Cari sposi, circa 5 anni fa a Milano venne realizzato un esperimento sociale. In una strada affollata venne collocata una telecamera nascosta e poi lì vicino da una parte fu legato un cagnolino a un albero e dall’altra, a pochi metri di distanza, sedeva un anziano, travestito da clochard. Lascio a voi immaginare chi abbia ricevuto più sguardi e segni di attenzione… un fatto che ci porta diritti nella liturgia di oggi.
La prima lettura ci aiuta a comprendere meglio il Vangelo. Il profeta Amos vive nell’VIII secolo, è uno tra i primi a profetizzare in nome di Dio nel regno di Israele. Visse in un tempo di grande prosperità economica, grazie ai commerci di olio, vino e cavalli con altri stati del Medio Oriente, il che portò ad una corruzione morale e religiosa. Da qui il suo monito solenne: “guai agli spensierati di Sion”.
Il termine biblico greco con cui abbiamo tradotto “guai agli spensierati” ha nell’originale un participio presente neutro, derivante dal verbo ἐξουθενῶ che sta a significare “disprezzare, sottovalutare o considerare di poco conto”. Quindi alla lettera suonerebbe come “guai al disprezzante e sottovalutante”. Mentre sorprende che la Vulgata latina traduce lo stesso termine con “opulenti”, cioè chi abbonda in ricchezze e beni. Come a dire: chi ha ogni comodità, nel fondo non apprezza la vita, sebbene ostenti una certa religiosità esteriore.
Sono parole che valgono anche per noi oggi, in cui il tenore di vita medio è ancora maggiore a tanti popoli e paesi del mondo, nonostante la crisi abbia creato non pochi problemi. Di fatto, il rischio di barricarci dietro a confort, comodità e gadget vari è sempre reale, rendendoli nel fondo idoli. Una cultura così produce solo scarti, come ha avvertito sovente Papa Francesco: “La cultura dello scarto dice: ti uso finché mi servi; quando non mi interessi più o mi sei di ostacolo, ti butto via. E si trattano così specialmente i più fragili: i bambini non ancora nati, gli anziani, i bisognosi e gli svantaggiati. Ma le persone non si possono buttare via, gli svantaggiati non si possono buttare via! Ciascuno è un dono sacro, ciascuno è un dono unico, ad ogni età e in ogni condizione” (Angelus, 23 gennaio 2023).
E non solo, l’agiatezza, come detto sopra, diventa autodistruttiva, non solo per i poveri ma per chi ci sguazza dentro, come ricordava il Card. Giacomo Biffi nella lettera pastorale alla città di Bologna nel 2000, definendola “sazia e disperata”.
Chi ci può scuotere e risvegliare da tale apatia e intontimento? Gesù nel vangelo ce lo dice chiaramente: il bisogno del fratello che hai accanto. È la storia di tanti santi delle chiesa che hanno percorso la stessa strada e hanno raggiunto le vette dell’amore. In particolare, cito gli ultimi due, proclamati da Papa Leone: Pier Giorgio Frassati e Carlo Acutis. Il primo è stato un assiduo volontario della San Vincenzo e aveva detto: “se c’è un povero che ha fame e papà non gli ha dato da mangiare, forse è Gesù che ce lo manda”; il secondo ha dimostrato una grande maturità spirituale e, già da adolescente, si prodigava per i senzatetto.
Sappiamo bene che la povertà non è affatto solo quella economica, come ci ricordava Papa Benedetto: “Se la povertà fosse solo materiale, le scienze sociali che ci aiutano a misurare i fenomeni sulla base di dati di tipo soprattutto quantitativo, sarebbero sufficienti ad illuminarne le principali caratteristiche. Sappiamo, però, che esistono povertà immateriali, che non sono diretta e automatica conseguenza di carenze materiali” (Messaggio per la XLII Giornata Mondiale della Pace).
Come credenti, quindi, abbiamo “bisogno dei bisognosi” perché ci aiutano ad uscire da noi stessi, sono un pungolo per il nostro egoismo e un dito di Dio che ci plasma sempre più aperti e generosi.
È singolare che tra tutti i numerosi nomi a cui poteva attingere Gesù per articolare la sua parabola abbia scelto proprio Lazzaro. Difatti tale nome in ebraico si scrive אֶלְעָזָר (El’azar) e significa “Dio ha aiutato” o “colui che è assistito da Dio”. Ciò si può intendere non solo nel fatto che Lazzaro riceve da Dio l’aiuto necessario ma che Dio stesso abbia voluto utilizzare Lazzaro per aiutare il ricco epulone!
Ora il significato nuziale diventa chiaro. Ciascuno di voi coniugi è per l’altro il “prossimo” perché il più vicino. Anche per voi il consorte diventa via di salvezza a causa di un carattere spigoloso o per altri difetti da cui non si riesce a liberare. È bene illuminare con la fede questo lato oscuro e vedervi l’occasione di crescere nell’amore vicendevole e in definitiva una via di salvezza.
Se Gesù nella parabola mostra come i gesti fatti o non fatti dai protagonisti si ripercuotono nell’eternità, allora pensate che ogni parola, azione, favore, servizio, premura avuta tra voi, riecheggerà per sempre a vostro beneficio. Ne vale allora veramente la pena e la fatica che esso comporta! Cari sposi, la grazia sacramentale è quel “Dio che aiuta”, come esprime il nome Lazzaro, che avete dentro di voi. Egli vi chiama continuamente ad uscire da voi e a farlo agire nella vostra relazione.
ANTONIO E LUISA
Le riflessioni di padre Luca ci offrono l’occasione per mettere in guardia gli sposi da un pericolo reale. Molti sposi cristiani si spendono in parrocchia o nel volontariato, ma rischiano di trascurare il loro primo compito: amare il coniuge. Il Vangelo ricorda che il “prossimo” non è un concetto astratto: per gli sposi ha il volto concreto del marito o della moglie. La misericordia comincia in casa, con ascolto, perdono, pazienza e tenerezza quotidiana. Se non si ama chi ci vive accanto, l’impegno fuori rischia di diventare una fuga spirituale. Il matrimonio è la prima forma di carità: da qui nasce un amore credibile, capace di traboccare autenticamente verso la comunità e il mondo.
Acquista il libro Il dono del corpo. La sessualità come dono sacro tra gli sposi.