La statua in cui gli sposi sono un unico corpo

Qualche settimana fa un post Facebook di Alessandra Buzzetti – giornalista e corrispondente da Gerusalemme per Tv2000 – mi ha davvero incuriosita: parlava della statua in cui gli sposi sono un unico corpo. Non si tratta di un’opera d’arte contemporanea ma di un reperto storico di grandissimo pregio dato che è stata realizzata circa novemila anni fa; attualmente si trova nel Museo Archeologico di Amman, la capitale della Giordania, in ottimo stato di conservazione.  E’ fatta d’intonaco di calce, canna e bitume ed è stata trovata nella moderna città di Ain Ghazal, alla periferia di Amman, nel 1985. Insieme ad altri reperti scoperti in quel periodo, è considerata tra le prime rappresentazioni su larga scala della forma umana e uno degli esempi più eclatanti di arte preistorica del periodo pre-ceramico del Neolitico B.

Al di là dell’indubbio valore storico ed artistico, quest’antica statua ci ricorda ciò che troppo spesso, ai giorni, viene dimenticato: che gli sposi sono veramente un corpo solo, benedetto dal sacramento del matrimonio. L’affermazione della Genesi in cui leggiamo: “Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne” (Gn 2, 24) ha una potenza straordinaria perché ci ricorda come l’unione dei cuori si realizza concretamente nell’unione fisica ma che, come tale, non può essere slegata dal coinvolgimento completo dei due. Ma come si può essere “una carne sola”? Buona parte del mondo è immersa in una logica parziale che riduce il tutto a un semplice susseguirsi di atti fisici, che posso essere facilmente interrotti quando «Non mi piace più», «Non mi soddisfa più» oppure «Non lo/lo amo più». Atti slegati e quasi indipendenti da un amore veramente autentico, capace di donarsi totalmente e da una partecipazione profonda e totalizzante.

La verità di fede rivela qualcosa di ben più grande e di ben più importante: gli sposi possono autenticamente essere un corpo solo se sono pienamente nell’amore, non solo e non tanto in quello umano ma soprattutto in quello divino. E com’è possibile questo? E’ Gesù in persona a venire in nostro aiuto, dicendoci: “Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Gv 15, 9-11). Dunque il “segreto” per rimanere nell’amore di Dio è quello di osservare i suoi comandamenti ossia vivere un’esistenza piena, bella e felice perché essi non limitano la nostra libertà semmai la perfezionano e la rendono indipendente da desideri e voglie molte volte passeggeri, transitori e che ci illudono di essere contenti ed appagati ma si rivelano in realtà essere scampoli di soddisfacimenti terreni che non riempiono veramente il nostro cuore.

L’antica statua – lo vediamo nell’immagine – ha un corpo solo ma mantiene i due volti, le due facce, spingendoci in un’altra riflessione: che pur essendo tali, gli sposi devono mantenere due “teste pensanti”, due identità uguali e distinte, per dirlo in termini teologici, ossia non annullarsi in un rapporto di dipendenza morbosa ma essere un dono l’uno per l’altro, un dono d’amore, per l’amore e nell’amore. Concretamente cosa significa? Che marito e moglie sono legati da qualcosa d’invisibile che supera limiti e difetti umani e che conferisce loro una Grazia divina in grado di supportarli in tutte le vicende della vita, facendoli gioire per quelle liete e sostenendoli in quelle tristi, facendo di loro un connubio che ha veramente del celestiale e, nello stesso momento, aiutando ciascun coniuge a dare il meglio di se stesso per il bene dell’altro e della coppia. Il corpo – dell’altro come di se stessi – non deve, insomma, diventare né una zavorra né un sollievo momentaneo o un semplice appagamento dei sensi ma l’espressione fisica attraverso cui un coniuge è in grado di valorizzare ed aiutare l’altro proprio in virtù della sua persona, che va quindi a completare l’altra, non ad ostacolarla. Pensiamo agli strumenti musicali a fiato: per produrre la melodia non basta il materiale di cui sono fatti né la persona che soffia in essi per fargli vibrare ma l’unione di queste due cose, la fisicità dello stumento e l’aria che entra in esso; gli sposi sono esattamente questo, un corpo solo che per suonare l’armonia dell’amore vero dev’essere fisicità e spiritualità insieme.

Che bellezza l’unità sponsale dei corpi, che grandezza l’unione delle anime e che potenza tutto questo fuso insieme attraverso il sacramento del matrimonio! Due che diventano uno: anticipo del mistero dell’amore di Dio e della “vita del mondo che verrà”.

Fabrizia Perrachon

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