“Sorella mia, sposa” – l’amicizia che fonda l’amore

Prima di proseguire con l’ultima parte del Cantico dei Cantici, vale la pena fermarsi su una parola che ricorre più volte: sorella. Clicca qui per leggere quanto già pubblicato. La riflessione come sempre è tratta dal nostro libro Sposi sacerdoti dell’amore (Tau Editrice). L’amato chiama così la sua sposa: “Sorella mia, sposa”. Non è un modo di dire poetico, ma una rivelazione. In quelle parole è custodito un segreto profondo sull’amore umano, che vale per ogni coppia, per ogni matrimonio.

L’amato non chiama la sposa “mia donna”, “mia amante”, “mia compagna”, ma “sorella”. È un linguaggio che ci disarma e ci eleva insieme. Significa che l’amore coniugale non può ridursi all’attrazione o all’innamoramento, ma si fonda su qualcosa di più profondo: un legame di amicizia. Un’amicizia che non nasce solo dalla simpatia o dalla condivisione, ma da una comunione interiore che coinvolge l’anima.

Papa Francesco, nell’Amoris Laetitia, scrive che “dopo l’amore che ci unisce a Dio, l’amore coniugale è la più grande amicizia”. Un’amicizia che racchiude tutto ciò che rende belle le relazioni: la ricerca del bene dell’altro, la reciprocità, l’intimità, la tenerezza, la stabilità. Eppure, nel matrimonio, a tutto questo si aggiunge qualcosa di unico: l’indissolubilità. Non si tratta di una prigione, ma di un progetto comune, stabile, che dà alla vita una direzione. “Essi non sono più due, ma una carne sola” (Mt 19,6).

L’amore di amicizia

Gesù stesso ci ha insegnato che l’amore più grande è quello di amicizia: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. […] Vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15,13-15). Essere amici, allora, non è una condizione iniziale del matrimonio, ma un cammino. È un continuo conoscersi e scegliersi, ogni giorno, nel bene e nelle difficoltà. In un rapporto autentico, non serve mascherarsi o mostrarsi sempre forti: ci si può permettere di essere fragili, veri, sinceri.

Dal punto di vista umano e psicologico, l’amicizia coniugale nasce quando entrambi gli sposi si sentono accolti, non giudicati, liberi di mostrarsi. Ogni volta che la comunicazione diventa sincera, il cuore si apre e si costruisce fiducia. Ogni volta che uno dei due si sente ascoltato e non corretto, amato e non analizzato, l’amore cresce di radice.

La confidenza che costruisce la fiducia

È importante che il coniuge sia la prima persona a cui confidiamo le nostre paure, i nostri pensieri, le nostre gioie. Quando iniziamo a confidare emozioni o segreti ad altri, e non al nostro sposo o alla nostra sposa, si accende un piccolo campanello d’allarme: forse qualcosa si è incrinato nella fiducia.

Un consiglio agli uomini: quando vostra moglie vi racconta le sue giornate, i suoi pensieri, anche ripetendosi, non spazientitevi. Quel bisogno di raccontarsi è un segno di amore. Significa che vi considera il suo rifugio, il luogo più sicuro. Non cerca soluzioni, cerca ascolto. E l’ascolto, nel matrimonio, è la prima forma di tenerezza.

Il matrimonio, in fondo, è il luogo dove possiamo mostrarci per ciò che siamo, senza paura. È lo spazio dove le nostre ferite vengono accolte e non scartate. Dove siamo amati non per quello che facciamo, ma per quello che siamo. È lì che l’amore diventa una scuola di umanità.

Eros, agape e filìa

L’amore sponsale cristiano non è solo sentimento o passione. È un intreccio di tre amori:

  • Eros, la forza del desiderio che ci spinge verso l’altro;
  • Agape, la gratuità del dono che sa rinunciare a sé;
  • Filìa, l’amicizia che dà stabilità e dolcezza.

Quando queste tre dimensioni si uniscono, l’amore diventa pieno, maturo, fecondo. Ma mantenerle in equilibrio non è facile. Richiede vigilanza, preghiera e, soprattutto, Grazia.

L’amore come sfida e vocazione

L’amore sponsale cristiano è una sfida, perché chiede tutto. Ti chiede di donarti senza riserve, di perdonare, di ricominciare, di credere che l’altro valga sempre la pena. Ma è anche un’esperienza di cielo. Ogni volta che due sposi scelgono di amarsi nonostante tutto, lì passa Dio. È come se in quel momento si aprisse una finestra sull’eternità.

Gesù, parlando del matrimonio, non lo definisce mai un compromesso umano, ma un mistero divino: “Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi” (Mt 19,6). Quando i discepoli ascoltano queste parole, reagiscono con realismo: “Se questa è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi”. E Gesù risponde: “Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso” (Mt 19,10-11).

Ecco il punto: il matrimonio non si vive senza Grazia. Senza il dono del Sacramento, rischiamo di arrenderci alla cultura del “provvisorio”, quella che preferisce l’emozione all’impegno, il piacere alla fedeltà, l’io al noi.

Un amore che somiglia a Dio

Dio ha creato l’uomo e la donna “a sua immagine” (Gen 1,27). Non solo per generare vita, ma per rivelare qualcosa del Suo amore. Ogni volta che due sposi si scelgono, si perdonano, si abbracciano dopo una fatica, mostrano al mondo un frammento del volto di Dio. È in quel “sorella mia, sposa” che risplende il sogno originario del Creatore: un amore fatto di amicizia, di libertà e di dono reciproco.

Il matrimonio, vissuto nella fede, diventa così un santuario. Un luogo dove Dio abita, parla, educa. E dove due persone imparano, passo dopo passo, ad amarsi come Lui ci ha amati: non per bisogno, ma per scelta.

Antonio e Luisa

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