Restare Accanto. L’Amore che Accompagna

Nel Vangelo di Luca, l’episodio dei discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35) è uno dei racconti pasquali più densi di tenerezza e rivelazione. Due uomini delusi, feriti, se ne vanno da Gerusalemme. Camminano via dalla città dove hanno visto morire le loro speranze, lontano dalla comunità, lontano da ciò che era stato annunciato come la salvezza. Eppure è proprio lungo quella strada di allontanamento che Gesù si fa vicino. Senza condannarli, senza rimproverarli, li raggiunge nel loro disincanto e comincia a camminare con loro.

Questa immagine ha qualcosa di profondamente umano e divinamente pedagogico: Gesù resta, cammina, ascolta, interpreta, condivide il pane. E così li conduce alla verità. Ma lo fa senza fretta, senza forzature. È la pedagogia dell’amore che non giudica, ma accompagna. È lo stile dell’amore di Dio.

Quando l’altro si allontana

All’interno del matrimonio cristiano, capita – e non raramente – che uno dei due sposi attraversi momenti di crisi. Crisi di fede, crisi di senso, crisi di desiderio. A volte questa crisi si manifesta in modo esplicito: l’allontanamento dalla Chiesa, dal sacramento, dalla preghiera. Altre volte è più sottile, nascosta: una freddezza interiore, una chiusura, uno sguardo spento che non sogna più. Sono momenti in cui sembra che l’altro si stia “allontanando da Gerusalemme”.

Ed è qui che il Vangelo ci offre una chiave preziosa: non sempre chi si allontana sta tradendo; spesso sta solo cercando di non morire dentro. Come i discepoli di Emmaus, si va via quando non si riesce più a credere, quando il dolore è più forte della speranza. Ma Gesù non si scandalizza. E l’amore coniugale cristiano, se vuole essere immagine dell’amore di Cristo, è chiamato a fare lo stesso.

L’amore che cammina insieme

C’è un verbo che dovrebbe essere scolpito nel cuore di ogni coppia: accompagnare. Non significa “sopportare passivamente” l’altro, né “aspettare che torni come prima”. Accompagnare, nella sua radice latina, significa “condividere il pane”. È un gesto quotidiano, semplice, concreto: essere lì, continuare a camminare insieme, anche quando non ci si capisce, anche quando si è delusi, anche quando si è stanchi. Il vero amore non scappa davanti alla crisi dell’altro, ma resta.

Gesù, sulla via di Emmaus, ascolta prima di parlare. Chiede: “Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi durante il cammino?” (Lc 24,17). Non impone la verità, ma fa domande. Lascia che parlino, che sfoghino il dolore, che esprimano la loro confusione. Quante volte, invece, tra marito e moglie, si tende a giudicare, correggere, zittire, voler riportare l’altro alla “giusta via” con forza, invece che con compassione!

Dare tempo alla verità di farsi strada

Nel matrimonio cristiano, la verità non è un possesso da difendere, ma una luce da attendere insieme. La verità dell’amore, della fede, della vocazione si fa strada lentamente, come accade per quei due discepoli che solo alla fine riconoscono Gesù “nello spezzare il pane”. Fino a quel momento, erano ciechi. Ma Gesù non li ha lasciati. Ha atteso con pazienza, ha seminato con delicatezza, ha condiviso la strada.

Così anche tra sposi: ci saranno tempi in cui l’altro non crede più nel sacramento, non sente più la vicinanza di Dio, ha smesso di pregare o si rifugia in illusioni, chiusure, paure. Ma proprio in quel momento, l’amore fedele dell’altro sposo può diventare come la presenza silenziosa di Cristo: discreta, mite, perseverante. Non è il tempo di “insegnare”, ma di stare. Non di convertire, ma di restare.

L’arte dell’attesa

Amare come Cristo ha amato è anche saper attendere. È dare all’altro il tempo necessario perché torni a credere, anche quando la fede sembra morta. Questo tempo non è tempo perso, ma tempo seminato. In esso si nasconde la speranza pasquale. Come diceva Don Tonino Bello: “La speranza è come un bambino che si addormenta sereno, anche se attorno infuria la tempesta.” E non è forse così che si ama nel matrimonio? Sperando contro ogni speranza (Rm 4,18), anche quando l’altro sembra irriconoscibile.

La grazia del “restare”

Rimanere accanto a chi si allontana è una delle forme più alte della carità coniugale. È lì che l’amore si purifica da ogni pretesa e si fa dono puro. È lì che la fedeltà si trasforma in grazia. Quando non ci si ama più “perché”, ma “nonostante tutto”. Quando non si cerca l’altro per ricevere, ma per testimoniare che l’amore vero non si arrende.

E spesso accade un miracolo: come i discepoli di Emmaus, anche l’altro, a un certo punto, può riconoscere una Presenza proprio attraverso quella fedeltà discreta. “Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre ci parlava lungo la via?” (Lc 24,32). L’amore fedele fa ardere il cuore anche quando tutto sembra freddo.

Antonio e Luisa

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