Sposi, servi del Signore

Cari sposi, oggi la Chiesa ci mette dinanzi a una vicenda. È avvenuta non solo cronologicamente dopo quella del giovane ricco, come lo vedevamo domenica scorsa. Ma è in un certo modo simile per il tipo di insegnamento che Gesù vuole trarne per noi.

Et voilà, tutta la comitiva, con il Maestro in testa, sta risalendo non senza fiatone e sudore dalla piana arida e torrida di Gerico, verso il monte Sion, in direzione di Gerusalemme. Su una mulattiera di circa 1000 metri di dislivello.

Siccome, gira voce che sarà l’ultima volta che Egli celebrerà la Pasqua con loro, dunque Giacomo e Giovanni approfittano di questo tempo morto per chiedere un favore a Cristo. La loro richiesta è presentata in maniera buffa dalla mamma. Sembrano quasi due “bamboccioni” ante litteram. Questo dimostra che avevano compreso ben poco il senso della loro chiamata.

Chiunque di noi, avendo una qualche responsabilità, avrebbe reagito con decisione a una simile manipolazione. Avrebbe rispedito al mittente tale supplica. Avrebbe invitato la suddetta persona ad applicare maggior olio di gomito al proprio lavoro.

Invece Gesù va ben oltre perché Lui vede il cuore. Nei due figli di Zebedeo, vede la stoffa dell’apostolo generoso. Sotto le spoglie di giovani baldanzosi e orgogliosi, vede chi è capace di dare la vita. È perfino capace di dare il proprio sangue.

E così Cristo afferra la loro ambizione di grandezza. Con infinita pazienza, inizia la sua opera di depurazione ed elevazione. Infatti, la cosa stupefacente è che davvero alla fine della loro vita saranno due grandi. La loro fama è ininterrotta fino ad oggi. Tuttavia, è una grandezza che passerà da una profonda umiltà. Passerà da un vero abbassamento e piena disponibilità al Signore: il primo apostolo martire e l’altro l’ultimo e più longevo dei Dodici.

Che bello! Che grande è il Signore! Gesù nel fondo vuole esaudire i desideri e le aspirazioni del nostro cuore, solo che, come nel caso del giovane ricco, esso passa non dalle nostre vie ma dalla sequela fedele del Maestro. Papa Benedetto ha espresso questa verità affermando: “Egli non toglie nulla, e dona tutto” (Omelia 24 aprile 2005).

Detto ciò, ora si comprende bene il chiaro riferimento alla vita sponsale. Quanti di voi si sono sposati con un desiderio immenso di essere felici? Sapevate bene che quella felicità passava dalla persona amata!

Ma poi il Signore permette che la vita reale e ordinaria dimostri che tutto ciò passa dall’essere servo. Altrimenti, il matrimonio resta un ideale impraticabile. Diventa una fonte di immense e struggenti delusioni.

Il matrimonio è una vocazione a scendere per lavare i piedi. Non per nulla gli sposi sono detti i “ministri”. Questa parola altro non vuol dire che “servo”. E così il sacramento del matrimonio conferisce a voi sposi un vero ministero. È un servizio che si offre alla Chiesa. La vostra gioia, come anche l’intimità, ne fanno parte pieno diritto.

A sostegno di quanto scritto porto solo due piccoli esempi. Da una parte Giovanni Paolo II ha definito con chiarezza la chiamata a servire dei coniugi cristiani: “Dal sacramento del matrimonio il compito educativo riceve la dignità e la vocazione di essere un vero e proprio «ministero» della Chiesa al servizio della edificazione dei suoi membri” (Familiaris consortio 38). Come del resto il Papa ha dedica tutto un capitolo al ministero di evangelizzare degli sposi.

Inoltre, anche i vescovi italiani si espressero con parole ancora più incisive: “La promozione umana, distinta ma inseparabile dalla evangelizzazione, è il principale servizio che gli sposi cristiani sono chiamati a compiere nell’ambito della società civile. Tale servizio consiste anzitutto nel vivere all’interno del proprio nucleo coniugale e familiare un’esperienza quotidiana di autentico amore, come richiamo e stimolo ai valori dell’incontro interpersonale e del dono gratuito di se stesso offerti ad una società, prigioniera del mito del benessere e dell’efficienza” (CEI, Evangelizzazione e sacramento del matrimonio, 111).

Il primo servizio alla Chiesa è vivere bene la vita di coppia con tutte le sue componenti, è questa l’originalità del ministero di voi sposi. Ed è appunto un mettersi in ginocchio per dare, per generare, per far crescere l’altro. E così facendo si diventa grandi, ma grandi nell’amore e nella fedeltà.

Cari sposi, possa lo Spirito portare in voi a pienezza questo sguardo nuovo che Cristo ha voluto infondere in Giacomo e Giovanni, tale da volgere tutta la vostra capacità di amare verso la piena donazione di sé.

ANTONIO E LUISA

Padre Luca ha ragione. Ma è qualcosa che si impara nel tempo, facendo esperienza di comunione nel matrimonio. Il matrimonio dovrebbe essere un percorso di piccoli passi possibili che ci conduce sempre più verso la gratuità. Io non mi sono sposato con questa consapevolezza totalmente acquisita. All’inizio eccome se pretendevo da mia moglie. Quanti musi se non mi dava quello che volevo. Poi l’amore dato e ricevuto, in mezzo a tanti errori e perdoni, mi ha cambiato dentro. Ora non mi blocco su quello che mia moglie vuole e può darmi. Ogni suo gesto di tenerezza e di cura verso di me lo accolgo con gioia e gratitudine ma non lo pretendo più. Ora il pensiero è per il bene di Luisa. Sono disposto a farmi in quattro per lei. Ma non perché sono bravo, ma perché ho compreso che donarsi per amore riempie la vita di senso. Sbaglio ancora con lei, sia chiaro, ma non desidero cosa più grande che vederla realizzata.

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