Dalla privacy individuale alla privacy sponsale

Viviamo in un tempo in cui la parola “privacy” è spesso associata a difesa, distanza, sospetto. Le domande che ci mettono a disagio — Perché non posso guardare il tuo telefono?, Hai bisogno davvero di uno spazio tutto tuo, anche se siamo sposati?, Se siamo una sola carne, perché esiste ancora un ‘mio’ e un ‘tuo’ — non sono nemici della relazione, ma inviti a riflettere su cosa significhi davvero vivere la trasparenza senza perdere la profondità.

Nel contesto di un matrimonio cristiano, si può dare significato nuovo a questa parola: può diventare uno spazio sacro, un dono reciproco, una forma di rispetto che custodisce l’intimità invece di dividerla. 

La privacy non è un bunker, ma una stanza interiore dove ciascuno di noi incontra Dio, si ascolta, si rigenera. Anche Gesù si ritirava in luoghi solitari per pregare. Quel silenzio personale non era fuga, ma nutrimento. Nel matrimonio, questa stanza non scompare: si apre. Non è una cassaforte contro l’altro, ma un giardino condiviso dove si entra con rispetto e si accoglie con fiducia. Intimità con sé stessi non è egoismo, ma capacità di riconoscere e coltivare la propria interiorità — pensieri, paure, desideri, ricordi, fragilità. È uno spazio che esiste anche dentro la coppia, e che non va negato, ma custodito insieme. 

C’è una differenza sottile ma decisiva tra intimità e segreto. La privacy diventa segreto quando ciò che si nasconde mina la fiducia, quando si costruisce una vita parallela fatta di messaggi cancellati, conti separati, relazioni non dichiarate. 

Intimità è uno spazio dove custodisco le mie fragilità e, poco a poco, le dono anche a te. Segreto è ciò che nascondo per paura, e che diventa muro. 

La regola d’oro è la trasparenza scelta come dono: non abolire il silenzio personale, ma renderlo noto e rispettato. Dire “ho bisogno di tempo per me”, spiegare cosa si sta facendo, pregare, scrivere, parlare con un amico, e concordare insieme i limiti che proteggono la sacralità di quello spazio senza generare sospetti. È il passaggio dalla privacy personale alla privacy condivisa, alla privacy di coppia, la privacy sponsale.

Nel matrimonio cristiano, pronunciamo una promessa: Io mi dono a te, tutto di me. Anche ciò che non capisco, anche ciò che mi fa paura. San Paolo scrive che il corpo non appartiene più a sé stesso, ma all’altro. Non si parla solo di fisicità, ma di tutta la vita che diventa reciproca. La privacy non scompare, si trasforma: non è più mia, non è più tua, diventa nostra. Essere “una sola carne” non significa sapere tutto dell’altro, ma vivere nella fiducia. Il controllo pretende accesso immediato e totale, genera paura. La fiducia sponsale si dona, si apre, si racconta, e lascia entrare l’altro per amore.

 Se oggi ti senti invaso, chiediti: l’altro vuole controllarti o conoscerti? 

E se ti senti escluso, chiediti: hai bussato con amore o hai preteso di entrare?

La privacy sponsale non è trasparenza forzata, ma libertà donata. È dire: Non ho nulla da nascondere, e ti lascio entrare, perché so che non mi farai del male. È liberante: non devo più recitare, non devo più difendere spazi personali per paura di perdermi. Nel matrimonio, la vera intimità non è sapere tutto, ma essere tutto, insieme. L’immagine che più ci viene in mente è quella della tenda in mezzo al deserto, una tenda con una fessura che si apre al soffiare del vento dello Spirito Santo, e fa entrare il coniuge in uno spazio intimo, dove posso sentirmi libero di essere me stesso, con i miei talenti e le mie brutture, sentirmi libero di sentirmi accolto così come sono, accolto in quanto amato:  non un muro quindi, ma uno spazio abitato insieme, dove Dio passa e si ferma ad abitare con noi. Questo è lo stile di Cristo: non nasconde, non impone, ma si dona. È lo stesso stile dell’amore sponsale.

Genesi dice che “erano nudi e non ne provavano vergogna”: quella nudità non è solo fisica, ma anche emotiva e spirituale. Significa vivere senza maschere, senza timore di essere giudicati. La privacy sponsale non è difendere un pezzo di me contro di te, ma lasciarti vedere così come sono, anche nelle mie vulnerabilità.

La fiducia non si impone, si costruisce. La libertà sponsale non dice “sei mio”, ma “mi dono a te” e non aspetto di essere perfetto per donarmi

Costruire la privacy di coppia richiede passi concreti: definire insieme ciò che è “nostro” — budget, social, relazioni significative — creare rituali di condivisione come lo sguardo serale, il tempo di preghiera, l’incontro settimanale. Stabilire confini chiari con il mondo esterno, concordare regole digitali senza imposizioni ma con intenzionalità. Se esiste qualcosa di molto personale, se ne parla e si spiega il perché. E quando la vita cambia — figli, lavoro, lutti — si ripensano insieme le regole.

Per aiutare il dialogo, ecco alcune domande da porvi come coppia: c’è qualcosa che considero “solo mio” e che potremmo trasformare in “nostro”? Quali sono i miei momenti di intimità personale di cui ho bisogno? Come te lo comunico? Ci sono aree digitali o relazioni che ti fanno sentire insicuro/a? Come posso rassicurarti? Qual è una pratica concreta che possiamo iniziare per custodire la nostra privacy di coppia? Se scoprissimo un segreto che ferisce la fiducia, qual è il primo passo che vogliamo fare insieme?

Non lasciate che la parola “privacy” diventi arma o alibi. Prendetela come un compito santo: custodire insieme. La privacy, se vissuta come “nostra”, libera dalle maschere e rende possibile una vita in cui non c’è bisogno di nascondere nulla.

Francesca e Dennis Luce Sponsale

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