Signore fa di me uno strumento. La preghiera di San Francesco in chiave sponsale

Siamo alla vigilia del quattro ottobre. È il giorno in cui la Chiesa celebra uno dei suoi più grandi Santi. Si tratta del Patrono d’Italia: San Francesco. Il poverello d’Assisi, come a volte è chiamato, è davvero un esempio mirabile di umiltà. È anche un esempio di fedeltà, pace, fratellanza e amore a Dio. Ha una concezione talmente rivoluzionaria di attenzione per il creato e per il Creatore che, forse, non riusciamo a comprenderlo pienamente nemmeno noi. Siamo uomini di ben ottocento anni dopo. Pur avendo tutto, forse non abbiamo capito ancora niente di quello che è riuscito a comprendere lui del Cielo. Ma anche della Terra.

Parlare di San Francesco vorrebbe dire aprire un trattato teologico. Non ne ho minimamente le competenze. Ciò che, semplicemente, desidero condividere con voi è qualche riflessione alla luce della Grazia che ho potuto vivere poche settimane fa. Per impegni di testimonianza sull’aborto spontaneo e i bambini non nati, sono riuscita ad andare nuovamente ad Assisi con mio marito.

Dico questo perché è la quarta volta che, insieme, torniamo in questo luogo sacro meraviglioso. In questo luogo, si può assaporare la spiritualità di un genio nella fede. Mi piace definirlo un genio che dona a piene mani a chiunque visiti questo paese umbro.

E siccome San Francesco parla al cuore di ciascuno di noi, ecco che possiamo analizzare in chiave sponsale la sua nota “Preghiera semplice”. Che in realtà non è sua. Trattasi in di una preghiera scritta nel ‘900, ma che riassume benissimo la sensibilità e la fede del santo. un Questa preghiera esordisce con l’invocazione “Oh! Signore, fa di me uno strumento della tua pace. Non è forse il primo grande compito che si trovano ad affrontare marito e moglie?  L’armonia di coppia non è forse quel tesoro nascosto? Si può vivere in pienezza solo se la casa è costruita sulla roccia. Questa roccia è Cristo. La pace vera, nella coppia, non è l’assenza di problemi. È la duplice certezza di poter contare sull’altra metà e – insieme – su Gesù. La pace, già: parola usata e abusata. È cantata e strumentalizzata anche da chi non sa nemmeno cosa sia veramente. Viene usata come bandiera di un finto buonismo. Viene usata per un pacifismo esclusivamente di facciata. D’altronde ci aveva già avvisato Gesù, dicendo: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi” (Gv 14, 27). Marito e moglie possono, anzi devono, anelare a essere strumenti della pace del Cielo. Questa pace diventa pace terrena nella fiducia che anche le cose più difficili possono diventare realtà. La pace deve irradiarsi anche verso i figli, i genitori e quanti stanno attorno alla coppia. Solo così, la coppia può dimostrare la solidità di un amore costruito nel Signore.

“Dove è odio, fa ch’io porti amore. Dove è offesa, ch’io porti il perdono. Dov’è discordia, ch’io porti l’Unione.” Amore, perdono e unione sono i cardini del matrimonio! Potremo definirli la “Trinità sponsale” ossia ciò che rende non solo possibile ma vivo e vero il sacramento. Non è forse vero che per amare bisogna perdonare e che solo attraverso questo binomio ci può essere unione autentica? Non per forza, nella coppia, si è chiamati a perdonare gravi torti o tradimenti. A volte basta un banale litigio per il dentifricio o la tovaglia. Questo può graffiare l’unità familiare e la pace dei cuori. Ecco allora che la fede ci offre strumenti utilissimi di accoglienza e mediazione. Questi strumenti tra noi e la nostra metà sono in grado di superare le piccolezze della vita. Ci permettono di guardare al bene più grande. “Non sono più due ma uno”. L’Unione sacra e sposale del matrimonio appunto.

“Dov’è dubbio fa ch’io porti la Fede, dove è l’errore, ch’io porti la Verità, dove è la disperazione, ch’io porti la speranza. Dove è tristezza, ch’io porti la gioia, dove sono le tenebre, ch’io porti la luce”. Quante volte un coniuge deve aiutare l’altro nel cammino, come singolo e come metà della stessa parte! Non sempre si viaggia spediti e paralleli. Alcune volte la vita, l’infanzia e il passato causano disallineamenti nella coppia. La maturazione personale e spirituale può fare lo stesso. Se il sacramento è vissuto con piena coscienza, però, per un certo periodo uno dei due potrebbe dover “trainare” l’altro. Questo avviene per riportarlo vicino alla Verità che è il Signore. Dunque un marito può essere esempio di fede per la moglie. La moglie può essere esempio di fede per il marito. Questo avviene in un mutuo scambio simbiotico che porti sempre alla speranza. La speranza è, come mi piace definire, il compimento della promessa di Dio. Che sofferenza se, al contrario, la coppia cade in balia del dubbio, dell’errore e della disperazione! Ed ecco perché la Chiesa è la famiglia di famiglie. Le coppie sono chiamate ad aiutare le altre coppie nei momenti di difficoltà. Con il proprio esempio, devono rendere visibile che la rinascita con Gesù è sempre possibile per tutti. Il dolore non ha mai l’ultima parola se ci nutriamo di Lui. Solo così le tenebre torneranno ad essere luce e la tristezza si muterà in gioia. Crediamo fermamente nella potenza del sacramento matrimoniale!

“Oh! Maestro, fa che io non cerchi tanto. Ad essere compreso, quanto a comprendere. Ad essere amato, quanto ad amare. Poiché: se è Dando, che si riceve. Perdonando che si è perdonati; Morendo che si risuscita a Vita Eterna”. Quanto è vero questo, nella coppia! Il primo a dover comprendere l’altro è il coniuge. Il primo che va amato – se si decide con maturità di sposarsi – non sono più io. È l’altro e il “noi” che ne scaturisce. Il donarsi è il più grande gesto che rende marito e moglie una sola carne. Dono che non è, ovviamente, soltanto fisico. Ma totale nel senso più ampio del termine. Al coniuge devo donare affetto, amore, tempo, energie, anni, intelligenza, mente, corpo e anima. Ma anche i difetti affinché siano superati e trasfigurati nella resurrezione. Il Signore rende questa resurrezione possibile nell’impegno reciproco a un miglioramento. Questo è per un bene grande e duraturo a cui la coppia è chiamata. Ossia, la santità dell’unione. Solo così si raggiungerà la Vita Eterna promessa. Potremo dire: grazie, San Francesco. Con le tue parole hai illuminato anche noi sposi di ieri, di oggi e di domani.

Fabrizia Perrachon

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