Cari sposi, riordinando gli album di foto di famiglia, sono incappato nel più antico di tutti, datato a metà ‘800 e ho potuto nuovamente vedere il mio trisavolo, in un dagherrotipo ormai scolorito e leggermente ammuffito. Mi ha fatto piacere ritornare con la memoria ai miei avi e certamente ho notato una certa somiglianza, che risalta nei loro volti, fino alla mia famiglia. Tuttavia, se mai potessimo andare indietro nel tempo e magari avere anche le foto dei nostri più lontani antenati, constateremmo la grande differenza di volto, statura, tratti somatici, che – va da sé – si perde lungo il corso del tempo.
Cosa fa sì che io appartenga in fin dei conti alla mia famiglia, al mio cognome? Probabilmente qualche linea genetica ma anche quella, nei secoli, si dilegua. Sorge allora una domanda: chi mi dà l’identità, se non il mio casato e la mia terra di origine? Tutte cose, in fin dei conti, relative se guardiamo la storia da un punto di vista più distaccato.
Ma quel che dovrebbe sorprenderci è constatare il nostro legame con Dio, in modo particolare con la Santissima Trinità. Non è per nulla azzardato affermare che noi Le apparteniamo e ciascuno ha, che lo senta o meno, un legame personalissimo con il Padre, il Figlio e lo Spirito, creatosi a partire dal Battesimo.
Può accadere che l’affermare queste frasi o simili, dal denso spessore teologico, possa indurre un certo scetticismo o quanto meno ci può lasciare a bocca aperta senza poter dir nulla. In realtà, la presenza in noi della Trinità è performante, è fonte di comunione, è slancio verso l’altro e freno a chiuderci in noi stessi.
Tutto ciò risplende di particolar luce per voi sposi, che siete un Suo riflesso (Amoris laetitia 11). I vescovi italiani sono ancora più espliciti quando affermano: “il mistero della comunione che esiste in seno alla Trinità diventa la matrice prima, il modello sublime e la mèta suprema della comunione della Chiesa” (CEI, Comunione e comunità nella Chiesa domestica, 1) e quindi a quel Mistero occorre risalire anche per il matrimonio, se è vero che esso è indicato da S. Paolo come grande sacramento della comunione Cristo-chiesa (Ef 5, 32). Difatti, il matrimonio incarna, sebbene in modo parziale, quel mistero che Gesù presenta dicendo, nell’ultima cena: “Come Tu, Padre, sei in me ed io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola!” (Gv 17,21). L’unità del Padre e del Figlio è né più né meno che quella realizzata dall’unità dello Spirito ed è donata a voi sposi nel matrimonio.
Quindi, il vivere nella Trinità, essendone un riflesso, porta poi a una meravigliosa conseguenza, come ha sottolineato un grande teologo, Padre Pierre Adnès, esperto di matrimonio:
“la coppia feconda rappresenta in realtà nientemeno che l’intima fecondità trinitaria […]. L’unione della coppia è un’immagine dell’unità d’amore che unisce la prima e la seconda Persona della Trinità e che fa loro produrre insieme una terza Persona, lo Spirito santo, simile a loro, che suggella e corona la loro unione.”
Cioè, la fecondità della coppia è già insita nell’essere immagine trinitaria! Si tratta di esserne consapevoli e di chiedere sempre la grazia affinché vi siano i frutti concreti.
Cari sposi, non abbiate paura della vostra divina somiglianza alla Trinità, piuttosto diventiate sempre più coscienti di tale dono e invocate lo Spirito che ogni giorno possa continuare la Sua opera di trasformazione in voi.
ANTONIO E LUISA
Nel matrimonio, siamo chiamati a essere immagine vivente della Trinità: un amore che non trattiene, ma si dona. Ogni gesto quotidiano – una carezza, un bicchiere d’acqua, un silenzio paziente – può diventare riflesso dell’amore trinitario, che è comunione, dono reciproco, accoglienza. Quando scegliamo di servire invece di pretendere, di comprendere invece di giudicare, rendiamo visibile il volto di Dio nella nostra casa. Come il Padre, il Figlio e lo Spirito si amano in un dialogo eterno d’amore, così anche noi, con la nostra tenerezza concreta, possiamo trasformare la vita ordinaria in una manifestazione della presenza di Dio.
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