I social non sono il nostro album fotografico

Sharenting, ossia quell’abitudine dei genitori di postare e condividere sui social foto dei loro figli, più o meno regolarmente. Lo fanno anche gli influencer per fatturare e pubblicizzare prodotti: è stato dimostrato che un figlio aumenta interazioni e like, nonché opportunità lavorative con i brand dedicati ai piccoli. Basti pensare all’esempio più ovvio, i Ferragnez, tramite i quali abbiamo ecografie, parti e momenti quotidiani dei loro due bambini. Altri esempi? Paola Turani (modella e influencer), Sophie Codegoni (influencer e volto noto dei reality), Sofia Crisafulli (giovane mamma popolarissima nella GenZ), Mariano di Vaio (modello, che ha aperto un profilo per ogni figlio) … I bambini esposti hanno, fin dalla gravidanza, un proprio dossier digitale e, manco a dirlo, nessuna tutela dalle piattaforme su cui i genitori sono liberi di creargli addirittura profili privati già zeppi di followers e pronti a fatturare. Persino volti meno famosi hanno ripreso vita grazie ad una gravidanza o al figlioletto catturato da ogni tenera angolazione, a favore dello spettatore social.

Non serve essere cristiani per comprendere quanto sia radicalmente (alla radice!) ingiusto tutto questo. Se il Battesimo talvolta salta perché “sceglierà lui da grande”, come mai sull’esposizione social non può valere lo stesso principio? Perché costruire un grande album fotografico per milioni di followers sconosciuti (basti pensare ai quasi 30 della Ferragni), che possono in qualsiasi momento salvare foto e video sui propri dispositivi? Dal momento che la maggioranza dei social è accessibile dai 14 anni, come inquadrare i profili dei minori creati dai loro genitori? Proprio dai social la pedofilia e la pedopornografia traggono, purtroppo, la maggior parte dei contenuti. La generazione Alpha, i nati dopo il 2012, è la prima totalmente esposta digitalmente e si troverà ad affrontare contenuti che non ha scelto di condividere e che impatteranno su personalità e socialità. Quale immagine avranno di sé stessi e dei propri genitori, questi figli cresciuti sotto la fotocamera del genitore? Quali saranno le loro reazioni a vedere la loro infanzia spiattellata, giorno dopo giorno, sui social media? Quali conseguenze fisiche e psicologiche? Quali sensazioni proveranno a vedere ogni loro attività e capriccio postato su Instagram, seguito da migliaia di commenti?

Gli studi medici e psicologici sono già iniziati e non ci stanno dicendo niente di buono. Ho smesso da tempo di seguire gli influencer. Non voglio essere influenzata da chi esercita una violazione della privacy dei minori così grande. Cosa ancora più grave, nessuna norma a proteggere queste attività che non si limitano a qualche foto ogni tanto ma sono regolari, studiate, strategicamente pianificate. Controllate quanti commenti hanno le foto dei bimbi degli influencer e quanti le altre foto, senza bimbi. Ci vuole davvero poco a rendersi conto che il pericolo siano usati è ben presente e reale. Digital marketing, un mondo a parte (di cui noi vediamo solo la punta dell’iceberg, nei vari feed).

Ampliamo il discorso, parliamo di noi sposi cristiani. In che modo ci poniamo davanti ai social, con i nostri figli (più o meno grandi)? Quanto e come li esponiamo, in foto o video, sui nostri profili? Con quale fine? Penso siano domande che ogni genitore dovrebbe porsi. Noi ce le siamo fatte e abbiamo deciso di non esporre nostra figlia sui social (salvo qualche foto ai parenti, tramite messaggio). In realtà, è stato abbastanza scontato. Anzitutto, non abbiamo il suo consenso, da minorenne è sotto la nostra tutela e non ha consapevolezza di cosa sia internet, di cosa sia un’immagine; una foto postata sui social non è più solo nostra ma può fare giri immensi e incontrollabili (basti pensare alla velocità di uno screenshot). Siamo amanti degli album fotografici (io in particolare sono una grande fan delle foto stampate, rigorosamente opache!), che mostriamo con entusiasmo ad amici e parenti: i social non sono il nostro album fotografico (perché abbiamo deciso così) e non intendiamo mettere in circolazione foto di una bambina che avrà, se vorrà, tutto il tempo per costruirsi un suo profilo in futuro. Paranoia? Buonsenso, per noi.

Ogni famiglia dovrebbe, se necessario, chiedersi come comportarsi di fronte ad un’era digitale che ci ha posto davanti possibilità e pericoli – senza ignorare che questi esistano con un “ma sì, che pesantezza, è una foto, i bambini portano gioia, che male c’è”. Siamo super attenti a cosa mangiamo, vogliamo trasparenza negli ingredienti e nella provenienza dei prodotti, cerchiamo di essere sostenibili negli acquisti e controlliamo di aver messo le mandate alla porta di casa quando usciamo. E poi, senza pensarci, diamo foto su foto in pasto ai social (alzi la mano chi ha letto i Termini e Condizioni di un qualsiasi social media!). In quanto cristiani, seguaci di Cristo, non possiamo restare indifferenti di fronte all’uso, spesso spropositato, dei bambini su queste piattaforme. Il primo strumento è il nostro cervello: chiediamoci, con onestà, cosa ci spinge a pubblicare foto (non censurate) dei nostri figli sui social. La voglia di condividere? La voglia di apparire? La voglia di suscitare invidia? La voglia di far vedere quanto siamo bravi come genitori? Se ti ho punzecchiato un po’, forse da qualche parte ci ho preso… Il secondo strumento che abbiamo è sempre il nostro “Segui”: gli influencer sono ciò che sono grazie ai followers. Se non si condivide lo stile di vita o gli interessi di un certo profilo, inutile seguirlo. Se seguissi Chiara Ferragni mi sentirei complice dello sharenting che, quotidianamente, offre ai suoi followers: non penso farei il bene di Leone e di Vittoria, contribuendo a questa sistematica condivisione della loro infanzia (compresi momenti ripresi da telecamere casalinghe o capricci).

Se voglio stare sui social in modo cristiano, voglio scegliere chi seguire facendomi guidare anche dalla fede. E voglio scegliere per me come starci, sviscerando i motivi che mi portano a fare una scelta piuttosto che un’altra. Perciò, cari sposi, forse sui social più che a “spegnere” il cervello siamo chiamati ad accenderlo: a far sì che la nostra presenza sia bella, evangelica, sicura e affidabile nei contenuti. Che questi ultimi non danneggino nessuno (anche e soprattutto in modo indiretto), specie chi ancora non può difendersi o esprimere preferenze. Il diritto all’oblio esiste per un motivo e tanto spesso sono figli esposti a richiederlo. Siamo responsabili di ciò che postiamo ma, ancor prima, siamo genitori: non prendete, ve ne prego, alla leggera questo mondo virtuale! Contribuiamo a far sì che sia un luogo sicuro per tutti, bambini compresi.

Giada di Ne senti la voce

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