A chi tocca la scelta?

«Non voi avete scelto me», dice il Signore, «ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga». (Gv 15,16)

Questa è l’antifona alla Comunione che abbiamo sentito alla Messa di questi giorni. È una frase famosa. Gesù pronuncia questa frase in mezzo ad un discorso molto importante. In questo discorso c’è anche la parabola del tralcio e della vite.

Apparentemente sembra una frase ad effetto. Spesso ce la siamo sentita approfondire nelle predicazioni come un invito a gioire perché il Signore ci ha amati per primo. Ed in effetti è verissimo. Tuttavia, altrettanto spesso non siamo mai stati aiutati ad andare a fondo del suo significato.

Qualcuno si starà chiedendo come potremmo farlo noi, dal basso della nostra pochezza e per di più in un solo articolo da blog. Ed in effetti non ci tenteremo nemmeno. Vorremmo solo condividervi un piccolo affondo. Altri, più avanti nel cammino di noi, ci hanno aiutato a farlo.

Come sempre accade, la Parola di Dio ha un primo significato immediato. Tuttavia, questo significato serve da segno o simbolo per significati più profondi. Il più immediato si riferisce al fatto che in quel tempo erano i discepoli a scegliere un loro maestro/rabbino (oggi lo chiameremmo mentore, tutore, guida, padre spirituale), ed una volta scelto andavano praticamente a trasferirsi a casa sua, così da riceverne per osmosi di convivenza gli insegnamenti. Ed ovviamente non tutti i maestri erano uguali: c’erano quelli alla moda, quelli dei vip, quelli esclusivi, quelli più ricercati e quelli meno chic… ne abbiamo riprova nel fatto che S.Paolo si presenti come discepolo della scuola di Gamaliele, come a dire che la sua istruzione proveniva da un rabbino molto rispettato ed influente nella comunità, un po’ come esibire il certificato di laurea conseguita presso la prestigiosa università X.

Ora Gesù con quella frase si riferisce a questa pratica sociale del suo popolo, ma ne svela un significato più profondo. Non solo dice che è stato Lui a scegliere noi come oggetto del Suo amore, ma che ci ha costituiti affinché andiamo e portiamo frutto, ed il nostro frutto rimanga.

Molti sposi cristiani concepiscono il Sacramento nuziale solo come una benedizione da parte di Dio sul loro amore umano. È una sorta di parafrasi spirituale della concessione da parte del patriarca sulle nozze del figlio o della figlia. È simile a quando un organizzatore chiede il patrocinio del Comune o della Diocesi per un evento. Successivamente, si fregia di pubblicizzare l’evento come patrocinato da un ente prestigioso, mettendo in bella vista sul cartellone il logo.

Niente di tutto ciò si avvicina al Sacramento del Matrimonio, perché questo atteggiamento rivela che siamo ancora noi, carichi del nostro amore, gelosi del nostro amore umano, convinti che il nostro sia l’amore più bello di tutta la storia dell’umanità, a scegliere il maestro. In definitiva, con questo atteggiamento, i protagonisti siamo sempre noi con tutto il carico di superbia ed orgoglio che ci portiamo dietro.

Mentre invece, se è vera la frase di Gesù sopracitata, non siamo noi come coppia ad andare a scegliere il maestro, ma è Lui che ha scelto quella lei per amare quel lui e viceversa. Capite che così la frittata si capovolge, non siamo più noi i protagonisti del nostro amore col Signore che ci mette il suo patrocinio, ma è Lui che è protagonista dell’amore che ci scambiamo.

E’ come se noi prestassimo al Signore Gesù tutta la nostra femminilità per amare il nostro sposo e tutta la nostra mascolinità per amare la nostra sposa. E per farlo ci ha costituiti sacramento del Suo amore l’uno per l’altra.

Coraggio sposi, nel Sacramento nuziale abbiamo tutto il kit per amare il nostro coniuge di un amore che parli di un altro Amore.

Giorgio e Valentina.

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