Tempo fa, su Instagram, ha attirato la mia attenzione l’immagine che è la copertina dell’articolo di oggi (tratta dalla pagina Il diario della mamma), in cui leggiamo: “Un bambino è un essere che viene nel mondo per insegnarci, con un corso accelerato, come amare qualcuno più di noi stessi”. Devo ammettere che mi ha colpito parecchio e mi ha aiutato a riflettere su quanto di profondo e di vero c’è in quest’affermazione.
Chi è genitore lo sa bene ma tale contenuto non si limita a chi, biologicamente, ha avuto dal Cielo il dono di procreare perché la sua importanza di estende a tutti in quanto chiunque di noi, più e più volte nel corso dell’esistenza, ha a che fare con i bambini, proprio a partire dal periodo in cui lo si è. Certo, da piccoli l’auto-riflessione non è possibile ma, crescendo, spendere ogni tanto cinque minuti tra considerazioni e preghiere è più che necessario. Ognuno di noi, infatti, ha a che fare con i bambini vuoi per parentela, amicizia, professione o volontariato o vuoi perché è Gesù stesso che ne ha parlato più volte; il cristiano, dunque, non può esimersi dal pensare a questa fascia d’età non solo come una condizione transitoria dell’essere umano, da proteggere e custodire con tutte le forze e l’impegno possibile, ma come una caratteristica spirituale imprescindibile.
I richiami all’infanzia, riportati nell’Antico Testamento, sono espliciti quanto significativi: “Ecco, dono del Signore sono i figli, è sua grazia il frutto del grembo” (Sal 127,3); i tuoi figli come virgulti d’ulivo intorno alla tua mensa” (Sal 128,3); “Chi ama il figlio è pronto a correggerlo” (Prov 13,24); “i suoi bimbi saranno portati in braccio, sulle ginocchia saranno accarezzati. Come una madre consola un figlio così io vi consolerò; in Gerusalemme sarete consolati” (Is 66, 12-13); “Con la bocca dei bimbi e dei lattanti affermi la tua potenza contro i tuoi avversari, per ridurre al silenzio nemici e ribelli” (Salmo 8,3); “Ciò che abbiamo udito e conosciuto e i nostri padri ci hanno raccontato, non lo terremo nascosto ai loro figli” (Sal 78, 3-4); “Io sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è l’anima mia (Sal 131, 2).
È nel Nuovo Testamento, però, che l’infanzia assume un ruolo fondamentale in quanto Gesù stesso afferma: “In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: «Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?». Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me. Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare.»” (Mt 18, 1-6); “Gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli li sgridavano. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio. In verità vi dico: Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso». E prendendoli fra le braccia e ponendo le mani sopra di loro li benediceva. “(Mc 10,13-16); “Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli.” (Mt 18,10).
L’essere piccoli, per Gesù, non è soltanto la prima tappa dell’età umana ma la conditio sine qua non per essere degni della salvezza eterna, perché simbolo di purezza d’animo e di cuore. Questo è un monito diretto alla nostra società, distante anni luce dalla piccolezza evangelica, dalla purezza e dall’innocenza. In un mondo in cui la verginità – fisica e spirituale – è vista quasi come un ostacolo o un impedimento ad una vita adulta, il richiamo evangelico è profetico, rivoluzionario e moderno perché solo imparando l’umiltà dei bambini – che si fidano ciecamente di chi si prende cura di loro – possiamo conservare o recuperare la bellezza di una fede semplice e autentica che si abbandona al Padre, sapendo che tutto ciò che è accade è per un Bene maggiore.
L’infanzia, quindi, è insieme eredità e dono di Gesù perché ci permette di riscoprire un dono del Cielo da cui ci stiamo pericolosamente allontanando ma che, al contrario, rappresenta la via maestra per la salvezza eterna. Il nostro impegno, dunque, sia quello di difendere i bambini dai pericoli e dalle brutture della vita come pure quello di riscoprire in loro dei valori unici e preziosissimi in grado di aiutarci nel pellegrinaggio verso il Cielo. Tornare bambini non dev’essere l’imitazione grottesca degli eterni Peter Pan quanto il richiamo ad un amore confidente e tenero verso di Dio, affinché ciascuno di noi possa sentire propria questa invocazione: “Io sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è l’anima mia” (Sal 131, 2).
Fabrizia Perrachon
P.S.: parlando d’infanzia non si possono dimenticare i bambini non nati perché anche loro hanno un’anima immortale donata da Dio. Per saperne di più non perdete il mio libro “Se il Chicco di frumento – storia vera di speranza oltre la morte prenatale”, disponibile nelle librerie fisiche e online e su Amazon a questo link.
Grazie!
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