Venerdì Santo: Riflessioni sulla Sofferenza e sull’Amore

Il Venerdì Santo ci costringe a guardare in faccia il dolore. Non quello ideale, simbolico, poetico. Ma quello vero, nudo, spesso incomprensibile. E ci chiede: come lo affronti? Da che parte di te rispondi?

Mi ha colpito una riflessione di don Fabio Rosini: Gesù non è stato l’uomo che ha subito il supplizio più crudele della storia. E allora cos’è che rende così unica la Sua sofferenza? La risposta non sta nel “quanto” ha sofferto, ma nel “come” ha scelto di attraversare quella sofferenza. Non come vittima passiva o martire solitario, ma come uomo radicato in una relazione d’amore con il Padre, capace di fidarsi fino alla fine. Come ha scritto don Luigi Maria Epicoco: “Non è la sofferenza a salvarci, ma l’amore con cui si soffre. Ed è per questo che la Croce di Cristo è diversa da tutte le altre.” (La forza della mitezza, 2020)

In termini di Analisi Transazionale, possiamo dire che Gesù non ha agito da “Bambino adattato” che subisce, né da “Genitore punitivo” che si impone, ma da Adulto pienamente libero, sorretto da un Genitore affettivo interiore — il Padre. Non ha cercato un capro espiatorio, scegliendo invece la via della verità e della fiducia.

Anche il Getsemani non è un intermezzo secondario. È un momento chiave, dove Gesù vive un vero contatto con la propria umanità. È lì che affronta la paura, la solitudine, il senso di abbandono. È lì che “sceglie” consapevolmente. Anche per noi, ogni Getsemani è una palestra spirituale: o scappiamo, oppure entriamo in contatto profondo con noi stessi e con Dio.

Molti pensano che la fede serva a evitare il dolore. Ma Dio non è un “Genitore Magico” che esaudisce ogni desiderio purché si preghi abbastanza. Non funziona così. Se viviamo la fede come se fosse un contratto (“io faccio il bravo, tu mi proteggi dal dolore”), stiamo mettendo in atto un copione infantile. È la fede magica, che spesso si trasmette come un’eredità inconsapevole.

Ma non è fede: è superstizione spirituale. È un modo per evitare il contatto col dolore, non per attraversarlo. Come ha detto Papa Francesco: “La fede non è una luce che dissipa tutte le nostre tenebre, ma è una lampada che guida i nostri passi nella notte.” (Lumen Fidei, 57) E ancora Benedetto XVI: “Il cristiano sa che il dolore non è l’ultima parola, ma una porta che, se vissuta con amore, conduce alla gloria.” (Spe Salvi, 39)

Se viviamo la fede come un contratto — io ti prego, tu mi proteggi — stiamo operando da un copione infantile. Questo è uno dei nodi più forti dell’Analisi Transazionale: molte sofferenze diventano insopportabili non per il dolore in sé, ma per l’interpretazione che ne diamo, spesso filtrata da uno stato dell’Io Bambino, ferito, bisognoso, non ascoltato.

Il dolore che viviamo nel matrimonio, ad esempio, può diventare una fucina di crescita o una trappola. Tutto dipende da quale parte di noi lo affronta. E da quale idea di Dio ci portiamo dentro. “Se pensiamo che Dio sia un contabile celeste che ci punisce quando sbagliamo, allora la sofferenza ci sembrerà una condanna. Ma se ci scopriamo figli amati, anche la Croce diventa occasione di risurrezione.” (La scelta di Etty, 2016)

Ecco perché non si può improvvisare. Come Gesù si è preparato al Venerdì Santo, anche noi dobbiamo farlo. La preghiera, i sacramenti, l’adorazione, la Parola sono strumenti per allenare il nostro Io Adulto spirituale. Non bastano le emozioni o i buoni propositi. Serve una relazione viva, concreta, quotidiana, con Dio. Un Padre che ci parla, ci sostiene, ci corregge e ci ama.

E poi ci sono testimoni che ci illuminano. Penso a Chiara Corbella Petrillo, una giovane moglie e madre che ha attraversato il Venerdì Santo più di una volta. Non era un’eroina. Era una donna reale, fragile, ma con una fede radicata in Dio. Non ha evitato il dolore. Lo ha abitato da figlia. E così l’ha trasformato.

Le parole che scrive per il piccolo Davide Giovanni sono uno squarcio potente sulla verità: “Ha smascherato la fede magica di chi crede di conoscere Dio e poi gli chiede di fare il dispensatore di cioccolatini… Io invece ringrazio Dio di essere stata sconfitta dal piccolo Davide, ringrazio Dio che il Golia che era dentro di me ora è finalmente morto.

Sono parole che demoliscono i copioni e ci riportano all’essenziale. Chiara non nega il dolore. Ma non lo adora nemmeno. Lo riconosce, lo attraversa, e lascia che la grazia di Dio ne faccia qualcosa di nuovo. È la logica della Croce.

Il Venerdì Santo non si può cancellare. Ma si può vivere come figli. E questo fa tutta la differenza. Perché chi attraversa il Venerdì Santo da figlio, può risorgere. Anche il suo matrimonio può risorgere. Anche la sua fede può rifiorire. E allora sì, capiamo che nulla ci appartiene. Ma tutto è grazia.

Antonio e Luisa

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