“Fratelli! Ciò che facciamo in vita, riecheggia nell’eternità!” Questa frase messa in bocca a Decimo Meridio Massimo, il generale romano creato dalla penna di Daniel Mannix e protagonista di un ben conosciuto film, riassume con chiarezza il senso del Vangelo, epilogo di tutto l’anno liturgico. Care coppie, siamo giunti così dinanzi al nostro grande Re, Gesù, il quale con questa solennità ci ricorda il senso della nostra vita così come pure il senso di tutta storia umana: la nostra esistenza in un preciso momento avrà una fine ma soprattutto si troverà dinanzi al suo fine, cioè l’incontro personale con Cristo. Joseph Ratzinger diceva che i primi cristiani attendevano con gioia questa riunione con il Signore, mentre poi è divenuta sinonimo di paura e angoscia.
Certamente, nel vangelo di oggi vediamo due modalità diverse di porsi davanti a Cristo: una positiva di chi si è “allenato” tutta la vita nel rapporto con Lui e una negativa di chi invece Gesù non l’ha proprio considerato o l’ha trattato con superficialità. E ovviamente non parliamo qui di buddisti o induisti o qualche tribù animista africana ma di cristiani battezzati che nella loro vita non hanno voluto fare di Cristo l’amico, la persona con cui convivere abitualmente.
Ricordiamo che chi scrive questo Vangelo è Matteo e lui si rivolge ai cristiani di provenienza ebraica, per cui egli sta mettendo in parallelo le presenti parole di Gesù con il discorso della montagna. Riecco allora gli affamati, gli assetati, gli ignudi e stranieri… è bellissimo constatare che quella gioia e beatitudine promessa nel capitolo 5 e che tanto è stata criticata di utopica, astratta e inconsistente, qui ora è una realtà che sta per diventare eterna. Gesù sta veramente mantenendo la promessa! E le persone, elogiate nelle Beatitudini, considerate perdenti per il mondo, adesso sono quelli che formano parte per sempre del suo gregge amato.
Domandiamoci: chi è che ha l’occasione di praticare ogni giorno le beatitudini se non voi sposi? la vita di coppia e famiglia vi mette davanti quotidianamente tante occasioni per vivere le Beatitudini e preparare serenamente l’incontro finale con Cristo. Una volta Papa Francesco ha detto: “la famiglia è una grande palestra di allenamento al dono e al perdono reciproco senza il quale nessun amore può durare a lungo” (Udienza 4 novembre 2015).
Vi auguro di saper vedere nel vostro coniuge quell’affamato, assetato, ignudo, malato e carcerato affinché la beatitudine assicurata dal Signore si riversi sui vostri figli e attorno a voi. È questo il senso di quando il Papa Paolo VI parlava di “civiltà dell’amore” (Cfr. Omelia 17 maggio 1970), un dinamismo in cui la coppia diviene sorgente di amore diffusivo attorno a sé.
Oggi vediamo Gesù nuovamente insignito del suo carattere di Re Universale, una condizione che Egli ha sempre gelosamente occultato volendo anteporre piuttosto la condizione di servo. Il nostro sguardo così spazia su tutto il mondo, scosso da tanta guerra e instabilità e ci viene un po’ di vertigine se guardiamo alla nostra piccolezza. Eppure, ricordiamo Madre Teresa quando diceva: “Se vuoi cambiare il mondo, vai a casa e ama la tua famiglia”. Sì, la tua piccola coppia e famiglia ha il potere di essere lievito perché il Suo amore varchi l’uscio di casa tua e scaldi chiunque incontri ed è un bene di cui Gesù terrà scrupolosamente in conto nel momento del vostro incontro con Lui.
ANTONIO E LUISA
Saremo giudicati sull’amore. Noi sposi saremo giudicati primariamente sull’amore che nutriamo l’uno per l’altro. È una realtà ineludibile. Come possiamo servire Dio? Servendo i nostri fratelli e sorelle, i poveri e i bisognosi. Servendo il prossimo. Servendo soprattutto il nostro sposo o la nostra sposa, la persona più vicina a noi. Non ci sposiamo per essere serviti, ma per servire. Non ci sposiamo per ricevere dall’altro, ma per donarci reciprocamente. Non sposiamo per inseguire la felicità personale, ma per render felice l’altro, e da questa scelta nasceranno anche la nostra gioia e la nostra pace. Essere come re e regine significa compiere nel nostro matrimonio le opere di misericordia. Significa trasformare il nostro matrimonio in un luogo privilegiato dove amare Dio nell’altro.
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