioglie. Un uomo e una donna mano nella mano testimoni di generatività, di vita, di amore. Non c’è testimonianza più bella. Non si può aspirare a niente di più grande nella vita che ad essere sposo o sposa, marito o moglie. Testimoni nel nostro essere di quel che è Dio: volto di amore.

Certo forse poteva passare anche un sacerdote in abito talare mentre recitava il vespro con il suo breviario in mano, o un monaco o fraticello di San Francesco che con i saldali e il cingolo ci mostrava la bellezza della sua scelta di vita povera e casta. O magari una sorella monaca con il velo che nasconde il capo e un poco del volto, mostrandoci l’essenziale. In ognuna delle persone che potevano passare: frate, prete, suora, coppia o famiglia, siamo certi che il ragazzo avrebbe visto di più di un semplice lavoratore, che lui poteva sognare di fare da grande. Il Nonno gli ha mostrato qualcosa di più profondo: ciò che si è chiamati a fare dal cuore e con il cuore in primis. Non ciò che si è chiamati a fare con le mani o con la mente.

Perché questo articolo oggi? A noi lettori di blog che forse siamo già grandi e abbiamo già scelto la nostra vocazione.

1. Perché la vocazione crediamo che debba essere ri-scelta! Ri-verificata! Attenzione: non la moglie o il marito, ma la volontà di essere sposo, marito, padre, di essere sposa, moglie e madre. A volte è importante fermarsi dalla routine della vita. I religiosi periodicamente si fermano per vivere un tempo di esercizi spirituali che gli serve per ricentrarsi, per guardare a Dio, all’Amore, alla loro scelta di vita vocazionale, alla bellezza che questa scelta è! Unica! Tua!  Anche noi sposi, abbiamo la necessità ogni tanto di fermarci e specchiarci con ciò che è e dev’essere una famiglia! Abbiamo l’obbligo annualmente di fermarci anche a far memoria del nostro giorno nuziale. Ma questo a volte non basta, ci vuole che anche in altri momenti dell’anno ci ricarichiamo nella vocazione. Al lavoro ti fanno fare i corsi di aggiornamento? All’auto fai il tagliando annuale o almeno la revisione obbligatoria? Al tuo cuore da quando non fai un’iniezione di amore?

2. Perché abbiamo un compito gigante che è quello di essere responsabili di ciò che abbiamo scelto di essere. Un capotreno o un controllore è responsabile dei passeggeri, ogni lavoro ha la sua responsabilità verso il prossimo. Tu quale responsabilità hai? Ancor più grande è comprendere e vivere la responsabilità di essere testimoni dell’amore! Se i giovani credono meno nell’amore, se i giovani non si sposano più non è colpa della Chiesa, ma è colpa tua. Che forse non gli hai saputo mostrare la bellezza dell’amore! Difficile? Certo! Complicatissimo! Ma ricorda che per mostrare la bellezza dell’amore, basta semplicemente amarsi. Concetto semplicissimo ma gigante allo stesso tempo! Non basta una vita per imparare ad amare, ma è utile ogni giorno per esercitarsi a farlo meglio. È più facile per alcuni di noi scindere l’atomo o costruire grattacieli ma non vivere l’amore. Per poter vivere e testimoniare l’amore c’è bisogno di imparare ogni giorno ad amare! Perché l’amore non si finisce di impararlo oggi o domani, quando ci si sposa o quando si trova finalmente il ragazzo o la ragazza.

3. Perché la bellezza della vocazione familiare è ciò che ci ha attratto anche noi a viverla. Perché quando una cosa è bella piace e attira. Non c’è altra lettura. È una regola di marketing intramontabile. Di fronte a qualcosa di bello, bellissimo come l’amore sponsale nasce obbligatorio dal cuore un: “lo voglio anche io. Anche io voglio vivere di quella bellezza”.

Ci fermiamo qua, facendoti ancora queste domande semplici:

1) Quando hai fatto l’ultimo tagliando o revisione alla tua coppia? Non rimandarla! Ci son realtà bellissime che offrono corsi, percorsi, seminari. Son per te! Per voi!

2) Come testimoni il tuo essere sposo/sposa? Ricorda che anche se ora sei solo/sola, al lavoro magari o a casa o per strada, in forza di quel vincolo nuziale si è sempre in due! Tu non sei un uomo solo, ma sei sempre tu e tuo marito, tu e tua moglie! Il volto che mostri è sponsale.

3) Come testimoniate il vostro essere sposi quando siete insieme?

Cercatori di Bellezza

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Alla tua luce vediamo La Luce

Cari sposi,

nell’avanzare verso la Pasqua, dopo il tema dell’acqua viva che Gesù Cristo dona al credente in Lui, la Chiesa ci fa meditare sulla luce, o meglio, sull’illuminazione, perché altro non è che l’azione compiuta da Gesù affinché noi vediamo e siamo strappati dalle tenebre. Illuminazione che forma parte dei 7 segni che Gesù compie prima della sua morte. Che significato ha questo gesto per noi oggi?

Per prima cosa desta attenzione che sia proprio Gesù a prendere, inaspettatamente, l’iniziativa di guarire questa persona cieca, al contrario di quanto di solito accadeva. Questo per sottolineare che è sempre il Buon Pastore a cercarci e che quindi la grazia di Dio ha sempre il primato nella nostra vita. Dopo la guarigione, sarà però il cieco a incamminarsi verso Cristo e così a portare a pienezza la sua guarigione: dai gradini del tempio camminerà verso quell’acqua con l’impasto di fango e saliva che Gesù gli ha applicato sugli occhi. A parte forse la nostra istintiva ripugnanza a questo gesto, vi è un senso ben più profondo. La saliva difatti è la Sua Parola che si unisce ad un elemento corporeo, il fango, rimembranza della polvere della Genesi. Qui sta accadendo una sorte di nuova creazione, in cui Gesù, applicando la sua Parola onnipotente alla nostra povera polvere ci redime, ci rigenera, pure nelle nostre parti più brutte e dolorose. Ecco allora che la cecità è la cifra proprio della mia imperfezione e non pienezza di vita. Dinanzi ad essa possiamo ragionare da farisei e farcene un enorme senso di colpa, volendola allontanare, nascondere, sminuire, a noi ma soprattutto a chi ci sta accanto. Ma allora ciechi erano e rimarranno loro – e magari pure noi – se continueremo a stare inchiodati davanti al male e alle sue conseguenze, invece di domandarci: perché questa nostra insufficienza e incompiutezza? Un po’ come hanno fatto gli apostoli, domandando a Cristo il senso ultimo della cecità.

Gesù difatti risponde “perché siano manifestate le opere di Dio” e quindi anche la nostra incompiutezza ed imperfezione umana, nella misteriosa pedagogia divina, esiste perché Cristo possa da lì e non da altrove portarci alla Sua pienezza. Pienezza poi non è mai la perfezione ma vivere in Cristo, vivere con il Risorto e gioire della sua Presenza. Il cieco fa proprio questo cammino verso la pienezza, verso una piena conoscenza ed esperienza di Cristo, proprio come era accaduto domenica scorsa alla Samaritana. Il cieco nato acquista anzitutto la vista, e poi a poco a poco, progressivamente, cresce nella comprensione della realtà e di Chi questa realtà l’ha svelata. All’inizio il cieco nato pensa a Gesù come ad “un uomo”, ma del quale non sa nulla; poi però lo dichiara un “profeta”, poi ancora un “inviato di Dio”, ed infine lo riconosce come “Figlio dell’uomo” e “Signore”.

Dice al riguardo Papa Benedetto: “Infatti, la vita cristiana è una continua conformazione a Cristo, immagine dell’uomo nuovo, per giungere alla piena comunione con Dio. Il Signore Gesù è “la luce del mondo” (Gv 8,12), perché in Lui “risplende la conoscenza della gloria di Dio” (2 Cor 4,6) che continua a rivelare nella complessa trama della storia quale sia il senso dell’esistenza umana” (Angelus, 3 aprile 2011). Così cari sposi, mi auguro che accada nella vostra vita, in cui l’imperfezione è così spesso dilatata dalla continua convivenza e vicinanza. Possa essere, sulla scia del cieco nato, una via di illuminazione della Presenza di Cristo nella vostra relazione. Che il Signore vi conceda di vedere oltre il visibile ed oltre la vostra prospettiva.

ANTONIO E LUISA

E’ proprio così. La coppia perfetta è fatta da due imperfezioni capaci di accogliersi di perdonarsi. Proprio ieri Luisa mi ha amato nonostante io non fossi stato per nulla perfetto. Questo suo atteggiamento mi ha davvero fatto pensare all’amore di Dio. Lei mi ha accolto e basta senza misurare quanto le stavo dando. Ieri ho provato tantissima riconoscenza verso di lei per essere così come è e per Dio che me l’ha posta accanto.

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Cuore di padre

Cari sposi,

            siamo all’indomani della solennità di San Giuseppe e già Antonio e Luisa hanno parlato proprio ieri di Lui. Da parte mia vorrei aggiungere questa importante notizia dal momento che tocca un profondo bisogno esistenziale del mondo di oggi: l’assenza del padre.

L’assenza della figura paterna è una delle cause, se non la principale, degli insuccessi nel benessere dei figli. Ma non solo, perché spiega uno dei motivi fondanti della profonda crisi della famiglia. Se manca il papà in una famiglia, questo si ripercuote negativamente sulla strutturazione psichica degli individui e di conseguenza poi sulla società in cui questi andranno ad interagire. Tra gli effetti negativi ci sono l’indebolimento dell’immagine maschile, disturbi della filiazione, aumento dei comportamenti di dipendenza, perdita del senso del limite (tossicodipendenza, bulimia/anoressia, pratiche sessuali reattive), difficoltà di socializzazione, ecc.

Oggi, ed è certamente un bene, in generale si concede un gran valore alla figura della mamma in quanto donna. Essa difatti è il per il bambino una fonte di sicurezza; tuttavia, non si può mai escludere il ruolo maschile-paterno. Il padre è colui che pone limiti e divieti, così importanti per strutturare ed educare il vero senso della libertà, Ma soprattutto, è grazie alla figura paterna, che il bambino impara a differenziarsi dalla madre e ad acquisire la propria autonomia psichica. Il bambino così scopre che non è lui a comandare ma che esiste una legge al di fuori di lui. In tal modo, attraverso la relazione con il padre, il bambino acquisisce anche la propria identità sessuale. È normale che, in fase di sviluppo, sia la bambina che il bambino hanno infatti la tendenza, all’inizio, a identificarsi con il sesso della madre, e tocca al padre, nella misura in cui viene riconosciuto, che permetterà al bambino di ubicarsi sessualmente.

Quanto è importante dire al mondo che c’è bisogno di buoni padri, di padri maschi nel più bel senso di questa parola! È un bene, perciò, che sia in uscita un film-documentario, sulla figura nascosta ma importantissima del Patrono della Chiesa Universale, dal titolo: Cuore di Padre. “Chi è in realtà Giuseppe di Nazareth? Abbiamo intrapreso un viaggio intorno al mondo per indagare se sia vero ciò che alcuni affermano: quest’uomo misterioso oggi è più attivo che mai. Ci soffermeremo in posti emblematici dei cinque continenti, scoprendo santuari, feste e devozioni in onore di quel falegname umile e silenzioso. Conosceremo toccanti testimonianze di persone che hanno dato una svolta alle loro vite grazie a San Giuseppe” (dalla sinossi del film). Un uomo, un maschio, un papà di virtù e qualità eccezionali che merita essere conosciuto di più e soprattutto imitato nel suo stile di vita. Per cui, buona visione!

Padre Luca Frontali

San Giuseppe: un papà amato, tenero e obbediente.

Tra pochi giorni si festeggia San Giuseppe e attraverso di lui tutti i papà del mondo. Per questo ho deciso di scrivere di lui e del suo ruolo di padre. Prenderò spunto da Papa Francesco che ci ha donato la bellissima Lettera Apostolica Patris Corde dove ha identificato alcune caratteristiche di Giuseppe che possono aiutare noi sposi e padri a comprendere qualcosa di più su come vivere questa nostra missione. Una missione che è un vero ministero, rientra infatti nella nostra dimensione regale battesimale. E’ dono e responsabilità del battesimo. Essere re al modo di Gesù. In questo articolo prenderò in esame le prime tre qualità di Giuseppe padre. In totale il Papa ne indica sette. Un numero non credo casuale. Il sette indica la totalità. Quindi in quelle sette caratteristiche c’è tutto ciò che serve per essere padre. Vi invito a leggere tutto il documento. Ne vale sicuramente la pena. Ora iniziamo.

Padre amato. Il Papa ci ricorda che San Giuseppe è molto amato dai fedeli perchè ha scelto di stare accanto a Maria sua sposa e a Gesù. Scrive il Papa: la paternità di Giuseppe si è manifestata nell’aver usato dell’autorità legale, che a lui spettava sulla sacra Famiglia, per farle totale dono di sé. Giuseppe è amato perchè ha sacrificato sè stesso per, scrive sempre il Papa, porsi al servizio dell’intero disegno salvifico. Porsi al servizio della sua missione di padre e di sposo. La scelta di Giuseppe non è stata per nulla semplice. E’ dovuto morire a sè stesso, ai suoi progetti, al suo orgoglio, alle sue radici (è dovuto scappare in Egitto), per farsi dono. Giuseppe ci insegna che un padre sa mettere da parte sè stesso per donarsi. Noi ci siamo impegnati a comprendere come Dio ci chiede di spendere la nostra vita, a comprendere quale è la nostra vocazione? Siamo capaci di rivedere le nostre convinzioni e le nostre idee accogliendo il progetto di Dio su di noi? Proviamo a sacrificarci per la nostra famiglia?

Padre nella tenerezza. Questa caratteristica evidenziata dal Santo Padre è meravigliosa. Soprattutto è tanto confortante e liberante per noi comuni mortali. Essere padre è il compito più difficile per un uomo. Il Papa ci dà due dritte importantissime e lo fa con due pensieri che vi riporto. Gesù ha visto la tenerezza di Dio in Giuseppe. [..]Anche attraverso l’angustia di Giuseppe passa la volontà di Dio, la sua storia, il suo progetto. Giuseppe ci insegna così che avere fede in Dio comprende pure il credere che Egli può operare anche attraverso le nostre paure, le nostre fragilità, la nostra debolezza. E ci insegna che, in mezzo alle tempeste della vita, non dobbiamo temere di lasciare a Dio il timone della nostra barca. A volte noi vorremmo controllare tutto, ma Lui ha sempre uno sguardo più grande. San Giuseppe ha un importante ruolo educativo. Una parte di esso è condivisa con Maria, Giuseppe e Maria mostrano al figlio Gesù la tenerezza di Dio. L’altra parte si lega alla prima ma è più specifica del padre, dell’uomo. Giuseppe mostra attraverso la sua relazione con suo figlio Gesù chi è il Padre. Questo vale per tutti noi papà verso i nostri figli. Più impareremo ad amarli teneramente e più i nostri figli si faranno l’idea di un Dio Padre che gli vuole bene sempre. Più condizioneremo il nostro amore al loro comportamento e più i nostri figli si faranno l’idea di un Dio giudice, di un Dio del quale avere paura. La cosa bella di questa descrizione del Papa è che saremo capaci di amare in questo modo disinteressato i nostri figli solo se sapremo riconoscerci noi stessi fragili ed imperfetti. I nostri figli non hanno bisogno di genitori perfetti che non sbagliano mai, ma di genitori capaci di chiedere scusa quando sbagliano e capaci di alzare lo sguardo a Dio quando si sentono inadeguati alla situazione contingente e al compito a loro affidato. Un genitore perfetto, se mai esistesse, farebbe solo danni. Perchè i figli si sentirebbero sempre non adeguati, non abbastanza, mentre il genitore farebbe fatica a provare empatia verso le loro fragilità.

Padre nell’obbedienza. Giuseppe ha accolto la volontà di Dio nella sua vita e nel suo matrimonio. San Giuseppe è presentato principalmente nel Vangelo di Matteo. Matteo racconta i primi capitoli del suo Vangelo dalla parte di Giuseppe. A differenza del Vangelo di Luca dove tutto il racconto della nascita e dell’infanzia di Gesù è visto con gli occhi di Maria. È in Luca che c’è il racconto dell’annunciazione. In Matteo non c’è. In Matteo troviamo scritto semplicemente Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. (Matteo 1, 18). Mentre in Luca leggiamo in modo dettagliato come l’angelo abbia comunicato a Maria il concepimento di Gesù per opera dello Spirito Santo in Matteo non c’è nulla di tutto questo. Matteo ci proietta nello smarrimento di un uomo che si ritrova a confrontarsi con una realtà alla quale non era preparato. Giuseppe si ritrova a dover comprendere ed accogliere l’intervento di Dio nella sua storia e in quella della sua famiglia. E lo fa. Il papa lo scrive chiaramente. In ogni circostanza della sua vita, Giuseppe seppe pronunciare il suo “fiat”, come Maria nell’Annunciazione e Gesù nel Getsemani. Giuseppe ha portato in salvo la sua famiglia proprio attraverso l’obbedienza. L’obbedienza ad accogliere Maria incinta, l’obbedienza a scappare in Egitto, l’obbedienza a tornare dall’Egitto. Non credo che Giuseppe abbia sempre compreso tutto ma si è fidato come un figlio si fida del papà. Questa riflessione del Papa ci dice che non possiamo avere la pretesa di programmare tutto e di avere tutto sotto controllo. Non sarà mai così. Un padre sa però accogliere la vita e ciò che accade in famiglia con uno sguardo aperto a Dio, cercando di comprendere quale sia la scelta migliore per i figli che Dio ha affidato a lui e alla madre. I sogni di Giuseppe esprimono benissimo il dialogo con Dio che Giuseppe intesse durante la sua vita. Ed è bellissimo! Giuseppe ha portato in salvo la sua famiglia non perchè fosse forte e potente come Erode, ma perchè consapevole della propria debolezza si è sempre affidato e fidato.

Che esempio meraviglioso San Giuseppe!

Antonio e Luisa

Chiara: benedetta fragilità

Oggi vi scrivo nuovamente dei Ferragnez. So già di tirarmi addosso critiche e anatemi. Quei due per tanti sono il male impersonificato. Invece io li seguo con interesse. Li seguo perchè sono davvero l’immagine più esplicativa dell’uomo di oggi. E’ vero che quello che propongono trasuda di pensiero unico del nostro mondo moderno: aborto, gender, matrimonio egualitario, eutanasia, ecc. Insomma il repertorio tipico della persona emancipata e progressista. Il repertorio tipico di chi fa del desiderio un diritto. Quindi nulla di particolarmente sconvolgente. I Ferragnez propongono le stesse cose proposte dal 90% degli nfluencer e delle star della musica e della televisione.

I Ferragnez hanno però qualcosa in più rispetto a tanti altri. Raccontano senza filtri e spesso mi sembra sinceramente la loro vita di persone ricche e popolari. Fanno continuamente storie Instagram dove si fanno vedere nella quotidianità. Certo non mostrano proprio tutto e spesso i contenuti sono preparati ma più di una volta hanno lasciato trasparire emozioni e sentimenti veri aprendo uno squarcio su un mondo, quello patinato e perfetto dei VIP, fatto solo di ricchezza e bellezza. Per questo trovo in loro una coppia interessante. Sono seguiti da milioni di follower, molti dei quali molto giovani e quindi non possiamo semplicemente ignorarli. Ci sono e dobbiamo farci i conti. Dopo questa doverosa premessa arriviamo al punto. Vorrei approfondire un post di Chiara. In realtà alcune frasi del post che è molto lungo.

Fermarsi a respirare e a pensare, ricordandosi che è normale avere paura, è normale chiedersi se ce la farai, è normale offrire aiuto a chi intorno a te ne ha bisogno ma anche chiederlo a chi sai può esserti di supporto.

Chiara per tanti è una super donna. Popolarissima, con le sue idee influenza il pensiero di tantissime persone. E’ una bella donna realizzata nella famiglia con un marito che sembra volerle bene e due figli bellissimi. E’ un’imprenditrice di successo oltre che un volto tra i più ricercati come testimonial. Con le sue aziende fattura milioni ogni anno. Eppure anche lei ha paura, anche lei si sente inadeguata, anche lei teme di non farcela. Il primo passo per arrivare a Dio è proprio questo: riconoscere di non essere abbastanza. Quindi quello che Chiara sta vivendo come una profonda crisi in realtà potrebbe essere l’inizio della sua salvezza. Non conosciamo il suo cuore e non sappiamo come reagirà ma già questa sua ammissione è meravigliosa. C’è una canzone di Mengoni che esprime benissimo tutto questo. Si tratta di Essere Umani. In una strofa di questa canzone Marco Mengoni dice: Devi mostrarti invincibile. Collezionare trofei. Ma quando piangi in silenzio scopri davvero chi sei. Proprio così. Tanti ragazzi e tante ragazze possono essere rassicurati dal fatto che anche Chiara ha paura, che anche lei si sente a volte sbagliata. Quindi benissimo così. Chiara sta dando un insegnamento fondamentale. In questo caso è un’influencer positiva. Poi non basta riconoscere le proprie miserie per arrivare a Cristo ma è il primo e necessario passo.

Contemporaneamente ho dovuto esserci per la mia famiglia, provare ad essere forte per tutti, a capire come risolvere problemi più grandi di me con la paura di non farcela come moglie e anche come mamma, perché con i tuoi bambini devi essere tu quella forte, sempre. 

Dopo l’ammissione di fragilità ecco che tira fuori gli artigli. Come solo le mamme sanno fare. Eh ho letto bene? E’ proprio Chiara la paladina delle femministe, la donna emancipata, a scrivere queste cose? Vedete esiste l’ideologia ma poi il nostro cuore ci riporta alla verità. L’abbiamo dentro questa verità. La donna ha dentro questa verità e se solo si mette in ascolto del proprio cuore questa verità emerge. In questa frase Chiara ha confermato esattamente quello che noi cristiani diciamo da sempre. Maschio e femmina li creò. Con i tuoi bambini devi essere tu quella forte, sempre. In una frase ha smontato l’ideologia femminista. La mamma è la mamma. Molto spesso una famiglia crolla quando è la madre e la moglie a crollare. Mi piace molto la spiegazione che Costanza Miriano dà al versetto di Efesini 5 dove la donna è sottomessa all’uomo. Costanza dice che il termine sottomesso va preso proprio letteralmente. Messa sotto ma non per essere posseduta o manipolata. E’ la donna stessa che si mette al di sotto per sostenere l’intera famiglia. La donna è il volto misericordioso di Dio. La donna ha un utero che accoglie la vita. Il corpo non mente. Certo che accostare Costanza a Chiara è davvero forse un po’ tirato ma secondo me ci sta. Certo Chiara non lo dirà mai chiaramente ma in questo post lo ha candidamente ammesso senza rendersene conto.

Per ora è il momento di tirare dritto e provare a far funzionare le cose, di aggiustarle senza fingere che tutto vada bene, ma provando a farle andare bene veramente. 

Anche queste parole di Chiara sono un pugno nello stomaco. Come? L’amore non è sentimento? L’amore non sono le farfalle nello stomaco? L’amore non è? Non è questo e Chiara lo afferma senza giri di parole. L’amore costa fatica. Ci sono periodi che le cose non funzionano, che non si vedono miglioramenti e vie d’uscita. E lei cosa fa? Se ne va? Molla Federico per cercare altrove la propria felicità? No lei resta e cercherà con tutta sè stessa di far funzionare le cose. Questa è la responsabilità di una mamma ed è un messaggio completamente opposto a quello che il mondo patinato degli influencer (lei compresa) cerca di far passare. Quindi anche in questo caso mi sento di ringraziare Chiara per la testimonianza che ha dato. L’amore è responsabilità ed impegno. Attenzione non parlo di fede e di sacramento. I Ferragnez non sono credenti (almeno così dicono) e non sono sposati sacramentalmente. C’è però la responsabilità verso i figli. E Chiara lo evidenza nettamente con le sue parole.

Quindi in questo caso il cuore di Chiara batte l’ideologia 3-0. Conosco tantissimi matrimoni che hanno attraversato la tempesta grazie soprattutto alla donna che non ha mollato. Non mi resta che fare i miei auguri a Chiara e Federico e spero me lo concedano anche di dire una preghiera per loro.

Antonio e Luisa

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Invisibili al mondo ma non a Dio

Quando facciamo qualcosa, vorremmo subito vederne il risultato o i frutti e questo vale in tutti gli ambiti, dal lavoro alle relazioni, fino alla preghiera (siamo spesso noi a suggerire a Dio la soluzione e quello che deve fare: Vedi Dio che mia moglie mi tratta male, che c’è la guerra, che quella persona ha bisogno d’aiuto, cosa aspetti a intervenire?). Rimaniamo male e siamo impazienti se non arriva tutto subito. A volte siamo un po’ come i bambini: ricordo diversi anni fa quando dovevamo partire per la vacanza estiva al mare, un viaggio di circa 150km e mia figlia piccola, dopo nemmeno 200 metri di strada ci disse: Arrivati?, tanta era la voglia di giocare sulla spiaggia. Umanamente è normale desiderare di poter avere un ritorno in quello che facciamo e costruiamo, ma non è detto che avvenga sempre e ciò non deve scoraggiarci.

E’ difficile andare in una grande città e non trovare una cattedrale, cioè una costruzione costruita in decine di anni e che sicuramente è stata ultimata dopo la morte di chi l’ha voluta, di cui nemmeno conosciamo il nome, perché spesso sconosciuto (al contrario ad esempio degli affreschi o sculture presenti all’interno). Eppure cosa l’ha spinto a finanziare, lavorare, curare e seguire un’opera così imponente che non avrebbe visto ultimata? Forse perché Dio vede sempre ogni singola cosa che facciamo per Lui e con amore. Perché oggi non si costruiscono più cattedrali, nonostante la tecnologia e le macchine renderebbero il lavoro più semplice? Forse perché non siamo più disposti a fare sacrifici e perché guardiamo tutto con la prospettiva di questa vita e non con uno sguardo verso l’eternità.

Eppure, come papà non esiterei a rischiare la mia vita, se servisse a salvare quella di mia figlia: non so se avete presente, in qualche film, la scena in cui un genitore si precipita a salvare il figlio che sta per essere investito da un’auto, rischiando seriamente di morire. Quindi c’è Qualcosa, Qualcuno che va oltre la nostra stessa vita e che continua dopo la morte. Ecco, fra le varie missioni degli sposi, c’è anche l’annuncio di eternità, cioè delle nozze definitive: quelle attuali, infatti, un giorno passeranno in secondo piano, perché saremo una carne sola con Gesù e non più con il nostro coniuge. Il nostro matrimonio non è scritto negli archivi della chiesa in cui ci siamo sposati, ma in Cielo e quindi il nostro sguardo deve essere rivolto a quella bellissima dimensione che neanche immaginiamo, di sicuro migliore di questa che conosciamo.

Pertanto non è importante che quello che facciamo, giorno per giorno, quello che costruiamo, mattone su mattone (la nostra cattedrale), sia ricordato o porti il nostro nome: la cosa importante è costruire, anche se non siamo visti e anche se per tante persone, a cominciare da quelli più vicini a noi, siamo invisibili. Anzi, da una parte è meglio così, perché questo ci libera dall’egoismo, dall’orgoglio e dal fare le cose per acquistare fama e potere. Mi riferisco anche alle persone che, come me, in seguito alla separazione, scelgono la fedeltà: non siamo capiti o considerati, siamo spesso invisibili e a volte anche derisi oppure contrastati (per fortuna, anche nella Chiesa, le cose stanno cambiando); tuttavia nel nascondimento, seppure con tanti limiti, gettiamo quel seme che un giorno fiorirà. Infatti il separato fedele, non esercitando più l’ una caro (una carne) con il coniuge su questa terra, è ancora più rivolto al “dopo”, alle nozze eterne, a quell’unione che aspetta ognuno di noi.

Va bene quindi che gli altri non capiscano, non vedano: noi sappiamo per Chi costruiamo…il meglio deve ancora venire!

Ettore Leandri (Presidente Fraternità Sposi per Sempre)

Perdonare sempre è da folli?

di LIVIA CARANDENTE

Se fosse settanta volte sette forse potrei anche riuscirvi, con uno sforzo sovraumano, e se fosse il dato complessivo; invece, a quanto pare, Gesù non solo si riferiva al perdono da applicare ad ogni singola persona che ci ferisce ma – qui viene il bello- si tratta di un numero metaforico che sta ad indicare l’impossibilità di contare le volte in cui farlo perchè infinite. Ti viene voglia di dare una sbirciata ad altre religioni. E invece, poi riflettendoci, la nostra fede è l’unica in cui quel perdono lo ricevi anche tu. Esattamente settanta volte sette. E non in modo astratto, come concetto antropologico, come possibilità aleatoria, come ipotesi generica. E’ un perdono che Qualcuno ha voluto concedere a me, a te, a ciascuno, attraverso la carne fino a morire; ma questa è un’altra storia. E’ la storia. La storia dell’umanità salvata.

Tornando alla mia di storia, invece, di cristiana praticante, di donna in via di conversione, di moglie, madre, comunicatrice, e tutto il resto: io perdono? La domanda del Vangelo di oggi è diretta. E non possiamo fingere di aver sbagliato passo. E se non settanta per sette, a quanto arrivo, onestamente? Dipendesse dal mio senso di giustizia, dovrei usare i numeri decimali. Ma pare che il cristianesimo non sia in linea col giustizialismo ma che piuttosto gli remi contro.

Infatti questo benedetto perdono viene concesso a chiunque: assassini, bestemmiatori, tiranni, infami e traditori, anche. Ed è questa la formula a cui piegarsi se si vuol salire sulla giostra della gioia; il perdono è riservato a tutti. Non ce la faccio! E’ una risposta ammissibile. Posso io perdonare chi mi mortifica negli atteggiamenti? Chi trama azioni becere alle mie spalle? Chi mi giudica e lo fa anche senza una ratio? Chi, anzichè agevolarmi, mi ostruisce la strada? No, grazie. Assumo già un gastroprotettore, non posso caricare lo stomaco ulteriormente.

Però: recito il Padre Nostro (rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo a nostri debitori…)? Si, tutti i giorni; partecipo alla Messa domenicale (basata sull’insegnamento di Gesù e su ciò che Lui ci chiede di fare)? Si, faccio anche questo. Mi dichiaro cristiana, quindi appartenente a Chi promuove questo genere di atteggiamenti folli? Si, mi fregio di essere cristiana. Non c’è altro da aggiungere. Devo decidere. O perdono . O sono un’ipocrita.

ANTONIO E LUISA

Approfitto di questa provocazione che Livia rivolge a noi tutti e a sè stessa per prima per riflettere con voi. La risposta a Livia è già nel suo articolo. Perdonare non è solo un atto di volontà. A volte ci sono dei mali che subiamo dove la volontà non può cancellare le ferite da questi mali provocate. Quindi il perdono è una grazia. Una grazia che per noi cristiani può nascere solo dalla consapevolezza di essere figli amati. Figli amati che hanno tradito innuverevoli volte quel Padre che li ama così tanto. Solo questo può darci la forza di perdonare. Per due motivi. Perchè la persona che ci ha fatto del male è anc’essa figlia di Dio e amando lei stiamo restituendo a Dio l’amore che Lui tanto immeritatamente ci offre. E poi solo in Cristo possiamo disgiungere il male da chi lo commette. Dio ci insegna a non identificare chi ci fa del male con il male stesso. Non perdere la capacità di benedire è fondamentale anche nel matrimonio dove viviamo una relazione profonda e dove possiamo farci tanto male, anche senza esserne pienamente consapevoli.

Sei nella fornace ?

Dal libro del profeta Daniele (Dn 3,25.34-43) In quei giorni, Azarìa si alzò e fece questa preghiera in mezzo al fuoco e aprendo la bocca disse: «Non ci abbandonare fino in fondo, per amore del tuo nome, non infrangere la tua alleanza ; non ritirare da noi la tua misericordia, per amore di Abramo, tuo amico, di Isacco, tuo servo, di Israele, tuo santo, ai quali hai parlato, promettendo di moltiplicare la loro stirpe come le stelle del cielo, come la sabbia sulla spiaggia del mare. Ora invece, Signore, noi siamo diventati più piccoli di qualunque altra nazione, oggi siamo umiliati per tutta la terra a causa dei nostri peccati. Ora non abbiamo più né principe, né profeta né capo né olocàusto né sacrificio né oblazione né incenso né luogo per presentarti le primizie e trovare misericordia. Potessimo essere accolti con il cuore contrito e con lo spirito umiliato, come olocàusti di montoni e di tori, come migliaia di grassi agnelli. Tale sia oggi il nostro sacrificio davanti a te e ti sia gradito, perché non c’è delusione per coloro che confidano in te. Ora ti seguiamo con tutto il cuore, ti temiamo e cerchiamo il tuo volto, non coprirci di vergogna. Fa’ con noi secondo la tua clemenza, secondo la tua grande misericordia. Salvaci con i tuoi prodigi, da’ gloria al tuo nome, Signore».

Oggi ci troviamo di fronte ad una tra le scene più conosciute della Bibbia, e cioè la famosa fornace ardente dentro la quale furono gettati i tre giovani Azaria, Anania e Misaele, rei di essersi rifiutati di adorare la statua dell’idolo del re Nabucodonosor in quanto fedeli al Dio di Israele. Per comprendere un po’ meglio di cosa stiamo parlando dobbiamo fare un passo indietro ricordando che questi tre giovani ebrei erano stati deportati dalla loro terra d’origine per essere istruiti alla corte del re Nabucodonosor, il quale fece erigere una statua d’oro, ma quando questi venne a sapere che essi si rifiutavano di adorare la statua li condannò alla fornace ardente nonostante fossero entrati nelle sue grazie. Succede però che i tre giovani non furono neanche toccati dalle fiamme perché erano rimasti fedeli al Signore, fu così che il re alla fine li tirò fuori costretto ad ammettere che il Dio dei tre giovani era veramente un Dio potente e non una loro invenzione.

Questa pagina ci insegna come la fiducia ferma, irremovibile, salda ed irreprensibile nel Signore sia sempre premiata anche in questa vita e porti frutti abbondanti di grazia per sé e per gli altri… detta così è presto fatta e tanti saluti e buona giornata. Ma c’è dell’altro per noi sposi? In questi giorni la Chiesa ci fa leggere diversi brani tratti dall’antico Testamento che vogliono rassicurarci sul fatto che solo il Signore è il vero ed unico Dio, l’Onnipotente che tutto può e che tutto perdona ad un cuore contrito perché la Sua misericordia è sempre più in là di quanto possiamo immaginare, e lo fa raccontandoci le varie esperienze di uomini e donne che hanno confidato in Lui.

E’ come se la Chiesa ci dicesse: “Forza, coraggio, non temere, i sacrifici ed i digiuni che stai compiendo in questa prima metà di Quaresima sono giusti, stai sacrificando all’unico e vero Dio, vai avanti così, riprendi vigore nella seconda metà di Quaresima che ti porterà alla Pasqua, non mollare proprio ora perché chiunque ha confidato nel Signore nostro Dio non è rimasto deluso, nessuno è rimasto a bocca asciutta!”

Sentiamo tante storie di sposi che assomigliano a quel fuoco in cui è stato gettato il nostro Azaria, a volte le relazioni diventano tali che ci si scotta solo avvicinandosi l’uno all’altra perché non c’è pace, e spesso la frase più frequente è: “il nostro matrimonio è un inferno!” E l’inferno non è forse un fuoco che brucia ma non purifica? Si ha la sensazione di non poterne uscire, ci si sente come in un vicolo cieco… Azaria ci mostra che anche quando tutto intorno a noi rema contro, c’è sempre una via d’uscita nel confidare nel Signore. Lo sapevamo già, penserà qualcuno, facile a dirsi e a scriverlo, ma poi nella vita reale?

Dobbiamo sempre più convincerci del nostro essere peccatori e del fatto che portiamo nella nostra vita e nella nostra carne le conseguenza mortifere dei nostri peccati. Le anime del Purgatorio che, per concessione divina, hanno rivelato qualcosa, hanno sempre dichiarato che avrebbero preferito le peggiori sofferenze in questa vita piuttosto che un giorno in Purgatorio. Se noi potessimo vedere lo stato della nostra anima come in una sorta di radiografia/ecografia, e ciò che ci attenderebbe in Purgatorio se morissimo all’istante, sicuramente ci lamenteremmo di meno della fatiche di questa vita.

Quando due sposi si trovano di fronte ad una sofferenza, ad una fatica, di qualsiasi grado e natura essa sia, devono affrontarla come Azaria ha affrontato la prova della fornace. Se di fronte ad una sofferenza cominciassimo a lamentarci con Dio sarebbe come uno sfogo di fronte ad una ingiustizia subìta che umanamente è comprensibile ma non ne usciremmo più da questa situazione perché in fondo in fondo ci sentiremmo trattati ingiustamente da Colui che “tanto devotamente” serviamo. Al contrario, l’atteggiamento giusto è riconoscere che quella sofferenza può essere feconda se affidata a Dio.

Cuore contrito e spirito umiliato sono, dunque, i due atteggiamenti che ci aprono le porte della misericordia, non tanto perché Dio tenga chiuse queste porte, ma perché è il nostro cuore che è pronto ad accogliere la Sua misericordia. Quando Dio vuole darci una Grazia resta lì col regalo in mano, nell’attesa che noi allunghiamo le nostre mani per riceverlo, perché il problema non sta nel donatore, ma nel beneficiario. E le nostre mani allungate a ricevere il dono di Grazia è il cuore contrito e lo spirito umiliato a riconoscere che abbiamo bisogno dell’aiuto di Dio.

Coraggio sposi, non c’è crisi matrimoniale da cui è impossibile uscire, anche se fosse una fornace ardente come quella di Azaria. I santi ci insegnano che il metodo migliore per avere un cuore contrito è la confessione frequente; infatti essa ci abitua a vedere sempre più nel dettaglio la sporcizia della nostra anima, similmente a quanto succede a chi si lava tutti i giorni, il quale, non sopporta non farsi la doccia anche solo per mezza giornata in più, perché ci si abitua al pulito, al bello, al profumo… chi invece si lava raramente non avverte la sporcizia e finisce col lavarsi ancora più raramente perché ci si abitua alla sporcizia scambiandola per normalità. Non dobbiamo mai lasciare che il nostro cuore si “abitui” al peccato, mai!

Giorgio e Valentina.

Telefono batte dialogo

Ripropongo un articolo di qualche anno fa perchè tratta un argomento che è bene ricordare: il dialogo.

Spulciando tra le varie notizie e curiosità pubblicate sul web ho trovato qualcosa di molto interessante. E’ un articolo di Repubblica dal titolo Crisi di coppia? 8 appuntamenti per salvare una relazione. Lasciando perdere i consigli che i due psicologi propongono che possono essere più o meno condivisibili quello che mi preme mettere in evidenza è un fatto. Uno studio dell’Università della California ha svelato che le coppie sposate (studio su un campione di coppie di sposi di diverse età seguite per 13 anni) dialogano per una media di 35 minuti a settimana. Una quantità di tempo risibile se confrontato con i dati sull’uso di smartphone. Il 50% delle persone italiane che hanno uno smartphone lo usano per più di 5 ore al giorno. Una differenza enorme accentuata dal fatto che molti di quei 35 minuti di dialogo sono utilizzati per affrontare argomenti di tipo organizzativo e contingente (spese, impegni, riparazioni ecc.). Nel ménage familiare non c’è tempo per il dialogo di coppia profondo. Non ci si guarda più con occhi di meraviglia. Scrive Roberta Vinerba nel suo illuminante libro “Alla luce dei tuoi occhi”: Due sposi,  prima che non si parlino più, non si guardano più, prima del dialogo muore lo sguardo. Prima della parola, non si vedono più.

Ecco la mancanza di dialogo esprime spesso una mancanza di interesse per l’altro/a. Come in un piano inclinato gli sposi stanno scivolando verso l’indifferenza. Prima di arrivare alla fatidica frase Non ti amo più ci sono tanti piccoli step. La mancanza di dialogo dovrebbe essere un campanello d’allarme e invece è spesso visto e accettato come qualcosa di inevitabile. Presi da tanti pensieri e impegni non c’è tempo per queste inezie da fidanzatini.  Il Papa in Amoris Laetitia ci dice che non è così: Dopo l’amore che ci unisce a Dio, l’amore coniugale è la «più grande amicizia». E’ un’unione che possiede tutte le caratteristiche di una buona amicizia: ricerca del bene dell’altro, reciprocità, intimità, tenerezza, stabilità, e una somiglianza tra gli amici che si va costruendo con la vita condivisa. Però il matrimonio aggiunge a tutto questo un’esclusività indissolubile, che si esprime nel progetto stabile di condividere e costruire insieme tutta l’esistenza. 

Il dialogo è fondamentale per tenere in vita una relazione e renderla sempre più bella e rigogliosa. L’amore di amicizia tra gli sposi non è meno importante dell’eros o del servizio. Senza l’amicizia anche l’eros e l’agape diventano espressioni d’amore difficili e non desiderate. Se non c’è intimità del cuore fatta di dialogo profondo dove noi sposi apriamo il nostro cuore all’altro/a, dove raccontiamo le nostre fatiche, le nostre gioie, i nostri dolori, le nostre paure, insomma tutto quello che abbiamo nel cuore, presto o tardi, smetteremo di desiderarci e di cercarci anche fisicamente. Come in un circolo vizioso che ci porta sempre più lontani l’uno dall’altra. Invece è importante trovare tempo ogni giorno per parlare almeno un po’ di noi tra noi. Io e Luisa cerchiamo di trovare sempre tempo per parlare. Ce lo cerchiamo perché lo riteniamo una priorità. Capita, ad esempio, che alcuni giorni decido di entrare più tardi al lavoro e accompagno Luisa alla sua scuola. Arrivati al paese entriamo in un bar, ordiniamo cappuccio e cornetto e ci sediamo a un tavolino abbastanza appartato. Quei minuti sono preziosi. E’ un momento solo nostro. Parliamo di tutto, ma alla fine non importa tanto quello che diciamo, la cosa bella è poter assaporare l’incontro, la presenza dell’altro che ci riempie e ci sazia. E’ un momento di intimità molto bello che ci permette di iniziare la giornata con tanta pace e tanta gioia.

Antonio e Luisa

Per acquistare i nostri libri L’ecologia dell’amore – Sposi sacerdoti dell’amore – Sposi profeti dell’amore

Assetati di Amore

Cinque divorzi alle spalle e un sesto in forse non è roba così comune, nemmeno tra le star di Hollywood… dove la media sta sulle due o tre rotture, eccezion fatta per Brigitte Bardot che arrivò a cinque. Per cui la donna in questione è da record

Scherzi a parte, chissà quante delusioni, forse rancori, magari risentimenti e rammarichi si annidavano nel suo cuore… chi è passato da questa dolorosissima esperienza sa cosa lascia dentro. Fosse anche stata una volta sola nella vita, sarebbe più che sufficiente quanto a sofferenza, per cui proviamo a immaginare il peso che si trascina da anni e l’amarezza che cova dentro. Gesù non è affatto estraneo a tutto ciò, anzi si è piazzato lì, davanti a quel pozzo, proprio intuendo il suo bisogno immenso di amore. Lui la sta cercando per sanare quella ferita e riempire quel vuoto! Un vuoto che nessun altro poteva colmare proprio perché “il cuore dell’uomo inganna più di ogni altra cosa: è incorreggibile. Chi può comprenderlo? Ma io, il Signore, conosco i sentimenti e i pensieri segreti dell’uomo” (Ger 17, 9-10).

Sebbene maritata per l’ennesima volta, lei, in realtà è senza uno sposo vero. Piuttosto, lo Sposo che inconsapevolmente anela è lì davanti a lei. Lo si capisce dal fatto che siamo al cospetto di un incontro nuziale sulla dei grandi incontri sponsali attorno ai pozzi, ove l’acqua è rimando all’acqua dissetante dell’amore. Sui bordi di un pozzo difatti hanno avviato un rapporto matrimoniale vari personaggi biblici: il servo di Abramo e Rebecca (Gen 24,11-27), Giacobbe e Rachele (Gen 29,1-21) e Mosè e le figlie di Raguel (Es 2,15-21). Nell’Antico Testamento, infatti, “l’acqua viva” simbolizza l’azione di Dio (cfr. Ger 2, 13; Zc 14, 8; Ez 47, 9), acqua che grazie a Gesù diventa poi “il dono di Dio” cioè la grazia spirituale, la presenza di Dio nel suo cuore che può dissetare il bisogno di amore profondo.

Quanto ha da dirci questo vangelo! Lo dico anzitutto per chi è, come voi, sposato, ma lo dico anche per chi è consacrato a Dio. La grande lezione è che il bisogno profondo di amare ed essere amato può davvero essere colmato da Cristo. Noi siamo fatti per vivere le nozze eterne con Dio e non è certamente la “carnalità” o l’innamoramento terreno che può soddisfare questa sete esistenziale, ma solo essere una via di inizio. Perciò, la vita intima di voi sposi può appagare in parte tale sete a patto che essa conduca a Dio, se l’amore fisico, corporeo, porta ad amare più il Signore. Infatti, è vero, “l’eros vuole sollevarci « in estasi » verso il Divino, condurci al di là di noi stessi, ma proprio per questo richiede un cammino di ascesa, di rinunce, di purificazioni e di guarigioni” (Benedetto XVI, Deus Caritas est, 5). Se da un lato, Cristo, con la sua Incarnazione è “sceso” perché ha preso “carne” in voi con il Battesimo e nell’Eucarestia, con il matrimonio, voi sposi, vivendo nella carne l’amore, vi incamminate verso lo Sposo, cioè Lo rendete presente e potete proiettare il Suo amore in voi e attorno a voi.

Cari sposi, la Samaritana è così anche simbolo di ogni persona ed ogni coppia che sperimenta fame e sete di amore, un bisogno vitale che qui nessuno mai potrà appagare, ma solo lo Sposo per eccellenza, reso presente nel vostro amore nuziale.

ANTONIO E LUISA

Io avevo una fede debole prima di incontrare Luisa. Andavo a Messa qualche volta ma senza avere una vera relazione con Gesù. Riconoscevo alcune cose belle della Chiesa e ne ignoravo altre. Quando Luisa è arrivata con tutto il suo bagaglio di esperienze e di storia personale fatto di una fede molto più salda e consapevole della mia io mi sono innamorato, mi sono innamorato di lei e anche del suo Gesù. Ma mi sono davvero innamorato di Gesù? Chi era il mio dio? Era Gesù o era Luisa? Credevo nel Dio eterno e perfetto o stavo costruendo la mia vita e la mia felicita su una creatura finita e fallibile, piena di fragilità e imperfezioni come tutti. Se non cerco la sorgente del mio amore e della mia vita in Cristo non sarò capace di amare la mia sposa. Non posso essere capace di amare incondizionatamente se la mia felicità, senso e pienezza è riposta solo in Luisa. 

Domenica e famiglia: un connubio possibile /56

(Dopo l’orazione e prima della Benedizione si possono dare, quando occorre, brevi comunicazioni al popolo. Segue il congedo. Il sacerdote, allargando le braccia, rivolto verso il popolo, dice:) Il Signore sia con voi. (Il popolo risponde:) E con il tuo spirito. (Il sacerdote benedice il popolo:) Vi benedica Dio onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo. (Il popolo risponde:) Amen. (Infine il diacono o il sacerdote stesso, rivolto al popolo, a mani giunte, dice:) Andate in pace. (Oppure:) La Messa è finita : andate in pace. (Oppure:) Andate e annunciate il Vangelo del Signore. (Oppure:) Glorificate il Signore con la vostra vita. Andate in pace. (Oppure:) La gioia del Signore sia la vostra forza. Andate in pace. (Oppure:) Nel nome del Signore, andate in pace. (Oppure, specialmente nelle domeniche di Pasqua:) Portate a tutti la gioia del Signore risorto. Andate in pace. (Il popolo risponde:) Rendiamo grazie a Dio. (Oppure in canto:) Ite, missa est. (R/.) Deo grátias. (Il sacerdote bacia l’altare in segno di venerazione come all’inizio; fa quindi con i ministri un profondo inchino e torna in sacrestia. Quando segue immediatamente un’altra azione liturgica, si tralasciano i riti di conclusione.)

Questa è l’ultima parte della Messa, e a nostro parere purtroppo è stata voluta (nell’ultima riforma liturgica) troppo sbrigativa e fulminea che non lascia tempo ai fedeli (ma nemmeno al sacerdote) di rendersi conto di quanto appena compiuto e celebrato.

Ci è capitato tante volte di essere anche quasi catapultati fuori perché c’era fretta di disinfettare i banchi oppure perché la chiesa sarebbe servita immediatamente libera per l’incontro X con i genitori oppure per un Battesimo o altro, senza contare le volte che siamo stati accompagnati fuori dai rigidi bodyguard che manco nelle discoteche, insomma… la chiesa si trasforma nel raggio di pochi secondi in un mercato proliferante di voci e grida e schiamazzi, e questo avviene appena il prete ha messo piede in sacrestia, ma a volte anche prima. Quando ci va bene riusciamo a pregare un pochino per la Comunione Eucaristica appena ricevuta durante gli “annunci pubblicitari” da parte del parroco.

Perché tutto ciò? Dov’è finita la sacralità in tutto questo?

Le famiglie sanno bene che quando si sta a tavola tutti insieme è un momento di “liturgia domestica“, per molte succede ogni sera a cena, per altre succede solo la domenica e per altre ancora più raramente; in ogni caso per la famiglia è un momento particolarmente intimo: è un momento in cui ci si ascolta vicendevolmente, ci si racconta la giornata, si affrontano problemi per trovare una comune soluzione, si organizzano gli impegni settimanali, ci si racconta barzellette, aneddoti della giornata, si condividono preoccupazioni, si impara l’arte di amarsi a vicenda, di sopportarsi e di sostenersi.

Ed è ritenuto così importante che insegniamo ai bambini a comportarsi bene a tavola, perché se fosse solo un problema di nutrimento non servirebbe apparecchiare la tavola con dignità, si potrebbe anche mangiare in piedi in giro per casa, oppure ognuno potrebbe nutrirsi quando ne ha voglia senza aspettarsi a vicenda, la mamma non preparerebbe una pietanza per tutti ma ognuno aprirebbe il frigo stile self-service oppure in perfetto stile fast-food… ma questo ci farebbe assomigliare più ad un assembramento malriuscito di essere umani che per caso vivono nella stessa casa e attingono dallo stesso frigorifero… sarebbe disumano e indegno dell’umana natura, sarebbe più degno degli animali i quali mangiano solo per nutrimento ignorandosi l’un l’altro anche se sono in centinaia nello stesso pollaio o nella stessa stalla.

A volte succede che un membro si segga a tavola con gli altri, si nutra voracemente nel giro di 3 minuti, si alzi e abbandoni la compagnia perché ha di meglio da fare… ovviamente chi rimane a tavola vive un misto tra rabbia, indignazione, stupore, incredulità, perché manca la relazione e il tutto è ridotto a nutrimento per il corpo, la famiglia a tavola viene ridotta ad un dispenser di cibo, ma la famiglia sappiamo bene che è molto di più. Similmente la Messa non può assomigliare ad un pollaio o ad una stalla, c’è bisogno di relazione con Dio, di dignità umana, deve assomigliare alla relazione d’amore che si instaura quando la famiglia è riunita a cena, e chi meglio può dare dignità all’uomo se non Colui che è l’uomo perfetto, cioè Cristo stesso, Colui che, essendo di natura divina si è abbassato ed umiliato a tal punto da assumere la nostra condizione umana?

Non possiamo quindi sperare di ottenere buoni frutti dal mistero appena celebrato se una volta ricevuta la benedizione trattiamo la Messa come quando si spengono i riflettori sul palco… anzi, a ben vedere quando usciamo da un cinema o da un teatro ci si scambia opinioni ed emozioni con gli amici su quanto appena vissuto, quasi che lasciamo vivere lo spettacolo ancora un po’ dentro di noi… e perché non dovremmo fare lo stesso con la Santa Messa? Perché ci ostiniamo a non farla vivere per un po’ dentro di noi?

Nel bellissimo rito della Messa in “vetus ordo” dopo la benedizione non c’è il mercato in piazza, ma c’è ancora del tempo per “digerire” il mistero appena celebrato (per tornare all’esempio della cena in famiglia), per farlo entrare dentro di noi, per assaporarne tutta la bellezza di Grazia, per continuare a restare in contemplazione di quel pezzo di Paradiso in terra che è la Messa; e questo i nostri avi l’avevano ben capito, ecco perché in quel rito, dopo la benedizione finale, si resta ancora in silenzio ad ascoltare il prologo del Vangelo di S. Giovanni, e poi ci sono le preghiere di ringraziamento ai piedi dell’altare, e solamente dopo quest’ultime preghiere il sacerdote rientra in sacrestia in un clima di silenzio e raccoglimento che perdura tra i banchi dei fedeli sin da quando si entra in chiesa prima dell’inizio della Messa.

Cari sposi, se vogliamo che il nostro matrimonio cresca in bellezza, intensità e santità, è necessario lasciar penetrare dentro il nostro cuore i misteri di Grazia che scaturiscono dalla Santa Messa e quindi dall’Eucarestia, ma per fare ciò dobbiamo dare il tempo alla Grazia di agire in noi, dobbiamo imparare a preparare bene e curare ogni aspetto esteriore ed interiore prima, durante e dopo la Messa; quello a cui ci riferiamo oggi è quello dopo la benedizione finale, chiamato dalla Tradizione “il tempo del ringraziamento”. Questo tempo è dunque preziosissimo affinché l’Eucarestia appena ricevuta ed il mistero appena celebrato trovino spazio ed accoglienza nel nostro cuore e producano i loro frutti nella vita concreta.

In alcune parrocchie i fedeli si preparano alla Santa Messa (almeno quella domenicale) con la recita devota di una corona del Santo Rosario, e dopo la Messa ne recitano un’altra come ringraziamento del dono ricevuto ; inutile sottolineare gli effetti di Grazia che si moltiplicano in codeste parrocchie soprattutto riguardo la rinascita e la riscoperta della fede nei matrimoni e nelle famiglie.

Coraggio famiglie, viviamo in un tempo in cui c’è estremo bisogno della riscoperta della sacralità della Santa Messa e i protagonisti di questa rinascita non possono essere soltanto i nostri amati e benedetti sacerdoti, ma siamo noi famiglie che dobbiamo cominciare a viverla come si deve, anche i preti hanno bisogno della nostra testimonianza di fede vissuta per alimentare la loro fede.

Giorgio e Valentina.

40 giorni 40 tabernacoli

Da qualche settimana abbiamo iniziato a pubblicare sul nostro account Instagram foto che raccontano le tappe di questo cammino. Un percorso che ci porta ogni giorno davanti ad un tabernacolo diverso, in una chiesa di Roma sempre nuova. L’idea è quella di fare compagnia a chi ci segue e dare un’occasione per fare un po’ di luce dentro il buio che ogni persona ha dentro di sé. Il buio non si percorre mai da soli. Siatene consapevoli.

Nell’attraversare il mio buio io non sono mai stata da sola, altrimenti non ci sarei riuscita. Anche per questo è nato questo piccolo progetto quaresimale. In cosa consiste? Sto ripercorrendo i passi che mi hanno condotto ai Tabernacoli in cui ho sostato per ritrovare prima me stessa e di conseguenza la strada della fede che ha cementificato poi il mio matrimonio. Da dove ho iniziato? Dall’origine. Dal fonte battesimale. Sono andata alla riscoperta delle chiese che hanno accolto sia me che Andrea. Notate bene, ho usato il termine riscoperta perché è stata veramente una riscoperta. Ho notato cose che prima non vedevo. Ad esempio io non ho una foto del mio battesimo e per anni questa cosa mi ha un po’ infastidito, poi ho realizzato che un ricordo da toccare ce l’ho eccome: la tradizionale veste bianca e la candela che i miei genitori conservano con cura. Perché non ho una foto? Per il semplice fatto che hanno preferito godersi il momento appieno senza distrazioni.

Nella chiesa dove è stato invece battezzato Andrea ho visto con occhi nuovi un dipinto dove è raffigurato San Giuseppe che segue da lontano un Gesù adolescente. Quel dipinto mi ha fatto pensare alla vita di Andrea e a come quell’immagine si sia profetizzata con lui. Attrasverso la sua passione per l’oratorio, che è stato il mezzo per scoprire la bellezza di una paternità pensata appositamente per lui. Scoprire la propria strada, credetemi e in questo caso scrivo come moglie, è stata una delle cose più belle che gli poteva capitare nella vita. Quando si raggiunge la propria meta si vive meglio anche con gli altri e non solo con sé stessi.

Una tappa che non poteva mancare è stata la sosta nel Tabernacolo che ci ha visto come neo sposi incamminarci verso il nostro sentiero. Camminando si fa anche memoria di ciò che eravamo. Noi non eravamo preparati per il matrimonio, sfido chiunque a dirsi pronto dopo solo dieci incontri di un corso prematrimoniale. Avere uno zaino colmo di nozioni che non sai interpretare è come pretendere di fare il cammino di Santiago con uno zaino di 80 chili. Io infatti ancora adesso, e non me ne vergogno, frequento insieme ad Andrea il corso post matrimoniale per le coppie che sono sposate da poco. È uno spasso condividere gli alti e bassi della vita matrimoniale. Ti aiuta a sdrammatizzare molto.

Sostare davanti ai Tabernacoli significa notare anche queste piccole cose. Quei piccoli passi che ti permettono di raggiungere grandi distanze. Una tappa importante, e che ci ha fatto commuovere un po’, è stata la visita alla parrocchia di San Basilio. Perché ci siamo commossi? Perché è il nostro rifugio personale. San Basilio è quell’ abbraccio del Figlio al Padre per tutti i suoi sforzi, proprio come canta Ultimo nella sua canzone L’eternità. Confesso che, complice la pandemia e il post pandemia, non avevo avuto ancora occasione di poter andare ad abbracciare quel luogo che più di tutti ci ha fatto crescere e maturare umanamente e spiritualmente. Quelle mura hanno visto anche il peggio di me, non solo il dolore, ma anche la rabbia che si tramuta in silenzio assordante che non ti fa pronunciare neache un Ave Maria. Fino a quando non comprendi che un figlio è veramente un Dono anche se non lo porti in grembo. San Basilio è quel luogo dove più di tutti ho respirato la speranza nel mio momento più buio. È il fuoco della veglia Pasquale. Io e Andrea eravamo come cenere. Ho riflettuto proprio su questo. Il mercoledì delle ceneri a Roma vi è la tradizione di iniziare la Quaresima proprio dalla chiesa che abbiamo scelto per sposarci, Sant’Anselmo all’Aventino. Sdrammatizzando sugli eventi della nostra vita potremmo benissimo dire che siamo stati profeti di noi stessi. Il nostro matrimonio è veramente un 40 giorni 40 tabernacoli.

Vi aspettiamo se volete nel nostro Instagram nella nostra pagina Facebook Abramo e Sara, nel nostro canale Telegram e WhatsApp. Se passate da Roma ci trovate presso la parrocchia di San Giuseppe al Trionfale. E se volete continuare a sostenere il nostro progetto è disponibile online il nostro libro su Amazon.

Simona e Andrea

Un matrimonio waterproof

Come nacque il waterproof

In principio, i cosmetici non erano waterproof. Se ne resero conto assai presto gli sceneggiatori di Hollywood. Appena Esther Williams, campionessa olimpica di nuoto e attrice, girò le sue prime scene in piscina. Fu subito chiaro che i cosmetici con cui era truccata, peraltro di ottima marca, non reggevano l’acqua. Erano gli anni cinquanta. Le grandi marche cosmetiche avevano già una certa notorietà e un folto seguito di acquirenti. Tuttavia, come ogni donna comune aveva avuto modo di sperimentare almeno una volta, la possibilità che il trucco resistesse all’acqua, non era prevista. La bella Esther non riemergeva dai flutti come una venere acquatica dall’aspetto ineccepibile. In realtà era inguardabile. Il trucco si scioglieva miseramente e sul suo viso rimanevano solo antiestetiche chiazze di colore. Per fare in modo che affrontasse le scene in piscina, uscendone poi perfettamente truccata, le case produttrici di cosmetici si misero a studiare formule adeguate. Nacque così il cosmetico waterproof.

Cosa significa waterproof

Waterproof, questo nuovo attributo del make-up, significa letteralmente: “a prova d’acqua”. È molto più che “impermeabile”. In realtà, il vantaggio non è che non si bagni. La sua peculiarità è proprio la capacità di resistere intatto all’acqua. Di non farsi lavare via. Fondotinta, correttori, ombretti, rossetti, ma anche mascara waterproof non si alterano a contatto con l’acqua. Rimangono perfettamente fissati e omogenei. Una intuizione nata per esigenze di copione cinematografico, che si rivelò geniale. Milioni di donne furono in grado di affrontare crisi di pianto, sudate epocali, passeggiate sotto la pioggia torrenziale, senza preoccuparsi del loro trucco. Emotivamente sconvolte, fisicamente affannate, colpite dalle avverse condizioni atmosferiche, ma perfettamente truccate. Inutile cercare di spiegarlo a un uomo. Parlo per esperienza. Un maschio non capirebbe. Ma noi donne sì, noi questo lo sappiamo bene. Perché già essere devastate dal pianto, dal caldo o dall’acquazzone è una seccatura. Almeno vogliamo la consolazione di non avere l’aspetto di un panda, per il mascara sbavato. O la faccia macchiata, perché il trucco è colato.

Resistere sempre

Essere sempre in ordine e perfettamente truccate, in situazioni straordinarie, poteva sembrare una esigenza per poche. Una caratteristica di nicchia, irrilevante nell’economia della vita della gente comune. Invece, sin dalla sua comparsa, oltre sessant’anni fa, il trucco waterproof è stato un enorme successo. Tutt’oggi fa vendite da capogiro. È indubbio che essere waterproof sia una caratteristica estremamente apprezzata, per qualunque cosmetico. Non una moda passeggera. Per noi è una sicurezza. Metti che…? Metti che vado a vedere un film commovente... metti che mi viene una crisi di nervi… metti che in treno l’aria condizionata sia guasta (e siamo a luglio), metti che la nuvoletta di Fantozzi mi annaffi. Magari tutto questo non succede. Ma, metti pure che succeda, no problem. Avevo messo un make-up waterproof. È possibile trasportare questa idea di estrema resistenza ad altri ambiti? È possibile immaginare un matrimonio waterproof. Ovvero a prova di imprevisti disastrosi?

Il matrimonio waterproof

Lo sappiamo, il matrimonio oggi è terribilmente svalutato. Molti nemmeno più si sposano. Altri spesso si giurano amore eterno, finché dura. Appena difficoltà e problemi si abbattono sulla coppia, l’unione coniugale – se c’era – va in crisi e talvolta si dissolve. Come il trucco di Esther Williams. In alcuni casi, ci sono mogli che hanno make up più tenaci e durevoli del loro matrimonio. Eppure, nel corso di una intera vita insieme, è normale che si sperimentino problemi, difficoltà, incomprensioni. Se il matrimonio non è in grado di superarli, che garanzie dà di durare davvero per tutta la vita? È possibile costruire un matrimonio, che resista agli stimoli esterni distruttivi che si abbattono su di esso? Si può immaginare di vivere un matrimonio waterproof? E se la risposa è sì, come si fa?

L’amore al tempo delle avversità

Quando un problema si abbatte sulla coppia, o su uno solo dei due sposi, il matrimonio può soffrirne. La persona in difficoltà fa fatica a relazionarsi con l’altro. Da parte sua, sente di non riceve sufficiente sostegno dal coniuge. Si crea crescente distanza fra i due. Nella coppia si insinuano risentimento, delusione, amarezza. I problemi sono il vero banco di prova del matrimonio. Perché, ad andare d’accordo quando va tutto bene, sono bravi tutti, o no? Come si fa a rendere la propria unione waterproof? Come si fa a impermeabilizzare la propria storia d’amore dalle sollecitazioni esterne, quando inevitabilmente arrivano?

Il matrimonio è un’alleanza

Un uomo e una donna che decidono di sposarsi formano un’alleanza per tutta la vita. Di questo non sempre si parla a sufficienza. Siamo convinti che il matrimonio si fondi sull’amore, sui sentimenti e questo sicuramente è vero. Però un matrimonio non può essere saldo, senza la solidarietà fra gli sposi. Ciò significa stare dalla parte dell’altro, sostenerlo. Sostenere la persona amata non vuol dire accettare in modo acritico i suoi errori e le sue debolezze. Si può essere solidali col proprio marito (o con la propria moglie) anche se non si condivide completamente la sua opinione, le sue decisioni, il suo atteggiamento. La solidarietà significa soprattutto: ti voglio bene e per te ci sarò sempre. Non ti volterò le spalle, nemmeno se ti vedo sbagliare. Te lo dirò, per il tuo bene e in modo molto gentile. Non mi metterò mai contro di te. Né starò mai dalla parte di chi è contro di te. Questa forma di alleanza si basa sulla fiducia e sulla stima per il consorte, al di là della situazione contingente, del problema specifico, del fatto che abbia torto o ragione.  L’aspetto dell’alleanza, in un matrimonio, è fondamentale. L’attrazione può venir meno, la passione e l’innamoramento possono attenuarsi e non necessariamente il matrimonio si incrina. Invece, un matrimonio in cui venga meno la lealtà, rischia di essere compromesso. Per scongiurare il rischio che qualcosa o qualcuno si insinui fra marito e moglie, è necessario coltivare questa forma di unità della coppia. E serve farlo con tutte le proprie forze. Più tenace è la solidarietà fra gli sposi e più è probabile che trovino il modo di sostenersi e incoraggiarsi l’un l’altro nelle crisi.

Un carne sola

Il fattore che impermeabilizza il matrimonio e lo preserva dall’emozionalità della vita, dai temporali e dalle sudate esistenziali è proprio questa forma di lealtà amorevole. È una ennesima declinazione dell’idea di diventare una cosa sola. Lo ha detto Gesù stesso, che marito e moglie sono una sola carne. Questa unità non può andare contro sé stessa. Non può farsi smembrare dalle cose del mondo. E’ chiamata a mantenere la sua integrità. Unità di un cuor solo e un’anima sola, come dice la Familiaris consortio. Però, per noialtre anime semplici, rende bene anche l’espressione matrimonio waterproof.

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L’amore? E’ questione di scelte.

Siamo di ritorno da un week end bellissimo. Siamo stati invitati a Loreto al week end di crescita organizzato dalle famiglie di Retrouvaille. Retrouvaille, per chi non lo sapesse, è un percorso presente in Italia dall’inizio degli anni 2000 che aiuta le coppie in fortissima crisi (molte sono vicine alla separazione e alcune sono già separate) a iniziare un cammino di rinascita e di ricostruzione della relazione. E’ un percorso non strettamente confessionale, aperto a tutti, ma è evidente la presenza di Cristo. Siamo stati invitati a portare una testimonianza/riflessione sul sacramento del matrimonio partendo dal corpo. Insomma abbiamo raccontato quello che scriviamo anche su questo blog che è un po’ il nostro marchio di fabbrica, il nostro personale carisma.

Abbiamo portato a casa tantissimo! Siamo stati accolti fraternamente con un’apertura di cuore che può venire solo da persone che hanno attraversato il deserto nel dolore e adesso sono risorte. Abbiamo ascoltato testimonianze meravigliose. Storie abitate da tanto male, da tradimenti, da forti rancori, da divisioni nette, eppure storie sanate e tornate a splendere. Quelle coppie che erano ad un passo dalla distruzione sono ora luminosissime. Non perchè siano ora perfette. Lo sono perchè hanno avuto la forza di rispondere ancora sì alla promessa durante delle prove davvero pesantissime. Ed ora hanno un cuore spalancato a Dio e all’altro. Un cuore riempito di misericordia e di gratitudine. Attraverso la loro testimonianza ho avuto la conferma, basata sulla concretezza della loro storia, di due cose in particolare.

L’amore è una scelta. Perchè queste persone sono restate? Tra loro non c’era più passione. Tra loro non c’erano sentimenti positivi. Tutt’altro! C’erano ferite che si erano inferti l’uno con l’altra. C’era risentimento, indignazione, rancore, smarrimento. A volte disgusto. Eppure hanno deciso. Ci tengo a sottolineare il verbo: HANNO DECISO. Hanno deciso di darsi quest’ultima possibilità di partecipare al percorso di Retrouvaille. Perchè? Perchè se la sono data? Credo che, chi più chi meno consciamente, avessero intuito che lì si stavano giocando tanto della loro vita. Sentivano che il matrimonio non era solo una convenzione sociale, un istituto giuridico, ma il matrimonio era l’occasione per soddisfare quel desiderio di amore totale ed integrale che tutti abbiamo dentro. Un amore indissolubile. Un amore che va oltre i sentimenti negativi, l’aridità sessuale, ed il male che potevano essersi fatti. Un amore di cui avevano fatto esperienza e che all’inizio aveva dato loro tanta gioia e pienezza. Nessuno li aveva obbligati a sposarsi. L’avevano fatto perchè avevano intravisto una meraviglia che era per loro. E che con la scelta di perseverare forse poteva tornare. Ed erano lì. Probabilmente senza capire neanche bene perchè ci tenessero così tanto, sicuramente scoraggiati e con poche speranze, ma erano lì a darsi anche quell’ultima possibilità, perchè non volevano arrendersi al male.

La Grazia del matrimonio agisce sulla scelta. Ecco la seconda riflessione. Molti credono che con il matrimonio in chiesa tutto sia più facile. Almeno dovrebbe esserlo. Non si dice forse che ci si sposa in tre? Noi e Dio. Un affare! Ci penserà Lui ad appianare i problemi, le sofferenze, le difficoltà. Ci penserà Lui a farci provare sempre un amore passionale e a farci sentire sempre le farfalle nello stomaco. Chi crede questo non ha capito nulla del sacramento del matrimonio. La Grazia del matrimonio è potentissima. L’abbiamo vista agire nelle storie raccontate a Loreto ma l’abbiamo vista operare anche direttamente nella nostra vita. La Grazia però non agisce sui sentimenti e sulle emozioni. La Grazia non ci esime dal farci del male, dalle difficoltà di ogni relazione duratura, dai litigi e dalle divisioni. Insomma la Grazia non è un talismano che ci tiene lontano ogni male. Il male c’è nella nostra vita come in quella di tutti. Nel nostro matrimonio non mancheranno altri momenti difficili, di dolore e di lutto. La Grazia agisce sulla scelta. Se saremo capaci, nella nostra fragilità, incoerenza, debolezza, di perseverare nel dire sì al matrimonio, nonostante tutto ecco che può accadere il miracolo. Saremo capaci di uscire vincitori da mali che sembravano imbattibili. Questa è la Grazia di Dio che opera. E le famiglie di Retrouvaille erano lì a testimoniarlo.

Quindi se vi sentite sbagliati, se sentite di aver sbagliato a sposarvi e a sposare la persona che avete accanto perchè non avvertite più quel trasporto e quella comunione che credete sia necessaria forse dovreste aggrapparvi a quel sì, alla scelta di starci, anche se sembra inutile e costa fatica e dolore. Poi datevi questa ultima occasione. Potreste anche voi diventare una coppia risolta e felice. Vi lascio il link al loro sito www.retrouvaille.it

Antonio e Luisa

Per acquistare i nostri libri L’ecologia dell’amore – Sposi sacerdoti dell’amore – Sposi profeti dell’amore

Non è sufficiente

Dal libro del profeta Isaìa (Is 1,10.16-20) Ascoltate la parola del Signore, capi di Sòdoma ; prestate orecchio all’insegnamento del nostro Dio, popolo di Gomorra! «Lavatevi, purificatevi, allontanate dai miei occhi il male delle vostre azioni. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, cercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova». «Su, venite e discutiamo – dice il Signore. Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana. Se sarete docili e ascolterete, mangerete i frutti della terra. Ma se vi ostinate e vi ribellate, sarete divorati dalla spada, perché la bocca del Signore ha parlato».

Continua la serie di letture commoventi tratte da Isaia, il quale ci mostra un Dio Padre tenero e misericordioso, che non smette di rimproverare i Suoi figli mentre assicura loro la Sua misericordia se si convertiranno.

Molti cristiani sono convinti che per essere bravi cristiani sia sufficiente essere onesti cittadini ed educati dimenticando che non è un requisito caratteristico dei cristiani, le persone oneste ed educate c’erano anche 5000 anni fa prima del cristianesimo. Altri si illudono che basti non trasgredire questo o quello tra i Dieci Comandamenti divini, dimenticando che ce ne sono altri nove che magari vengono ignorati e puntualmente trasgrediti. Ce ne sono tantissimi altri che pretendono di salvarsi senza merito, cioè fanno ciò che vogliono in questa vita convinti che il Signore sia tanto buono da perdonare qualsiasi peccato senza la necessaria conversione.

Tutte queste (e molte altre non citate) cattive interpretazioni della misericordia divina vengono smascherate da questo brano con la consueta mitezza e chiarezza della Parola di Dio. Per farlo ci basterà fermarci a riflettere su un passaggio tra i tanti : “Cessate di fare il male, imparate a fare il bene,[…]”.

Da un lato il Signore ci ricorda la necessità di un taglio netto col peccato, bisogna avere il coraggio di tagliare i ponti con esso, anche la sapienza popolare ci viene in aiuto: “bisogna saper prendere il toro per le corna“, così come anche la psicologia sana: se vuoi sconfiggere una paura la devi affrontare… se vuoi guarire da una ferita devi farla vedere al medico nella sua crudezza e lasciarti medicare da mani esperte… Potremmo citare altri detti popolari che ci mostrano come la vita ci metta continuamente di fronte a scelte concrete, e ci imponga di prendere delle decisioni a volte drastiche. Questo è l’atteggiamento giusto per cominciare la conversione: la decisione irremovibile, ferma, risoluta, convinta, ardita, salda, di cessare di fare il male, di non avere più nulla da spartire col peccato, di smettere di voler tenere il piede in due scarpe, di uscire una volta per tutte dalla tiepidezza:

(Apocalisse 3,15-16) Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca.

Questa decisione va presa e va rinnovata ogni minuto della vita ma non basta, non è sufficiente cessare di fare il male, infatti la citazione da cui siamo partiti, aggiunge “imparate a fare il bene“… ed è qui che “casca l’asino”, è qui che molti sposi inciampano nel cammino della relazione matrimoniale: ci sono tanti sposi convinti di aver costruito un buon matrimonio e quindi di essere bravi sposi semplicemente perché non hanno mai commesso adulterio carnale, mentre invece Gesù ci ha ricordato e dimostrato che basta il pensiero (cfr Mt 5, 27-28). L’esempio è fatto sul peccato di adulterio poiché è il più eclatante, ma il discorso vale per tutto il resto naturalmente.

Facciamo qualche esempio concreto:

  • non è sufficiente che io mi astenga dall’adulterio carnale, bisogna che estirpi dal mio cuore la lussuria altrimenti tratterò il mio coniuge come un oggetto che mi soddisfa, quindi dovrò smettere di guardare immagini indecenti per purificare il mio sguardo e nello stesso tempo comincerò a contemplare di più il volto di lui/lei, i suoi occhi, le sue mani che tanto si danno da fare per la famiglia
  • non è sufficiente che smetta di lamentarmi dei difetti di lei/lui, dovrò cominciare a riconoscerne i pregi ed incoraggiarlo/la a svilupparli e a metterli in luce nella relazione tra noi ma anche e soprattutto nella relazione con gli altri e con i figli
  • non è sufficiente astenersi dall’usare parole dispregiative e di disprezzo con lui/lei, ma dovrò impegnarmi ad usare parole tenere e amorevoli che ben dispongono il cuore dell’altro/a
  • non è sufficiente smettere di scappare dai problemi restando fuori casa con mille scuse lavorative e non, ma dovrò impegnarmi a stare in casa in modo attivo, con la volontà di risolvere i problemi insieme
  • non è sufficiente smettere di accusare l’altro/a ma dovrò impegnarmi ad ascoltare le sue ragioni, ad ascoltare il suo cuore, a conoscere il suo passato, le sue ferite, devo impegnarmi a fare spazio all’altro/a
  • non è sufficiente rinunciare alla vendetta su di lei/lui, ma dovrò impegnarmi a mettere al centro il NOI, perché da una discussione se ne esce non quando uno dei due ammette il proprio sbaglio cosicché finalmente l’altro/a può indossare la corona del vincitore, ma se ne esce vincitori insieme quando il perdono rispristina la comunione perduta, quando la pace regna sovrana.

Coraggio cari sposi, la vocazione matrimoniale non è mica una passeggiata, ma con l’aiuto della Grazia l’impossibile diventa possibile.

Giorgio e Valentina.

Gesù vuole parlarti cuore a cuore

Cari sposi,

            in questo secondo “step” quaresimale ci ritroviamo sul Tabor, assistendo a un momento solenne ed unico: la Trinità appare nel suo splendore e in Essa sono pienamente coinvolti due personaggi chiave dell’Antico Testamento e tre degli apostoli, Pietro, Giacomo e Giovanni. Cosa sta vivendo Gesù in quel momento di così importante? Sta avendo un colloquio di preghiera con suo Padre, presenti Mosè ed Elia, su quello che Gli sarebbe accaduto nella Passione e Risurrezione. Magari ci fosse stato un registratore per cogliere le loro Parole!!! Di certo sarà stato per Gesù fonte di consolazione e di speranza, un prendere forza per affrontare la durezza di ciò che Gli sarebbe accaduto.

È significativo che Lui abbia voluto con sé i tre apostoli, come un modo per far arrivare a noi quell’esperienza. Possiamo, quindi, comprendere come per Gesù la preghiera diventi non un “mantra” ma sorgente di accoglienza della Volontà del Padre, contemplata nelle Scritture. È così che Gesù può trovare conferma del proprio percorso di vita, del suo «esodo che avrebbe compiuto a Gerusalemme», come si esprime Luca raccontando lo stesso passaggio (Lc 9, 31).

Così cari sposi, anche voi siete invitati a seguire l’esempio di Gesù. Anche voi siete invitati a contemplare in preghiera la Parola e a trarre da essa l’ispirazione e il consiglio di come affrontare giorno dopo giorno la vostra vocazione nuziale. Quanta ricchezza potete cogliere dal Vangelo letto e meditato giornalmente e condiviso in coppia! Quanto anela Gesù, nello Spirito, di guidarvi e portarvi alla Sua sequela!

Possa questa Quaresima essere o l’inizio o il proseguo di un ascolto condiviso della voce dello Sposo che brama ardentemente essere accolto da voi, sua Sposa, e trovare nel vostro cuore una piena risonanza.

ANTONIO E LUISA

Approfitto di questa riflessione di padre Luca per ringraziare mia moglie Luisa. Confesso che ho avuto sempre un rapporto difficile con la preghiera e la meditazione della Parola. Sono pigro e discontinuo. Se ho migliorato la mia preghiera lo devo proprio a mia moglie. E’ riuscita a rendermela più digeribile proprio vivendo dei momenti di preghiera in coppia e insistendo per farli. Credo possa essere un suggerimento utile: se vostro marito o vostra moglie prega poco e male fatevi furbi/e: rendetelo un momento piacevole di coppia.

Stupirsi della somiglianza tra matrimonio ed Eucarestia

Cari sposi,

            molto probabilmente negli studi di letteratura alle superiori vi sarete imbattuti, per piacere o dovere, nella lettura di Don Chisciotte della Mancia, questo singolare hidalgo spagnolo del 1600, ritratto del mondo medievale di fatto già estinto da un pezzo. Don Chisciotte vive di sogni e di illusioni, proiettando nel suo presente tutte quelle vicende cavalleresche divorate avidamente nei libri quali La Chanson de Roland, El Cid Campeador, La morte di Artù…

            Fatto sta che quella che nei poemi sarebbe la dama, la donna più bella e corteggiata, somma di virtù e grazia, lui, il nostro Ingenioso hidalgo la vide fedelmente riprodotta in una semplice contadina, per nulla attraente, Doña Aldonza Lorenzo, ribattezzata Dulcinea del Toboso. Cosicché, quando la Chiesa afferma che il matrimonio è una ri-presentazione dell’Incarnazione, immagine certamente imperfetta della Trinità, proiezione dell’Eucarestia e la lista potrebbe proseguire… non sta peccando di “chisciottismo” ma dice solo la sacrosanta verità.

            Qual è il vero problema qui? È la non contemplazione, è il non approfondire tali verità, è non entrarci dentro con la vita e non solo con la testa. Forse per mancanza di tempo, di voglia, di quell’occasione giusta per farlo o di una buona guida spirituale (mea culpa per le occasioni in cui non ho risvegliato questa fame in voi coppie). Fatto sta che quest’anno tra giugno e luglio ci sarà questa occasione e vi invito cordialmente a considerarla per la vostra crescita spirituale e umana come sposi credenti e in cammino. Ad Assisi il Progetto Mistero Grande organizza un convegno teologico-pastorale il cui tema sarà appunto “Dall’Eucarestia sgorga l’origine e il destino del matrimonio e della famiglia”.

            Ecco allora un momento importante per cogliere questa altissima vocazione sponsale, capirla grazie a incontri che snoccioleranno il tema in modo diretto e comprensibile e soprattutto viverla nelle adorazioni davanti a Gesù Eucarestia per immettersi corpo e anima in questo Mistero ineffabile ma allo stesso tempo a nostra portata di mano.

            Ringrazio il Signore per tutte quelle coppie che, così facendo, cioè addentrandosi nel Mistero Eucaristico ne sono uscite trasfigurate e mi hanno mostrato con la vita che Dio è Amore.

padre Luca Frontali

L’amore è armonia tra cuore è corpo

Qui è importante tornare ad uno dei concetti più importanti per padre Raimondo. Il concetto base da cui partire. Il concetto di IO PERSONALE. Lui definiva ogni persona come un IO PERSONALE. L’Io personale è la nostra identità, la coscienza e la percezione che abbiamo di noi, che ci permette di rapportarci a un tu, ad una alterità. Siamo creati ad immagine di Dio, Dio che è amore. Dio che è relazione in sé nelle tre Persone della Santissima Trinità. Quindi a fondamento dell’essere umano c’è la vocazione, il desiderio di amare e di essere amato. Accogliere l’amore di Dio, sentirci figli amati, e restituire quell’amore nei fratelli e nelle sorelle. l’Io personale, la persona, è la capacità di amore, è la spinta ad amare. L’amore è inscritto nell’essere uomo, nell’essere donna. La mia identità profonda, quella che mi accomuna a tutti gli altri, anche se siamo tutti diversi ed unici, è la mia capacità di amare, di essere amore, di accogliere l’amore. Questo aspetto è costitutivo di ogni persona, nessuno può cancellarlo, anche l’uomo più rovinato e cattivo della terra ha questa capacità in potenza dentro di lui. Questa realtà profonda è quella su cui operava Cristo, faceva riemergere questa verità scritta dentro ognuno. L’ha fatta riemergere in Zaccheo, nell’adultera, nella Maddalena, in Matteo e in tanti altri che lo hanno incontrato. Questa capacità di amore si concretizza nella specificità di ogni persona, nella diversità, negli aspetti esteriori (le doti del corpo) e negli aspetti interiori (le doti dello spirito). Questo è ciò che Cristo può operare in noi nel matrimonio!

L’IO PERSONALE è quindi costituito da una parte nascosta, il nostro mondo emotivo, psicologico e spirituale (il cuore). È il cuore dove risiede anche la nostra volontà. Poi abbiamo la parte visibile di noi, tangibile, abbiamo un corpo. Noi abbiamo un corpo che ci permette di manifestare tutta la nostra parte più profonda, parte profonda dove risiede anche la nostra anima e quindi vi si trova la sorgente dell’amore che è Gesù, all’esterno nelle relazioni Noi non abbiamo un corpo, noi siamo il nostro corpo. Il nostro corpo è parte di quell’IO PERSONALE. Tant’è che se Luisa mi dà una carezza sento che ha accarezzato me, non solo il mio corpo.  Quindi prima evidenza importante: Ciò CHE AVVIENE NEL NOSTRO CORPO HA UNA RICADUTA SU TUTTA LA PERSONA! Non possiamo illuderci che vivere la sessualità (perché in particolare ci riferiamo a quell’ambito) in modo disordinato e senza una aderenza tra cuore e corpo, tra parte profonda/spirituale e corpo, non condizioni la nostra qualità di vita, non condizioni la nostra relazione con l’altro e con il Signore, non condizioni il nostro cammino di crescita umana e di santità. Non condizioni la nostra pace e la nostra gioia.  Per questo noi parliamo sempre di ecologia. Perché il peccato, prima che essere un contravvenire ad una legge morale, è far del male a noi stessi, ci rende meno capaci di vivere in pienezza ciò che siamo.

Influisce non solo sulla nostra umanità e dimensione naturale ma anche sulla fede e sulla Grazia. Padre Bardelli è molto chiaro nel libro. Si riferisce ai fidanzati, ma sappiamo bene che vale anche per noi, in modo diverso e più pieno ma noi ci siamo dentro completamente. Scrive padre Bardelli: la dimensione naturale della persona è il fondamento su cui poggiano e si sviluppano tutti i doni soprannaturali di Dio elargiti dallo Spirito Santo, aventi come scopo il suo perfezionamento.

Questo cosa significa in sintesi? Che noi sposi possiamo costruire un matrimonio santo solo se costruiamo una base naturale forte, solo se ci impegniamo a mantenere un’armonia appunto tra l’amore che scaturisce nel cuore e la manifestazione di quell’amore che avviene attraverso il corpo. Solo se c’è una base naturale fondata sul dono reciproco e non sull’egoismo, sul possesso e sull’uso dell’altro, allora il sacramento riempirà i nostri cuori di Spirito Santo elevando il nostro amore, piano piano, con i nostri errori e cadute, a un piano superiore, ci rende davvero capaci di amarci come Dio ama, con la Sua modalità. Padre Bardelli ci sta dicendo che è inutile fare voli pindarici nelle esperienze mistiche e spirituali. Spesso sono solo una fuga dalla realtà. Se il matrimonio non decolla forse è bene partire dal modo in cui lo viviamo. Da come ci relazioniamo con l’altro, dalla capacità di donarci nella verità. Altrimenti non cambierà nulla anche se passiamo i giorni a dire il rosario perpetuo. O meglio il rosario può servire se ci spinge a convertirci concretamente poi nel matrimonio. Dobbiamo imparare ad amarci concretamente nella quotidianità, nella carne, nella tenerezza, nella cura, nel fare bene l’amore. E solo poi imparando ad amare chi abbiamo accanto saremo capaci di amare anche Dio.

Padre Bardelli ci invita a dare valore al corpo! Ci invita lo dice proprio letteralmente a farci missionari del corpo. Dice che il mondo ha bisogno di questo e lo dimostrano i week end che organizziamo, il blog e tutte le richieste che riceviamo in tanti modi. C’è bisogno di riscoprire la bellezza del corpo, della cura del corpo. Ma inteso in modo ecologico. Ci viene chiesto di essere prima di tutto missionari l’uno per l’altro. Educarci a vicenda, noi coppia, ad essere teneri, a dare un volto all’amore, a dare calore e presenza ma non basta. Ci viene chiesto di educarci nella nostra relazione prima da fidanzati ma ancor di più ora da sposi ad essere sempre più amore l’uno per l’altra. Educarci a vivere la sessualità nel dono reciproco, nella castità. Educarci alla purezza affinché non finiamo per perdere quello sguardo sulla persona tutta e non solo sul corpo dell’altro. Solo così, resi ricchi da una relazione autentica, una sessualità profonda e che permette una vera comunione, solo così potremo essere missionari per tutti. Portare cioè nel mondo la bellezza che noi per primi sperimentiamo.

Questa armonia è espressa molto bene anche nel Cantico dei Cantici. Ad un certo punto troviamo scritto: Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio; Questi versetti ci riguardano tantissimo! Esprimono proprio questa armonia tra cuore e corpo, tra parte invisibile e carne, tra cuore che custodisce e braccio che opera. Come a dire che l’amore che scaturisce e viene custodito nel cuore diventa visibile ed efficace solo attraverso il braccio. Servono entrambi. Il sigillo è un’immagine molto forte. Nel mondo agricolo antico “sfraghis” (sigillo in greco) era il segno che il padrone faceva sugli animali, per cui quel segno indicava che quegli animali appartenevano ad un proprietario, erano proprietà di un padrone. Il termine è stato poi ripreso in ambito militare. Nel mondo militare antico “sfraghis” era il segno di riconoscimento (divisa, bandiera, stelletta.) intorno al quale si riconoscevano i soldati come appartenenti ad uno stesso esercito. Era il segno di riconoscimento in base a cui i soldati si sentivano uniti nella lotta comune per difendere valori comuni per il bene comune. Dunque era un segno di riconoscimento che comportava unità e solidarietà. Mettimi come sigillo sul cuore significa ti appartengo. Sono tua e tu sei mio. Non possiamo essere di nessun altro. Desidero essere carne della tua carne. Ricordate San Paolo quando afferma Non sono più io che vivo, ma Cristo che vive in me? Qui è la stessa cosa, ma letta in chiave sponsale. Non sono più io che vivo, ma tu amato mio sposo che vivi in me e io vivo in te. Questa è la nostra vocazione. Siamo chiamati a farci così: prossimi all’altro/a e capaci di decentrare le nostre attenzioni tanto da vivere per la gioia e per il bene dell’altro/a. Sigillo sul tuo cuore e sul tuo braccio. Tutta la persona è partecipe di questa appartenenza. Nel corpo e nella sua parte più profonda ed interiore. Nei sentimenti, nella volontà, nel desiderio sessuale ed affettivo, nella tenerezza. In tutto ciò che mi caratterizza come persona c’è il tuo sigillo. Metti il mio dentro tutto ciò che tu sei. Questo è l’amore sponsale autentico. Un amore che desidera tutto dell’altro/a e dà tutto all’altro/a. Un amore fedele, indissolubile, fecondo, unico perché solo così può essere meraviglioso e pieno. Un amore esigente, ma proprio per questo vero. Solo così potremo evangelizzare il mondo.

Antonio e Luisa

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Asciuttezza e fluidità

L’asciuttezza preterintenzionale maschile

Ricevo un messaggio da una lettrice del blog, che mi dà modo di palare dell’asciuttezza preterintenzionale maschile. Lo so, detto così fa quasi paura. Forse vi starete chiedendo: Che cos’è questa strana cosa? Ne soffre anche mio marito? Come si cura? Si tratta invece di una cosa incredibilmente comune.

La mia lettrice, che chiameremo L, soffre per il comportamento di suo marito. Lui, che chiameremo G, è sempre molto brusco belle risposte. Parla a mono sillabi, spesso, più che suggerimenti dà degli ordini, sembra sempre diretto, fino quasi alla brutalità. G non le dice nulla di offensivo o crudele, ma ha un modo di comunicare molto asciutto, privo di sfumature, di empatia, di delicatezza. Se però L glielo fa notare, suo marito cade dalle nuvole. G pare non accorgersi della sua rudezza e sua moglie, che lo conosce bene, capisce che il suo stupore e sincero

La comunicazione

Uomini e donne sono diversi. Fin qui direi che ci siamo. “Uomini e donne Lui li creò”. Le basi proprio. Alcune diversità ci sono immediatamente evidenti: gli uomini hanno la barba e le donne portano il reggiseno. Gli uomini amano il calcio, intrattengono con la loro auto un’amicizia affettuosa, si innamorano di qualunque aggeggio elettronico. Le donne ritengono di dover perdere almeno due chili (qualunque sia il loro peso), se si perdono, chiedono indicazioni ai passanti (anche se hanno il navigatore) e solidarizzano con le amiche in crisi, anche a costo di raccontare bugie pietose.  Questa è la parte facile, poi comincia la salita.

La nostra natura è così distante, che ci mettiamo anni a comprendere le reciproche peculiarità. E mica le capiamo tutte. Quelle che non capiamo, rimangono come buche sparpagliate nel cammino del nostro rapporto. In ogni momento c’è il rischio di cascarci dentro. Uno degli ambiti in cui la nostra differenza si rende più evidente è proprio la comunicazione. Non solo quello che diciamo, ma anche come lo diciamo.

L’asciuttezza e la fluidità

Per le donne, la comunicazione è molto più che trasferire informazioni. Noi comunichiamo non solo parole, ma anche emozioni. Per questo, le donne sono capaci di parlare per ore, anche quando l’argomento è in fondo semplice magari si potrebbe spiegare con poche parole. Raramente facciamo discorsi di poche parole. Va detto che ognuna di esse ha un peso, che va oltre il solo significato letterale. Ogni nostra frase è piena di sfumature.

Al contrario, gli uomini hanno una concezione della parola molto più pratica e funzionale. Gli uomini parlano se hanno qualcosa di concreto da dire. La comunicazione maschile è oggettiva, caratterizzata da una asciuttezza informativa che a volte patiamo come un castigo. È una comunicazione fatta di bianco e di nero, in cui c’è pochissimo spazio per le sfumature. La sinteticità degli uomini, che scambiamo per scortesia, non ha nessuna intenzionalità.

Piccoli esempi di parole fraintese

Torniamo per un attimo a L e G. I loro discorsi si svolgono più o meno così:

suo marito le dice: “L, alzati che è suonata la sveglia.”

uh, accidenti, ma è tardissimo! Non me ne ero proprio resa conto. È che ieri sera ho fatto tardi per riordinare la cucina e stamattina sono stanca morta. Come vorrei un caffè, anche solo per accendere il cervello. Chissà se ho il tempo di farmi una doccia veloce, prima di andare.”

G le risponde: “se non ti sbrighi, fai tardi”.

L ci resta male e tutto il giorno rimugina su come suo marito sia stato brusco. Di un’asciuttezza quasi al limite della scortesia.

Che cos’ha questa conversazione, di così evidente? È un esempio di parole fraintese. Da un lato c’è lei, che tenta di comunicare al marito che è stanca, perché si è dedicata alle pulizie di casa, fino a tardi. Probabilmente vorrebbe che lui le facesse un complimento o esprimesse gratitudine per i suoi sforzi. Il marito non coglie questa implicita richiesta di apprezzamento. Invece è concentrato a tenere il tempo sotto controllo, perché ha capito che lei non lo sta facendo e rischia di fare tardi.

Poi lei suggerisce fra le righe che le farebbe piacere un caffè. Anche qui, il marito non capisce la richiesta di aiuto, perché è troppo indiretta. Certo che lei potrebbe chiedergli esplicitamente il piacere di farle un caffè. Però non vuole. Probabilmente non le va di ammettere di aver bisogno di un aiuto, seppure così piccolo. Spera che lui capisca e glielo offra di sua iniziativa, così si risparmierà di chiedere.

Infine, lei vorrebbe essere rassicurata sul fatto che riuscirà comunque a prepararsi in tempo, senza rinunciare alla doccia. Si aspetta un incoraggiamento, anche se sa perfettamente che il marito non ha il potere di garantirle che riuscirà a fare tutto abbastanza velocemente. Lui, però, è ancora completamente concentrato sull’orario e le raccomanda di prepararsi velocemente.

Non c’è nulla di realmente offensivo oppure ostile in questa conversazione, eppure L sente che non è andata come si aspettava. È delusa. Le sue parole avevano lo scopo di catturare l’attenzione del marito e stimolarlo a compiere gesti gentili nei suoi confronti. Da parte sua, lui non ha capito quale esigenza ci fosse realmente, dietro le parole della moglie.

Infine, mentre lei vorrebbe sentirsi dire che è tutto sotto controllo, che non è poi così tardi (poco importa che sia vero o no), lui continua a prenderla alla lettera e a tenere d’occhio l’orologio.

La perenne contrapposizione fra emozione e ragione

Le risposte di lui sono perfettamente logiche. Quelle di lei sono completamente emozionali. I due percorrono due binari paralleli. È ovvio che, se L rimprovererà al marito di averla trattata con poca sensibilità o averle risposto male, lui ne rimarrà sbalordito. L’asciuttezza di lui non era diretta a ferirla o a criticarla. Al contrario, da parte sua, lui ritiene di aver fatto qualcosa di utile per la moglie: stimolarla a sbrigarsi. Si sente accusato ingiustamente, lui che cercava solo di essere di aiuto! Certo, lo ha fatto nell’unico modo di cui è capace, con la tipica asciuttezza di comunicazione maschile.

Chiamatela come volete: contrapposizione fra ragione ed emozione. Ragione e sentimento. Cuore che ha le sue ragioni che la ragione non conosce. Ci sono centinaia di splendidi aforismi che fotografano questa immensa diversità fra il ragionare con la testa e ragionare con il cuore. E su come due persone che ragionino in modo diverso, finiscano col non capirsi.

Cosa fare e cosa non fare

L, come molte di noi, capisce abbastanza in fretta l’inutilità di rimproverare il marito per il tono o per lo stile delle sue parole. Sa che in questi casi, la situazione può solo peggiorare. Gli uomini, quando si sentono criticati, specie se ritengono di esserlo ingiustamente, assumono una posizione difensiva. Invece di considerare il punto di vista della moglie, pensano una di queste tre cose:

Poveretta, è esaurita.

Eccola lì, è nervosa e ha voglia di litigare.

È ipersensibile, forse ha il ciclo, bisogna stare attenti alle parole

Insomma, questo uomo tutto immagina, meno che forse sua moglie gli stava lanciando dei messaggi, che lui non ha colto.

E quindi? Come si fa?

La prima cosa da fare, è mettere in conto questo diverso stile di comunicazione. E accettare il fatto che sarà difficilissimo, forse persino impossibile, far cambiare registro al marito. Questo è già un buon punto di partenza.

La seconda cosa da fare, è abbandonare il giudizio. Evitare di giudicare il marito in base alla risposta che dà. O, peggio ancora, alle sensazioni che ci procura la risposta che lui dà. Lui non ha alcun controllo sulle emozioni che ci suscita. E la sua risposta non è per forza segnale di scarso tatto o di disinteresse. Spesso, una risposta sintetica o brusca non deriva da rabbia o risentimento. Non è detto che sia una critica.

Semplicemente, lui è abituato a esprimersi così. Perché, se conosciamo l’uomo che abbiamo al fianco, sicuramente sappiamo riconoscere quando è davvero irritato, arrabbiato, offeso.

La chiacchierata a quattr’occhi

Uno degli spauracchi peggiori dei mariti è la frase della moglie: “caro dobbiamo parlare”. Qualche volta espressa nella variante: “abbiamo un problema”. Anche se vi ho appena sconsigliato di considerare offensiva ogni risposta che non sia in linea con le vostre aspettative, ammetto che esiste una eccezione. C’è effettivamente un caso in cui non solo è utile, ma è addirittura doveroso chiarirsi. E fare una chiacchierata a quattr’occhi, ma pacata e serena. Se c’è un atteggiamento o una espressione in particolare, che lui usa spesso e che ci ferisce, allora è necessario parlarne.

Mi raccomando: mai sull’onda del risentimento. Quando le acque si sono calmante, si può semplicemente dire: “quando tu mi parli così o usi quell’espressione, io soffro, perché mi sento criticata.” Stiamo attente a non dire: “mi fai del male.” “mi offendi”. Come se fosse un gesto deliberato. Partiamo dal presupposto che non lo abbia fatto apposta. Di nuovo, abbandoniamo il giudizio. Non accusiamolo di nulla. Parliamo solo di quello che sappiamo con certezza: le nostre sensazioni.

Possiamo anche aggiungere: “per favore, non farlo più”. Ovviamente, non possiamo aspettarci che lui magicamente e da un giorno all’altro modifichi l’atteggiamento. Ci vuole pazienza. Potrebbero volerci settimane, mesi.

Il messaggio andrà rinforzato più volte, sempre in modo gentile, non inquisitorio. Un po’ alla volta, noteremo un cambiamento. Proprio perché il gesto o l’espressione che ci feriscono, non vengono fatti con intenzione, lui non avrà motivo per ripeterli, una volta che avrà capito che ci urta.

La gratitudine è il miglior antidoto all’asciuttezza

Quando lui si sforza di lavorare sul suo tono o sul suo stile di comunicazione, rispettando le nostre richieste, mostriamogli apprezzamento. Ringraziamolo. Questi commenti positivi lo incoraggeranno a impegnarsi ancora di più. L’asciuttezza di fondo resterà -mica si possono fare miracoli -ma potrebbe stemperarsi.

E anche da parte nostra, educheremo noi stesse alla gentilezza. Ci sforzeremo di non essere permalose e di non vedere un attacco personale dove non c’è. Perché non importa quanto lui possa averci ferite o irritate, tagliando le frasi a colpi di accetta. Se ci amiamo, dobbiamo passare oltre alla forma e concentrarci sulla sostanza.

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È più importante dire un rosario o fare un gesto d’amore?

La domanda è ovviamente provocatoria e la risposta giusta è che sono entrambi importanti: tuttavia voglio fare alcune riflessioni su questo argomento che mi ha più volte messo in difficoltà. Infatti nella vita può succedere che ci troviamo a volte totalmente presi dal fare e altre volte ci rifugiamo quasi esclusivamente nella preghiera. Questo altalenarsi tra Marta e Maria (Lc 10, 38-42) è frutto anche delle nostre storie e della nostra vocazione.

Per esperienza, non si può “fare bene” se prima non si riceve e questo l’aveva capito molto bene anche Madre Teresa di Calcutta che, prima di scendere nelle strade, passava ore la mattina in Adorazione; infatti, se riesco a volte a non arrabbiarmi troppo, a non mandare a quel paese qualche collega al lavoro o a essere gentile e sorridente, è merito della messa mattutina delle 7:30 e della santa comunione.

E’ bene fare attenzione a non trascurare completamente né l’atteggiamento di Marta, né di Maria, ma noi sposi abbiamo un Sacramento che ha specificato il battesimo, cioè abbiamo la missione di creare relazioni e di mostrare, attraverso il corpo, l’amore concreto e tangibile di Gesù che sta amando tutti: per questo rimango un po’ perplesso quando, di fronte a una scelta, la preghiera prende il sopravvento e le persone o relazioni vengono messe in secondo piano. Oltre al fatto che può essere più semplice dire un rosario rispetto a fare un atto di cortesia verso qualcuno che non sopporti (quanto sforzo ci vuole, almeno per me!). Senza contare poi che quando si prega, è facile distrarsi diverse volte, anche se la cosa importante è dedicare del tempo, stare (una volta una suora mi ha confidato che quando prega, tiene sempre un foglio e una penna in tasca, perché spesso vengono dei suggerimenti belli, ed è proprio così!).

Chi si dedica alla gestione della famiglia e dei figli può sentirsi in colpa, perché non riesce ad andare a messa ogni giorno o non ha il tempo di pregare, ma il Sacramento del matrimonio permette di trasformare ogni cosa in un incontro con Dio: per una mamma che prepara il sugo per la cena, quello è il suo rosario, perché lo fa per il bene che vuole agli altri, affinché siano felici e così il momento del mangiare, attraverso il cibo, sia sereno, pieno di comunione e condivisione; anche pulire un bagno, se fatto perché chi viene dopo trovi tutto pulito e profumato, è un atto d’amore non meno importante.

Se davvero Gesù è vivo e insieme a noi, sempre (ed è davvero così!), non possiamo ricordarci di Lui solo in alcuni momenti della giornata (messa, rosario) o quando andiamo in chiesa, ma molte più volte e in ogni luogo: ho imparato a pregare anche mentre faccio le cose, ad esempio mi capita di farlo quando spingo il carrello della spesa, oppure mentre cammino, se vedo una coppia particolarmente felice, dei bambini o una donna incinta, invoco su di loro la benedizione di Dio; oppure al lavoro ringrazio se ad esempio mi sono accorto di un errore o una cosa mi riesce particolarmente bene o se qualcuno non si è fatto male. Basta qualche giaculatoria, come ad esempio “Gesù ti voglio bene” nell’arco della giornata, per mantenere una relazione costante con Lui.

Dall’altro lato non è possibile gettarsi solo sulle cose da fare, trascurando la relazione intima con Dio, con lo Sposo (e questo lo sanno bene le coppie che prese dal volontariato sono “scoppiate”, perché non hanno più trovato il tempo per coltivare la loro relazione di sposi e alimentare così l’amore e l’unità). Anche io a volte sono preso da tante cose, devo fare quello o quell’altro e mi faccio trascinare nelle attività. Ovviamente questo tema è veramente complesso, variabile nel tempo e nelle situazioni che la vita ci mette davanti, non esiste una ricetta valida per tutti e per tutti i periodi: ognuno deve trovare il proprio equilibrio con serenità e pazienza.

Ettore Leandri (Presidente Fraternità Sposi per Sempre)

A voce alta per studiare.

Dal libro del profeta Isaìa (Is 55,10-11) Così dice il Signore: «Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca : non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata».

Questo brano fa parte di un capitolo tra i più commoventi e carichi di sentimenti materni, ed è divenuto famoso nel 1987 grazie ad una canzone del gruppo Gen Verde, oltre all’aspetto musicale che può risultare più o meno piacevole questo canto ha sicuramente il pregio di aver riportato in auge un brano della Parola di Dio che altrimenti avrebbe rischiato di andare nel dimenticatoio per tanti cristiani.

Abbiamo già trattato l’anno scorso questo brano di Isaia in due articoli, partendo nel primo dalle caratteristiche dell’acqua e nel secondo da quelle della neve, oggi vedremo un altro aspetto a cui ci richiama questo brano. Per aiutarci partiremo da una realtà della vita comune per poi traslare ed applicare lo stesso metodo per la vita spirituale: come facciamo quando dobbiamo ricordarci qualcosa?

Pensiamo a esempio quando prendiamo al telefono un appuntamento per una visita: per ricordarci indirizzo, data ed orario ripetiamo ad alta voce più volte fino a che non troviamo carta e penna per un promemoria ; oppure se ci viene comunicato un codice alfanumerico da ricordare come una password lo ripetiamo diverse volte ad alta voce per fissarlo nella memoria. E’ un meccanismo che ci aiuta perché quando parliamo a voce alta praticamente ascoltiamo noi stessi come fosse un’altra persona, e già solo il ripeterlo qualche volta è un meccanismo mnemonico.

C’è un altro metodo che giova molto alla memoria: se vogliamo ricordare qualcosa di importante su cui meditare basta addormentarsi ripetendo una frase di promemoria e ci sveglieremo con in testa quella frase che testardamente ritornerà a galla durante tutta la giornata… ecco perché a chi deve affrontare un’interrogazione l’indomani viene suggerito di andare a letto la sera prima ripetendo o leggendo il testo della lezione.

I maestri di spirito e i Padri della Chiesa ci insegnano che per meditare la Parola di Dio bisogna addormentarsi leggendo il versetto che ci ha colpito in quella giornata o ripeterlo a noi stessi a viva voce ed automaticamente ci si sveglierà con quella Parola nella testa, la quale riaffiorerà più volte nel corso della giornata tra un’occupazione e l’altra, è così che piano piano essa penetrerà nel cuore e ne diventerà fertilizzante per la nostra anima.

La Parola di Dio ha bisogno di penetrare nel terreno del nostro cuore e di restarci tutto il tempo che occorre per fertilizzarlo, ed Isaia ci dice che finché essa non ha compiuto il suo lavoro non torna al cielo, un modo come un altro per dire che Dio non si dà per vinto, ma, al contrario, insiste con il nostro cuore fino all’ultimo nostro respiro affinché non moriamo impenitenti; la Sua insistenza però non è pedante ma è dolce e tenera, in ogni caso i Suoi inviti non sono imposizione perché Lui non è il grande burattinaio e noi sue marionette mosse dai suoi fili, ma Lui è Il Padre che insiste con il cuore dei Suoi figli lasciando in essi la nostalgia del Suo grande amore; affinché essi ritornino a Lui grazie ad una loro decisione presa in piena libertà come risposta ad un Amore che continuamente fa risuonare la Sua voce come una brezza leggera ma continua.

Innanzitutto non dobbiamo temere che la Parola di Dio non sia efficace, dobbiamo temere piuttosto che il terreno del nostro cuore non sia come il cemento armato che non lascia passare nulla.

Cari sposi, avete un coniuge un po’ sordo ai richiami di Dio? Fatevi voi il dolce ripetitore di quelle frequenze, senza diventare pedanti ma usando le armi che il Matrimonio ha messo nelle vostre mani: se per esempio notate che lui/lei dubiti dell’amore di Dio potreste addormentarvi tutte le sere sussurrandogli/le dolcemente quanto lo/la amiate così com’è ora, senza aspettare che diventi bravo/a e buono/a… così come funziona per un’interrogazione funziona anche per le parole d’amore! Non c’è niente di più disarmante per un cuore indurito che il sentirsi amato con una dolcezza e tenerezza inversamente proporzionale alla sua acidità. Si sveglierà con quelle parole in testa e casomai abbiate il dubbio che se le dimentichi ripeteteglielo prima di congedarvi per le attività giornaliere.

Sicuramente prima o poi quel cuore si scioglierà e si chiederà perché lo trattate in modo inversamente proporzionale a ciò che si merita o a come vi tratta lui/lei… e poi ve ne renderà conto: è lì che sfodererete l’arma della Parola di Dio dicendo al vostro coniuge che lo amate così tanto perché state amandolo incondizionatamente e a prescindere dai meriti così come Gesù è morto per voi stessi e vi ha amato quando ancora eravate peccatori, senza pretendere da subito il cambiamento ma “gridando” il Suo amore per voi, un amore grande e gratuito tale da morire in croce per dirvelo prima ancora di ascoltare la vostra risposta.

Coraggio sposi, dobbiamo tornare un po’ come quando eravamo studenti e ripetere a voce alta come per studiare l’amore di Dio per il nostro coniuge… ponete particolare attenzione alla sera prima di addormentarvi : non lasciatevi scappare l’occasione di manifestare il vostro amore a lui/lei (se ci crediamo la nostra voce sarà eco di quella di Dio)… non sappiamo se domattina saremo ancora qui!

Giorgio e Valentina.

Sesso… come si fa e cos’è?

Oggi vogliamo partite da questa parola, un po’ forte, un po’ ambigua, che fatichiamo a pronunciare, che sembra togliere pudore alla lingua che la pronuncia. Che significato ha la parola sesso? Cosa vuol dire Fare sesso? A cosa associamo il sesso?

Se cerchiamo un po’ in internet, o guardiamo quanto abbiamo intorno, quanto i media ci mostrano e quindi ci educano a pensare, il sesso è possesso, è sfamare un istinto, è raggiungere il piacere. Sesso è poter fare tutto, è non avere regole, sesso è tante cose. (non stiamo ad elencarle per non stuzzicarci la carne proprio in questo tempo di quaresima). Ora fermiamoci! Fermiamo i cattivi pensieri carnali che la mente ci produce e facciamo pulizia insieme, aprendo la porta del cuore.

Per sesso possiamo intendere gli organi maschili e femminili, oppure il genere sessuale maschile o femminile con cui si presenta una persona, “di che sesso sei?”, oppure il complesso dei caratteri anatomici, morfologici e fisiologi o aggiungiamo anche psicologici che determinano l’essere di una persona. Ma il significato su cui vogliamo far luce, è l’etimologia greca della parola. Sesso, dal greco TEKOS, generato, Tek generare, intessere, creare. A sua volta dal verbo τίκτω (tikto) = generare, procreare, produrre, (da cui deriva anche la parola ostetrica) ancora più in origine dalla radice tak- (con la mutazione della t in s).

Sesso= generare

Quanta bellezza! L’avreste detto? Noi che stavamo a farci nella testa i film porno (=dalla radice di prostituzione) invece dietro una delle parole più nascoste, non pronunciate per pudore, per vergogna, che ne hanno fatto un tabù della società, della vita di coppia, c’è la generatività. Fare sesso, fare l’amore che all’orecchio è sicuramente più consueto e dolce, nasconde la generatività di vita. Sesso che non può essere dunque inteso e vissuto come solo ed esclusivo piacere come lo è il masturbarsi, sennò l’atto sessuale si chiamerebbe masturbazione tra sessi opposti o masturbazione in compagnia. Sesso che dev’essere inteso come il gesto grande con cui si sancisce l’unione tra un uomo e una donna, che è dettata dall’amore che c’è tra i due, che genera vita perché il sesso ci fa stare bene, rilassa, sviluppa gli ormoni del piacere, le endorfine, le ossitocine, che agiscono positivamente su entrambi gli amanti.

Sesso che produce forza, energia attorno a noi e che genera vita, perché sappiamo che in certe condizioni fisiche del corpo maschile e femminile si può generare da quell’unione, da quell’amore, da quell’atto sessuale, la vita trasformandoci in creatori, da amanti innamorati che eravamo. Oggi, come negli ultimi 50 anni, la parola sesso è tra le meno pronunciate nelle nostre case, tabù silenzioso, come se noi non fossimo nati da sesso/da un atto sessuale/da un atto di amore. Tabù silenzioso come se fin dalle prima cotte adolescenziali il corpo umano non è richiamato in maniera naturale ad un contatto che nel suo apice vive l’unione dei corpi, che può essere generativo: il sesso.

Tabù silenzioso perché non ne conosciamo il significato. Se ne può parlare ma fraintendendo la bellezza dell’amore che racchiude. In questo vuoto, in questo silenzio, in questo tabù silenzioso che la società, la famiglia e anche la Chiesa stessa ha creato dietro una parola dal significato così etimologicamente semplice e bello, si è inserita la rivoluzione sessuale che ha fatto suo il termine stravolgendolo. Una luce si è spenta sul significato splendente che ha il termine nel suo senso generativo, per lasciare spazio al buio riconducendo alla parola tutto ciò che è piacere rapido, veloce, peccaminoso, accostandolo più al porno, all’erotismo possessivo invece che all’amore e alla vita.

Cos’è il sesso?

È vivere l’amore. L’amore nell’azione della generatività, l’amore nell’unione dei corpi. L’amore, che non è dunque fatto di possesso, di potere, ma di tenerezza che accoglie la libertà dell’altro. Una coppia di sposi che si ama, vive la tenerezza, vive le carezze, gli abbracci, i baci, vive la cura, vive parole e gesti di tenerezza, di dolcezza. Vive il farsi dono l’uno per l’altro. Vive il sostenersi a vicenda, vive il rendere l’altro migliore. Vive l’amarsi nella gioia e nel dolore, nell’ obbedienza, nella fatica, nella malattia. E molto altro… parlare di amore è cercare di rendere finito l’infinito e non si ha mai fine quindi per descriverlo.

Un ultimo aspetto: vivere l’amore di coppia è vivere il morire per l’altro, non nel senso esclusivo del sacrificio, ma nella gioia stessa che è insita nell’amore e che ci porta a dire all’altro io ti amo, sono disposto a morire per te, a lasciare ciò che è mio per amore tuo. Chi si ama, vive l’amore e quindi può arrivare a vivere anche il sesso per ciò che è veramente. L’unione che dà vita, che genera, sempre e comunque, indipendentemente che sia vita che nasce dal grembo o vita che nasce dai frutti di bene seminati dalla coppia. Unione che genera Vita, che genera Amore. Non si può vivere il sesso senza amore! Quale male sarebbe per il corpo e lo spirito di entrambi!

Ferite grandi si aprono dal dono del corpo dato nel piacere.

Non si può vivere il sesso senza amore e pensare che questo non porti vita. Perché l’unione, lo stesso amarsi genera vita in senso biologico ma anche in senso spirituale per la coppia.

Al prossimo lunedì.

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Benedette prove

Cari sposi,

siamo arrivati alla prima domenica di Quaresima il cui tema è la tentazione del Maligno, che, ricordiamo, non consiste per noi cristiani in un’idea astratta, frutto di fantasie malsane di monaci medievali, ma “un’efficienza, un essere vivo, spirituale, pervertito e pervertitore. Terribile realtà. Misteriosa e paurosa” (Paolo VI, Udienza del 15 novembre 1972).

Satan, l’osteggiatore, l’avversario, il divisore, si avvicina a Gesù e inizia a metterlo alla prova. Fedele al suo nome che rivela una missione, come avviene quasi sempre nella Bibbia, Satana tenta Gesù e, di conseguenza, in ognuno dei tre dialoghi, egli tenta di separarLo da qualcuno. Ma Gesù ci sta indicando come superarle e rendere un bene per noi.

Nella prima tentazione, sebbene sembri riguardante solo il cibo, in realtà, per come è presentata, Satana prova a separare Gesù dal Padre. Tenta quindi di inserirsi in questa relazione perché Lui consideri vantaggioso di diventare indipendente da Dio, oppure ne faccia tranquillamente a meno, provvedendo da sé al Suo bisogno. Come vedete, è un tipico tratto della nostra cultura in cui siamo immersi “a bagno maria” e che quindi ci può entrare per osmosi, quasi anche mentre dormiamo. E allora, voi sposi, rendete Gesù Sposo il vostro interlocutore davanti ai bisogni, le necessità, le impellenze quotidiane, ordinarie e straordinarie? Un cristianesimo “mondano”, se va bene, considera Dio come un immenso cerotto, da impiegare solo se proprio non so dove altro sbattere la testa. Ma per il resto, “ghe pensi mi”, non ne ho bisogno, ce la facciamo da soli.

La seconda tentazione è il pensare alla quotidianità come qualcosa di banale, noioso, inutile, pesante, deprimente… da cui per forza ne devo uscire con qualcosa di straordinario, emozionante, avvincente e sempre nuovo. Quante altre volte è capitato a Gesù di stornare richieste di segni e prodigi, più da Mago Silvan che da vero e proprio Messia! Dinanzi a queste situazioni le sue risposte sono state sempre del tipo: “ma non avete capito con Chi avete a che fare?” La vita ordinaria, sebbene possegga un evidente carico di monotonia e ripetitività, è pur tuttavia il vostro luogo di costruzione dei rapporti più veri e autentici che possiamo instaurare in questa vita. Una relazione sponsale necessita di andare sempre più in profondità, sapendo che Gesù è sempre con voi e la sua Grazia nuziale, effusa dal giorno del matrimonio, non fa altro che cementare e consolidare il vostro amore.

La terza tentazione è il potere e la competizione, vivere in base al calcolo di successo, ricchezza e consenso ottenuti da ciò che dico, da come gestisco figli, casa e lavoro. San José María Escrivá pronunciò una celebre omelia, passata alla storia come “vivir de cara a Dios y vivir de cara a los hombres”, cioè, vivere dinanzi a Dio o dinanzi alle persone. Si può fare il bene, anche tanto bene, ma non davanti a Dio, per vanità e ricerca di soddisfazioni personali. Una tentazione che può insinuarsi anche nella coppia, sia nel modo di comportarsi a vicenda o nella competizione su come gestiamo i compiti verso i figli o nella nostra professione. Sarebbe tanto bello e fecondo se una coppia cercasse tanta collaborazione e sinergia per fare tutto quello che fa, le cose più ordinarie, ma come offerta di amore a Gesù, per rendere contento l’Amato!

Concludo cari sposi, incoraggiandovi a vedere nelle tentazioni ordinarie un gradino che possiamo usare per appartenere di più a Cristo e a usare bene questo tempo di Grazia per la vostra conversione personale e di coppia, con uno o due propositi concreti ma vissuta con tanta motivazione per crescere nell’amore a Gesù e così facendo diventare sempre più una sola carne con Lui.

ANTONIO E LUISA

Queste tre tentazioni sono comuni a tutti noi. Almeno io mi riconosco in tutte. Certo non tutte con la stessa intensità ma sono tutte anche mie. Il matrimonio ti pone davanti a queste tentazioni. E io ho imparato, grazie anche a Luisa con il suo amore e la sua pazienza, a trovare delle armi efficaci per combattere questi pensieri che possono insinuarsi nella relazione sponsale. Luisa mi ha insegnato a ringraziare. Ho capito che tutto ciò che sono e che ho viene da Dio. Ringraziare mi permette di non dimenticarlo. Ho imparato poi a godere della mia quotidianità. Si è vero, è fatta di stress, impegni, contrattempi ma anche dalla presenza amorevole di chi ti vuole bene. Cerco di ricordarlo ritagliandomi anche solo pochi minuti per stare con Luisa, pochi minuti solo per noi, per contemplarci. Coraggio le tentazioni ci sono ma l’amore è più bello e più forte di esse!