Guarigione permanente

Cari sposi, sarà perché vengo da una famiglia di medici ma fin da piccolo mi è sembrato così naturale pensare a Gesù come il medico che ci cura dai nostri mali. Lo dice chiaramente S. Agostino: “è medico divino, il quale perciò, pur essendo Dio, si fece uomo affinché l’uomo si riconoscesse uomo. È una medicina molto efficace” (Discorso 77, 7, 11).

Questo brano evangelico rientra nella prima parte dell’esposizione di Marco in cui egli ci fa capire come Gesù non opera solo guarigioni, ma addirittura è in grado di supera l’ostacolo più insormontabile: la morte. Nel testo troviamo due donne che vivono, ognuna a modo loro, un’esperienza di lontananza da Dio che potrebbe portare alla morte, in entrambi in casi attinente all’impurità. Nel primo caso per un ciclo che non finiva più, una sorta di ipermenorrea, nell’altro per l’arrivo inaspettato della morte.

La figlia di Giàiro ha dodici anni, non è una bambina ma per quei tempi una neomaggiorenne, pronta matrimonio e in quanto della famiglia del capo della sinagoga, simboleggia il popolo d’Israele. Ahimè è morta giusto nel fiore degli anni e questo significa l’infecondità del popolo eletto se non riconosce il proprio Messia ma vive unicamente una fede fatta di riti, regole e norme moralistiche.

L’emorroissa, invece, a causa delle fuoriuscite di sangue, soffre la lontananza obbligata che le imponeva la Legge (cfr. Lv 15,19-24). Entrambi i personaggi, in fin dei conti, non possono servire il Signore né entrare nel tempio, men che meno entrare in relazione con gli altri. Malattia, solitudine, peccato… morte.

Cosa cambia tutto? Un semplice tocco. Quanti problemi vorremmo noi risolvere con un semplice tocco… ma ci è il più delle volte impossibile. Per Gesù non è così. Nella sua onnipotenza gli basta questo semplice gesto per concedere una grazia.

Perché è così? Spiega S. Tommaso d’Aquino che l’umanità e corporeità di Cristo è lo strumento che il Verbo divino utilizza per comunicarci la grazia. È in definitiva la logica dei sacramenti, in cui la Grazia passa dalla sensibilità umana. Un grande teologo del secolo scorso Yves Congar (1904-1995) scriveva: “Egli è sacramento della salvezza, perché ciò che porta è riconciliazione attraverso il suo sangue, alleanza nuova e definitiva, filiazione divina nella grazia, speranza della gloria, caparra della nostra eredità di figli, unione intima con Dio, unità di tutti i figli di Dio in un solo popolo e in un solo corpo” (Un popolo messianico, Brescia 1976, p. 28).

Per tutto questo Gesù è il primo e principale sacramento, da Lui, dalla sua umanità vi giunge la grazia che salva. Ma è bellissimo scoprire che, se Cristo è il primo sacramento, anche voi in quanto sposi, siete il sacramento antico, il sacramento già presente fin dalla Genesi. Così, voi nel matrimonio siete stati rivestiti di Grazia, avete consegnato al Signore il vostro amore e non vi appartenete più in modo esclusivo.

Ma è ben chiaro che il peccato e la “morte” che da esso proviene può ancora toccare la vostra vita e fare disastri. Che fare allora? Gesù oggi ci insegna che lo Sposo vive in voi e non vi fa mai mancare il calore della Sua presenza. C’è un “luogo” che Gesù deve toccare e guarire ma questo dipende da noi: il cuore. È la nostra storia più profonda, la nostra intimità, il nostro passato, le nostre zone d’ombra. Lasciatevi toccare fino in fondo da Cristo e sappiamo che questo può davvero fare la differenza e farvi vivere da risorti.

ANTONIO E LUISA

L’emorroissa sono tante coppie di sposi. Tante coppie che stanno perdendo la vita. La relazione sta morendo. Relazione abitata dalla sofferenza, dal peccato, dalla incapacità di farsi dono o di accettare il dono. Relazioni che non danno gioia, ma che sono difficili. Tutti intorno magari vi dicono di mollare. Vi dicono che non ne vale la pena. Avete provato in tanti modi, tanti medici e tante soluzioni, ma niente. Non ne venite fuori. Cosa può fare la differenza in questi casi?

L’emorroissa si è salvata per due motivi. Per la sua determinazione e per la sua fede. Solo questo può salvare un matrimonio che sembra morto, che da tanti anni continua a sanguinare. Bisogna trovare la forza di perseverare. Forza che viene dalla convinzione che da quella relazione dipende la mia santità e la mia salvezza. Abbandonare significa smettere di lottare per l’unica cosa che conta: l’amore. L’unica cosa che ci porteremo come ricchezza nella vita eterna.

Questa lotta non sarebbe però possibile senza la speranza di poter vincere. Speranza che può nascere solo dalla fede. Fede in una persona, in Gesù. Fede nell’amore di Gesù che lui stesso ci ha donato e che mai smetterà di donarci. Fede che ci permette di sentirci deboli, impotenti e fragili e nel contempo sicuri di poter contare su una forza dirompente che non viene da noi. Questo ci salverà. 

Per acquistare il nostro libro clicca qui

Lascia un commento