Dal degrado online alla sacralità del corpo

La chiusura del gruppo Facebook “Mia Moglie” – clicca qui se non conosci la vicenda – ha riportato al centro del dibattito un tema antico e sempre attuale: il corpo della donna trattato come oggetto da esibire. In quel gruppo venivano condivise, spesso senza consenso, foto di mogli e compagne in situazioni private, accompagnate da commenti volgari. Non era pornografia esplicita, ma una forma di esposizione che umiliava la persona, riducendola a merce per ottenere approvazione e riconoscimento da parte degli altri. È vero: non tutte le immagini pubblicate ritraevano davvero la moglie di chi le condivideva, alcune erano prese dai social di sconosciute o da profili di modelle. Ma il fatto che almeno una parte lo fossero davvero apre uno squarcio inquietante: significa che c’è chi sceglie di esporre la propria intimità più preziosa, tradendo la fiducia della persona amata.

La miseria di mettere in piazza l’intimità

Che cosa rivela un fenomeno simile? Prima di tutto, una povertà interiore: chi espone la propria moglie cerca conferme fuori dal rapporto, come se l’intimità non bastasse di per sé. È il segno di un legame vissuto più come possesso che come dono, più come trofeo da mostrare che come mistero da custodire. Dietro l’apparente leggerezza di un “gioco” si nasconde un meccanismo relazionale tossico: la persona amata viene svalutata, privata della sua dignità di soggetto e trasformata in oggetto di vanto. Così l’uomo non solo ferisce la propria compagna, ma tradisce anche se stesso, perché si condanna a relazioni superficiali, basate sul bisogno di approvazione e non sulla libertà.

La Teologia del Corpo di Giovanni Paolo II offre un’alternativa radicale. Insegna che il corpo non è un accessorio, ma parte essenziale della persona. Attraverso il corpo, uomo e donna si rivelano e si donano. Il matrimonio cristiano è il luogo in cui questo dono trova pienezza: l’intimità fisica non è un dettaglio privato, ma un gesto sacramentale che rinnova le promesse fatte sull’altare. La camera nuziale è, per così dire, un altare domestico. Per questo il pudore non è un tabù antiquato, ma una forma di custodia: protegge la dignità del corpo e ricorda che esso appartiene solo all’amore degli sposi, non allo sguardo indiscreto della piazza.

Relazioni immature e relazioni adulte

Ampliando il discorso è consuetudine in molte coppie giocare inconsapevolmente con il corpo dell’altro come se fosse strumento di potere: “ti mostro se voglio”, “mi nego per punirti”, “ti espongo per vantarmi”. Sono giochi infantili che nascono da insicurezza e bisogno di controllo. È un modo immaturo di proteggersi dalla paura del rifiuto o dell’abbandono.

La maturità affettiva, invece, nasce quando si abbandonano questi giochi e si riconosce che l’altro non è un possesso, ma un dono. Gli sposi che custodiscono la propria intimità scoprono che l’amore non ha bisogno di testimoni: la gioia non sta nell’essere visti, ma nell’essere liberi di donarsi senza condizioni. È qui che fiorisce la vera libertà: quando amare non è più calcolo né strategia, ma scelta quotidiana di fiducia. In una relazione così, il corpo non è strumento di potere, ma linguaggio di tenerezza, segno di un “noi” che cresce e si rafforza nella discrezione, lontano dallo sguardo della piazza.

Il corpo, nella prospettiva cristiana, è linguaggio: attraverso di esso gli sposi si dicono “ti appartengo”, “mi dono”, “sono tutto per te”. Quando questo linguaggio viene portato fuori dal suo contesto – esibito, commentato, ridicolizzato – perde il suo significato e diventa caricatura. Come una lettera d’amore letta ad alta voce in piazza, l’intimità esposta smarrisce la sua bellezza. Ciò che era dono esclusivo diventa spettacolo, e il cuore dell’amore si svuota.

La differenza è tutta qui: nel matrimonio cristiano il corpo dell’altro non è mai possesso né trofeo, ma mistero da custodire. La custodia non è paura, ma scelta di amore. È dire: “tu sei troppo preziosa per essere esposta, troppo sacro per essere profanato”. In un mondo che confonde libertà con esibizionismo, custodire l’intimità appare controcorrente. Eppure è proprio questa discrezione a rendere il rapporto fecondo, capace di crescere negli anni. L’amore che si protegge diventa stabile, profondo, generativo. L’amore che si svende, invece, si consuma presto e lascia vuoto.

Conclusione

Il caso “Mia Moglie” è lo specchio di una miseria culturale che riduce il corpo a merce e l’intimità a spettacolo. La Teologia del Corpo ci ricorda invece che ogni gesto d’amore è sacramento, che il corpo dell’altro è tempio, che il pudore è linguaggio di rispetto e di verità. Lì dove c’è custodia, c’è amore maturo. Lì dove c’è ostentazione, c’è solo fragilità e paura. Per questo il matrimonio autentico non ha bisogno di piazze, ma di stanze segrete in cui due sposi si donano senza testimoni, trasformando l’intimità in un segno vivo della presenza di Dio.

Antonio e Luisa

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