Il matrimonio che dà senso a tutti gli altri

Ognuno di noi porta nel cuore una coppia di riferimento. Che siano genitori, nonni, zii o altri, è importante avere un modello cui guardare. Bisogna stare attenti a non idealizzare nessuno. Abbiamo però bisogno di un esempio da seguire che deve diventare carne ed ossa. È il qui e ora di ciò che ci portiamo dentro, magari fin da bambini. Che il matrimonio sia la base della società non è un invenzione di noi blogger cattolici né una barzelletta né il frutto di concezioni obsolete o desuete.

Tutt’altro! Persino nell’edizione in corso di Masterchef – il noto programma tv per aspiranti cuochi professionisti – ha trovato posto una puntata dedicata all’amore sponsale. In particolare, nell’episodio otto, l’ormai nota cucinata “in esterna” era per quindici coppie che festeggiavano le nozze d’oro, cinquant’anni di matrimonio. I giudici, e in particolare Antonino Cannavacciuolo, hanno intervistato gli sposi, facendosi raccontare aneddoti, ricordi e segreti per la buona riuscita di un legame non soltanto esteso nel tempo ma di qualità. Tutti erano entusiasti e alcuni aspiranti chef si sono dilettati in un componimento poetico e in uno in prosa come augurio ai graditi ospiti.

Una concorrente, addirittura, ha affermato che aver visto recentemente i nonni raggiungere questo traguardo l’ha ispirata a cucinare. Non credo sia tutta finzione scenica. Sicuramente c’è un’ammirazione autentica verso chi spende mezzo secolo – e oltre – insieme. Nelle gioie e nei dolori, nelle fatiche e nelle soddisfazioni.

C’è un matrimonio, in particolare, che dà senso e compimento a tutti gli altri: quello tra Maria e Giuseppe, che la Chiesa Cattolica ricorda proprio oggi, 23 gennaio. Nel Vangelo di San Luca leggiamo: “Al sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria” (Lc 1, 26-27). E in San Matteo: “Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1, 18-21).

La celebrazione ebraica dell’epoca era molto diversa dalla nostra. Un brevissimo approfondimento può esserci d’aiuto: “Il matrimonio si celebrava, di solito, dopo un anno di fidanzamento (cf 1Sam 18,17-19; Mishnàh, Ketubòt 5,2) senza alcuna cerimonia religiosa, trattandosi di un evento civile che solo i libri tardivi chiamano «alleanza» (cf Ml 2,4; Pr 2,17). Lo sposalizio era, ieri come oggi, l’occasione di una grande festa durante la quale si cantavano canti d’amore in onore degli sposi (cf Ct 4,1-7) a cui seguiva un banchetto (cf Gen 29,27; Gdc 14,10) che di norma durava sette giorni”. [1]

Quello di Maria e Giuseppe è un matrimonio vero, autentico, di grande rispetto e amore reciproco. Certo, è un matrimonio verginale, ma è di modello e di esempio per tutti perché è stato vissuto in pienezza, “nella gioia e nel dolore”. I loro piani di giovani promessi sono cambiati dopo l’annuncio dell’angelo ma non hanno portato al fallimento, all’allontanamento, alla divisone. Anzi: nell’accoglienza di Giuseppe troviamo un modello straordinario di dedizione, che sa scorgere il piano di Bene al di là dei desideri puramente umani.

E nell’accettazione di Maria alla volontà di Dio troviamo il paradigma che dire sì a qualcosa di più grande e di vero nella prospettiva del Cielo è sempre la scelta giusta. Anche se costa fatica. Anche se scardina le nostre piccole certezze quotidiane. Anche se comporta un dover modificare l’agenda degli impegni e dei “to do”. Ma è questa la base della società voluta da Dio. Un uomo e una donna uniti in un legame benedetto. Gesù ha avuto bisogno di una famiglia in cui nascere. Una famiglia con una mamma e un papà, modello eterno cui guardare e in cui trovare rifugio, ispirazione, consolazione, sprono. Perché “la speranza non delude” (Rm 5,5,) e l’Anno Giubilare ne sarà occasione di riscoperta.

Fabrizia Perrachon


[1] L’articolo completo, molto interessante, è disponibile a questo link: https://www.rivistamissioniconsolata.it/2011/02/01/cana-19-il-matrimonio-al-tempo-di-gesu-nella-scrittura-nel-giudaismo/

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