Lo Spirito Santo fa la differenza

Cari sposi,

            oggi celebriamo la terza solennità, per importanza, dell’anno liturgico, la Pentecoste, il Cinquantesimo giorno dalla Pasqua in cui lo Spirito Santo entra pienamente in azione e diventa protagonista della storia della salvezza fino ai giorni nostri.

Non posso fare a meno di stagliare il Vangelo odierno sulla situazione che vivo da quasi due settimane e cioè il lavoro di recupero dai danni dell’alluvione nella mia terra. C’è una foto che ha fatto il giro del Web ed è di un ragazzo in sedia a rotelle che a Forlì sta spalando fango come tutti. Impressionante e commovente solo vederlo, segno di una volontà e tenacia fuori dal comune. Questo esempio, come dei tanti che si vedono in giro da queste parti, dimostra che è l’atteggiamento interiore, è la forza d’animo, è la motivazione che segna lo spartiacque nella vita. O per dirla da credenti: è lo Spirito Santo che fa la differenza nella vita di fede.

Per voi sposi è fondamentale la collaborazione attiva con il Paràclito, dal momento che siete chi siete, cioè sposi in Cristo, per sua grazia, per una sua speciale effusione dal giorno del vostro matrimonio. Don Carlo Rocchetta dice giustamente che ben pochi ne sono consapevoli di questo e vivono come se non esistesse lo Spirito nelle loro vite. Vi dico una delle tante motivazioni per cui è di vitale importante per voi che siate docili al Dolce Consolatore: per poter vivere con pienezza ed equilibrio l’essere una sola carne. Il rischio di esagerare in un senso o in un altro c’è eccome: o si accentua la diversità dei due e ci si incammina verso il divenire due binari paralleli che non comunicano più davvero benché coabitino oppure uno fagocita l’altro, pretendendo di cambiarlo. Papa Benedetto su questo ha un’espressione molto chiara e motivante: “Vorrei soffermarmi su un aspetto peculiare dell’azione dello Spirito Santo, vale a dire sull’intreccio tra molteplicità e unità. Di questo parla la seconda Lettura, trattando dell’armonia dei diversi carismi nella comunione del medesimo Spirito. Ma già nel racconto degli Atti che abbiamo ascoltato, questo intreccio si rivela con straordinaria evidenza. Nell’evento di Pentecoste si rende chiaro che alla Chiesa appartengono molteplici lingue e culture diverse; nella fede esse possono comprendersi e fecondarsi a vicenda. San Luca vuole chiaramente trasmettere un’idea fondamentale, che cioè all’atto stesso della sua nascita la Chiesa è già “cattolica”, universale” (Omelia, 11 maggio 2008).

Due in una sola carne, un’unità duale. Sembra un assurdo, un paradosso, come la quadratura del cerchio, eppure è proprio perché c’è lo Spirito in azione che una coppia cristiana può viverlo. Cari sposi, concludo parafrasando il grande patriarca ortodosso Atenagora (1886-1972), uno dei grandi propugnatori dell’ecumenismo: “con lo Spirito tutto, senza lo Spirito nulla”. Che in questa Pentecoste lo Spirito susciti in voi l’entusiasmo per renderlo sempre più parte della vostra vita.

ANTONIO E LUISA

Lo Spirito Santo che ci è donato diventa comandamento di vita. Dobbiamo collaborare con lo Spirito Santo, accoglierlo in noi oppurre non possiamo vivere da sposi cristiani. Spirito che è certamente sostegno, ma è anche impulso, pungolo, provocazione che ci chiede un continuo progredire nel diventare ciò che siamo. Uno Spirito che ci chiede di svegliarci, di aprire gli occhi e di rimboccarci le maniche. Chi meglio dello Spirito Santo, che è unione e relazione può aiutarci a progredire nella nostra unione ed amore? Le coppie di santi, che ci sembrano così perfette ed inarrivabili, non sono state più brave e migliori di noi perchè erano supereroi, ma perchè sono state più furbe. Avevano capito che dovevano lasciar fare allo Spirito Santo e così hanno raggiunto livelli altissimi. Cosa che tutti noi possiamo raggiungere se lasciamo spazio allo Spirito Santo. Chiara Corbella diceva: “Chiedo a Dio la Grazia di vivere la Grazia”. Chiara aveva capito e viveva in pienezza la sua missione. Era davvero aperta all’azione dello Spirito. Non era meglio di noi, o meglio lo è diventata perchè più è stata più furba di noi.

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Tu seguimi, non badare agli altri

Cari sposi,

siamo giunti all’epilogo di questi 50 giorni di Pasqua, che formano come un solo giorno dedicato alla Risurrezione. Il tempo cronologico difatti non coincide con quello liturgico. Abbiamo ripassato in lungo e in largo durate questo periodo tutto quello che Gesù ha predetto sulla sua risurrezione e ci siamo estasiati contemplando quel poco che ci condividono gli Atti e i Vangeli sulla convivenza di Gesù Risorto con gli apostoli.

La scena di oggi avvenne qualche giorno dopo la risurrezione, il tempo di tornare in Galilea da Gerusalemme e Gesù li stava aspettando là per convivere con loro e finire di trasmettere tante verità del Vangelo. Un bel mattino Pietro prende su barca e reti e torna a fare quello che ha sempre fatto fin da bambino: pescare in lago. Anche altri sei lo seguono, tra cui Giovanni. Sappiamo bene come sono andate le cose, la pesca miracolosa, la colazione preparata da Gesù stesso sulla riva, il commovente dialogo con Pietro. E poi questo epilogo curioso in cui trapela una certa rivalità tra Pietro e Giovanni, peraltro mai esacerbata né dall’uno né dall’altro.

Gesù che conosce il cuore di Pietro come le sue tasche coglie l’occasione per ricordargli il primato della sequela. “Non badare a quello che fanno gli altri, non farti condizionare, tu pensa a seguire me”. Sante parole! Quanto spesso invece ci succede che vorremmo sempre trovare un ambiente accogliente in cui vivere la fede, ci piacerebbe essere assecondati, spalleggiati, se non addirittura applauditi per quello in cui crediamo.

E quanto questo può succedere in una coppia che vuole vivere la fede! Ci sono tante aspettative sugli altri, il che è senza dubbio giusto essendo la coppia una sola carne ed avendo una vocazione ben precisa. Ma qui Gesù ci ricorda, e lo fa pure a voi sposi cristiani, che, così come ognuno di noi ha la propria storia, così anche ognuno di noi ha il suo modo di seguire Gesù. Nessuno è la copia esatta di un’altra persona. Ognuno di noi deve essere anzitutto testimone in prima persona nel seguire Gesù e poi viene la condivisione di quanto si è e si crede. Ci sono coppie in cui uno solo dei due fa un cammino e questo fa soffrire tanto ma quanto dice il Signore è assai consolante, perché Lui ci chiede una risposta personale e non vuol far dipendere il nostro cammino da come viene recepito dagli altri, fosse anche il coniuge.

Cari sposi, accogliamo questo invito ma anche questa sfida non facile a fissare lo sguardo su Gesù, sullo Sposo e confidiamo che questo porterà sempre frutto per la perseveranza nella fede del vostro coniuge.

padre Luca Frontali

La nostra speranza è nei cieli

Cari sposi,

            scrivo nel bel mezzo dell’alluvione che ha colpito la Romagna nei giorni scorso. Mi trovo con i miei famigliari mentre spaliamo fango e buttiamo via tante cose belle del nostro passato. Un fatto sconvolgente, che ti cambia la vita e lo sguardo su tutte le cose, ti fa sentire estremamente impotente quando pensavi che mai cose del genere sarebbero potute accadere a te. Meditando il Vangelo del giorno, riguardante l’Ascensione, la salita di Gesù con la sua persona intera al Cielo, non potevo non continuare a pensare al fango che si è insinuato ovunque e che porto ancora sotto le unghie.

Il Cielo, la vita eterna, la comunione con Gesù e i santi… quanto poco medito su questa realtà oggettiva e vera! Ma mentre buttavo via, con un nodo in gola, ricordi di famiglia, libri di valore appartenuti ai nonni, oggetti che provengono da generazioni addietro mi chiedevo: dov’è la mia speranza? Dove ripongo il mio cuore? A quale certezza mi “attacco”? È così che questa solennità meravigliosa deve farci guardare sempre in alto. Non è affatto un caso che l’albero rovesciato, con le radici protese verso l’alto, affondate nella Trinità e il resto del tronco, con il diffuso fogliame, immerso nel mondo sia uno dei simboli più antichi della Chiesa e dei cristiani.

Cari sposi, questa festa è per voi in modo speciale, voi che vivete nel corpo la vostra chiamata nuziale e tramite quel corpo del coniuge siete chiamati ad andare in Cielo. Che belle parole usa Papa Francesco per esprimere questa verità: “Quella persona, con tutte le sue debolezze, è chiamata alla pienezza del Cielo. Là, completamente trasformata dalla risurrezione di Cristo, non esisteranno più le sue fragilità, le sue oscurità né le sue patologie. Là l’essere autentico di quella persona brillerà con tutta la sua potenza di bene e di bellezza. Questo altresì ci permette, in mezzo ai fastidi di questa terra, di contemplare quella persona con uno sguardo soprannaturale, alla luce della speranza, e attendere quella pienezza che un giorno riceverà nel Regno celeste, benché ora non sia visibile” (Amoris Laetitia 117).            

Che l’Ascensione di Gesù ridia vigore e slancio a questo sguardo profondamente verticale che dobbiamo avere sulla realtà che ci circonda, in modo che possiamo vedere ogni cosa che abbiamo e usiamo attraverso il prima della speranza cristiana.

ANTONIO E LUISA

Cosa ci dice l’Ascensione? Ci dice che non perderemo nulla di ciò che abbiamo qui, ma tutto sarà trasfigurato e reso pieno anche il nostro corpo. E il nostro matrimonio? Quello finirà perché non avrà più motivo di perdurare. Il matrimonio serve per amare Dio attraverso il coniuge. Nella vita eterna ameremo Dio direttamente. Ma resterà l’amore. L’amore sarà l’unico bagaglio che porteremo con noi nella vita eterna. Davvero possiamo pensare che i coniugi Quattrocchi, i coniugi Martin, Pietro e Gianna Beretta Molla, e tante altre coppie che hanno incarnato un amore matrimoniale stupendo poi non ne portino i segni anche nella vita eterna? Non ci credo. Di sicuro, più che una certezza è una speranza, resterà un’amicizia particolare. Sono sicuro, per quanto mi riguarda, che Luisa avrà un posto speciale nel mio cuore anche in Paradiso. Tutto quello che ho costruito con lei in questa vita non si cancella, non si resetta. Tutti i gesti di tenerezza, di cura, di intimità, di perdono, di ascolto, di presenza, di condivisione di gioie e dolori, tutte queste esperienze restano impresse in modo indelebile nel mio cuore. Il giorno della mia morte lascerò tutto qui in questa vita. Nella mia valigia porterò solo il mio cuore, l’amore dato e ricevuto e lei ne è parte integrante. Sono sicuro che il giorno del nostro matrimonio, il 29 giugno 2002, è iniziato un amore che durerà per sempre. 

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Mai soli

Cari sposi,

vi siete mai sentiti orfani nella vita? Per orfano intendo, non esclusivamente colui che ha perso i genitori, quanto, in senso spirituale, la persona che sperimenta uno stato d’animo di lontananza da Dio, un non cogliere a fondo la presenza di Dio Padre, il vedersi soli, incompresi, specie nelle difficoltà e lotte interiori. Si può dire che orfano è colui che vive un che di desolazione…

Se questi stati d’animo e percezioni interiori fanno capolino di tanto in tanto nella vostra quotidianità, vuol dire che, lungi dal vedervi abbandonati e persi, siete invece nelle condizioni ottimali per iniziare a cogliere la presenza dello Spirito nella vostra vita e nella vostra coppia. Viceversa, non può sintonizzarsi con lo Spirito chi vive freneticamente correndo dietro ai propri affari, chi è gonfio dei propri risultati ottenuti nel lavoro o chi misura il valore della propria vita in base al rendimento economico o alla stima che gli altri hanno di lui. La fisica non fa sconti: uno spazio non può che essere occupato da due corpi allo stesso tempo, per la legge dell’impenetrabilità. Anche la vita spirituale funziona così: non si può essere cristiani e autoreferenziali. Perciò Papa Francesco afferma in Gaudete et Exsultate: “Ci sono ancora dei cristiani che si impegnano nel seguire un’altra strada: quella della giustificazione mediante le proprie forze, quella dell’adorazione della volontà umana e della propria capacità, che si traduce in un autocompiacimento egocentrico ed elitario privo del vero amore. Si manifesta in molti atteggiamenti apparentemente diversi tra loro: l’ossessione per la legge, il fascino di esibire conquiste sociali e politiche, l’ostentazione nella cura della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, la vanagloria legata alla gestione di faccende pratiche, l’attrazione per le dinamiche di auto-aiuto e di realizzazione autoreferenziale. In questo alcuni cristiani spendono le loro energie e il loro tempo, invece di lasciarsi condurre dallo Spirito sulla via dell’amore” (n. 57).

Come sappiamo dalla Parola, lo Spirito agisce nel silenzio e nella discrezione (cfr. l’incontro di Elia con Dio in 1 Re 18, 9-14, Gesù che è condotto dallo Spirito nel deserto in Mt 4, 1-11, Paolo che dopo la conversione si ritira nelle steppe attorno a Damasco, in Siria in Gal 1, 17). Pare strano ma lo Spirito ci spinge nei nostri deserti, ci porta a spogliarci del superfluo, ci isola dal rumore circostante. Non lo fa affatto per renderci “orsi” e tipi solitari, il motivo è ben altro. Pur se spirito, perdonatemi la ridondanza, lo Spirito ha bisogno di “spazio” perché possa agire e produrre in noi i suoi frutti. Vi invito a meditare e riflettere su quanto ci indica Galati 5, 22: “Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mansuetudine, autocontrollo”.

Come sarebbe la nostra vita se lo Spirito avesse mano libera per produrre in noi e nella nostra coppia tali frutti? Come sarebbe una vita piena di amore, di gioia, di pace, di pazienza, di benevolenza, di bontà, di fedeltà, di mansuetudine e dominio di sé? Sognate con lo Spirito! Sognate la vita che Lui vorrebbe viveste e ogni giorno sta ispirandovi perché sia così. Ben vengano allora le nostre orfanità e solitudini se ci servono ad aprirci di più al Signore e alla sua azione, se ci fanno capire di quanto abbiamo bisogno dello Spirito per dare sapore e significato alla nostra vita personale e di coppia. Sapete bene – quante volte in questo blog lo si è ripetuto – che è lo Spirito a fare la differenza nella vita di coppia, perché è lo Spirito che vi ha costituiti una sola carne nel sacramento. Siate sposi innamorati dello Spirito Santo benché sperimentiate momenti o periodi di vuoto e solitudine. Lo Spirito di consolazione agisce comunque e quando lo vorrà, vi farà sperimentare la Sua Dolce Presenza.

ANTONIO E LUISA

Tutto vero quello che ci ha scritto padre Luca. Mi permetto di aggiungere un consiglio personale. Quando le cose vanno male, quando c’è aridità nel cuore e non si sente la presenza e la vicinanza di Dio e il Suo Spirito sembra assente avremmo voglia di chiuderci in noi stessi. Di stare lontani anche da nostro marito o nostra moglie. Invece dobbiamo avere la volontà di contrastare questa inclinazione a ripiegarci e cercare comunque la comunione con l’altro. Anche se ci costa fatica, anche se non ne avremmo voglia ma è lì che possiamo trovare lo Spirito Santo. È lì nella nostra unione. Ce lo dice il nostro sacramento! Coraggio!

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Italiani in via di estinzione?

Cari sposi,

            proprio oggi si sta svolgendo a Roma il terzo incontro sugli “Stati generali della natalità”, una riunione che interpella leaders di diverse provenienze per trattare il problema del declino delle nascite in Italia. Dobbiamo essere grati a Gigi e Anna Chiara De Palo che hanno avuto questa iniziativa, del tutto controcorrente, di mettere al centro dell’attenzione politica la denatalità del Bel Paese.

Che qualcuno finalmente mettesse il dito nella piaga ci voleva! Come se fosse una questione di taglio morale o un fatto privato. Il nostro tasso di crescita è del 1,24 nascite per donna, quasi la metà di quanto si richiede affinché le nascite superino le morti e ci possa essere il cosiddetto ricambio generazionale (che richiederebbe avere minimo il 2,1 figli per donna). E difatti, non c’era da meravigliarsi se, con questo andazzo, dal 2022 siamo in decrescita; l’ultimo dato, risalente ai primi di aprile scorso, afferma che nel 2022 sono nati 392.598 bambini, contro i più di 700.000 decessi, evidenziando così un dato sociale mai avvenuto dal secondo dopoguerra.

Che succede? Come mai? A farla da economista, le cause sono di tipo monetario (bassi stipendi e il costo della vita), organizzativo (carenza di servizi per le famiglie), sociale (sposi più grandi e conseguente minor fertilità). Ma siamo proprio sicuri che i cervelloni della finanza abbiamo definitivamente colto il nocciolo della questione? Senza nulla togliere al realismo delle cause elencate, direi che il punto è piuttosto culturale, per meglio dire, spirituale. Mi risulta che le famiglie dei nostri trisavoli, bisnonni e nonni, pur vivendo in un mondo con molte meno comodità e facilità, erano comunque più numerose delle nostre oggi. Per carità, ci devono essere risposte politiche ben precise, come altri paesi europei hanno adottato con buoni risultati.

Papa Francesco, con il suo abituale stile diretto e colorito, qualche tempo addietro, ha fatto un accenno al motivo di tale desertificazione popolare: “L’altro giorno, parlavo sull’inverno demografico che c’è oggi: la gente non vuole avere figli, o soltanto uno e niente di più. E tante coppie non hanno figli perché non vogliono o ne hanno soltanto uno perché non ne vogliono altri, ma hanno due cani, due gatti … Eh sì, cani e gatti occupano il posto dei figli. Sì, fa ridere, capisco, ma è la realtà. E questo rinnegare la paternità e la maternità ci sminuisce, ci toglie umanità. E così la civiltà diviene più vecchia e senza umanità, perché si perde la ricchezza della paternità e della maternità. E soffre la Patria, che non ha figli e – come diceva uno un po’ umoristicamente – “e adesso chi pagherà le tasse per la mia pensione, che non ci sono figli? Chi si farà carico di me?”: rideva, ma è la verità. Io chiedo a San Giuseppe la grazia di svegliare le coscienze e pensare a questo: ad avere figli. La paternità e la maternità sono la pienezza della vita di una persona” (Udienza, 5 gennaio 2022). 

La causa è una profonda paura di assumersi responsabilità e perdere la propria autonomia (cfr. Amoris Laetitia, 40). Paura, in un certo senso, giustificata perché dare la vita ed educare è quanto di più sublime e impegnativo possa compiere un essere umano. Non si tratta affatto di essere prolifici come conigli, il Magistero della Chiesa su questo punto è chiarissimo: “In rapporto alle condizioni fisiche, economiche, psicologiche e sociali, la paternità responsabile si esercita, sia con la deliberazione ponderata e generosa di far crescere una famiglia numerosa, sia con la decisione, presa per gravi motivi e nel rispetto della legge morale, di evitare temporaneamente od anche a tempo indeterminato, una nuova nascita” (Paolo VI, Humanae Vitae 10). 

Che possiamo fare, cari sposi, perché ci sia un futuro? Soprattutto voi avete la risposta. Credo che chi è fidanzato o nei primi anni di vita matrimoniale debba aprirsi fiduciosamente allo Spirito Santo, che con il Suo assoluto realismo e concretezza, può davvero guidarli a procreare generosamente una famiglia. Per chi è più maturo e grandicello o per chi non ha vissuto la difficoltà dell’infertilità, l’attenzione e il focus vanno sulla meravigliosa vocazione che ogni coppia, giovane e meno giovane, alla fecondità.

Voi coppie avete la missione nativa, cioè insita nel proprio DNA, non appioppata da noi preti in parrocchia, di “custodire, rivelare e comunicare l’amore, quale riflesso vivo e reale partecipazione dell’amore di Dio per l’umanità e dell’amore di Cristo Signore per la Chiesa sua sposa” (Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio 17).

Siete voi i santuari, gli oracoli del vero amore, quello che discende dal Cielo e si fa carne, non questo surrogato che gira nel mainstream. Dinanzi a un mondo occidentale che si sta spopolando, voi coppie credenti siete protagoniste della medesima scena che vide coinvolto il profeta Ezechiele (Ez 37, 1-14): «Mi disse: “Figlio d’uomo, queste ossa potrebbero rivivere?”, e io risposi: “Signore, Eterno, tu lo sai”. Egli mi disse: “Profetizza su queste ossa, e di’ loro: ‘Ossa secche, ascoltate la parola dell’Eterno!’». Le ossa di un’umanità in via di estinzione sono sparse attorno a noi ma lo Spirito vi sollecita a divenire profeti di un’umanità nuova, protagonisti della Civiltà dell’amore con l’apertura generosa alla vita e il volervi assumere seriamente la missione propria di sposi.

padre Luca Frontali

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E che ci vuole per sposarsi?

Cari sposi,

            la Parola di oggi esordisce con uno spaccato di vita ordinaria della primissima comunità cristiana. Dinanzi al problema di come aiutare le vedove, gli apostoli si trovano però in difficoltà. Dedicarsi a tempo pieno a preparare le omelie oppure distribuire focacce e vestiti a queste povere signore? Non bastava più il tempo per entrambe le cose, come spesso accade a tanti sacerdoti oggi, divisi tra la pastorale e la burocrazia parrocchiale. La soluzione non è poi così “geniale” agli occhi nostri, ma attenzione: quella che potrebbe sembrare un semplice incarico e una mansione molto terra terra, divenne un vero e proprio ministero istituito – il diaconato -, nientemeno che il primo grado dell’ordine sacerdotale. Pensate a questo: per poter servire la comunità cristiana non basta solo trovare del tempo libero e avere un po’ di buona volontà ma nientemeno che l’essere investiti dalla Potenza dello Spirito Santo! Già qui ci sarebbe tanto da riflettere…

Ecco allora qui uno stupendo assist al matrimonio. In effetti, il diaconato nella Chiesa è stato successivamente compreso come il primo gradino verso il sacerdozio e i diaconi in tal modo rientrano in un vero e proprio “ordine” (cfr. Catechismo, 1537), cioè una categoria specifica nella Chiesa, in forza della consacrazione dello Spirito Santo. Ma anche voi sposi carissimi formate un ordine, una comunità all’interno della Chiesa (cfr. Catechismo, 1631). Siete così a tutti gli effetti quel popolo sacerdotale, quella nazione santa di cui parla S. Pietro nella Seconda lettura e il Signore vi ha costituiti tali con il Suo Spirito. E per cosa? Per proclamare le Sue opere ammirevoli.

A questo punto potreste sentirvi un po’ persi: “che opere annunciamo io e il mio coniuge? Magari qualche disastro” può dire qualcuno… e invece voi sposi avete il dono di essere annunciatori di una grandissima opera di Dio. Voi siete riflesso del volto trinitario di Dio, potete essere per noi Chiesa una carezza di Gesù, uno sguardo Paterno, un soffio di Spirito. Un dono, in definitiva, che attende di essere messo in opera. Voi siete, cari sposi, quel volto paterno di Dio, e lo siete non solo per i figli che Lui vi ha concesso, ma lo siete anche per tutta la Chiesa nella quale vivete. Ecco la “opera ammirevole” per la quale il Signore vi ha costituito un “ordine”, una corpo unito nella Chiesa; Egli vi concede di rendere sensibile e usufruibile la presenza di Dio con il vostro amore fedele e fecondo.

Tornando ai diaconi, si coglie un interessante parallelo con voi sposi. Infatti, ci voleva tanto per organizzare una piccola Caritas per le vedove, al punto da scomodare lo Spirito Santo? Analogamente, che bisogno c’è dello Spirito per volersi bene, avere figli ed educarli, se in fin dei conti è ciò che le coppie fanno fin dalla preistoria e se tutto ciò è qualcosa di spontaneo? Ebbene sì, ci vuole lo Spirito, non solo per essere sposi ma soprattutto perché facendo le stesse cose di tutte le coppie di ieri e oggi, voi “proclamiate le Sue opere ammirevoli”. Solo con lo Spirito tutto lo sforzo e l’amore ci mettete o ci vorreste mettere in quello che fate acquista un valore soprannaturale ed eterno e rende la vostra coppia “«scultura» vivente” proprio perché “capace di manifestare il Dio creatore e salvatore” e così diventare “il simbolo delle realtà intime di Dio” (cfr. Amoris Laetitia, 11).

ANTONIO E LUISA

Padre Luca l’ha toccata piano. Ci ha soltanto detto che da come ci amiamo noi sposi nella vita di tutti i giorni si dovrebbe “vedere” il modo di amare di Dio. Una cosa da niente. Ma se ci pensate bene è proprio così! Ed è così proprio perchè non siamo perfetti. Il matrimonio è immagine dell’amore di Dio che è perfetto. Non perchè siamo perfetti noi sposi, ma perchè la nostra imperfezione, i nostri errori, i nostri limiti e le nostre debolezze, quando vissuti nell’abbandono a Dio e nella Grazia di Dio, sono motivo per perdonare, per amare gratuitamente e senza merito alcuno il nostro coniuge. Questo è l’amore misericordioso di Dio. Questo è quell’amore di cui noi sposi siamo chiamati ad essere immagine.

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Attiraci, correremo

Cari sposi,

            il tempo corre e siamo già arrivati alla quarta domenica di Pasqua, un momento particolare nel tempo di giubilo per la Risurrezione di Gesù in cui la Chiesa si focalizza sul fatto che Egli è il Buon Pastore. Leggendo e meditando le Scritture di oggi si evince una preziosa e confortante verità che ha una ricaduta essenziale nella nostra vita di credenti: Gesù mi segue e mi accompagna costantemente, appunto come il pastore con le sue pecore. Da persone fondamentalmente urbane ci è difficile visualizzare questo ma chi ne ha avuto l’esperienza sa bene quanto azzeccata e calzante sia tale immagine.

Può succedere che, nella vita di coppia, giungano momenti di smarrimento, fasi di dubbio, un senso di solitudine, un ché di lontananza da Dio o addirittura la “inappetenza” a vivere assieme. In quelle circostanze la fede può risultare poco attraente o anche provocare repulsione. Sono periodi di aridità che hanno un senso ben preciso agli occhi di Dio e dobbiamo imparare ad abitarli con uno sguardo di fede. È proprio qui che il Vangelo di oggi acquista ancora più valore perché ci fa capire che non siamo noi a tenere il timone della nostra vita né personale né di coppia ma è Cristo il Buon Pastore a guidarci.

Sono due i verbi usati da Gesù per definire come agisce il pastore con le pecore. Anzitutto Gesù le attrae con la sua voce e poi in certi momenti le spinge per la direzione giusta. Noi vorremmo essere sempre spinti, se non trainati a peso morto, ma a ben vedere il Signore vuole piuttosto che il nostro cuore senta il fascino per Lui, desidera che ci innamoriamo e ci fidiamo ciecamente perché Lui ci ha amati per primo. L’hanno capito bene i mistici in cui l’amore e il desiderio sono sempre la scintilla che fa partire la sequela. Santa Teresa di Lisieux lo dice con parole semplici come avviene questa attrazione:

Alle anime semplici non occorrono mezzi complicati. Poiché io sono tra quelle, un mattino, durante il ringraziamento, Gesù mi ha dato un mezzo semplice per compiere la mia missione. Mi ha fatto capire questa parola dei Cantici: «Attirami e correremo all’odore dei tuoi profumi» Gesù, dunque non è nemmeno necessario dire: «Attirando me, attira le anime che amo!». Questa semplice parola: «Attirami!», basta” (Diario di un’anima, 334).

Nonostante ci siano quattordici secoli di distanza, S. Ambrogio lo esprime in modo molto simile: “Abbiamo infatti il desiderio di seguire, ce lo ispira la grazia dei tuoi profumi: ma poiché non possiamo eguagliare la tua corsa, attiraci, affinché, sorrette dal tuo aiuto, possiamo calcare le tue orme. Se infatti tu ci attirerai, correremo anche noi e afferreremo i soffi spirituali della velocità” (S. Ambrogio, De Isaac vel anima 3, 10).

Cari sposi, vi invito a puntare molto su questa verità meravigliosa: Cristo ha il potere di attrarci a sé, di attirarci, di sedurci. Se desiderate che il vostro amore coniugale sia grande, bello, fedele avete anzitutto bisogno di essere alla sequela del Buon Pastore. È Lui, infatti, che vi chiama a questa mèta alta, il “bell’amore” (Giovanni Paolo II, 15 dicembre 1994), che ve lo ha donato nel sacramento del matrimonio e che vuole accompagnarvi ogni giorno perché lo viviate fedelmente.

ANTONIO E LUISA

Chi sono i falsi pastori, i briganti, i lestofanti? Non sono solo, come verrebbe naturale pensare, persone al di fuori della coppia. Non è detto. Il ladro potrebbe essere anche parte della coppia. Cosa ruba il ladro? Cosa può rubarci il nostro coniuge quando si comporta da ladro e non entra dalla porta di Gesù, ma si arrampica ed entra così nel recinto della nostra vita? Ci ruba il coraggio di essere noi stessi. Magari sono io che rubo alla mia sposa il coraggio di diventare pienamente la donna che può diventare, di credere nella meraviglia che è e magari ne faccio cosa mia. Io sono convinto di questo. Se non avessi incontrato Gesù, quindi se non fossi entrato nella vita di mia moglie attraverso la porta che Lui mi ha mostrato, non sarei stato capace di amarla. Avrei cercato di farla mia, avrei cercato di farla diventare ad immagine e somiglianza di come io volevo che fosse. Perché quando non riconosciamo che abbiamo in noi l’immagine del Creatore, non la riconosciamo neanche nella persona che abbiamo sposato e cerchiamo di trasformarla come noi vogliamo. Invece passare per la porta del Buon Pastore significa riconoscerci figli. Significa che riconosco nella mia sposa una figlia di Dio e il mio compito non è di farla diventare come io voglio, ma come Lui desidera che Sua figlia diventi.

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“Amén. Francisco responde”

Cari sposi,

            lo scorso 5 aprile è uscito un documentario con questo titolo in cui Papa Francesco conversa con 10 giovani di diversa provenienza ed età, ma tutti appartenenti alla cosiddetta “generazione Z”. I temi sono esattamente quelli che, senza eccezione, portano ad allontanare proprio loro, i giovani, dalla Chiesa: povertà, abusi sessuali, violenza sulle donne, aborto, pornografia, gender…83 minuti che sono lo specchio del pensare dei vostri figli e proprio per questo vorrei fare una breve riflessione su quanto emerso. Perché quei dubbi e quelle perplessità sono più diffusi di quanto pensiamo, non solo tra i giovani ma anche più in su.

La prima riflessione che vi offro è che la quasi totalità dei temi trattati ha un’unica radice ed area di provenienza. Gli invitati difatti hanno condiviso la loro esperienza su: aborto, abusi sessuali, bullismo, pornografia, masturbazione e orientamento sessuale. È chiaro che tutto ciò è collegato al corpo, alla sessualità intesa come espressione di tutta la persona. Al di là del “che ne pensi Francesco?” loro stanno domandandosi quale sia il valore del sesso, che finalità e che senso possiede il mio corpo, perché sono maschio/femmina o perché non mi ci trovo in nessuna categoria… è molto forte constatare che, oggi più che ieri, il corpo sessuato sia divenuto così enigmatico e come sia urgente che sappiamo cogliere fino in fondo questi interrogativi per giungere a un equilibrio, ad una nuova sapienza che, pare, le risposte confezionate non sono più in grado di offrire.

Il corpo sessuato è oggi il nuovo spazio di incontro/scontro tra scienza (biologia, psicologia, fisiologia), filosofia e teologia, un nuovo Areopago da cui attendiamo ascoltare parole di verità e non di ideologia. È proprio qui la frontiera della fede cristiana, il corpo sessuato, e noi cristiani abbiamo un patrimonio di valore incalcolabile da cui attingere per trovare il bandolo della matassa.

Nel documentario fa sorridere Papa Francesco di fronte a situazioni di cui non è del tutto a conoscenza (vedi la domanda su Tinder…). Ma a parte questo, lui non può rispondere a tutto perché non è vicino a questi ragazzi, non abita con loro, non li ha educati per anni e anni, come invece è successo a voi genitori. Credo proprio che il vero interlocutore, i veri destinatari di quelle domande siate proprio voi sposi. Voi siete così dentro e immersi in questa drammatica ricerca di senso che potete dare un contributo essenziale, non a parole, ma con la vita vissuta.

Dinanzi a quelle domande mi sono chiesto sovente: “Cosa avrebbe risposto Tizio o Caio?” Ho così rivolto la mia mente a molte coppie che su quei temi hanno versato lacrime e li hanno “attraversati” in modo drammatico ma al contempo oggi sono icone di una Bellezza e Verità che li precede.

Tutti quei giovani hanno sì cercato una risposta del tutto particolare, nientemeno che dal Papa, ma sono sicuro che in fondo al loro cuore stanno cercando, oltre che ragionamenti coerenti, un volto, una condotta, un modo di vivere che davvero li coinvolga e li attragga. Quella Verità e quella Bellezza che ci ha plasmati ha un nome: Gesù. Voi sposi avete la Sua Presenza in voi, che vi permette di essere testimoni credibili che l’amore passa da un corpo sessuato maschile e femminile e grazie al vostro dono reciproco potete essere procreatori dello stesso Amore, della stessa Verità e Bellezza che vi ha modellato.

padre Luca Frontali

La lunga via che dalla mente porta al cuore

Cari sposi,

            se in una visita cardiologica vi venisse diagnosticata la “bradicardia”, ossia la discesa della frequenza cardiaca al di sotto dell’intervallo di normalità, di per sé non sarebbe un buon segno ed occorrerebbe una cura immediata. Nella scena evangelica odierna, l’incontro di Gesù con i due discepoli di Emmaus, c’è una frase che mi ha sempre tanto colpito e vorrei condividere con voi: “«Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti!” (Lc 24, 25). Cosa vuol dire essere “lenti di cuore”? E che valore ha per una coppia di sposi? Dal momento che, come sapete, è molto probabile che quei due, di cui solo sappiamo il nome di uno, Clèopa, fossero davvero marito e moglie.

Mi spiace che questo brano lo debba commentare solo in una pagina scarsa. È uno dei più bei passaggi evangelici che parla di Risurrezione ed è quanto mai attuale e vicino alle nostre circostanze. Quante volte viviamo come se Cristo non fosse risorto? Quanto è normale che il Signore ci manda segni evidenti (le donne che hanno trovato il sepolcro vuoto, l’apparizione degli angeli…) ma continuiamo nella nostra grigia routine. Questi due discepoli, fratelli nostri, pensavano di essere credenti per il fatto di aver “capito” Gesù, di sapere tante cose di lui. Di certo sanno cose molto vere e giuste, che era un profeta, che voleva liberare Israele… Quanto sappiamo di Gesù! Quanti brani evangelici li potremmo ripetere a memoria! Quante informazioni possediamo su Cristo e la Chiesa… ma conosciamo veramente Cristo? E soprattutto, quanto lo riconosciamo presente nelle nostre circostanze quotidiane?

Ecco la lentezza del cuore: il non saper accogliere Cristo nel più profondo di noi, il non saperlo rendere parte della mia vita di ogni giorno ma trasformarlo in un’idea, in un rito, in un comportamento morale. Gesù non è “sceso” dalla mia testolina al più profondo di me stesso, al mio cuore. Parafrasando San Paolo: “se Cristo non è risorto e non è al mio fianco, piatto e grigio è il vostro matrimonio”. Il prima e il dopo dei due di Emmaus è esattamente lo spartiacque di tutte le coppie sposate nella Chiesa cattolica. Molte, moltissime vivono con Gesù ma non se ne accorgono, non sanno di camminare con Lui, non Lo vedono presente ad ogni passo, Gesù rimane uno sconosciuto. Invece, e spero che voi siate così, quando mi sono lasciato amare da Lui nell’Eucarestia, quando Lo ascolto nella Parola, quando Lo lodo ogni giorno per quello che Lui fa… allora arde il cuore, non si cammina più perché si corre, la fatica non si sente, la gioia è più grande del dolore.

Lui c’è nel vostro matrimonio, esattamente come è stato con Clèopa e consorte su quella strada e mi piace ridirvelo con l’estratto di un’omelia di San Paolo VI, in una domenica come oggi di tanti anni fa:

A voi, a tutte le giovani coppie, a tutte le famiglie cristiane: a tutti coloro che col loro amore, elevato e trasfigurato dalla virtù del sacramento, sono nel mondo la presenza e il simbolo dell’amore reciproco di Cristo e della Chiesa (Cfr. Ef 5, 22-33) noi ripetiamo oggi: non temete, Cristo è con voi! Vicino a voi per trasfigurare il vostro amore, per arricchirne i valori già così grandi e nobili con quelli tanto più mirabili della sua grazia; vicino a voi per rendere fermo, stabile, indissolubile, il vincolo che vi unisce nel reciproco abbandono di uno all’altro per tutta la vita; vicino a voi per sostenervi in mezzo alle contraddizioni, alle prove, alle crisi, immancabili certo nelle realtà umane, ma non certo – come vorrebbero talune funeste mentalità teoriche e pratiche – non certo insuperabili, non fatali, non distruttive dell’amore ch’è forte come la morte (Cant. 8, 6), che dura e sopravvive nella sua stupenda possibilità di ricrearsi ogni giorno, intatto e immacolato” (Omelia, 13 aprile 1975).

ANTONIO E LUISA

Quante volte ci siamo sentiti anche noi come i due di Emmaus. Ci sono tratti della nostra vita che ci sentiamo scoraggiati e dove non percepiamo la presenza di Gesù accanto a noi. Sappiamo di essere immagine dell’amore di Dio ma poi ci sembra di essere così poveri nella difficoltà e nella sofferenza. Quello è il momento di spezzare il pane, di tornare ai sacramenti. Non importa a quanti corsi e a quanti seminari abbiamo partecipato. Non importano tutti i libri che abbiamo letto. Solo nell’Eucarestia possiamo ritrovare Gesù e possiamo comprendere come ci sia stato sempre accanto, anche quando non riuscivamo a vederlo.

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Trovare pace

Cari sposi,

        questo breve articolo l’ho scritto mentre ero in pellegrinaggio di recente a Fatima. Un luogo di grande pace, non tanto per trovarsi in mezzo a una ridente e tranquilla campagna quanto per l’intervento divino che, tramite Maria, ha lasciato un segno ormai entrato nella storia, un segno per l’appunto di pace.

Nei messaggi della Vergine, durati dal maggio all’ottobre 1917, ricorre più volte il tema della pace, a cominciare dall’apparizione preparatoria dell’Angelo: “Non abbiate paura. Sono l’Angelo della Pace. Pregate con me”; fino a quella di Maria: “Recitate il rosario tutti i giorni per ottenere la pace per il mondo e la fine della guerra”. La Madonna dice in sostanza che la pace del mondo dipende dalla preghiera di ciascuno di noi. Un’affermazione nuova perché mai come a Fatima Maria ha messo in evidenza il legame tra la pace mondiale e l’atteggiamento personale. In altre apparizioni precedenti Lei ha avuto, per così dire, una ricaduta e un’eco più ridotto e riguardante un minor numero di persone.

E qui viene un collegamento forte con il Vangelo e la festa di oggi, la Divina Misericordia. Difatti, Gesù, non appena si presenta nel Cenacolo, dona subito la sua misericordia a quelle persone che, chi più (Pietro) e chi meno (Giovanni), l’avevano rinnegato in qualche modo ed avevano pertanto la coscienza sporca. Gesù per primo fa la pace con loro e non li aspetta in processione con il capo chino, anche se ne avrebbe avuto tutto il diritto. Così facendo Gesù ci insegna che la pace nel mondo non sarà mai solo è una questione di accordi tra politici, ma piuttosto il frutto di una accoglienza personale e per voi sposi anche di coppia, del dono della pace di Gesù. Sì perché la pace è un dono, è un dono pasquale che tutti noi possediamo ma che non è ancora del tutto realizzato in ciascuna persona e coppia. Ed è lì che entra il nostro sforzo e la collaborazione personale alla grazia.

Troviamo così un meraviglioso intreccio tra il Vangelo e la festa della Misericordia e un’eccellente ricaduta nuziale. Gesù dona il perdono, dona la Misericordia ed è essa che ci permette di vivere nella pace. Solo nella piena riconciliazione con Dio possiamo poi riconciliarci con noi stessi e con chi amiamo. Come un sasso gettato in uno stagno, questa pace e riconciliazione possono espandersi attorno a noi. Che impressionanti le parole di San Giovanni Paolo II quando canonizzò suor Faustina Kowalska, colei che ricevette la rivelazione della Divina Misericordia: “L’umanità non troverà pace, finché non si rivolgerà con fiducia alla divina misericordia” (Diario, p. 132).

Ci sono effettivamente nodi che paiono insolubili tra i coniugi, cuori induriti da offese e mancanze di rispetto e fiducia. Ma appunto è il volgersi, il contemplare Gesù che ci fa dono del suo Perdono che può convertire i nostri cuori e così trovare davvero la pace.

ANTONIO E LUISA

Tommaso è esattamente come siamo noi. Noi che non riusciamo a credere in Dio perché nel mondo c’è il male, ci sono le guerre, i terremoti. Ci sono i bambini che si ammalano e muoiono. Noi vediamo tutto questo e non crediamo, perché non è possibile che Dio sia presente dentro la nostra vita. Invece Gesù dice: “beati quelli che pur non avendo visto crederanno!”. Spesso anche nel nostro matrimonio non riusciamo a vedere la presenza di Cristo. Eppure lui c’è. C’è da quel momento che abbiamo pronunciato il nostro sì con la bocca e lo abbiamo confermato con il corpo nel primo rapporto fisico. Poi il tempo passa, iniziano i problemi, i litigi, le incomprensioni. La relazione sembra tutto fuorché santa. Eppure Gesù è sempre lì, fedele. La nostra infedeltà non corrompe la sua. Il suo amore e la sua grazia sono sempre a nostra disposizione. Tanti non ci credono più e mollano. Cercano nuove strade. Invece, senza giudicare chi non riesce, beate quelle donne e beati quegli uomini che credono anche se non vedono Dio nella loro storia, nel loro matrimonio. Beate quelle donne e quegli uomini che, anche se sono stati abbandonati e vedono la persona che ha promesso loro di amarli per sempre insieme ad un’altra persona, continuano ad abbandonarsi a Dio, perché sanno che Lui c’è anche se non lo vedono. Beate quelle donne e quegli uomini perché non hanno bisogno di vedere per credere, hanno dentro una promessa di Dio che custodiscono e che li conduce verso la verità e l’incontro con Gesù che salva e dà senso ad ogni cosa, anche quello che adesso non si può comprendere.

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Lasciati amare

Cari sposi,

in questa settimana di Pasqua tutte le letture e in particolare il Vangelo ci ha riproposto evidentemente scene legate alla Risurrezione. Il senso è chiaro: la Chiesa vuole farci guardare al trionfo di Cristo da diversi punti di vista e angolature perché ne possiamo trarre il massimo frutto spirituale. C’è una sorta di filo rosso che lega queste vicende ed è che praticamente Cristo fa tutto Lui, Gesù prende sempre l’iniziativa. Ma questo perché? Nonostante sia risorto, nessuno Gli crede e deve apparire più volte e in diverse circostanze perché finalmente venga accolto.

Eppure, la cosa più bella e commovente, in queste apparizioni, sono i piccoli e grandi gesti di amore di Gesù verso i suoi discepoli. Di certo il più meraviglioso, non presente nei Vangeli ma affermato dalla Tradizione della Chiesa, è l’apparizione a sua Mamma (S. Ambrogio, Sulle vergini: “Maria vide la risurrezione di Cristo, e la vide per prima”). Non poteva che essere Lei la prima ad essere toccata dalla grazia ella Risurrezione per i meriti che ha accumulato durante la sua vita; poi è la volta di Pietro, poi i due di Emmaus, poi la colazione preparata per gli apostoli dopo la pesca e il “regalo” di una retata abbondantissima.

Se ci fate caso, nessuno in queste circostanze chiede niente a Gesù. Non vi è nessun malato, storpio, zoppo, cieco… da sanare. Gesù non deve accondiscendere ad alcuna richiesta di aiuto. Al contrario, Gesù è tutto proteso a dare doni inaspettati, illuminare e aprire gli occhi, consolare e confermare la fede ancora vacillante nei suoi. Ecco allora che si vede qui una nota dominante di come Gesù tratta gli apostoli: si dona per primo e gioisce nel rendere felici chi Lui ama. Di conseguenza è fondamentale lasciarsi amare, lasciare che sia Lui a fare tutto, permetterGli di agire come meglio crede, dico di più: consentire a Gesù di coccolarci.

Tanto è vero quanto dico che difatti quei gesti semplici e cordiali di Cristo, gli apostoli non se li scordarono mai più, al punto che Giovanni all’inizio della sua Prima lettera abbondò nel voler far capire quanto lui avesse toccato, sentito, visto Gesù (cfr. 1 Gv 1, 1-4). Perciò la Pasqua ci deve lasciare impresso nel cuore che Cristo mi ha trattato e mi tratta davvero così, mi ama per primo e vuole che io mi lasci amare da Lui.

Per voi sposi, di conseguenza, vale lo stesso. Quanto è importante saper riconoscere i gesti di amore del coniuge, saperli valorizzare e apprezzare. Non si può amare senza prima essere amati e difatti la vita sponsale, per grazia di Dio, ha il dono di essere un continuo darsi e riceversi (cfr. Gaudium et spes, 48), cioè ricevere amore e ridonarlo. Vivere, come sposi, da risorti, significa accogliere e lasciarsi amare da Cristo Vivo, da Cristo presente adesso al mio fianco, saper riconoscere come mi ama per poi farne dono e condividerlo con il coniuge in un cammino di crescita verso la vostra pienezza.

Padre Luca Frontali

Pasqua vuol dire Speranza

Care coppie,

            alleluia! Cristo è veramente risorto! Mi auguro che questo Evento sia davvero fondativo per ciascuna di voi, costituisca una novità di vita che impregni mente, cuore e sentimenti. La Risurrezione è lo spartiacque tra persone umane e cristiani. O vivi con lo sguardo rivolto al Cielo, come insegna San Paolo nella seconda lettura odierna, oppure si “vive per la morte” come diceva Heidegger.

Pasqua vuol dire speranza. Perché la morte, il peggior nemico è stato sconfitto per sempre e Cristo ci ha ridato una vita che non finirà mai più. Che significato ha, per voi coppie sposate, il dono della Risurrezione? Papa Giovanni Paolo II proprio su questo dice: “Fonte propria e mezzo originale di santificazione per i coniugi e per la famiglia cristiana è il sacramento del matrimonio, che riprende e specifica la grazia santificante del battesimo. In virtù del mistero della morte e risurrezione di Cristo, entro cui il matrimonio cristiano nuovamente inserisce, l’amore coniugale viene purificato e santificato: «il Signore si è degnato di sanare ed elevare questo amore con uno speciale dono di grazia e di carità»” (Familiaris Consortio 56).

Il vostro amore santificato è scaturito dal costato di Cristo aperto in Croce, siete un genuino frutto pasquale. Questo significa che in voi l’amore può sempre vincere sulla morte a cui l’egoismo, la chiusura del cuore, la ricerca della propria comodità e interessi inesorabilmente ci spinge.

Ma la Risurrezione ce l’avete dentro al vostro rapporto, questa è la buona e bella Notizia! Con la grazia del matrimonio vi è concesso di purificare e santificare continuamente il vostro amore, sebbene la tendenza al ribasso ci sarà costantemente. Cristo, difatti, è asceso in Cielo con le piaghe della passione per insegnarci che le conseguenze del male sono assolutamente reali ma questo non ci impedisce di poter volare ed amarci sempre di più.

Vi invito oggi a sognare ad occhi aperti: con il dono della Risurrezione si può ogni giorno assaporare un po’ di Paradiso in terra nella Speranza di gustarlo in pienezza.

ANTONIO E LUISA

Noi sposi custodiamo nel cuore tante emozioni, tante gioie ma anche tanti dolori e tante ferite. Custodiamo anche tante morti e tante resurrezioni. Già, perché tutti noi sposi abbiamo vissuto dei momenti di morte nella nostra relazione. Non necessariamente abbiamo tutti dovuto affrontare sofferenze e divisioni devastanti, ma tutti abbiamo affrontato periodi più o meno lunghi di aridità e di difficoltà. Il matrimonio non è una navigazione in acque tranquille ma è una navigazione in acque aperte dove tempeste e onde possono mettere in pericolo in ogni momento la nostra imbarcazione, la nostra relazione. Noi però sappiamo che al timone del nostro matrimonio c’è Gesù che ha già sconfitto il male. Gesù ha sconfitto non solo la morte, ma anche il tradimento, il rinnegamento, l’abbandono. Gesù ha sconfitto la mancanza di amore dei Suoi discepoli e del Suo popolo tutto, perseverando con l’amore e con la misericordia. Così siamo chiamati a fare noi sposi. E la cosa bella è che Gesù è lì con noi sulla stessa barca che ci guida e che ci dà la sua forza. Così ogni volta che affrontiamo una morte il Venerdì Santo ne usciamo risorti la Domenica di Pasqua, e ne usciamo più forti e più belli di prima, trasfigurati dal Suo amore. Coraggio, oggi, domenica di Pasqua, fate memoria delle vostre piccole pasque personali e ringraziate Dio del dono che vi ha fatto.

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Passione di Cristo, confortami

Care coppie,

            siamo arrivati con Gesù dopo i quaranta giorni di preparazione nel deserto quaresimale alla vista di Gerusalemme. La città santa, cinta di mura e con al centro, maestoso, il tempio di Erode, è davanti ai nostri occhi. Sentiamo tutta la trepidazione di Gesù che sa che è arrivata la sua Ora da vivere proprio nella Città Santa. Sebbene Gerusalemme sia sulla cima del monte Sion, c’è ancora una vetta da scalare, un’ultima salita da percorrere assieme a Lui: “È di questa salita che si tratta. È il cammino a cui Gesù ci invita. Ma come possiamo noi tenere il passo in questa salita? Non oltrepassa forse le nostre forze? Sì, è al di sopra delle nostre proprie possibilità. Da sempre gli uomini sono stati ricolmi – e oggi lo sono quanto mai – del desiderio di «essere come Dio», di raggiungere essi stessi l’altezza di Dio” (Benedetto XVI, Omelia, 17 aprile 2011).

Sì, in effetti, il matrimonio è anche fatica, la vita di coppia è una via di purificazione del cuore verso la cima che è “amare da Dio”, amare come Cristo ama la Chiesa. Ma in tutto questo non siete soli, è consolante ricordare che il più interessato è Gesù stesso che vive e cammina con voi. Per questo vi invito a vivere questa ultima tappa, la Settimana Santa, con uno speciale senso di vicinanza e intimità con il Signore: “Noi andiamo in pellegrinaggio con il Signore verso l’alto. Siamo in ricerca del cuore puro e delle mani innocenti, siamo in ricerca della verità, cerchiamo il volto di Dio. Manifestiamo al Signore il nostro desiderio di diventare giusti e Lo preghiamo: Attiraci Tu verso l’alto! Rendici puri!” (Benedetto XVI, Omelia, 17 aprile 2011). Sono certo che Gesù sta già attirandovi, personalmente e in coppia, al suo Cuore colmo di amore ma sta a voi assecondarLo. Perciò, vorrei invitarvi a fare un passo in più nei prossimi giorni; il passo ulteriore sta nel “contemplare” Gesù. Una parola con un senso specifico nella spiritualità e che lo dobbiamo a S. Ignazio di Loyola, il fondatore dei Gesuiti. Per il grande Santo spagnolo, contemplare è in fin dei conti toccare con il cuore e l’anima la Persona di Cristo. Contemplare, in tal senso, ha un valore quasi sacramentale perché è rivivere, nello Spirito, le scene evangeliche. Ecco come ci insegna a contemplare lo stesso Ignazio:

Il primo punto è vedere le persone… riflettere per ricavare frutto da tale vista… come se fossi presente. Il secondo: udire quello che dicono le persone… e dopo riflettere, per ricavare frutto dalle loro parole. Il terzo: osservare poi quello che fanno le persone… riflettere per ricavare qualche frutto. Odorare e gustare, con l’odorato e con il gusto, l’infinita soavità e dolcezza della divinità dell’anima e delle sue virtù e di tutto, secondo la persona che si contempla riflettere in se stesso e ricavarne frutto. Toccare con il tatto, per esempio abbracciare e baciare i luoghi dove tali persone camminano e siedono; sempre procurando di ricavarne frutto” (Dagli «Esercizi spirituali» di sant’Ignazio di Loyola).

Provate anche voi, cari sposi, a prendere il Vangelo del giorno, e toccare, udire, osservare, odorare e gustare ciò che ha vissuto Gesù e troverete tanta luce da condividervi. La Settimana Santa, infatti, è il momento culmine per stare accanto, direi fisicamente, a Cristo. Non perdete le occasioni che avrete in questi giorni per sperimentare con i cinque sensi le stesse cose che Cristo ha vissuto e vi assicuro che farete vostro ciò che lo stesso S. Ignazio ha vissuto: la Passione di Cristo può confortarci, cioè può darci quella forza di amore che ci serve per amare davvero, senza sconti, senza finte, senza mezzi termini.

ANTONIO E LUISA

Io vi suggerisco qualcosa da aggiungere al compito che ha proposto padre Luca. Siamo sposati in tre. E’ bello contemplare Gesù durante la Settimana Santa, ma lo è ancor di più contemplarlo nel nostro matrimonio. Dopo aver letto e contemplato il Vangelo del giorno, ripensiamo alla nostra vita insieme e facciamo memoria di un’occasione in cui l’altro ci ha amato come Gesù. Nel modo che spiega padre Luca: amare davvero, senza sconti, senza finte, senza mezzi termini. E poi ringraziamo per quell’amore non scontato. Così possiamo preparare il nostro cuore a vivere la Pasqua.

Un Pesce di aprile particolare

Cari sposi,

            tutti sapete bene cosa sia il pesce di aprile, probabilmente sia per averlo subito o magari per averlo procurato ad altri. È interessante andare a ritroso in questa festa, oramai popolare dal 1700 ad oggi. Come spesso accade in tali ricorrenze, vi è un fondamento cristiano molto bello da ricordare e riscoprire. Tutto iniziò quando, per motivi ormai di necessità, si dovette procedere a cambiare il calendario perché esso non era più in sincronia con le stagioni. Il vecchio calendario giuliano cedette allora il passo ad uno nuovo, per opera di Papa Gregorio XIII (1572-1585).

Così, il calendario Gregoriano venne adottato per la prima volta nel 1582 e ciò ebbe conseguenze anche sulle date delle feste. Prendiamo il Capodanno; esso non sempre e non ovunque si celebrava il 1° di gennaio. In paesi come l’Inghilterra, l’Irlanda, in alcune zone della Francia, o nel Granducato di Toscana avveniva il 25 aprile per essere la festa dell’Annunciazione. Il giorno in cui Maria ha detto “sì” a Dio e il Verbo si è fatto carne ed ha iniziato a vivere tra noi è l’evento più sconvolgente della nostra fede, assieme alla Risurrezione. Il sensus fidei della cristianità di allora aveva stabilito che, per essere appunto l’inizio storico della nostra Redenzione, anche l’anno sociale doveva sintonizzarsi e cominciare nello stesso giorno. Prima della riforma gregoriana i festeggiamenti per nuovo anno duravano circa una settimana, iniziando il 25 marzo per concludersi il primo aprile. Con il cambio, sorse la tendenza di colpire con uno scherzo coloro che non si erano ancora abituati al nuovo calendario, continuando a festeggiare in questa data una festività già passata. È in Francia per lo più dove iniziò questa pratica e il nome che venne dato alla strana usanza fu poisson d’Avril, per l’appunto “pesce d’aprile”

Che c’entra – direte voi – questo con gli sposi? Non è difatti il mio pesce di aprile per voi ma un interessante collegamento che colloca la data del vecchio Capodanno con la realtà del matrimonio. Il matrimonio che voi vivete sia che vi troviate in una grande situazione di fervore o che vi stiate trascinando a fatica, possiede comunque sempre un segno “cristologico” (Amoris Laetitia, 161) perché in voi si è incarnato l’Amore di Cristo per l’umanità. È così vero tutto questo che Papa Leone XIII (1878-1903) scrisse al riguardo: “Il matrimonio ha Dio come Autore, ed essendo stato fin da principio quasi una figura della Incarnazione del Verbo di Dio; perciò, in esso si trova qualcosa di sacro e religioso, non avventizio, ma congenito, non ricevuto dagli uomini, ma innestato da natura” (Leone XIII, Arcanum Divinae Sapientiae). Siete figura dell’Incarnazione! Siete un prolungamento dell’Incarnazione dell’amore di Cristo per la sua Chiesa! Ma quanto è grande e bello il dono che avete ricevuto! E non è un merito per i bravi ma una grazia che tutti voi avete ricevuto dal giorno della celebrazione.

San Giovanni Paolo II, parlando a un gruppo di sposi, esprime con altre parole la stessa verità: “Unendosi in matrimonio, gli sposi cristiani non cominciano solamente la loro avventura, anche intesa nel senso di santificazione e di missione; essi incominciano un’avventura che li inserisce in maniera responsabile nella grande avventura della storia universale della salvezza” (Giovanni Paolo II, Discorso ai membri del “Centre de liaison des équipes de recherche”, 3 novembre 1979). Quindi, così come anticamente l’anno iniziava nel ricordo dell’Incarnazione, anche voi sposi ci ricordate che la storia dell’umanità, la storia della Chiesa ma anche la storia di ciascuno di noi è iniziata e continua con un “matrimonio” di un Dio pazzo di amore che ci ha voluto sposare per sempre.

padre Luca Frontali

Una morte che glorifica Dio?

Cari sposi,

            siamo arrivati alle soglie della Settimana Santa. Quest’ultimo tratto di Quaresima ci prepara ai giorni più santi di tutto l’anno con un assaggio di Risurrezione: la rivivificazione di Lazzaro, un amico intimo di Gesù.

Come non commuoversi leggendo il Vangelo odierno e contemplando un Gesù così umano, così vicino a noi, nei sentimenti e nelle fibre più intime del cuore? Chi l’avrebbe mai detto che Dio potesse piangere per un amico caro? Che può commuoversi fino alle lacrime empatizzando con chi soffre? Non è affatto un Dio lontano, un freddo Orologiaio o il grande Architetto libero-muratoriano ma l’Emmanuele, il Dio-con-noi!

Gesù non smette di insegnarci che l’amore comporta soffrire, com-patire con chi si ama e questo lo vivete voi in forma eminente nel matrimonio. Sposarsi è anche accettare di soffrire con e per chi si ama. In tal senso, mi ha colpito una frase scritta da una coppia laicissima in un loro recente libro: “Nella maggior parte dei casi il matrimonio è un conflitto nel quale uno dei due soggetti è la vittima” (Philippe Sollers-Julia Kristeva, Del matrimonio: considerato come arte, Donzelli 2015).

Cosicché l’indugio e l’esitazione di Gesù a muoversi per visitare l’amico malato mostra questo lato misterioso dell’amore: anche il morire è dare gloria a Dio. E così, Gesù da questo male sa trarre un bene maggiore che sicuramente né Marta né Maria capirono al momento. Tutto ciò fa parte integrante del vostro vivere il matrimonio, è una porta per cui bisogna passare se si vuole dare veramente tutto all’altro e andare fino in fondo a quella promessa fatta davanti all’Altare. John R. R. Tolkien (1892-1973), il noto scrittore inglese, meglio conosciuto per la saga de “Il Signore degli anelli” scriveva così a suo figlio Michael volendogli trasmettere la sua esperienza come marito, lui che rimase unito alla sua moglie Edith per ben 55 anni: “L’essenza di un mondo caduto è che il meglio non si può ottenere attraverso il puro piacere, o attraverso la cosiddetta un bel «autorealizzazione» (in genere l’autoindulgenza […]), ma solo attraverso la negazione e la sofferenza. […] Nessun uomo, per quanto sinceramente abbia amato in gioventù la sua fidanzata e sposa, rimane fedele a sua moglie nel corpo e nella mente senza un deliberato esercizio di volontà, senza una rinuncia a se stesso. Questo viene detto a troppo pochi, anche fra quelli che vengono cresciuti «nella Chiesa». Quelli che ne sono fuori sembra che raramente ne abbiano sentito parlare”. (Lettere, n.43, Bompiani, p.83).

Cari sposi, guardiamo a Gesù che cammina verso la realizzazione del suo “sì” nuziale, della sua Promessa di amore fatta alla Chiesa Sposa e che oggi svela l’esito finale nella Vita oltre la morte. Quando l’amore fa soffrire, pensate che potete trasformarlo in una “morte” feconda, schiudendovi a una nuova dimensione di amore il cui protagonista non siete più solo voi come coppia ma assieme allo Sposo che vi sostiene in questa ardua prova. E così toccherete con mano ciò che scrisse San Giovanni Paolo II parlando del rapporto nuziale: “Sarà sufficiente ricordare che anche il matrimonio non sfugge alla logica della Croce di Cristo, che esige sì sforzo e sacrificio e comporta anche dolore e sofferenza, ma non impedisce, nell’accettazione della volontà di Dio, una piena e autentica realizzazione personale, nella pace e serenità dello spirito” (Giovanni Paolo II, Discorso alla rota romana, 1° febbraio 2001).

ANTONIO E LUISA

Il matrimonio è così. Ci sono i periodi dove tutto va bene ed è meraviglioso. In quei periodi si sente forte la gioia di stare insieme, c’è passione e intimità. Poi ci sono periodi caratterizzati da difficoltà e sofferenza. Non c’è dubbio che tutti vorremmo vivere in un perenne periodo di gioia e dove tutto è perfetto. E’ altrettanto indubbio che i momenti di sofferenza e difficoltà sono quelli più fecondi. Perché attraversare la croce e amare sempre e comunque l’altro rende il matrimonio quello che è: una scelta d’amore indissolubile e senza condizioni. Una scelta d’amore che avvicina a Dio! Per noi è stato così.

Alla tua luce vediamo La Luce

Cari sposi,

nell’avanzare verso la Pasqua, dopo il tema dell’acqua viva che Gesù Cristo dona al credente in Lui, la Chiesa ci fa meditare sulla luce, o meglio, sull’illuminazione, perché altro non è che l’azione compiuta da Gesù affinché noi vediamo e siamo strappati dalle tenebre. Illuminazione che forma parte dei 7 segni che Gesù compie prima della sua morte. Che significato ha questo gesto per noi oggi?

Per prima cosa desta attenzione che sia proprio Gesù a prendere, inaspettatamente, l’iniziativa di guarire questa persona cieca, al contrario di quanto di solito accadeva. Questo per sottolineare che è sempre il Buon Pastore a cercarci e che quindi la grazia di Dio ha sempre il primato nella nostra vita. Dopo la guarigione, sarà però il cieco a incamminarsi verso Cristo e così a portare a pienezza la sua guarigione: dai gradini del tempio camminerà verso quell’acqua con l’impasto di fango e saliva che Gesù gli ha applicato sugli occhi. A parte forse la nostra istintiva ripugnanza a questo gesto, vi è un senso ben più profondo. La saliva difatti è la Sua Parola che si unisce ad un elemento corporeo, il fango, rimembranza della polvere della Genesi. Qui sta accadendo una sorte di nuova creazione, in cui Gesù, applicando la sua Parola onnipotente alla nostra povera polvere ci redime, ci rigenera, pure nelle nostre parti più brutte e dolorose. Ecco allora che la cecità è la cifra proprio della mia imperfezione e non pienezza di vita. Dinanzi ad essa possiamo ragionare da farisei e farcene un enorme senso di colpa, volendola allontanare, nascondere, sminuire, a noi ma soprattutto a chi ci sta accanto. Ma allora ciechi erano e rimarranno loro – e magari pure noi – se continueremo a stare inchiodati davanti al male e alle sue conseguenze, invece di domandarci: perché questa nostra insufficienza e incompiutezza? Un po’ come hanno fatto gli apostoli, domandando a Cristo il senso ultimo della cecità.

Gesù difatti risponde “perché siano manifestate le opere di Dio” e quindi anche la nostra incompiutezza ed imperfezione umana, nella misteriosa pedagogia divina, esiste perché Cristo possa da lì e non da altrove portarci alla Sua pienezza. Pienezza poi non è mai la perfezione ma vivere in Cristo, vivere con il Risorto e gioire della sua Presenza. Il cieco fa proprio questo cammino verso la pienezza, verso una piena conoscenza ed esperienza di Cristo, proprio come era accaduto domenica scorsa alla Samaritana. Il cieco nato acquista anzitutto la vista, e poi a poco a poco, progressivamente, cresce nella comprensione della realtà e di Chi questa realtà l’ha svelata. All’inizio il cieco nato pensa a Gesù come ad “un uomo”, ma del quale non sa nulla; poi però lo dichiara un “profeta”, poi ancora un “inviato di Dio”, ed infine lo riconosce come “Figlio dell’uomo” e “Signore”.

Dice al riguardo Papa Benedetto: “Infatti, la vita cristiana è una continua conformazione a Cristo, immagine dell’uomo nuovo, per giungere alla piena comunione con Dio. Il Signore Gesù è “la luce del mondo” (Gv 8,12), perché in Lui “risplende la conoscenza della gloria di Dio” (2 Cor 4,6) che continua a rivelare nella complessa trama della storia quale sia il senso dell’esistenza umana” (Angelus, 3 aprile 2011). Così cari sposi, mi auguro che accada nella vostra vita, in cui l’imperfezione è così spesso dilatata dalla continua convivenza e vicinanza. Possa essere, sulla scia del cieco nato, una via di illuminazione della Presenza di Cristo nella vostra relazione. Che il Signore vi conceda di vedere oltre il visibile ed oltre la vostra prospettiva.

ANTONIO E LUISA

E’ proprio così. La coppia perfetta è fatta da due imperfezioni capaci di accogliersi di perdonarsi. Proprio ieri Luisa mi ha amato nonostante io non fossi stato per nulla perfetto. Questo suo atteggiamento mi ha davvero fatto pensare all’amore di Dio. Lei mi ha accolto e basta senza misurare quanto le stavo dando. Ieri ho provato tantissima riconoscenza verso di lei per essere così come è e per Dio che me l’ha posta accanto.

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Cuore di padre

Cari sposi,

            siamo all’indomani della solennità di San Giuseppe e già Antonio e Luisa hanno parlato proprio ieri di Lui. Da parte mia vorrei aggiungere questa importante notizia dal momento che tocca un profondo bisogno esistenziale del mondo di oggi: l’assenza del padre.

L’assenza della figura paterna è una delle cause, se non la principale, degli insuccessi nel benessere dei figli. Ma non solo, perché spiega uno dei motivi fondanti della profonda crisi della famiglia. Se manca il papà in una famiglia, questo si ripercuote negativamente sulla strutturazione psichica degli individui e di conseguenza poi sulla società in cui questi andranno ad interagire. Tra gli effetti negativi ci sono l’indebolimento dell’immagine maschile, disturbi della filiazione, aumento dei comportamenti di dipendenza, perdita del senso del limite (tossicodipendenza, bulimia/anoressia, pratiche sessuali reattive), difficoltà di socializzazione, ecc.

Oggi, ed è certamente un bene, in generale si concede un gran valore alla figura della mamma in quanto donna. Essa difatti è il per il bambino una fonte di sicurezza; tuttavia, non si può mai escludere il ruolo maschile-paterno. Il padre è colui che pone limiti e divieti, così importanti per strutturare ed educare il vero senso della libertà, Ma soprattutto, è grazie alla figura paterna, che il bambino impara a differenziarsi dalla madre e ad acquisire la propria autonomia psichica. Il bambino così scopre che non è lui a comandare ma che esiste una legge al di fuori di lui. In tal modo, attraverso la relazione con il padre, il bambino acquisisce anche la propria identità sessuale. È normale che, in fase di sviluppo, sia la bambina che il bambino hanno infatti la tendenza, all’inizio, a identificarsi con il sesso della madre, e tocca al padre, nella misura in cui viene riconosciuto, che permetterà al bambino di ubicarsi sessualmente.

Quanto è importante dire al mondo che c’è bisogno di buoni padri, di padri maschi nel più bel senso di questa parola! È un bene, perciò, che sia in uscita un film-documentario, sulla figura nascosta ma importantissima del Patrono della Chiesa Universale, dal titolo: Cuore di Padre. “Chi è in realtà Giuseppe di Nazareth? Abbiamo intrapreso un viaggio intorno al mondo per indagare se sia vero ciò che alcuni affermano: quest’uomo misterioso oggi è più attivo che mai. Ci soffermeremo in posti emblematici dei cinque continenti, scoprendo santuari, feste e devozioni in onore di quel falegname umile e silenzioso. Conosceremo toccanti testimonianze di persone che hanno dato una svolta alle loro vite grazie a San Giuseppe” (dalla sinossi del film). Un uomo, un maschio, un papà di virtù e qualità eccezionali che merita essere conosciuto di più e soprattutto imitato nel suo stile di vita. Per cui, buona visione!

Padre Luca Frontali

Assetati di Amore

Cinque divorzi alle spalle e un sesto in forse non è roba così comune, nemmeno tra le star di Hollywood… dove la media sta sulle due o tre rotture, eccezion fatta per Brigitte Bardot che arrivò a cinque. Per cui la donna in questione è da record

Scherzi a parte, chissà quante delusioni, forse rancori, magari risentimenti e rammarichi si annidavano nel suo cuore… chi è passato da questa dolorosissima esperienza sa cosa lascia dentro. Fosse anche stata una volta sola nella vita, sarebbe più che sufficiente quanto a sofferenza, per cui proviamo a immaginare il peso che si trascina da anni e l’amarezza che cova dentro. Gesù non è affatto estraneo a tutto ciò, anzi si è piazzato lì, davanti a quel pozzo, proprio intuendo il suo bisogno immenso di amore. Lui la sta cercando per sanare quella ferita e riempire quel vuoto! Un vuoto che nessun altro poteva colmare proprio perché “il cuore dell’uomo inganna più di ogni altra cosa: è incorreggibile. Chi può comprenderlo? Ma io, il Signore, conosco i sentimenti e i pensieri segreti dell’uomo” (Ger 17, 9-10).

Sebbene maritata per l’ennesima volta, lei, in realtà è senza uno sposo vero. Piuttosto, lo Sposo che inconsapevolmente anela è lì davanti a lei. Lo si capisce dal fatto che siamo al cospetto di un incontro nuziale sulla dei grandi incontri sponsali attorno ai pozzi, ove l’acqua è rimando all’acqua dissetante dell’amore. Sui bordi di un pozzo difatti hanno avviato un rapporto matrimoniale vari personaggi biblici: il servo di Abramo e Rebecca (Gen 24,11-27), Giacobbe e Rachele (Gen 29,1-21) e Mosè e le figlie di Raguel (Es 2,15-21). Nell’Antico Testamento, infatti, “l’acqua viva” simbolizza l’azione di Dio (cfr. Ger 2, 13; Zc 14, 8; Ez 47, 9), acqua che grazie a Gesù diventa poi “il dono di Dio” cioè la grazia spirituale, la presenza di Dio nel suo cuore che può dissetare il bisogno di amore profondo.

Quanto ha da dirci questo vangelo! Lo dico anzitutto per chi è, come voi, sposato, ma lo dico anche per chi è consacrato a Dio. La grande lezione è che il bisogno profondo di amare ed essere amato può davvero essere colmato da Cristo. Noi siamo fatti per vivere le nozze eterne con Dio e non è certamente la “carnalità” o l’innamoramento terreno che può soddisfare questa sete esistenziale, ma solo essere una via di inizio. Perciò, la vita intima di voi sposi può appagare in parte tale sete a patto che essa conduca a Dio, se l’amore fisico, corporeo, porta ad amare più il Signore. Infatti, è vero, “l’eros vuole sollevarci « in estasi » verso il Divino, condurci al di là di noi stessi, ma proprio per questo richiede un cammino di ascesa, di rinunce, di purificazioni e di guarigioni” (Benedetto XVI, Deus Caritas est, 5). Se da un lato, Cristo, con la sua Incarnazione è “sceso” perché ha preso “carne” in voi con il Battesimo e nell’Eucarestia, con il matrimonio, voi sposi, vivendo nella carne l’amore, vi incamminate verso lo Sposo, cioè Lo rendete presente e potete proiettare il Suo amore in voi e attorno a voi.

Cari sposi, la Samaritana è così anche simbolo di ogni persona ed ogni coppia che sperimenta fame e sete di amore, un bisogno vitale che qui nessuno mai potrà appagare, ma solo lo Sposo per eccellenza, reso presente nel vostro amore nuziale.

ANTONIO E LUISA

Io avevo una fede debole prima di incontrare Luisa. Andavo a Messa qualche volta ma senza avere una vera relazione con Gesù. Riconoscevo alcune cose belle della Chiesa e ne ignoravo altre. Quando Luisa è arrivata con tutto il suo bagaglio di esperienze e di storia personale fatto di una fede molto più salda e consapevole della mia io mi sono innamorato, mi sono innamorato di lei e anche del suo Gesù. Ma mi sono davvero innamorato di Gesù? Chi era il mio dio? Era Gesù o era Luisa? Credevo nel Dio eterno e perfetto o stavo costruendo la mia vita e la mia felicita su una creatura finita e fallibile, piena di fragilità e imperfezioni come tutti. Se non cerco la sorgente del mio amore e della mia vita in Cristo non sarò capace di amare la mia sposa. Non posso essere capace di amare incondizionatamente se la mia felicità, senso e pienezza è riposta solo in Luisa. 

Gesù vuole parlarti cuore a cuore

Cari sposi,

            in questo secondo “step” quaresimale ci ritroviamo sul Tabor, assistendo a un momento solenne ed unico: la Trinità appare nel suo splendore e in Essa sono pienamente coinvolti due personaggi chiave dell’Antico Testamento e tre degli apostoli, Pietro, Giacomo e Giovanni. Cosa sta vivendo Gesù in quel momento di così importante? Sta avendo un colloquio di preghiera con suo Padre, presenti Mosè ed Elia, su quello che Gli sarebbe accaduto nella Passione e Risurrezione. Magari ci fosse stato un registratore per cogliere le loro Parole!!! Di certo sarà stato per Gesù fonte di consolazione e di speranza, un prendere forza per affrontare la durezza di ciò che Gli sarebbe accaduto.

È significativo che Lui abbia voluto con sé i tre apostoli, come un modo per far arrivare a noi quell’esperienza. Possiamo, quindi, comprendere come per Gesù la preghiera diventi non un “mantra” ma sorgente di accoglienza della Volontà del Padre, contemplata nelle Scritture. È così che Gesù può trovare conferma del proprio percorso di vita, del suo «esodo che avrebbe compiuto a Gerusalemme», come si esprime Luca raccontando lo stesso passaggio (Lc 9, 31).

Così cari sposi, anche voi siete invitati a seguire l’esempio di Gesù. Anche voi siete invitati a contemplare in preghiera la Parola e a trarre da essa l’ispirazione e il consiglio di come affrontare giorno dopo giorno la vostra vocazione nuziale. Quanta ricchezza potete cogliere dal Vangelo letto e meditato giornalmente e condiviso in coppia! Quanto anela Gesù, nello Spirito, di guidarvi e portarvi alla Sua sequela!

Possa questa Quaresima essere o l’inizio o il proseguo di un ascolto condiviso della voce dello Sposo che brama ardentemente essere accolto da voi, sua Sposa, e trovare nel vostro cuore una piena risonanza.

ANTONIO E LUISA

Approfitto di questa riflessione di padre Luca per ringraziare mia moglie Luisa. Confesso che ho avuto sempre un rapporto difficile con la preghiera e la meditazione della Parola. Sono pigro e discontinuo. Se ho migliorato la mia preghiera lo devo proprio a mia moglie. E’ riuscita a rendermela più digeribile proprio vivendo dei momenti di preghiera in coppia e insistendo per farli. Credo possa essere un suggerimento utile: se vostro marito o vostra moglie prega poco e male fatevi furbi/e: rendetelo un momento piacevole di coppia.

Stupirsi della somiglianza tra matrimonio ed Eucarestia

Cari sposi,

            molto probabilmente negli studi di letteratura alle superiori vi sarete imbattuti, per piacere o dovere, nella lettura di Don Chisciotte della Mancia, questo singolare hidalgo spagnolo del 1600, ritratto del mondo medievale di fatto già estinto da un pezzo. Don Chisciotte vive di sogni e di illusioni, proiettando nel suo presente tutte quelle vicende cavalleresche divorate avidamente nei libri quali La Chanson de Roland, El Cid Campeador, La morte di Artù…

            Fatto sta che quella che nei poemi sarebbe la dama, la donna più bella e corteggiata, somma di virtù e grazia, lui, il nostro Ingenioso hidalgo la vide fedelmente riprodotta in una semplice contadina, per nulla attraente, Doña Aldonza Lorenzo, ribattezzata Dulcinea del Toboso. Cosicché, quando la Chiesa afferma che il matrimonio è una ri-presentazione dell’Incarnazione, immagine certamente imperfetta della Trinità, proiezione dell’Eucarestia e la lista potrebbe proseguire… non sta peccando di “chisciottismo” ma dice solo la sacrosanta verità.

            Qual è il vero problema qui? È la non contemplazione, è il non approfondire tali verità, è non entrarci dentro con la vita e non solo con la testa. Forse per mancanza di tempo, di voglia, di quell’occasione giusta per farlo o di una buona guida spirituale (mea culpa per le occasioni in cui non ho risvegliato questa fame in voi coppie). Fatto sta che quest’anno tra giugno e luglio ci sarà questa occasione e vi invito cordialmente a considerarla per la vostra crescita spirituale e umana come sposi credenti e in cammino. Ad Assisi il Progetto Mistero Grande organizza un convegno teologico-pastorale il cui tema sarà appunto “Dall’Eucarestia sgorga l’origine e il destino del matrimonio e della famiglia”.

            Ecco allora un momento importante per cogliere questa altissima vocazione sponsale, capirla grazie a incontri che snoccioleranno il tema in modo diretto e comprensibile e soprattutto viverla nelle adorazioni davanti a Gesù Eucarestia per immettersi corpo e anima in questo Mistero ineffabile ma allo stesso tempo a nostra portata di mano.

            Ringrazio il Signore per tutte quelle coppie che, così facendo, cioè addentrandosi nel Mistero Eucaristico ne sono uscite trasfigurate e mi hanno mostrato con la vita che Dio è Amore.

padre Luca Frontali

Benedette prove

Cari sposi,

siamo arrivati alla prima domenica di Quaresima il cui tema è la tentazione del Maligno, che, ricordiamo, non consiste per noi cristiani in un’idea astratta, frutto di fantasie malsane di monaci medievali, ma “un’efficienza, un essere vivo, spirituale, pervertito e pervertitore. Terribile realtà. Misteriosa e paurosa” (Paolo VI, Udienza del 15 novembre 1972).

Satan, l’osteggiatore, l’avversario, il divisore, si avvicina a Gesù e inizia a metterlo alla prova. Fedele al suo nome che rivela una missione, come avviene quasi sempre nella Bibbia, Satana tenta Gesù e, di conseguenza, in ognuno dei tre dialoghi, egli tenta di separarLo da qualcuno. Ma Gesù ci sta indicando come superarle e rendere un bene per noi.

Nella prima tentazione, sebbene sembri riguardante solo il cibo, in realtà, per come è presentata, Satana prova a separare Gesù dal Padre. Tenta quindi di inserirsi in questa relazione perché Lui consideri vantaggioso di diventare indipendente da Dio, oppure ne faccia tranquillamente a meno, provvedendo da sé al Suo bisogno. Come vedete, è un tipico tratto della nostra cultura in cui siamo immersi “a bagno maria” e che quindi ci può entrare per osmosi, quasi anche mentre dormiamo. E allora, voi sposi, rendete Gesù Sposo il vostro interlocutore davanti ai bisogni, le necessità, le impellenze quotidiane, ordinarie e straordinarie? Un cristianesimo “mondano”, se va bene, considera Dio come un immenso cerotto, da impiegare solo se proprio non so dove altro sbattere la testa. Ma per il resto, “ghe pensi mi”, non ne ho bisogno, ce la facciamo da soli.

La seconda tentazione è il pensare alla quotidianità come qualcosa di banale, noioso, inutile, pesante, deprimente… da cui per forza ne devo uscire con qualcosa di straordinario, emozionante, avvincente e sempre nuovo. Quante altre volte è capitato a Gesù di stornare richieste di segni e prodigi, più da Mago Silvan che da vero e proprio Messia! Dinanzi a queste situazioni le sue risposte sono state sempre del tipo: “ma non avete capito con Chi avete a che fare?” La vita ordinaria, sebbene possegga un evidente carico di monotonia e ripetitività, è pur tuttavia il vostro luogo di costruzione dei rapporti più veri e autentici che possiamo instaurare in questa vita. Una relazione sponsale necessita di andare sempre più in profondità, sapendo che Gesù è sempre con voi e la sua Grazia nuziale, effusa dal giorno del matrimonio, non fa altro che cementare e consolidare il vostro amore.

La terza tentazione è il potere e la competizione, vivere in base al calcolo di successo, ricchezza e consenso ottenuti da ciò che dico, da come gestisco figli, casa e lavoro. San José María Escrivá pronunciò una celebre omelia, passata alla storia come “vivir de cara a Dios y vivir de cara a los hombres”, cioè, vivere dinanzi a Dio o dinanzi alle persone. Si può fare il bene, anche tanto bene, ma non davanti a Dio, per vanità e ricerca di soddisfazioni personali. Una tentazione che può insinuarsi anche nella coppia, sia nel modo di comportarsi a vicenda o nella competizione su come gestiamo i compiti verso i figli o nella nostra professione. Sarebbe tanto bello e fecondo se una coppia cercasse tanta collaborazione e sinergia per fare tutto quello che fa, le cose più ordinarie, ma come offerta di amore a Gesù, per rendere contento l’Amato!

Concludo cari sposi, incoraggiandovi a vedere nelle tentazioni ordinarie un gradino che possiamo usare per appartenere di più a Cristo e a usare bene questo tempo di Grazia per la vostra conversione personale e di coppia, con uno o due propositi concreti ma vissuta con tanta motivazione per crescere nell’amore a Gesù e così facendo diventare sempre più una sola carne con Lui.

ANTONIO E LUISA

Queste tre tentazioni sono comuni a tutti noi. Almeno io mi riconosco in tutte. Certo non tutte con la stessa intensità ma sono tutte anche mie. Il matrimonio ti pone davanti a queste tentazioni. E io ho imparato, grazie anche a Luisa con il suo amore e la sua pazienza, a trovare delle armi efficaci per combattere questi pensieri che possono insinuarsi nella relazione sponsale. Luisa mi ha insegnato a ringraziare. Ho capito che tutto ciò che sono e che ho viene da Dio. Ringraziare mi permette di non dimenticarlo. Ho imparato poi a godere della mia quotidianità. Si è vero, è fatta di stress, impegni, contrattempi ma anche dalla presenza amorevole di chi ti vuole bene. Cerco di ricordarlo ritagliandomi anche solo pochi minuti per stare con Luisa, pochi minuti solo per noi, per contemplarci. Coraggio le tentazioni ci sono ma l’amore è più bello e più forte di esse!

Puntate in Alto

Cari sposi,

            una volta, davanti a un bel cappuccio fumante chiesi ad una coppia di giovani sposi: quando è stata l’ultima volta che hai provato una delusione per il tuo coniuge? Sono seguiti sguardi straniti, leggermente imbarazzati e un certo balbettio nel rispondere. In buona sostanza, ho voluto trasmettere a loro l’importanza di vivere la vita di coppia puntando sempre all’ideale che Cristo ci segnala ma anche con il realismo di chi sa che nella vita di coppia, o prima io oppure tu, ci faremo tanto male.

Proprio così ci sta sussurrando Gesù nel Vangelo. Siamo nell’epilogo del lungo discorso della Montagna. Sapete bene che Gesù – ed è solo Matteo a trasmettercelo così perché egli scrive appositamente per i primi cristiani ebrei – vuole ridare a tutto il Decalogo il suo sapore e gusto originale, senza travisamenti umani. Quindi queste ultime righe hanno un chiaro senso di riepilogo di tutto l’insegnamento. Se è vero che la Legge (di cui appunto il Decalogo fa parte) e i Profeti si riassumono in due grandi verità, che ben conosciamo, allora: che tipo di amore prospetta qui Gesù? Lui punta decisamente in alto, non accetta la mediocrità su cui spesso noi ripieghiamo. Ma sorprende che non lo fa a suon di giudizi moralisti o deontologie perché ciascuna parola è stata fedelmente applicata da Gesù per primo.

Cosicché, sentiamoci tutti implicati in questa sfida. Nessuno di noi, nessuna coppia, nessuna famiglia può sfuggire alla provocazione di amare qualcuno che, in qualche momento, in determinate circostanze, per “x” cause, non merita affatto di essere amato, aiutato, perdonato. Se applicassimo la fredda giustizia, quante volte io, noi, per primi avremmo dovuto essere allontanati, puniti, condannati? L’amore nuziale, essendo di sua natura eco e ripresentazione di questo amore di Cristo per ciascuno di noi, non può che puntare così in Alto. Altrimenti non sarebbe Amore, ma utilitarismo.

È chiaro che saremmo squilibrati se osassimo ambire a un tale livello con le sole nostre forze. Ci hanno già provato in passato i filosofi stoici ma non mi pare che abbiamo avuto grande seguito. Eppure voi coppie, nel momento stesso che ricevete una chiamata ad amare così grande, avete anche Lo Sposo per eccellenza con voi. Chiudo citando per intero un numero della Lettera alle famiglie che San Giovanni Paolo II in cui vi ricorda il grande segreto e la forza speciale che avete per il dono nuziale che è in voi:

In tal modo, cari fratelli e sorelle, sposi e genitori, lo Sposo è con voi. Sapete che Egli è il buon Pastore e ne conoscete la voce. Sapete dove vi conduce, come lotta per procurarvi i pascoli nei quali trovare la vita e trovarla in abbondanza; sapete come affronta i lupi rapaci, pronto sempre a strappare dalle loro fauci le sue pecore: ogni marito e ogni moglie, ogni figlio e ogni figlia, ogni membro delle vostre famiglie. Sapete che Egli, come buon Pastore, è disposto ad offrire la propria vita per il suo gregge (cfr Gv 10, 11). Egli vi conduce per strade che non sono quelle scoscese e insidiose di molte ideologie contemporanee; ripete al mondo di oggi la verità intera, come quando si rivolgeva ai farisei, o l’annunziava agli Apostoli, i quali l’hanno poi predicata nel mondo, proclamandola agli uomini del tempo, ebrei e greci. I discepoli erano ben consapevoli che Cristo aveva tutto rinnovato; che l’uomo era divenuto « nuova creatura »: non più giudeo né greco, non più schiavo né libero, non più uomo né donna, ma « uno » in lui (cfr Gal 3, 28), insignito della dignità di figlio adottivo di Dio. Il giorno della Pentecoste, quest’uomo ha ricevuto lo Spirito Consolatore, lo Spirito di verità; ha avuto così inizio il nuovo Popolo di Dio, la Chiesa, anticipazione di un nuovo cielo e di un nuova terra (cfr Ap 21, 1).

ANTONIO E LUISA

Quanto è vero quello che scrive padre Luca. Luisa mi ha sempre amato e questo è meraviglioso. Perchè io non sono sempre stato meraviglioso. Spesso non lo sono stato. Eppure lei c’è sempre stata. Quanti perdoni, quanta misericordia. Sono stato anche nemico per lei. Succede che le nostre fragilità ci inducono a tirare fuori le nostre parti più spigolose e meno belle. Ecco in quei momenti lei c’è sempre stata. Ha cercato di amarmi anche così e di donarsi per come poteva. Non c’è forza più grande di fare esperienza di un amore così. Il matrimonio è meraviglioso anche per questo. Mi sono sentito amato da lei soprattutto in quei momenti, proprio perchè non meritavo il suo amore. Questo è il modo di amare di Dio e noi dobbiamo almeno provare a fare altrettanto.

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Cristo l’Unico Sposo

Cari sposi,

            di recente ho letto una notizia, di per sé – ahimè – non così rara che menzionava l’ennesimo caso di abbandono sacerdotale per motivazioni affettive. Commentando il caso, l’autore dell’articolo ne approfittava per proseguire con una riflessione sul celibato sacerdotale e arrivando ad affermare, in fin dei conti, che dovrebbe essere una scelta personale invece di un obbligo legato al sacramento dell’Ordine. Tema non nuovo, non fosse altro perché tornato alla ribalta nel Sinodo per l’Amazzonia (2019). Per cui, non sarò io ad avere l’ultima parola in materia ma sono comunque convito che questo argomento in fondo abbia una profonda ricaduta sul matrimonio.

Spesso gli argomenti a favore del prete cosiddetto “uxorato” sono basati su un crudo realismo: non chiunque riesce a vivere la castità. Quindi: libera tutti! Concediamo finalmente il lasciapassare anche a questa esigenza personale. Vedo in tutto ciò un pericolo per lo stesso matrimonio, nonché per il sacerdozio. Su cosa si basa infatti la castità sia sacerdotale che matrimoniale? Qual è la motivazione ultima, ciò che le dà veramente consistenza? Siamo forse casti, preti e sposi, perché lo dice il Vaticano? Dietro alla castità si cela nientemeno che la fede nella Risurrezione. Noi crediamo fermamente che Gesù è vivo, presente in mezzo a noi. Il suo Corpo Glorioso è sì in Cielo ma comunque Egli è tra noi, non solo nell’Eucarestia ma si rende presente in tanti altri modi e Lo possiamo sperimentare personalmente. È a Lui che noi, sposi e preti, diamo la vita. Se mancasse Lui, allora non avrebbe senso il tipo di vita che conduciamo. Noi preti, non sposandoci con una persona concreta, doniamo direttamente la vita a Cristo perché crediamo che Lui, Persona vera e reale, può davvero essere il nostro Tutto, intellettualmente, affettivamente, sessualmente. Voi sposi, unendovi a una persona concreta, vi donate assieme – non più solo singolarmente – a Cristo Vivente e Presente e così rendete presente il Suo amore in tutte le dimensioni della persona. Senza la consapevolezza che Cristo è qui con noi ed è Lui che dà il senso ai nostri sacramenti, la castità sarebbe veramente una castrazione e il matrimonio il “rimedio alla concupiscenza”.

Cari sposi, spero di aver reso più chiara l’idea di come dobbiamo aiutarci a vicenda. Le nostre vocazioni sono speculari: se uno zoppica l’altro cede; se uno corre, l’altro galoppa. Perché chi ci lega è l’Unico e Vero Sposo della nostra vita: Gesù Cristo, che è rimasto qui con noi e cammina a nostro fianco ogni giorno. Lo stare con Lui ci dona gioia e forza, ed è questa certezza il grande regalo che ci facciamo a vicenda, sposi e preti, per perseverare fino a quell’Abbraccio finale con il nostro Amato.

padre Luca Frontali

Coppia cristiana, DOCG

Cari sposi,

            la scorsa estate ho realizzato con alcuni confratelli una bella ed impegnativa passeggiata in alta quota sulle Alpi. Il dislivello tra il punto di partenza e di arrivo è stato di oltre 1500 mt e la cima superava abbondantemente i 3000. Il sentiero era abbastanza serpeggiante e in alcune occasioni faceva giri strani sui costoni della vallata, addirittura a momenti scendeva invece di salire. Comunque, solo quando siamo arrivati ad una certa altezza e ci siamo volti indietro, abbiamo realizzato il motivo del percorso così movimentato: chi ha disegnato il sentiero, conosceva bene la zona e tra le varie cose, lo ha fatto passare proprio laddove la roccia era più solida e resistente alle intemperie.

 La situazione, più o meno, si ripete nel vangelo odierno in cui Gesù reinterpreta tutta la Legge di Mosè. Cosa vuol dire che Lui “non abolisce ma porta a compimento”? Fondamentalmente significa che Gesù conferisce il senso vero e proprio alle Dieci Parole, depurandole da quell’alone di Codice Stradale in cui si stavano tramutando.

Una mente umana non sarebbe riuscita a cogliere i motivi ultimi e più profondi sottesi ad ogni comandamento. Ci voleva lo stesso Autore per donarci il perché, il fine, la spiegazione completa. Solo ponendoci nella mente di Dio possiamo capire il senso della nostra vita e, per voi sposi, del vostro matrimonio, proprio come è stato necessario arrivare molto in alto per cogliere la saggezza di chi ha disegnato quel sentiero. Il mainstream ci martella di continuo: Perché l’amore sponsale è solo tra uomo e donna? Chi ha detto che è chiamato alla fecondità? Come mai è indissolubile? Per quale motivo no al divorzio? Chi si è mai inventato ‘sta storia di non usare i contraccettivi? Più o meno questi i quesiti che pullulano nei media…

In fin dei conti tutti i nostri perché, assolutamente legittimi e ammissibili, non troveranno mai una risposta esauriente se non entriamo nella mente e nel cuore di Dio, che ha stabilito ogni cosa con misura, calcolo e peso (Sap 11, 20). Capite quindi quanto sia urgente che voi sposi facciate esperienza della Sapienza infinita di Dio su di voi, che non sia solo un discorso cerebrale ma una convinzione esperienziale. Siete la prova vivente del Mistero Grande a cui ha accennato estasiato San Paolo in Efesini 5. In voi si specchia l’amore trinitario, sebbene coesista con tutti i difetti e limiti personali e di coppia. Il matrimonio sacramentale è, nella mente di Dio, il dono più grande che Egli abbia mai escogitato per due innamorati. In voi sposi si vede nitidamente il senso della restaurazione che Gesù è venuto a compiere. Se il VI e IX comandamento erano una protezione all’amore coniugale da ogni slancio egoista o utilitarista, con Cristo al matrimonio viene dato il vero impulso e spinta affinché giunga a maturazione e sia veramente un dono totale, sincero e mutuo tra coniugi. Cari sposi, con Cristo sì ce la potete fare a vivere quell’aspirazione e desiderio con cui siete partiti nella vostra avventura di amore pochi o molti anni orsono! Come ha detto molto bene Papa Francesco: È davvero un disegno stupendo quello che è insito nel sacramento del Matrimonio! E si attua nella semplicità e anche nella fragilità della condizione umana. Sappiamo bene quante difficoltà e prove conosce la vita di due sposi… L’importante è mantenere vivo il legame con Dio, che è alla base del legame coniugale. E il vero legame è sempre con il Signore (Udienza, 2 aprile 2014).

ANTONIO E LUISA

In questo caso mi sento di portare semplicemente ciò che ho capito nel mio matrimonio con Luisa. Ho imparato ad amare i comandamenti declinati in quella che è tutto l’insegnamento morale della nostra Chiesa. Il matrimonio mi ha permesso di comprendere la bellezza di abbracciare la legge di Dio, una legge che è fatta per rendere le nostre relazioni sempre più autentiche e sempre più piene, in particolare la relazione matrimoniale che è la più profonda e completa di tutte. Il matrimonio mi ha permesso di capire che la legge di Dio è fatta per la nostra gioia e non per frustrarci. I comandamenti non imprigionano ma ci aiutano ad essere davvero liberi di farci dono l’uno per l’altra.

Perché il mondo assapori e veda la Comunione

Cari sposi,

nel mio percorso di sacerdote ho ricevuto la bellissima testimonianza di conversione di una donna in carriera, tanti soldi e successo professionale, finché il Signore portò a tutt’altra vita, al servizio dei poveri ed emarginati. Una frase della sua vicenda mi colpì in modo particolare: Quando non conoscevo Gesù, tutto quello che sperimentavo nella mia vita mi sembrava insipido, come non avessi olfatto e gusto. Dopo invece, le stesse cose avevano tutt’altro sapore!

Pensate ai tramonti o albe più impressionanti che ricordate. Quelle tonalità mozzafiato di luce rosea, rossastra, arancione, violacea… in pochi secondi si tramutano in grigiore e oscurità, senza alcuna attrattiva…ed è esattamente lo stesso cielo. Oggi Gesù ci provoca nuovamente. Palando ai destinatari delle beatitudini, il Vangelo della domenica scorsa, Gesù oggi rivolge nuove parole, il punto è la identità di discepoli, chiamati ad essere sale della terra e luce del mondo e sollecita due sensi molto usati: gusto e vista.

Faccio alcune premesse per capire le immagini usate da Gesù. Anzitutto il sale, un elemento assai prezioso nell’antichità, quando non esistevano conservanti né frigoriferi. Era infatti l’unico modo per mantenere i cibi intatti e per questo così ricercato tanto da diventare moneta di scambio, da cui il termine “salario”, ossia lo stipendio nell’antica Roma per i soldati. Ma nella Sacra Scrittura il sale ha anche un valore simbolico, era infatti un elemento di comunione tra alleati, e aggiungere sale all’offerta per i sacrifici significava ribadire il patto di alleanza con Dio come anche la comunione con Lui. Lo si vede chiaramente in due passaggi, Numeri 18,19 e il secondo libro delle Cronache 13,5 in cui si riferisce di una “alleanza di sale”, un patto inviolabile, stipulato davanti al Signore.

Inoltre, riguardo alla luce, essa, la luce simboleggia sia Dio, salvatore del suo popolo (Sal 27,1: 2 Il Signore è mia luce e mia salvezza), come la sua Legge (cf. Sal 119,105: Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino) e in modo particolare il Servo di Jahvé, chiamato proprio “luce del mondo” (cf. Is 42,6: Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia e ti ho preso per mano; ti ho formato e ti ho stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni). Per tutti questi significati, Gesù oggi viene a dirci il sale e la luce si devono trovare soprattutto nella vita di chi crede in Lui. Significano la verità, il senso nuovo all’esistenza che i cristiani sono chiamati a donare a chi proprio non vi riesce a trovarlo. E come si applica questo alla vita di coppia?

Sia la luce che il sale sono beni “relazionali” perché sono mezzi e non fini. Noi non vediamo la luce ma tramite la luce e non mangiamo il sale ma lo dosiamo con cura per insaporire le pietanze. Allo stesso modo il matrimonio è un mezzo per raggiungere la comunione con Dio. In questo blog non siamo ossessionati dalle nozze ma abbiamo compreso dal Signore e dalla Chiesa che il sacramento degli sposi è una grazia immensa perché le famiglie, le società, il mondo viva l’unità di cui Gesù è venuto a darci il sommo esempio: perché tutti siano una cosa sola (Gv 17, 21).

Il matrimonio famigliarizza il mondo, cioè è chiamato a dare un tocco di casa, di fraternità, di comunione: “Dio ha affidato alla famiglia il progetto di rendere «domestico» il mondo” (Amoris Laetitia, 183)! Ecco il vostro essere sale e luce. Voi stessi ve ne accorgete: l’apporto e il contributo di un matrimonio unito e che ama i propri figli e irradia una vera testimonianza di amore ha un effetto reale e duraturo, anche a distanza di tanti anni.

ANTONIO E LUISA

Padre Bardelli, la nostra guida spirituale per tanti anni, diceva sempre durante i suoi corsi che una coppia di sposi era meglio non si impegnasse nella pastorale familiare senza aver almeno dieci anni di matrimonio. Il senso delle sue parole era chiaro. Noi sposi non evangelizziamo con quello che diciamo se non in minima parte. Certo è importante prepararsi, è importante essere consapevoli di cosa sia il nostro sacramento, ma quello che passa è soprattutto chi siamo. Noi sposi possiamo evangelizzare anche senza dire tante parole. Siamo chiamati a testimoniare ciò che siamo. Siamo una comunione di persone che cercano di amarsi e di perdonarsi ogni giorno. Ho in mente tante coppie della mia parrocchia, dell’associazione di cui facciamo parte e anche tante coppie amiche che sono potentemente evangelizzatrici. Lo fanno vivendo. C’è Ettore, uno sposo che resta fedele al sacramento seppur abbandonato, ci sono Simona e Andrea che sono usciti dalla sofferenza di non poter avere figli ed ora sono fecondi in mille modi, ci sono Giovanni e Caterina che si sono aperti alla vita con sette figli, ci sono Riccardo e Barbara che si donano completamente ai poveri e agli ultimi nella missione. Queste sono coppie che anche senza parlare possono portare luce e sale su questa terra. Fortunatamente ce ne sono tante altre. Coraggio cari sposi, mettiamo un po’ di sale in questo mondo con la nostra vita.

Santa dopo un matrimonio nullo

Vorrei dedicare questo breve articolo a raccontare i tratti della vita di una santa che sicuramente non è mai entrata nel vostro raggio di azione ma la cui storia cela una grande verità e rivela un luminoso esempio per la vostra vocazione nuziale. Oggi la Chiesa venera Santa Giovanna di Valois (1464-1505), prima regina di Francia in quanto moglie di Luigi XII, ritenuto il “padre del popolo francese”. Sebbene di famiglia nobile non ebbe affatto una vita facile, anzi, tutt’altro, la sua esistenza fu costellata di grandi sofferenze che seppe affrontare con grande fede e virtù.

Com’era abitudine all’epoca, fu data in moglie giovanissima, per scelta del padre, a Luigi di Orléans, il futuro re Luigi XII, ed il matrimonio avvenne nel 1476, quando lei contava solo 12 anni. Non ci fu una vera convivenza con il marito, il quale era tutto dedito alla carriera militare e politica. Anzi, ne venne proprio trascurata, complice anche, al dire dei cronisti dell’epoca, i suoi difetti fisici, probabilmente gobba e zoppicante di una gamba.

Quando Luigi di Orléans divenne re con il nome di Luigi XII nel 1498, egli volle ripudiare la moglie Giovanna e scelse la via canonica della nullità. Facendo leva su tutto il suo peso politico, influì sull’esito finale e poté risposarsi con la vedova del suo predecessore, Anna di Bretagna. Per Giovanna a quel punto inizia un nuovo capitolo. Da sempre contraria alla decisione del marito, continuò a dedicarsi in corpo e anima ai poveri e bisognosi, fino a fondare una congregazione religiosa di ispirazione mariana, l’Ordine dell’Annunziata di Bourges.

La santità di Giovanna consistette di un un ardente fede e amore che seppe dirigere anzitutto al marito, nonostante i rifiuti e le umiliazioni ricevute. Diede prova di carità eroica e perdono in occasione della prigionia di Luigi, caduto in disgrazia dinanzi a Carlo VIII. Fu proprio lei a chiedere e ad ottenere dal re di risparmiargli la vita, senza tuttavia che tale gesto, in seguito, abbia mutato l’atteggiamento di Luigi nei suoi confronti.

Il nocciolo di tutta la sua vicenda sta nel fatto che Giovanna ha posto il fondamento della sua vita e della sua fede in Cristo. Sappiamo che è il Battesimo il momento della nostra vera rinascita, in cui la nostra vita si innesta in quella di Dio stesso (cfr. Rm 6, 3, 11). È dal lì che noi riceviamo la forza, l’amore, direi anche l’autostima e il coraggio di vivere con gioia e serenità in ogni situazione di vita. È la prima verità su cui si cementa la nostra vita e sappiamo che Dio è una roccia inamovibile (Sal 17, 3).

Solo su questa verità se ne può costruire un’altra, appunto il matrimonio. Esso è un’alleanza di amore tra due persone che sanno di essere amate da Dio e ne vogliono fare un dono reciproco, per sé e per altri. Il matrimonio deve essere quindi vissuto nella verità, cioè in una retta intenzione ed essendone adatti. La Chiesa nella sua bimillenaria esperienza ha fissato ciò che in cambio rende nullo il sacramento, sebbene sussista una relazione di tipo affettivo-psicologico tra i nubendi. Vi sono infatti 12 impedimenti (cann. 1083-1094), 9 vizi del consenso (cann. 1095-1103) e i difetti di forma (cann. 11041109).

Se viene meno la verità nella relazione sponsale, ci insegna Santa Giovanna, non per questo la vita cristiana perde di senso e valore. Il suo esempio, sebbene ci paia così lontano da noi, al contrario rivela l’importanza di mettere al centro Cristo nella coppia e di vivere nella verità, sempre e comunque, a qualsiasi costo. Cari sposi, la bellezza del matrimonio è anche la sua continua necessità di essere rinnovato liberamente, come recita quella bella preghiera: “Signore, lasciami libero, perché ogni giorno possa di nuovo scegliere Te”. E vale sia per Cristo che per il coniuge.

Padre Luca Frontali

Poveri sposi!

Cari sposi,

non voglio raccontare nessuna vicenda triste di qualche coppia, presa dalla cronaca nera, ma solo far presente che la povertà è al centro della prima lettura, del salmo, della seconda ed è l’incipit del Vangelo. Mi sa che il Signore voglia dirci qualcosa in questo modo…

Come vorrei una chiesa povera! esclamò una volta Papa Francesco (Discorso ai rappresentanti dei media, 13 marzo 2013). Cioè dovremmo tutti vivere in baraccopoli, vestire abiti usurati e vecchi, con lavori precari e miseri…? Evidentemente no. La povertà evangelica è forse una delle virtù più difficili da incarnare, non per nulla è la prima della beatitudini del Vangelo odierno e per lo stesso motivo il portale di ogni forma di vita religiosa. Come definire la povertà di cui ci parla Gesù oggi? Non trovo migliore spiegazione che l’esclamazione di San Tommaso quando vide finalmente il Signore Risorto: Mio Signore e mio Dio (Gv 20, 28), parole poi riecheggiate sulla bocca di San Francesco di Assisi come mio Dio e mio tutto! (Bartolomeo da Pisa, De conformitate vitae B. Francisci ad vitam Domini Iesu, 1399). San Francesco, modello supremo della virtù e beatitudine della povertà, ce ne svela così il vero senso con la sua vita stessa.

 Per lui, come per tutti i santi, Cristo è diventato la pienezza di vita e infatti il nostro cuore non troverà altrove una Persona che possa donarci di più di Lui. Alla luce di questo si comprende come anche la vita matrimoniale ha radicalmente bisogno di sperimentare questa verità. Sì certo, ma in che modo? Non è forse povertà quella che voi sposi avvertite quando, a un certo punto del cammino sponsale, la “benzina” della spinta iniziale va in riserva e appare sempre più chiaramente – se si è onesti con sé stessi – che la ragion d’essere dello stare insieme non è più solo la bellezza fisica, l’attrazione sessuale, certe qualità del carattere o addirittura i figli. Sono tutte cose belle e sante, ma in fondo al cuore c’è uno spazio che nulla di tutto quanto ho menzionato può completare.

Una coppia di cari amici mi condividevano un vissuto personale: a un certo punto della vita ci siamo resi conto che non riusciamo ad amarci come vorremmo ed arriviamo a toccare questo limite. Sono veramente grato a loro di una così schietta sincerità che, lungi dal prostrarli, li spinge a cercare in Dio quella pienezza di amore in cui vogliono vivere. Ecco allora che le nostre povertà e incapacità, possono, anzi, devono diventare l’umile confessione che Solo Dio basta (Santa Teresa D’Avila, Poesia, 30) e che Cristo è il Vostro Tutto.

Non temete, cari sposi, la vostra povertà, il Signore sa di quale pasta ci ha fatti e non teme il limite e nemmeno il peccato. Siamo noi che dobbiamo fare “tesoro” di quello che siamo, della nostra storia con le sue ferite o cadute, per riconoscerci debitori e assetati di mettere al centro della nostra esistenza la Persona di Cristo, lo Sposo della vostra coppia.

ANTONIO E LUISA

Padre Luca mi offre un assist che non posso non cogliere. Ne ho parlato tante volte. Mia moglie non può essere il mio tutto. Ho rischiato di cadere in questa logica. Ho rischiato di riporre in lei ogni mia aspettativa di pienezza. Ho rischiato di mettere sulle sue spalle il peso di dover soddisfare quella fame d’amore, di essere amato, che io avevo e anche adesso ho. Ho passato tutto il matrimonio, che dura da vent’anni, a cercare di staccarmi da lei. Staccarmi da lei non significa non amarla, ma significa amarla nel modo giusto. Perchè solo se sarò capace di nutrire la mia relazione con Gesù, sarò capace di amarla senza condizioni. Sarò capace di amarla per primo e sempre. Quindi cari sposi vi faccio lo stesso augurio che faccio a me stesso: sentitevi poveri per poter attingere all’unica fonte che non si esaurisce mai, l’amore di Dio. Se cercate quella fonte l’uno nell’altra non farete altro che rubarvi quel poco amore che custodite nel cuore, per riempire voi svuoterete l’altro. Solo Dio è una fonte che non si esaurisce mai. Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. (Gv 4, 13-14)

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Convertirsi in coppia

Cari sposi,

            siamo entrati a pieno ritmo nel Tempo Ordinario, seppur breve dal momento che non è così lontana la Quaresima. Oggi Gesù, dopo il suo Battesimo al Giordano, inizia ufficialmente la vita pubblica, il suo ministero ossia servizio attivo a ciascuno di noi, con una vita itinerante, fatta di preghiera, digiuno, predicazione e miracoli. È interessante che la prima parola di Gesù sia: “convertitevi”. Mi soffermo subito qui perché contiene una grande ricchezza e non da ultimo perché è rivolta al plurale, ovviamente alle folle, ma la possiamo anche applicare alla coppia.

            Esiste una conversione di coppia? Certamente! Anzi è assai desiderabile e da chiedere nella preghiera. Ma, non è anche vero che ognuno dei due ha il suo ritmo, il suo percorso, i suoi tempi e quindi bisogna andarci piano con le cose fatte assieme? Pure vero ma il Signore quando consacra l’amore nuziale di una coppia, oltre a due figli di Dio, vede anche una sola carne, una relazione che ha un suo percorso di vita e una sua vita spirituale. Ecco allora che colgo l’occasione per farmi eco di Gesù e stimolarvi a chiedere la grazia di una conversione di coppia. “Ma che? Siamo per caso miscredenti?” La conversione non è riservata per chi non conosce Cristo ma è un dono per tutti, una grazia che il Signore vorrebbe toccasse ogni cuore.

            Papa Francesco ci dice: “La famiglia è chiamata a condividere la preghiera quotidiana, la lettura della Parola di Dio e la comunione eucaristica per far crescere l’amore e convertirsi sempre più in tempio dove abita lo Spirito” (Amoris Laetitia 29). In fondo la conversione di coppia cos’è? “L’atto stesso della conversione è evocato in parabole molto espressive. Implica una volontà di cambiamento morale, ma è soprattutto umile appello, atto di fiducia: «Mio Dio, abbi pietà di me peccatore» (Lc, 18, 13). La conversione è una grazia dovuta all’iniziativa divina che previene sempre: è il pastore che muove alla ricerca della pecora smarrita (Lc 15, 4 ss; cfr. 15)” (X. Leon-Dufour, Dizionario Biblico).

            Quindi la conversione è un dono che il Signore fa ma è anche frutto di un’incessante preghiera perché il cuore di voi sposi sia sempre più docile e malleabile alla Sua Volontà. Mettiamoci anche noi a questa scuola e lasciamoci coinvolgere da questo appello accorato ed affettuoso di Cristo.

ANTONIO E LUISA

Sapete qual è una delle cose belle del matrimonio? Che è specchio della nostra relazione con il Signore. L’amore per Dio è forza e sostegno. Tutte quelle volte che faccio fatica a stare con Luisa, che sono nervoso, che avrei voglia di rispondere male, che mi irrita il comportamento di Luisa ricorro alla mia relazione con Dio. Ho imparato a non reagire d’impulso. Ho imparato a mettere tutto nelle mani del Signore, a scaricare rabbia e tensione nel modo giusto nello sport, e solo poi a cercare un confronto con Luisa. Il Signore è davvero un argine alla mia fragilità. D’altro canto la mia relazione con Luisa mi permette di dare un corpo, una voce, dei gesti concreti, alla mia relazione con Dio. Dio non lo vedo ma so che mi ama attraverso Luisa. Ed ogni gesto d’amore da parte di Luisa so che è una manifestazione concreta dell’amore di Dio che si rende visibile. Quindi la mia fede per Gesù mi aiuta ad amare sempre meglio Luisa e l’amore di Luisa per me rende la mia relazione con Gesù qualcosa di concreto e di visibile. Questo è ciò che è stata per noi la conversione di coppia.

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Aumentano i santi sposi!

Cari sposi,

            stavolta vi do proprio una bella notizia: i santi sposi sono in aumento. A dirlo è nientemeno che Padre François Marie Léthel, carmelitano scalzo, che da tanti anni lavora presso la Congregazione delle Cause dei Santi e si è specializzato proprio nella teologia della santità. Gli ultimi anni, specie a partire dalla beatificazione dei coniugi Beltrame-Quattrocchi (21 ottobre 2001), l’attenzione della Santa Sede è rivolta non solo più alle singole persone ma anche alle coppie che assieme arrivano in Cielo. Segno di una maggior presa di coscienza di quanto il matrimonio sia chiamato alla santità, come ha espresso più volte il Magistero della Chiesa (il Cap. V della Lumen Gentium dedicato al tema della santità fino alla recente enciclica Gaudete et Exultate in cui Papa Francesco ribadisce la vocazione ad essere santi nel mondo contemporaneo).

            I Beltrame-Quattrocchi hanno per così dire aperto una nuova via affinché altri sposi giungessero agli Altari del Cielo. Difatti, poco dopo fu il turno di S. Luigi e S. Zelia Martin, genitori di santa Teresa di Lisieux beatificati da Benedetto XVI (2008) e canonizzati da Papa Francesco (2015). In questi anni sono sotto la lente di ingrandimento della Congregazione delle Cause dei Santi altre coppie di sposi. Per esempio, papa Francesco ha già riconosciuto le virtù eroiche di due coppie, la prima sono in coniugi Carlo Tancredi (1782-1838) e Giulia Colbert (1785-1864), marchesi di Barolo e la seconda, i modenesi Sergio e Domenica Bernardini. Trattandosi di una coppia, bisogna certamente valutare con attenzione la vita di ciascuno degli sposi, perché la santità dell’uno potrebbe non corrispondere all’altro (vedasi santa Monica, mamma di S. Agostino, moglie di Patrizio, un pagano fino a ricevere il battesimo solo in punto di morte).

Sono già beati invece Jozef e Wiktoria Ulma con i loro 7 figli martiri, con il settimo ancora in grembo materno, primo caso in tutta la storia documentata della santità! Subito dopo è il turno dei Servi di Dio Cyprien et Daphrose Rugamba anch’essi in cammino con i loro figli Martiri, vittime innoncenti del genocidio del Ruanda (1994). In tutto ciò non si vede casualità, piuttosto un percorso condiviso di vita cristiana, in cui i coniugi arrivano alla santità attraverso una relazione vera, vissuta, in cui l’uno aiuta l’altro, mantenendo ciascuno i propri ritmi e le proprie peculiarità.

Cari sposi, è bello, stupendo venire a sapere queste cose, per me è stato motivo di grande gioia, in un mondo in cui l’infedeltà, la rottura del patto coniugale e la mediocrità di vita sembra essere per forza il modus vivendi. Questo è segno della perenne vitalità e azione dello Spirito Santo che se la ingegna per innalzare ed elevare il nostro stile di vita, di suo tendente al ribasso. È un consolante incoraggiamento ad assecondare il Dolce Ospite dell’anima perché anche nella vostra vita compia altrettante meraviglie.

padre Luca Frontali

Battezzati nello Spirito

Cari sposi,

la scena del Vangelo odierno è una prosecuzione di quello della domenica scorsa. Siamo sempre al Giordano, quando Gesù volle essere battezzato da suo cugino. Ora però a parlare non è il Padre ma proprio lui, il Battista, e vorrei soffermarmi su una sua frase: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo” (Gv 1, 33).

In effetti, Gesù ci porta lo Spirito Santo, che è l’Amore che intercorre tra Lui e suo Padre. Lo Spirito impregna tutto il suo cuore, il suo respiro, la sua “anima” e per questo può donarcelo realmente, può “battezzarci nello Spirito Santo”. Ma che significa questa espressione? Se battezzare vuol dire immergere, tuttavia lo Spirito è spirito, non liquido. In realtà, per traslazione, Gesù intende dirci che ci fa dono, e lo fa in abbondanza, dello Spirito Santo. Ossia Gesù non ci dona solo un “tocchetto” ma immergendoci in Lui, ci regala la sua pienezza infinita di Vita, di Amore e di Gioia divina. Gesù è estremamente generoso e ci vuole inondare di tutti questi beni.

Tuttavia, attenzione! Sempre Giovanni Battista ha fatto notare, in un altro passaggio, che Gesù battezza “in Spirito Santo e fuoco” (Lc 3, 16) e lo stesso Gesù fa tale accostamento riferendosi alla sua passione (cfr. Gv 12, 49-50). Questo per farci capire che il Battesimo dello Spirito agisce come il fuoco, ossia, Egli non distrugge ma trasforma, cioè dà una nuova forma a ciò che tocca, come avviene su un pezzo di legno o una barra di ferro o un lingotto d’oro. Parimenti, Gesù brama di consegnarci il fuoco divino dello Spirito affinché “trasformi” profondamente le nostre vite e le renda piene di amore.

Ora veniamo a voi, cari sposi. Su di voi è stato effuso più volte lo Spirito Santo. È avvenuto singolarmente nel Battesimo e nella Cresima sigillando la vostra anima. Tale effusione si rinnova ad ogni vostra Comunione e Confessione. Ma c’è anche un’effusione sulla vostra coppia, che è avvenuta durante il rito del matrimonio e permane in modo stabile. Ma Essa si rinnova ad ogni incontro intimo, vissuto nella sua completezza. Ad esso si riferisce in modo discreto e rispettoso Papa Francesco quando scrive: “L’unione sessuale, vissuta in modo umano e santificata dal sacramento, è a sua volta per gli sposi via di crescita nella vita della grazia” (Amoris Laetitia, 74). Detto in modo più chiaro da Antonio e Luisa: “Come nell’Eucarestia lo Spirito Santo entra in noi, così nell’amplesso fisico degli sposi c’è una nuova effusione dello Spirito che rinnova e perfeziona i doni di Grazia che abbiamo ricevuto il giorno del nostro Matrimonio” (Sposi, profeti dell’amore, Tau Editrice, p. 75).

Perciò, con tutta questa abbondanza e ricchezza di doni, non lasciamo, non lasciate che lo Spirito resti inerte in voi. Lui viene, scende, soffia ma non violenta mai la nostra libertà, non ci prende per il collo. Sta solo a noi essere docili alla Sua voce, al contrario, succederebbe come dice san Paolo in Efesini 4, 30 che lo “rattristeremmo”, cioè renderemmo inutile ogni suo sforzo per colmarci di Amore. Ecco allora che appare chiaro come il Battesimo che Cristo fa su di voi sposi sia certamente a partire dallo Spirito ma poi si vuole incarnare e inserire nei vostri corpi perché tutta la vostra vita, mente, cuore, spirito e corpo sia trasformato dal Suo amore.

ANTONIO E LUISA

Ringraziamo padre Luca per la citazione. Vogliamo completare questa bellissima riflessione di padre Luca non con un’altra riflessione, ma con la nostra testimonianza. Cari sposi investite sulla vostra intimità. Preparatela in una vita caratterizzata dall’impegno costante dell’uno verso l’altra. Liberatela dalla lussuria, dalla pornografia e da tutte quelle fantasie che spingono ad usare l’altro. Purificate il vostro cuore con la confessione. E donatevi nella gioia e nell’abbandono reciproco. Quello che ne avrete in cambio sarà un’esperienza meravigliosa di comunione e un’effusione di Spirito Santo che vi darà forza e sostegno per i giorni a venire.

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