Bartimeo: Una Fede che sa Gridare

Cari sposi, stiamo  accompagnando Gesù in queste domeniche nel suo ultimo viaggio verso Gerusalemme. Oggi passa da Gerico, prima di iniziare la lunga salita alla Città di Davide e in prima vista c’è un povero mendicante cieco, Bartimeo.

Andando oltre il fatto in sé di essere affetto dalla malattia dell’ablepsia, nella Bibbia la cecità esprime diversi significati. Tra i più ricorrenti, vi è la conseguenza dell’ipocrisia di vita. È la presunzione di chi vuole costruirsi da sé, a prescindere dal Signore. Penso sia interessante soprattutto sviluppare quest’ultimo accento.

In effetti, secondo tale accezione, il cieco è proprio colui che crede di possedere una mente brillante. Pensa di sapere tutto. Ritiene di essersi fatto un’idea esatta delle cose appunto perché ritiene di osservarle e conoscerle in tutte le loro dimensioni. E così, l’assenza di visione si tramuta in incredulità o anche indurimento del cuore come già Isaia profetizzava (Is 6, 9), esattamente quella durezza che è stata la causa ultima dell’esilio di un popolo oramai diventato sordo e cieco (Is 42,19; 43, 8).

Trasposta al matrimonio, tale situazione appare assai attuale e diffusa. Difatti, più volte si trovano sposi cristiani che si imbattono in problematiche relazionali serie ma non realizzano o forse non intendono accorgersi della vera causa da cui provengono le loro sofferenze, mentre il loro sguardo si posa su tutt’altra direzione.

La mentalità comune spesso ripete che il matrimonio sia un affare essenzialmente a due. Di conseguenza, si pensa che bisogna sbrigarsela da sé, al massimo rimboccandosi le maniche. Può accadere che anche i credenti incappino nell’inganno.

Beh, in effetti, è da supporre che il povero Bartimeo di sicuro avrà fatto il possibile per vederci. Avrà consultato questo o quel medico, ma, per le scarse conoscenze dell’epoca, niente da fare… Parimenti, quale coppia, nella propria relazione, non riscontra deficienze o lacune più o meno serie?

Giovanni Paolo II diceva saggiamente: “Ogni persona umana è inevitabilmente limitata: anche nel matrimonio più riuscito, non si può non mettere in conto una certa misura di delusione” (Omelia giornata mondiale della gioventù, 20 agosto 2000).

Ecco allora che Bartimeo ci può essere di aiuto! Egli, infatti, non ha avuto alcuna vergogna o timore di intaccare la sua “fama”. Appena ha saputo che Cristo era nei paraggi, si è messo a urlare per attirare la Sua attenzione. In fin dei conti, voleva chiederGli la grazia.

È una testimonianza di come dovrebbe essere la nostra preghiera ma soprattutto la nostra fede. La vera preghiera, in sostanza, è sempre una lotta per strappare, letteralmente, la benedizione di Dio, come fece Giacobbe in quella notte oscura, nel corpo a corpo con il personaggio misterioso (cfr. Gen 32, 23-33). Siete su questa lunghezza d’onda oppure ancora titubate dinanzi a Cristo?

Non abbiate paura sposi di gridare a Dio le vostre richieste, anche nell’angoscia! La genuina forza della preghiera radica e parte proprio dalla nostra povertà. La disperazione non è una maledizione. Può trasformarsi in un trampolino o un reattore che ci lancia nelle braccia di Dio.

Conforta sentire dalla coppia referente di Retrouvaille – il percorso cristiano per chi vive una crisi coniugale – che quando si riscontra l’impegno reciproco nei coniugi, per quanti problemi possano caricare, risulta quasi impossibile che un matrimonio si disfi.

Cari sposi, Bartimeo è il simbolo di ogni matrimonio cristiano, che immancabilmente ha sempre mancanze o ferite, profonde o lievi. Lui poteva starsene al bordo della strada. Poteva continuare a mendicare. Anche voi potreste tirare a campare così come siete oggi. Potreste farlo “finché morte non vi separi”.

Eppure, il figlio di Timeo ha avuto coraggio e si è messo alla ricerca del Signore. L’epilogo è più che commovente: oltre alla vista, Gesù gli ha concesso anche il dono della fede. Ecco ciò che intende fare di voi il Signore: non solo matrimoni sani ma anche matrimoni ardenti di fede, non solo salvati ma anche salvanti (cfr. Familiaris consortio 49).

ANTONIO E LUISA

Luisa ed io siamo dei salvati! Siamo partiti male, molto male. Lei insicura perché cresciuta in una famiglia anaffettiva (rimasta orfana di padre a 9 anni). Incapace di sentirsi preziosa e meritevole di essere amata. Senza storie serie fino a 34 anni. Io, altrettanto ferito. Cresciuto in una famiglia che mi amato sì, ma nel modo sbagliato per me. Mi sono sempre sentito in difetto e sostanzialmente solo. Dio ci ha unito e attraverso le nostre ferite ci ha amato e ha permesso l’un l’altra di accoglierci così. Siamo partiti deboli. Proprio perché eravamo consapevoli di questo, abbiamo aperto gli occhi e le braccia a Gesù. Gesù ha preso le nostre fragilità e le ha usate per guarirci. Ci ha fatti sentire amati per come siamo.

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