Nei versetti che andiamo ora ad approndire il Cantico mostra come l’amore sponsale, secondo la Bibbia, unisca eros e agape: il desiderio corporeo e la dedizione spirituale si completano, diventando icona dell’amore stesso di Dio. Solo intrecciati insieme rendono il matrimonio luogo di comunione, bellezza e crescita reciproca.
L’amato Il tuo ombelico è una coppa rotonda che non manca mai di vino squisito. Il tuo ventre è un covone di grano, circondato da gigli. I tuoi seni come due cerbiatti, gemelli di una gazzella. Il tuo collo come una torre d’avorio, i tuoi occhi come i laghetti di Chesbon presso la porta di Bat-Rabbìm, il tuo naso come la Torre del Libano orientata verso Damasco. Il tuo capo si erge su di te come il Carmelo, la chioma del tuo capo è come porpora; un re è rimasto avvinto dalle tue trecce. Quanto sei incantevole, quanto sei affascinante, o amore, piena di delizie! La tua statura è slanciata come una palma e i tuoi seni sembrano grappoli. Ho detto: «Salirò sulla palma, coglierò i grappoli di datteri»; mi siano i tuoi seni come grappoli d’uva e il profumo del tuo respiro come mele.
L’immaginario biblico non smette mai di sorprenderci. Nel Cantico dei Cantici leggiamo parole che ci sembrano quasi eccessive, ardite, cariche di sensualità:
«Il tuo ombelico è una coppa rotonda che non manca mai di vino squisito. Il tuo ventre è un covone di grano, circondato da gigli. I tuoi seni come due cerbiatti, gemelli di una gazzella…» (Ct 7,3-4).
Un uomo che descrive con entusiasmo il corpo della sua amata. Un testo che, pur essendo parola di Dio, non teme di parlare di eros, di carne, di desiderio. Forse ci spiazza, perché siamo stati educati a pensare la Bibbia come un libro tutto “spirito” e nulla “carne”. Eppure, la Scrittura ci mostra che Dio non teme l’eros: al contrario, lo assume, lo purifica e lo innalza.
La bellezza dell’eros
Per molti l’eros è qualcosa di sospetto, quasi un istinto animalesco. Si pensa che l’agape – l’amore che dona e si sacrifica – sia la forma più alta, mentre l’eros resti un amore inferiore, legato al corpo. Alcuni – mi riferisco anche a sacerdoti – arrivano a dire che l’unione fisica sia frutto del peccato originale, come se Dio avesse creato l’uomo e la donna “senza corpo” e solo dopo avesse pensato alla sessualità. Ma è un’assurdità.
Il corpo umano, con tutta la sua capacità erotica, è stato creato “molto buono” (Gen 1,31). Non è un’aggiunta posticcia, ma parte integrante della nostra identità. L’eros è dono di Dio. Non è un nemico della spiritualità, ma una via per incontrare l’altro nella sua alterità. Papa Benedetto XVI scriveva:
«L’eros inizialmente è soprattutto bramosia, caduta e discesa; ma nella misura in cui cerca l’altro e rinuncia al proprio io, si purifica e si innalza, fino a trovare la sua vera grandezza» (Deus Caritas est, 4).
L’eros dunque è chiamato a diventare non possesso, ma dono. Non annullamento dell’altro, ma ricerca di comunione.
Gesù e la carne come luogo dell’amore
Anche l’amore di Dio si è espresso nella carne. Gesù ha toccato, guardato, abbracciato. Ha amato con un corpo umano fino all’estremo, fino a donare se stesso sulla croce. E nell’Eucaristia ha voluto che il nostro incontro con Lui fosse un incontro di carne e sangue: «Prendete, mangiate: questo è il mio corpo» (Mt 26,26).
Gli apostoli, davanti a queste parole, saranno rimasti sbalorditi. Avranno capito solo dopo la Pentecoste che Dio ama con un amore che non esclude l’eros, ma lo redime, lo trasfigura.
Eros e agape: due incompletezze che si completano
Nella vita di coppia, eros e agape non sono due amori separati, ma due dimensioni che si intrecciano. L’eros senza agape rischia di diventare egoismo, pura ricerca di piacere che consuma l’altro. L’agape senza eros diventa sterile, freddo, incapace di scaldare. Padre Raniero Cantalamessa lo spiega con un’immagine potente:
«L’amore vero e integrale è una perla racchiusa dentro due valve: eros e agape. Non si possono separare queste due dimensioni senza distruggere l’amore, come non si possono separare idrogeno e ossigeno senza privarsi dell’acqua stessa».
L’eros infiamma, l’agape disseta. L’eros ha la forma di un cuore, l’agape la forma della croce. Uniti insieme rendono l’amore sponsale dimora accogliente per Dio.
Un intreccio psicologico e spirituale
Sul piano psicologico, si può dire che eros e agape rappresentino due bisogni fondamentali della persona: il bisogno di essere riconosciuti e il bisogno di donarsi. L’eros cerca l’intimità, la fusione, l’esperienza del “non essere più due ma una sola carne” (Gen 2,24). L’agape cerca di costruire, di custodire, di proteggere l’altro. Nella dinamica di coppia, l’uomo e la donna custodiscono in modo particolare uno dei due poli:
- L’uomo tende a custodire l’eros: se si sente accolto e desiderato, trova slancio per gesti di dedizione e cura.
- La donna custodisce l’agape: se si sente amata e servita con attenzione, si apre con desiderio all’incontro erotico.
Non si tratta di stereotipi rigidi, ma di una complementarità che genera un circolo virtuoso. Quando eros e agape si intrecciano, il matrimonio diventa un laboratorio di crescita continua, un cammino di perfezione reciproca.
Il Cantico dei Cantici ci insegna anche un altro aspetto fondamentale: l’importanza della parola nell’amore. L’amato non tace, non dà per scontato, ma descrive la bellezza della sua sposa. Non si limita a guardare: dice. E nel dire, costruisce, alimenta, rafforza. Anche noi, come coppie, dovremmo imparare a farlo. Dire all’altro quanto è bello, ricordare le caratteristiche fisiche, caratteriali e spirituali che ci hanno fatto innamorare e che ancora ci affascinano. La parola crea, ed è un modo di custodire l’eros e l’agape insieme.
Sant’Ambrogio ricordava: «L’amore non cresce se non nell’amore, e l’amore non si conserva se non con l’amore». Ogni parola di stima, ogni gesto di cura, ogni sguardo che riconosce il valore dell’altro è un modo per dire “tu sei il mio amato, tu sei la mia amata”.
L’amore sponsale, vissuto come intreccio di eros e agape, diventa icona dell’amore stesso di Dio. Non è un amore che divide corpo e spirito, ma che li integra. Non è un amore ridotto al sacrificio né alla passione, ma un cammino che unisce desiderio e dono, attrazione e fedeltà. San Giovanni Paolo II lo ha espresso così:
«L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non incontra l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio» (Redemptor Hominis, 10).
Il matrimonio è il luogo dove questa rivelazione diventa carne: un amore che brucia come fiamma e che si dona come croce, un amore che ha il respiro dell’eros e la profondità dell’agape. Per questo, almeno ogni tanto, ditevelo: quanto siete belli, quanto siete amabili, quanto siete dono l’uno per l’altro. Perché il vostro amore è il luogo dove Dio stesso abita.
Antonio e Luisa
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