Episodi come quello che ha coinvolto recentemente Elodie durante un concerto (vai alla notizia), al di là del rumore mediatico e delle opposte tifoserie, toccano corde molto più profonde di una semplice disputa tra libertà. C’è chi ha difeso il diritto dell’artista di mostrarsi come vuole, chi quello del reporter di riprendere ciò che è pubblico. Tutto legittimo, sul piano tecnico. Ma io sento che lì si muoveva qualcosa di più intimo, più fragile, più vero. In quel gesto di indignazione, nato proprio nel momento in cui l’inquadratura ha invaso le parti più intime del corpo, io non riesco a vedere solo rabbia o contraddizione. Io ci leggo un moto dell’anima, un sussulto della coscienza che dice, quasi senza filtri: «Io sono preziosa».
Elodie, come tante persone sotto i riflettori, vive dentro un ruolo. Un ruolo che dà successo, visibilità, potere, consenso. Ma i ruoli – lo sappiamo tutti, anche nella nostra vita quotidiana – possono diventare abiti che stringono. All’inizio proteggono, poi soffocano. Si può essere guardati da milioni di persone e, dentro, sentirsi nudi nel modo sbagliato. Si può essere applauditi e, nello stesso tempo, non sentirsi davvero visti. Per questo io non leggo quella reazione come incoerenza, ma come una crepa nel personaggio, uno spiraglio in cui per un attimo è emersa la persona. Come se, proprio lì, qualcosa dentro avesse detto: non sono solo un corpo da consumare, sono una persona da rispettare.
E allora, con profondo rispetto, nasce una domanda che non vuole essere un’accusa ma una carezza della verità: se davvero una persona sente di essere preziosa, prima o poi nasce anche il desiderio di custodire quella preziosità. Non basta chiederne il riconoscimento quando viene ferita. Custodire significa anche interrogarsi su come ci si offre allo sguardo degli altri. Significa, a volte, scegliere di esporsi meno, di raccontarsi in modo diverso, forse anche di perdere consenso, perdere follower, perdere una parte di successo. Sono scelte che fanno male. Ma spesso sono proprio le scelte che salvano l’anima.
Su questo tema, così delicato e così controcorrente, Papa Francesco ha pronunciato parole di grande luce nell’udienza generale del 18 novembre 2020, ricordando la Beata Karolina Kózka, una ragazza di sedici anni che ha dato la vita pur di non subire una violenza. Disse ai fedeli: «Con il suo esempio, ancora oggi indica, specialmente ai giovani, il valore della purezza, il rispetto per il corpo umano e la dignità della donna».
Karolina, come Maria Goretti, è una testimonianza sconvolgente per la mentalità di oggi. Due ragazze giovanissime che avevano una certezza limpida nel cuore: il loro corpo non era una cosa, era parte di loro stesse. Violare il corpo era violare tutta la persona. E proprio perché si sentivano infinitamente preziose, hanno avuto la forza di dire no anche quando il prezzo era la vita. Non erano moraliste. Erano innamorate della propria dignità.
Oggi, molte ferite nascono proprio da qui: il corpo viene spesso usato come moneta di scambio per ottenere attenzione, visibilità, amore, approvazione. Si pensa: Mi mostro, così valgo. Ma è una bugia sottile e crudele. Perché, alla lunga, questo uso del corpo lascia solchi profondi nell’anima. Illude di dare potere, e invece toglie libertà. Illude di dare amore, e spesso lascia solitudine. Per questo dovremmo aiutare i nostri figli – e anche noi adulti – a riscoprire la bellezza del pudore e della castità.
Il pudore non è vergogna. Il pudore è amore per il proprio mistero. È dire: io non sono tutto per tutti. È protezione della propria intimità, che non è qualcosa da esibire, ma da donare. Solo a chi è disposto a camminare con me per la vita. Avere pudore significa sapere quanto si vale. Significa trattarsi con rispetto prima ancora di chiederlo agli altri.
La castità, poi, non è una negazione del corpo, ma la sua verità più alta. È custodire il linguaggio potente dei gesti, perché dicano davvero ciò che il cuore vuole dire. Perché il corpo parla. Nel sesso il corpo dice: sono tuo, tu sei mia, siamo una cosa sola. Ma queste parole sono vere solo quando il cuore è disposto a dirle per sempre. Altrimenti restano gesti che promettono ciò che la vita non mantiene.
Per questo Papa Francesco ci richiama con tanta forza a purezza, pudore e castità: non per imporre regole, ma per insegnarci ad amare senza perderci. Senza tradire noi stessi. Senza ridurre il nostro valore allo sguardo degli altri.
E allora, tornando a Elodie, io continuo a leggere in quel suo gesto un segnale buono, fragile e vero insieme. Voglio illudermi che sia così. Come un’anima che, per un attimo, ha detto: io valgo più di così. Se quella crepa nel personaggio diventasse un cammino di custodita verità, anche a costo di perdere qualcosa, sarebbe un gesto di coraggio immenso. Perché la vera libertà non è poter fare tutto. È poter scegliere ciò che salva. È scegliere chi voglio essere. E avere il coraggio di restare fedele a quella scelta.
Antonio e Luisa
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