Nessuno sbaglio.

Dal libro del Siràcide (Sir 42,15-26) Ricorderò ora le opere del Signore e descriverò quello che ho visto. Per le parole del Signore sussistono le sue opere, e il suo giudizio si compie secondo il suo volere. Il sole che risplende vede tutto, della gloria del Signore sono piene le sue opere. Neppure ai santi del Signore è dato di narrare tutte le sue meraviglie, che il Signore, l’Onnipotente, ha stabilito perché l’universo stesse saldo nella sua gloria. Egli scruta l’abisso e il cuore, e penetra tutti i loro segreti. L’Altissimo conosce tutta la scienza e osserva i segni dei tempi, annunciando le cose passate e future e svelando le tracce di quelle nascoste. Nessun pensiero gli sfugge, neppure una parola gli è nascosta. Ha disposto con ordine le meraviglie della sua sapienza, egli solo è da sempre e per sempre: nulla gli è aggiunto e nulla gli è tolto, non ha bisogno di alcun consigliere. Quanto sono amabili tutte le sue opere! E appena una scintilla se ne può osservare. Tutte queste cose hanno vita e resteranno per sempre per tutte le necessità, e tutte gli obbediscono. Tutte le cose sono a due a due, una di fronte all’altra, egli non ha fatto nulla d’incompleto. L’una conferma i pregi dell’altra: chi si sazierà di contemplare la sua gloria?

Questo brano del Siracide fa un elogio generale della creazione senza entrare in troppi particolari, anche se in realtà, quelle poche pennellate che ci offre sono degne di meditazione e riflessione. Vogliamo mettere in luce solo qualche parola qua e là, le quali danno la chiave di lettura di fondo, e cioè il fatto che il Creatore non si è limitato a creare dal nulla inserendo all’interno del creato delle leggi per poi infischiarsene e andare via per i fatti suoi. Il creato ha delle leggi con le quali prosegue la sua esistenza, ma non gode di vita propria, è come se il Creatore abbia dato un po’ di autonomia al mondo creato, ma abbia riservato per sé la facoltà di esserne il principio causante, e questo per ogni istante.

La devozione popolare ha riassunto in una frase questa sussistenza del Creato nel Suo Creatore : “non cade foglia che Dio non voglia “. Come a ricordare all’uomo che a Dio nulla sfugge, Lui è al comando, è Lui che tiene il timone. Fatta questa premessa doverosa, passiamo alla nostra riflessione: “Tutte le cose sono a due a due, una di fronte all’altra, egli non ha fatto nulla d’incompleto. L’una conferma i pregi dell’altra: chi si sazierà di contemplare la sua gloria?“.

Molte coppie, quando vivono una crisi relazionale/matrimoniale, cominciano a nutrire dei forti dubbi circa la potenza di Dio: “avrò sposato quello/a giusto/a ?… lui/lei non mi completa…forse non siamo fatti l’uno per l’altra… ecc… “. Non lasciamoci ingannare, questi sono dubbi che possono sorgere, ma ai quali va data una risposta chiara e decisa, bisogna metterli subito a tacere, vanno stroncati sul nascere, altrimenti fomentano la crisi e ci convincono della loro veridicità. Non vogliamo essere fraintesi: non stiamo affermando che queste domande dubbiose siano sbagliate in sé, ma sono relative alla fase del fidanzamento e dovrebbero essere state risolte in quel periodo; se purtroppo non sono state affrontate prima (e il matrimonio è stato validamente e lecitamente contratto, ossia i due sono sposi in Cristo) è un lavoro che tocca fare da sposati.

Purtroppo assistiamo a tante coppie che si sposano con troppa leggerezza e con tanti problemi irrisolti, sperando che verranno dipanati col matrimonio, ahimè scopriranno con gli anni che, al contrario, i problemi irrisolti si acuiranno sempre più. Ora vedremo di selezionare alcune frasi che possono aiutare ad uscire dalle crisi, cominciando dall’avere uno sguardo diverso sul nostro coniuge. Questo brano ci conforta molto, perché Dio non fa mai le cose a caso né senza un perché, tantomeno gli sono ignote le nostre vite… se anche una foglia non cade senza il Suo permesso!

Tutte le cose sono a due a due, una di fronte all’altra: infatti anche nella creazione dell’uomo ( come in quella di un singolo atomo) c’è la dualità dei sessi, e l’uno sta di fronte all’altra, a significare la medesima dignità, ma anche la loro naturale indole a relazionarsi tra loro. Lo sposo deve vedere la sua sposa come un dono di relazione, la sposa deve vedere lo sposo capace di relazione… quando ci si relaziona si sta di fronte, ci si guarda a quattr’occhi.

egli non ha fatto nulla d’incompleto: capito sposi? Il sacramento del matrimonio è un’invenzione di Dio, il vostro matrimonio è un capolavoro di Dio, e Lui non fa nulla di incompleto. Il nostro matrimonio non è incompleto, ha tutto ciò che ci serve per santificarci e per farci sperimentare l’amore fatto carne.

Coraggio sposi, il Signore non lascia nulla di incompiuto né nulla è lasciato al caso. Il nostro coniuge è “il migliore che c’era sulla piazza” per amare con lo stile di Dio. Ma questo dono va contemplato e custodito, a volte anche da noi stessi.

Giorgio e Valentina.

Il matrimonio secondo Pinocchio /4

A quel garbo insolente e derisorio, Geppetto si fece triste e melanconico, come non era stato mai in vita sua, e voltandosi verso Pinocchio, gli disse: – Birba d’un figliuolo! Non sei ancora finito di fare, e
già cominci a mancar di rispetto a tuo padre! Male, ragazzo mio, male! E si rasciugò una lacrima.

Siamo ancora nel capitolo in cui Geppetto sta dando forma al burattino al quale, abbiamo visto in precedenza, ha già dato nome Pinocchio. La cosa straordinaria che si scopre in queste righe è che se dapprima l’intenzione di Geppetto era quella di fabbricarsi “un bel burattino di legno; ma un burattino maraviglioso, che sappia ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali“, ora invece scopriamo che in realtà questo burattino gli è già figlio, o meglio, è figlio in quanto il Geppetto si pone come suo creatore e padre.

Già questi dettagli ci danno modo di riscoprire la nostra figliolanza divina, il Creatore non limita la Sua azione nella potenza creatrice, ma va ben oltre, perché vuole esserci padre. Avrebbe potuto limitarsi a crearci per poi lasciarci vagare su questa terra allo sbaraglio, quasi fossimo degli orfani lasciati crescere da soli in mezzo alla strada, ed invece ci ha creati come figli perché vuole donarci il Suo amore di Padre e la gioia di vivere come Suoi figli destinati alla gloria eterna.

Quando due fidanzati si sposano non sono due che semplicemente si piacciono e desiderano amarsi per tutta la vita, ma sono anche due figli di Dio, figli dello stesso Padre, che si uniscono in una fratellanza ancora più stretta (ed indissolubile) di quella che già li accomuna, visto così il matrimonio si riveste di una connotazione eterna; questa consapevolezza ha dissipato tra noi – Giorgio e Valentina – tantissime liti, molti contrasti, parecchi bisticci e baruffe, perché se ci pensiamo bene la maggior parte delle dispute non serve a chiarirsi, ma a dichiarare quale sia il vincitore tra i due IO: praticamente una zuffa tra due egoismi che non accettano la sconfitta e vogliono averla vinta sull’altro ad ogni costo e con ogni mezzo.

Cari sposi, dobbiamo imparare sempre di più a vedere il nostro coniuge come un nostro fratello, fratello nella figliolanza dello stesso Padre Creatore e fratello nello stesso Cristo Redentore. Molte volte invece il nostro egoismo ci acceca e ci fa vedere l’altro come un nemico, avere un nemico in casa non è tra le più belle esperienze della vita. Ma c’è di più, perché Geppetto non chiama Pinocchio “burattino“, ma da subito è “ragazzo mio“.

A volte succede che qualche papà tratti il proprio figlio come se fosse un campione di calcio nonostante sia un novellino, questi padri non lo fanno di certo per canzonarlo con ironia o sarcasmo, ma semplicemente perché agli occhi di papà quell’esordiente è già un campione da pallone d’oro, vede nel bambino le potenzialità per diventarlo e già sogna ad occhi aperti il futuro del proprio figlio. Similmente anche noi per il nostro Padre Creatore è come se noi fossimo già dei figli degni di gloria, e così ci tratta, come dei figli specialissimi ed unici, non ci tratta mai con disprezzo e/o sbattendoci in faccia in primis i nostri peccati, ma ci tratta con tenerezza, i suoi richiami sono seducenti, vogliono sedurci a tornare a Lui con tutto il cuore affinché possiamo partecipare del Suo amore, della Sua pace, della Sua gioia, della Sua vita. E’ così che anche noi dobbiamo trattare il nostro coniuge, vedendo in lui/lei non il “burattino” che è ma il “ragazzo” che è destinato a diventare.

Purtroppo non tutti hanno avuto alle spalle dei genitori che li hanno spronati, incoraggiati, esortati, e forse tra questi c’è anche il nostro coniuge; sono ferite che, se non curate, possono causare molti dolori personali, ma poi inevitabilmente si riversano all’interno della coppia. La prima cosa necessaria è il perdono verso i propri genitori perché ci hanno dato solo ciò che avevano, non potevano darci ciò che a loro volta non hanno ricevuto, anch’essi sono stati genitori imperfetti come tutti, non esistono i genitori perfetti perché l’unico genitore perfetto è il nostro Padre Creatore. I genitori hanno il compito di fare le veci del Padre, sono come dei sostituti di cui Lui si fida per una porzione di anni, le madri hanno il compito di incarnare l’aspetto materno di Dio e i padri quello paterno, e tutto ciò nonostante, anzi no, attraverso i nostri difetti, le nostre finitezze.

Sembra un controsenso, ma in realtà se esistessero i genitori perfetti chi sentirebbe il desiderio e l’impulso a cercare un Altro che ci ami di più e meglio dei nostri genitori? Quindi il primo passo è il perdono e ringraziare il Signore per averci dato i nostri genitori, perché le loro imperfezioni, i loro difetti, le loro mancanze, ci hanno spinto a cercare e trovare/capire che esiste un vero Padre che non ha difetti, che non ha mancanze, che non ha imperfezioni, che non muore e che ci aspetta da tutta l’eternità.

Questa prospettiva è liberante anche vissuta dalla parte di genitori, noi che lo siamo diventati a nostra volta, perché sapere che il Padre si fida di noi due per crescere altri Suoi figli è già una Grazia grande, e secondariamente ci libera da tutti quei sensi di colpa per gli errori o i guai che abbiamo combinato più o meno consciamente. Lo ripetiamo spesso alle nostre figlie che noi siamo come dei genitori in prestito, come dei vicari temporanei, pieni di difetti (in gergo teologico: peccatori) e di limiti, ma perché il vero senso della loro vita non siamo noi genitori ma Il Genitore per eccellenza, Colui di cui noi siamo indegnamente una pallidissima immagine molto sfocata. Ma è Lui che devono cercare, amare e per cui devono vivere.

Coraggio sposi, il cammino è arduo sia come sposi che come genitori che come figli, ma il Padre non ci lascia mai soli.

Giorgio e Valentina.

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Ripagati con gli interessi.

Dal libro del Siràcide (Sir 35,1-15) Chi osserva la legge vale quanto molte offerte; chi adempie i comandamenti offre un sacrificio che salva. Chi ricambia un favore offre fior di farina, chi pratica l’elemosina fa sacrifici di lode. Cosa gradita al Signore è tenersi lontano dalla malvagità, sacrificio di espiazione è tenersi lontano dall’ingiustizia. Non presentarti a mani vuote davanti al Signore, perché tutto questo è comandato. L’offerta del giusto arricchisce l’altare, il suo profumo sale davanti all’Altissimo. Il sacrificio dell’uomo giusto è gradito, il suo ricordo non sarà dimenticato. Glorifica il Signore con occhio contento, non essere avaro nelle primizie delle tue mani. In ogni offerta mostra lieto il tuo volto, con gioia consacra la tua decima. Da’ all’Altissimo secondo il dono da lui ricevuto, e con occhio contento, secondo la tua possibilità, perché il Signore è uno che ripaga e ti restituirà sette volte tanto. Non corromperlo con doni, perché non li accetterà, e non confidare in un sacrificio ingiusto, perché il Signore è giudice e per lui non c’è preferenza di persone.

Le lettura di oggi è tratta da un libro sapienziale, esso infatti è una fonte sicura quando sentiamo il bisogno di attingere un po’ di sapienza, anche oggi ci offre ampi spunti di riflessione per fare un check-up del nostro rapporto col Signore e, di riflesso, tra di noi. Ci soffermiamo solo su una frase: Da’ all’Altissimo secondo il dono da lui ricevuto, e con occhio contento, secondo la tua possibilità, perché il Signore è uno che ripaga e ti restituirà sette volte tanto.

Ci sono molti sposi che si sottostimano sia come coppia che come singoli. Incontriamo mariti che quando si comincia ad andare nel profondo per risolvere alcune ferite dentro la relazione con la propria sposa mettono subito davanti le proprie difficoltà, fragilità, paure… le presunte incapacità. Escono le classiche frasi: io non ce la faccio… nessuno mi ha mai insegnato… non so come fare.. io non sono bravo a fare questo o quell’altro… ecc… Incontriamo altrettante mogli che appena si entra nel vivo dei loro problemi di coppia tirano fuori la loro (presunta) incapacità: io non sono una moglie perfetta… non sono una casalinga ordinata… non riesco a farlo contento… non sono brava a… ecc… Cari sposi, ma vi siete sposati con un’ameba o con una persona che stimavate tanto da decidere di sposarla? Scusate la franchezza, ma ogni tanto un po’ di fotografia della realtà non fa male.

Siamo partiti con una provocazione per provocare, appunto, una riflessione che ora speriamo di aiutarvi a fare. Innanzitutto dobbiamo capire e riscoprire il grande dono della Grazia Sacramentale intrinseca nel Sacramento del Matrimonio che, come tutti i doni del Signore, quando parte da Dio è infinito ma poi quando arriva a noi si ridimensiona non a causa del donatore ma a causa del ricevente. Una tra le esperienza più confortanti di una bella gita in montagna è trovare una fontana sempre zampillante di acqua fresca e pura, e quando da piccolo non ero ancora molto bravo a bere direttamente in bocca, venivo fornito di uno di quei bicchieri da viaggio; restavo sempre meravigliato del fatto che, una volta riempito il mio bicchiere la fontana non smettesse di sgorgare acqua, restavo incantato di quanta acqua fluisse tra un bicchiere e l’altro, pensavo di portarmela a casa, ma più della capacità della mia borraccia non si poteva; mi ripromettevo allora di comprare una borraccia più capiente per la prossima volta.

Questa esperienza ci insegna che i doni di Dio si conformano in base alla capacità di “stoccaggio” che abbiamo, dipende dalle nostre borracce, dai nostri bicchieri, più il nostro contenitore sarà grande e più beneficeremo della Grazia; quella fontana dalla parte di Dio è a gettito continuo, non ha il rubinetto, sempre aperta H24.

Una tra le esperienza più belle che abbiamo fatto nel Matrimonio è ricevere in dono una capacità, un talento, un carisma giusti per la situazione contingente, non serviva di più nè di meno, ma esattamente la Grazia che è arrivata così come quel bicchiere da viaggio è sufficiente per ristorarci nel cammino fino alla prossima tappa. E così i mariti possono supplicare il Signore di aiutarli nel risolvere le ferite nella relazione con la propria sposa appellandosi alla Grazia sacramentale del Matrimonio, ci sarà un percorso in salita proprio come in montagna, ma il Signore non farà mancare le Sue fontane nei momenti giusti, l’importante è preparare lo zaino con bicchieri e borracce adeguati. Le mogli potranno imitare quella donna che non osava toccare Gesù ma si accontentò di toccare almeno il lembo del Suo mantello, anch’esse dovranno appellarsi alla Grazia sacramentale del Matrimonio e scopriranno che il Signore aveva già pronte quelle Grazie per recuperare il rapporto di coppia, ma attendeva che toccassero il lembo del mantello.

Cari sposi, non sottostimatevi mai perché il Signore ha scelto ognuno di noi per amare il proprio coniuge, e per farlo si vuole servire della nostra umanità, non quella di un altra persona, ecco perché abbiamo scelto la frase del Siracide: Da’ all’Altissimo secondo il dono da lui ricevuto, e con occhio contento, secondo la tua possibilità. Sposi, qual è la vostra possibilità? Qual è il dono da Lui ricevuto?

Ogni coppia è un capolavoro del Signore e, come tutti i capolavori degli artisti, sono unici ed irripetibili. Non sentitevi di meno di altre coppie, non sentitevi meno bravi o meno perfetti o meno evangelizzatori.. sentitevi semplicemente ciò che siete e, come una brava mamma cerca di fare la migliore torta con gli ingredienti che ha, così anche voi smettete di sognare o rimpiangere la torta regale dello chef stellato ma usate la vostra umanità di marito e di moglie unica ed irripetibile per lui/lei. Dobbiamo imparare a desiderare ciò che già abbiamo.

Coraggio sposi, il Signore non farà mancare la Sua ricompensa perché il Signore è uno che ripaga e ti restituirà sette volte tanto.

Giorgio e Valentina.

Gli sposi? Una campagna pubblicitaria per Gesù

Dagli Atti degli Apostoli (At 19,1-8) Mentre Apollo era a Corìnto, Paolo, attraversate le regioni dell’altopiano, scese a Èfeso. Qui trovò alcuni discepoli e disse loro: «Avete ricevuto lo Spirito Santo quando siete venuti alla fede?». Gli risposero: «Non abbiamo nemmeno sentito dire che esista uno Spirito Santo». Ed egli disse: «Quale battesimo avete ricevuto?». «Il battesimo di Giovanni», risposero. Disse allora Paolo: «Giovanni battezzò con un battesimo di conversione, dicendo al popolo di credere in colui che sarebbe venuto dopo di lui, cioè in Gesù». Udito questo, si fecero battezzare nel nome del Signore Gesù e, non appena Paolo ebbe imposto loro le mani, discese su di loro lo Spirito Santo e si misero a parlare in lingue e a profetare. Erano in tutto circa dodici uomini. Entrato poi nella sinagoga, vi poté parlare liberamente per tre mesi, discutendo e cercando di persuadere gli ascoltatori di ciò che riguarda il regno di Dio.

Ci stiamo avvicinando alla grande festa di Pentecoste e la Chiesa ci prepara al tema dello Spirito Santo. I primi passi della Chiesa nascente (narrati anche in questo brano) sono di una vitalità straordinaria, di sicuro dovuta al fatto che erano ancora vivi i Dodici che avevano vissuto con Gesù, complice anche il fatto che S. Paolo è un convertito di non poco conto, con grandi doti umane perfezionate dalla Grazia, uno che ha vissuto un’esperienza di intimità col Cristo unica nel suo genere. Sta di fatto che da queste prime esperienze di evangelizzazione possiamo trarre tutti gli insegnamenti possibili sull’attività principale, se non addirittura unica, della Chiesa intesa come prolungamento di Cristo nel tempo: l’evangelizzazione.

Il mondo pensa che la Chiesa sia un fenomeno da relegare all’ 8×1000, una sorta di associazione benefica, una tra le tante Onlus con intenzioni pacifiche, ma il cuore pulsante della Chiesa non sta in qualche opera di volontariato (opere pur sempre necessarie e doverose), bensì nell’evangelizzare il mondo, nel portare Cristo tra gli uomini e gli uomini a Cristo, tutto il resto viene di conseguenza.

Purtroppo anche all’interno della Chiesa c’è questa corrente umanitaria che sembra aver preso il sopravvento sull’opera spirituale, ci sono cascate anche tante coppie di sposi, ma se leggiamo con attenzione il brano sopra riportato scopriamo che la prima opera della Chiesa è quella spirituale, quella umanitaria viene dopo, passa in secondo grado, è una conseguenza logica della prima. Senza la necessaria opera spirituale, l’azione umanitaria perde forza, non è più così prorompente, e perde il senso del proprio esistere.

Paolo non cincischia con gli abitanti di Efeso, va dritto al sodo, al nucleo per cui la sua presenza trova senso in quella città: «Avete ricevuto lo Spirito Santo quando siete venuti alla fede?». Perché venire alla fede senza Spirito Santo equivale ad essere monchi, come un’ automobile senza motore. Per vivere la fede e vivere di fede è necessario lo Spirito Santo, il quale ci santifica e ci vivifica dal di dentro; se è l’anima a dare vita al corpo e se è lo Spirito Santo a vivificare l’anima, allora il nostro corpo, quando vive nella Grazia, è una sorta di campagna pubblicitaria dello Spirito Santo che cammina. Dovremmo divenire simili a quei furgoni che girano per le nostre città con le pubblicità giganti oppure simili a quegli aerei con la pubblicità attaccata dietro che vediamo spesso volare sopra le nostre teste quando siamo in spiaggia al mare.

Quando si incontrano due sposi cristiani dovremmo leggere tra le righe quella campagna pubblicitaria dello Spirito Santo.. quando arrivano domande del tipo: Dove trovano la forza per amare/amarsi così? Cos’è che dà loro questa vitalità? La risposta dovrebbe essere: lo Spirito Santo. Noi lo abbiamo già ricevuto e lo incontriamo nei Sacramenti, ma la Sua presenza da sola non basta per santificarci, è necessario il nostro contributo, è necessario farLo abitare in stanze sempre più grandi dentro di noi, perché si comporta come un ospite delicato, rispettoso, riservato e discreto. Cari sposi, dobbiamo riscoprire questo ospite dolce dell’anima che è lo Spirito Santo, per farlo bisogna accostarsi spesso ai Sacramenti ed invocarlo ogni giorno in qualunque circostanza per qualunque esigenza, farlo insieme è ancora meglio.

Da ultimo vogliamo farvi notare come S. Paolo stette ad Efeso: <<discutendo e cercando di persuadere gli ascoltatori di ciò che riguarda il regno di Dio.>>. Anche in questo caso, l’azione primaria è l’evangelizzazione. Forse non tutti abbiamo capacità oratorie e la dialettica di S. Paolo, ma sicuramente dobbiamo saper essere pronti a rendere ragione della nostra fede, non importa se con parole semplici o con parole dotte, non importa se con 10 parole o con un discorso di 10 ore, se parliamo pieni di Spirito Santo la persuasione e la eventuale conversione sarà opera nostra con l’aiuto dello Spirito Santo (vista dalla parte umana), ma sarà soprattutto opera dello Spirito Santo che si è servito della nostra (povera ma necessaria) opera.

Coraggio quindi cari sposi, non abbiate paura di risultare antipatici o fuori moda se parlate col piglio dell’evangelizzatore, ci sono tante anime che aspettano le nostre povere parole, ma forse sono quelle decisive per cambiare vita.

Giorgio e Valentina.

Il matrimonio secondo Pinocchio /3

Una volta messosi d’accordo con l’amico, comincia il terzo capitolo così:

<< Geppetto, tornato a casa, comincia subito a fabbricarsi il burattino e gli mette il nome di Pinocchio, prime monellerie del burattino>>

Con fine comicità l’autore racconta le prime monellerie del burattino, ma prima di tutto ciò:

<< Che nome gli metterò ? – disse fra sé e sé. – lo voglio chiamar Pinocchio. […] Quando ebbe trovato il nome al suo burattino, allora cominciò a lavorare a buono, e gli fece subito i capelli, poi la fronte, poi gli occhi. >>

Manteniamo ancora l’immagine di Geppetto come simbolica del Padre per aiutarci nella riflessione. E’ significativo che la prima cosa a cui pensi Geppetto sia il nome. Il nome non è un semplice orpello, non è una sorta di soprammobile che se c’è o non c’è fa lo stesso. Se ci pensiamo bene ognuno di noi avrà chiesto almeno una volta ai propri genitori il motivo del proprio nome, o se non l’ha chiesto ad essi, sicuramente se l’è chiesto tra sé e sé.

Per lo sviluppo armonico della persona è di fondamentale importanza il nome, lo sanno bene i fratelli di una famiglia numerosa, i quali conoscono bene il tempo che hanno a disposizione prima che la madre pronunci il loro nome dopo aver passato in rassegna i nomi di tutti gli altri figli. A volte succede anche a noi di confondere al telefono la voce di una figlia per un’altra, la reazione non è delle migliori, e bisogna stare attenti a non confondere i nomi dei professori nonché dei compagni di classe… un errore è considerato un mancato riconoscimento della propria identità anche se fatto notare con ironia. Quanto è importante il nome che abbiamo, e di solito la prima volta che lo abbiamo sentito è uscito dalla voce di mamma o papà, quando lo sentiamo pronunciato con dolcezza e tenerezza ci sono buone notizie all’orizzonte, ma quando lo sentiamo gridato oppure digrignato tra i denti sono guai e cerchiamo rifugio dalle ciabattate in arrivo.

Molti nomi vengono storpiati o modificati con vezzeggiativi, nomignoli, soprannomi o altro, e non è raro trovare persone più affezionate a quel soprannome perché non amano il proprio nome reale; ci sono altre persone che amano di più il nomignolo col quale le chiamava il nonno o la nonna ad esempio; ci sono persone che si arrabbiano qualora si sentano chiamare col loro vero nome anziché col soprannome, le reazioni sono le più disparate; ci sono poi persone che per fare carriera hanno cambiato il proprio nome in un nome d’arte; altri artisti nascondono per una vita intera la loro vera identità dietro il nome d’arte; vengono usati pseudonimi per ragioni militari come gli 007 oppure pensiamo ai falsi nomi usati dagli organi di polizia per agire in incognito; ci sono poi i nomignoli usati dagli adolescenti innamorati per comunicare tra loro in privato; ci sono gli odiati nomignoli che ci siamo sentiti ripetere mille volte dalla mamma, nonna, zia, pseudo-zia o altra persona, nomignoli con i quali continuano a chiamarci anche se siamo adulti e che ci fanno andare su tutte le furie; alcuni usano il soprannome solo con gli amici mentre i suoi familiari ne sono ignari in casa; di alcune persone si conosce il vero nome solo al funerale; ci sono altri nomignoli, soprannomi e appellativi che i genitori usano inconsapevolmente a danno dei propri figli, quali : “campione, genio, stordito, patatone/a, ciccino, amorino del papà, amore della mamma, gioia, stella, cucciolone/a, tesoro, ecc… ; ci sono poi i nomi imposti da rigidi protocolli come quelli di re e regine, nomi decisi molto tempo prima che la creatura sia stata concepita.

Come possiamo notare, il nome non è qualcosa di aggiunto a noi, esso è parte integrante di noi, delinea in qualche modo anche la nostra personalità, il nostro futuro, la nostra missione nel mondo. Ma per il cristiano c’è ancora qualcosa in più, Gesù così si esprime nel Vangelo di Luca: <<rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli.>>(Lc 10,20)

Se dunque Geppetto è figura del Padre, scopriamo che ognuno di noi, ancor prima di venire all’esistenza in questo mondo, non solo esisteva in qualche modo in mente Dei, ma ancor di più, è stato chiamato per nome fin dall’eternità, ed il nostro nome è, per usare una metafora, nell’elenco degli invitati al banchetto di nozze eterno.

Inoltre nel libro di Isaia il nostro nome ha anche un’altra accezione, è segno di appartenenza a Colui che da sempre ci ha amato e sulla Croce ce lo ha dimostrato, un’appartenenza di cui dobbiamo riscoprire sempre più l’orgoglio e la fierezza: <<Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni.>> (Is 43,1)

Care famiglie, i nostri nomi dicono molto di noi, dobbiamo imparare ad usarli bene, a pronunciarli con amore e rispetto, non possiamo disprezzarli, dobbiamo ridare loro la dignità filiale e regale insieme… dignità filiale perché figli di un Padre e regale perché, anche se monelli, siamo pur sempre figli di un Re. Coraggio famiglie, questa settimana abbiamo la possibilità di rieducarci a chiamare i nostri cari col loro nome, ed impegnarci affinché sentano il proprio nome pronunciato con tenerezza, con amore, con rispetto, con dignità. Ma il nome più bello, più soave e più dolce che le coppie e le famiglie devono sempre avere sulle labbra e nel cuore è il santissimo nome di Gesù, del quale esistono anche le litanie.

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Giorgio e Valentina.

L’ accoglienza è femminile.

Dagli Atti degli Apostoli (At 16,11-15) Salpati da Tròade, facemmo vela direttamente verso Samotràcia e, il giorno dopo, verso Neàpoli e di qui a Filippi, colonia romana e città del primo distretto della Macedònia. Restammo in questa città alcuni giorni. Il sabato uscimmo fuori della porta lungo il fiume, dove ritenevamo che si facesse la preghiera e, dopo aver preso posto, rivolgevamo la parola alle donne là riunite. Ad ascoltare c’era anche una donna di nome Lidia, commerciante di porpora, della città di Tiàtira, una credente in Dio, e il Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo. Dopo essere stata battezzata insieme alla sua famiglia, ci invitò dicendo: «Se mi avete giudicata fedele al Signore, venite e rimanete nella mia casa». E ci costrinse ad accettare.

Oggi ci lasciamo stuzzicare da questo breve passaggio descritto nel libro degli Atti per mettere a fuoco una caratteristica che si vive nel matrimonio: l’accoglienza femminile. Di solito la Parola di Dio non contiene troppi particolari descrittivi riguardo alle circostanze in cui un fatto è avvenuto, anzi, spesso è piuttosto scarna ed essenziale; per esempio di Zaccheo sappiamo solo il nome e che era il capo dei pubblicani, ricco e piccolo di statura… quattro elementi ma quelli essenziali per inquadrarlo subito e perché il resto non interessa ai fini della salvezza. Nel Vangelo di Giovanni troviamo questa utile spiegazione:

<<Questi testi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel Suo nome. […] Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù, che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere.>>

Se dunque sono arrivate a noi solo quelle pagine utili alla nostra salvezza, cosa vorrà dire a noi la vicenda di questa Lidia? Innanzitutto è significativo che le donne trovino ampio spazio nella Bibbia, considerando che la società in cui si svolgono gli eventi era una società di stampo maschilista, le donne vivevano un po’ ai margini della vita pubblica e politica, e forse questo è uno tra i motivi per cui la dignità della donna viene posta sullo stesso piano di quella dell’uomo nella Parola di Dio. Vogliamo ribadire che questa parità tra i due sessi creati da Dio è parità nella dignità, lo abbiamo ripetuto spesso su questo blog – citando l’immutato Magistero di sempre – , maschio e femmina sono come le due facce della stessa medaglia, differenti ma complementari; solo rispettando le differenze che i due sessi portano con sé si compie – seppur con tanti limiti – il disegno originale della Creazione.

Ma torniamo alle donne del brano di oggi: come per Zaccheo, anche di Lidia sappiamo alcuni particolari, ci pare che il più rilevante tra essi sia quel credente in Dio, evidentemente non ancora credente nel Signore Gesù. La nostra prima riflessione: in questo tempo pasquale la Chiesa non si stanca di ripeterci in tutte le salse che quel Gesù appeso alla Croce è il Figlio di Dio, il Cristo, l’Unto, il Messia tanto atteso e che il Suo Sacrificio come Agnello di Dio è NECESSARIO per la nostra salvezza, NON C’E’ altro nome nel quale possiamo essere salvati. In sostanza non è sufficiente credere che Dio esista (a ciò basta la ragione umana) non è sufficiente credere in Dio, nel senso più generico del termine, ma è importante credere che Gesù è il Figlio di Dio morto e risorto per la nostra salvezza. Questa Lidia aveva una fede a cui mancava qualcosa, come un motore a cui manca un ingranaggio essenziale che fa girare tutto, gli mancava la fede in Gesù Cristo.

Seconda riflessione: è probabile che l’uditorio a cui si rivolge S. Paolo sia formato per la maggior parte da donne con appresso i figli, in ogni caso l’autore mette in evidenza solo le donne; non conosciamo i motivi di tale scelta ma possiamo dedurne che questo “ritrovarsi” tra donne sia prolifico per se stesse ma anche per la diffusione del Vangelo, infatti la nostra Lidia, viene battezzata insieme alla sua famiglia. E l’esperienza ci insegna che per tante famiglie la vita di fede o la loro conversione è partita dalla donna di casa, dalla sposa, dalla mamma. Lo testimoniano tanti mariti “portati” alla fede grazie alla loro fedele sposa, lo testimoniano tanti figli che ritrovano la fede da adulti, riscoprendo la testimonianza di vita della madre ed i suoi insegnamenti.

Terza riflessione: in questo brano irrompe con tutta la sua vitalità l’accoglienza tipica del mondo femminile, non che i maschi ne siano privi, ma è una caratteristica peculiare della donna l’essere accogliente, ne è prova anche il corpo femminile quando accoglie il marito nell’intimità coniugale; ne è prova eccellente la maternità, il momento meraviglioso in cui la donna si fa accoglienza con tutta se stessa, momento delicato e sublime in cui la donna fa spazio dentro di sé, spazio che è simbolicamente riassunto nello spazio che il suo corpo crea ma che si dilata in ogni sua fibra. Ed è proprio questa esperienza della maternità che ci aiuta nel capire come fare spazio dentro di noi al Signore Gesù, dobbiamo imitare il corpo femminile che crea uno spazio dove prima sembrava che non ci fosse, eppure si crea ed è vitale.

Care sposi e care spose, imitiamo con tutto noi stessi l’accoglienza del Signore Gesù che Lidia ci insegna in questo brano degli Atti, non solo dobbiamo imparare a fare spazio dentro di noi per accogliere il nostro coniuge, ma, anche e soprattutto, affinché l’accoglienza dell’altro sia segno esteriore dell’accoglienza del Signore Gesù… accoglienza dimostrata con i fatti.

Coraggio sposi, Dio non si stanca di chiederci accoglienza nel nostro cuore, a volte lo fa attraverso lei/lui.

Giorgio e Valentina.

Evangelizzare? È come il rugby.

Dagli Atti degli Apostoli (At 14,19-28) In quei giorni, giunsero [a Listra] da Antiòchia e da Icònio alcuni Giudei, i quali persuasero la folla. Essi lapidarono Paolo e lo trascinarono fuori della città, credendolo morto. Allora gli si fecero attorno i discepoli ed egli si alzò ed entrò in città. Il giorno dopo partì con Bàrnaba alla volta di Derbe. Dopo aver annunciato il Vangelo a quella città e aver fatto un numero considerevole di discepoli, ritornarono a Listra, Icònio e Antiòchia, confermando i discepoli ed esortandoli a restare saldi nella fede «perché – dicevano – dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni». Designarono quindi per loro in ogni Chiesa alcuni anziani e, dopo avere pregato e digiunato, li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto. Attraversata poi la Pisìdia, raggiunsero la Panfìlia e, dopo avere proclamato la Parola a Perge, scesero ad Attàlia; di qui fecero vela per Antiòchia, là dove erano stati affidati alla grazia di Dio per l’opera che avevano compiuto. Appena arrivati, riunirono la Chiesa e riferirono tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro e come avesse aperto ai pagani la porta della fede. E si fermarono per non poco tempo insieme ai discepoli.

Anche questa settimana ci troviamo di fronte ad una narrazione di fatti impressionante, forse siamo abituati a leggerla come fosse una bella favoletta a lieto fine, ma in realtà se provassimo per un attimo ad immergerci in queste descrizioni, seppur scarne, avvertiremmo tutta la portata di questi eventi.

Vogliamo solo rilevare alcuni particolari: innanzitutto si narra della lapidazione di S. Paolo come fosse la narrazione di uno che si allaccia le scarpe, ma la lapidazione non è mica un banale episodio di sfottò da parte di alcuni monelli di strada, inoltre Paolo viene trascinato fuori dalla città perché creduto morto. Trascinato non significa che abbiano usato la barella che usano in serie A per portar fuori dal campo gli infortunati, trascinato significa che è stato preso con tutta probabilità per le braccia e semi-rotolato su quel terreno sabbioso e ciottoloso – senza cura e senza alcun riguardo in quanto creduto morto – per decine di metri, vi lasciamo immaginare quanto dolore possa provocare quella simpatica ghiaietta sulle ferite – a viva pelle – ancora brucianti provocate dalla lapidazione, senza contare che il tragitto fino fuori le mura sarà stato accompagnato dagli sguardi indignati della gente appostata lungo i margini della strada, se non addirittura accompagnato dagli insulti e dagli improperi quando non da altri sassi.

Eppure viene liquidata l’intera faccenda con poche parole, perché? Perché il focus non è il dolore che Paolo sopporta per la sua fede in Cristo, il vero protagonista non è Paolo che come un antenato di Rambo si cuce da solo le ferite e riparte più forte di prima – ciò che non mi uccide mi rende più forte -, il vero protagonista è il Vangelo, la Buona notizia/novella – che viene predicato comunque e nonostante le molte tribolazioni. L’autore – S. Luca, l’evangelista – non si sofferma a descrivere i particolari delle ferite o delle altre tribolazioni sopportate da S. Paolo, eppure avrebbe potuto farlo essendo con tutta probabilità un medico; la parte dominante è l’incalzare dell’evangelizzazione, anche se per farlo, bisogna passare molti guai, la cosa importante è che La Parola corra veloce e che arrivi a tutti il più in fretta possibile.

L’urgenza è la salvezza delle anime, ma per ottenerla bisogna predicare la conversione e la fede in Gesù Cristo Figlio di Dio, risorto dai morti; e se la strada per evangelizzare è piena di sassi e di inciampi, irta e colma di pericoli nonché di fatiche di vario tipo, non ha importanza, la si percorre lo stesso, si rischia il tutto per tutto per la salvezza della anime; quando si intuisce la grandezza di essere discepoli del Signore, si è disposti a sopportare tutto pur di salvarsi e pur di salvare qualche altra anima.

Cari sposi, quante volte anche noi abbiamo avvertito questa urgenza all’interno delle nostre relazioni sponsali? O lasciamo andare le cose come vadano? Quante volte abbiamo sentito l’urgenza di salvare le anime dei nostri figli che magari stanno vivendo lontano da Dio? Certamente non possiamo oltrepassare la porta della coscienza altrui né con la prepotenza né con la superbia, ma almeno possiamo cominciare col rinnovare l’invito alla conversione, forse denunciare una situazione di peccato, soprattutto quando questo è mortale; ancor prima di fare questo sarebbe meglio mettere in preghiera – rafforzata dal digiuno – questa urgenza per chiedere al Signore di parlare con la Sua ferma dolcezza, di agire con la sua risoluta tenerezza, di essere Suoi strumenti per aprire una breccia nel cuore dei nostri cari.

Gli sposi inoltre sono come degli ambasciatori di Dio posti nel mondo in Sua vece, perciò ovunque essi si trovano a vivere, il mondo dovrebbe ricevere un annuncio simile a quello per cui S. Paolo è stato lapidato. Non a tutti è chiesto un annuncio a parole, ai più è chiesto un annuncio di vita vissuta nel matrimonio, conformi alla Grazia di questo sacramento. Se gli altri che vivono intorno a noi non si accorgono che siamo sposati in Cristo o nemmeno si accorgono che siamo cristiani, c’è qualcosa che non va nella nostra vita.

Coraggio sposi, quando si avverte che la cosa più preziosa di questa vita è viverla in funzione della salvezza e della costruzione del Regno di Dio, allora diveniamo simili a S. Paolo che non viene fermato da lapidazione, oltraggi, offese, naufragi, prigionie e molte altre tribolazioni. Impariamo dai giocatori di rugby che hanno lo sguardo puntato sulla meta, corrono il più veloce possibile con la palla in mano non curandosi di eventuali ostacoli che incontrano sul tragitto, l’importante è arrivare alla meta costi quel che costi.

Giorgio e Valentina.

Pinocchio /2

Terminato l’iniziale incontro alquanto burrascoso tra “quel pezzo di legno” e Mastro Ciliegia, ecco che il secondo capitolo comincia con un altro falegname, amico del primo, il quale bussa alla porta della bottega, teatro di un improbabile tafferuglio. Entra quindi in scena un secondo lavoratore del legno, il famoso Geppetto, il quale, a differenza di Mastro Ciliegia, ha già un’idea in testa: “Ho pensato di fabbricarmi da me un bel burattino di legno; ma un burattino maraviglioso, che sappia ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali.“.

Questa frase sembra solo uno stratagemma letterario per passare la palla a Geppetto, quasi che l’autore non avesse più idea di come far proseguire l’iniziale baruffa tra Mastro Ciliegia e il pezzo di legno; all’inizio infatti ci è sembrato di intuire che a volte anche noi facciamo così: quando non riusciamo a “trattare” con i nostri figli o con il nostro coniuge, cominciamo una battaglia, e nel bel mezzo di questa capita di voler gettare la spugna, un po’ come se aspettassimo un nostro Geppetto che finalmente ci liberi da questa fatica. E’ a questo punto che partono frasi del tipo: “Ma chi me l’ha fatto fare di sposarti?… aveva ragione mia mamma , mi aveva messo in guardia… ecc… “, ci sembra che l’altro sia come un’armadio dell’Ikea che non riusciamo a montare senza istruzioni, ci pare impossibile addirittura averlo scelto al negozio e di averlo già tra i piedi in casa… e invochiamo un fantomatico Geppetto che bussi alla porta e se lo/a prenda.

Cari sposi, a volte nel matrimonio si vivono momenti così, ma per capire come uscirne non dobbiamo invocare il nostro Geppetto, ma chiederci se non siamo noi ad essere come Mastro Ciliegia, se non siamo noi ad aver perso lo sguardo sul nostro coniuge, quello sguardo che intravede già un burattino. Continuando però nella riflessione su questo inizio del capitolo secondo, si può notare come salti all’occhio una differenza sostanziale tra i due falegnami: Mastro Ciliegia non sa che farsene di quel pezzo di legno e se ne vuole disfare, Geppetto, al contrario ha già un’idea in mente, viene alla porta di Mastro Ciliegia spinto proprio da quell’idea.

Il suo approccio è totalmente diverso perché ha un progetto molto ardito, ci vuole infatti molta immaginazione per intravedere dentro un pezzo di legno da stufa un burattino che sappia ballare. Se ci pensiamo bene Geppetto sta addirittura come raffigurazione di Dio Padre. Ed ognuno di noi in fondo è come quel pezzo di legno, del quale il Creatore ha deciso di farne un burattino che sappia ballare, su ognuno di noi c’è un progetto ardito e ben definito, ognuno di noi è stato pensato e fortemente voluto da Qualcuno prima di noi. Praticamente Pinocchio esisteva nella mente di Geppetto ancora prima di esistere, ancor prima di uscire da quel legno; similmente ognuno di noi esisteva nel pensiero di Dio dall’eternità.

Quando ero piccolo sentivo i racconti di fatti della mia famiglia accaduti prima che io nascessi, e la risposta alla mia faccina esterrefatta che sentivo spesso rivolgermi era: “Tu eri ancora in mente Dei“. Col tempo ho capito la profondità di tal modo di dire, perché è vero che prima ancora che ognuno di noi venisse all’esistenza era già in mente Dei, cioè nella mente di Dio, nei Suoi progetti, nelle Sue intenzioni.

E questa consapevolezza è la prima fonte di gioia della vita: la gioia di sapermi visto, voluto ed amato da sempre. Di fronte alle domande sulla nostra origine ci sono solo due strade: o tutto è un caso oppure tutto è stato voluto, tertium non datur, cioè la terza soluzione non esiste. Se volessimo seguire la strada del caso fino alle sue estreme conseguenze, tenendo come bussola il caso, rimanendo coerenti con questa tesi, finiremmo nella più desolata delle disperazioni, non troveremmo senso neanche dentro il più bello degli amori, dentro la più bella esperienza di affetto o di amicizia, e nemmeno si spiegherebbe il desiderio di infinito che alberga dentro il nostro cuore.

Al contrario, la visione di un Dio che, per sua libera ed insindacabile decisione decide di crearmi – senza chiedermene il permesso – è sicuramente eccedente ad ogni umana comprensione, ma è un mistero che illumina l’intera esistenza. Il motivo per cui il Creatore abbia deciso di creare me tra le molteplici ed infinite possibilità che aveva a disposizione resta oscuro alla mia ragione, l’unica risposta ragionevole è l’amore; alla radice della mia esistenza c’è un puro atto di amore incondizionato ed infinito perché la mia venuta all’esistenza non ha nessuna giustificazione convincente.

Facciamo un’ultima riflessione: se la radice del nostro essere è eterna, l’unico destino della nostra vita non può che essere eterno; in Dio infatti tutto esiste da sempre senza evoluzioni o successioni, ne sovviene che chi in qualche modo affonda le proprie radici nell’eternità, è fatto per vivere eternamente. La ragionevolezza della vita eterna quindi trova la sua spiegazione nell’atto creativo di Dio, in Lui l’inizio e la fine sono correlati, poiché in realtà inizio e fine sono categorie dell’umano pensiero, ma in Dio coincidono essendo in Se stesso infinito ed eterno.

Cari sposi, ogni tanto fermiamoci a ringraziare il Signore che – nonostante le nostre reticenze – ci ha donato il coniuge che da sempre ha pensato per noi, non ce n’era un altro migliore, ci ha donato quello perfetto, non perfetto in sé stesso, ma perfetto per amare solo noi e per lasciarsi amare solo da noi di un amore sponsale che deve avere il sapore dell’amore di Dio. Ma questo vale anche in relazione ai nostri figli: di genitori migliori di noi ce ne sono a bizzeffe, ma Lui ha scelto di fidarsi di noi perché solo noi abbiamo le caratteristiche perfette per amare quei figli, quelli e non altri, per realizzare il Suo progetto su quei figli ha bisogno di noi come genitori, nonostante – ma anche attraverso – le nostre povertà, le nostre fragilità, i nostri sbagli.

Coraggio sposi, non stiamo semplicemente insieme per il capriccio casuale di forze anonime alle quali siamo indifferenti, ma siamo uniti in virtù di una trascendente volontà di comunione che sta all’origine della nostra esistenza. Parafrasando le parole di Geppetto, il Creatore direbbe: “Ho pensato di fabbricarmi da me una coppia di sposi che…“.

Giorgio e Valentina.

La persecuzione feconda.

Dagli Atti degli Apostoli (At 11,19-26) In quei giorni, quelli che si erano dispersi a causa della persecuzione scoppiata a motivo di Stefano erano arrivati fino alla Fenicia, a Cipro e ad Antiòchia e non proclamavano la Parola a nessuno fuorché ai Giudei. Ma alcuni di loro, gente di Cipro e di Cirène, giunti ad Antiòchia, cominciarono a parlare anche ai Greci, annunciando che Gesù è il Signore. E la mano del Signore era con loro e così un grande numero credette e si convertì al Signore. Questa notizia giunse agli orecchi della Chiesa di Gerusalemme, e mandarono Bàrnaba ad Antiòchia. Quando questi giunse e vide la grazia di Dio, si rallegrò ed esortava tutti a restare, con cuore risoluto, fedeli al Signore, da uomo virtuoso quale era e pieno di Spirito Santo e di fede. E una folla considerevole fu aggiunta al Signore. Bàrnaba poi partì alla volta di Tarso per cercare Sàulo: lo trovò e lo condusse ad Antiòchia. Rimasero insieme un anno intero in quella Chiesa e istruirono molta gente. Ad Antiòchia per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani.

Anche in questo brano degli Atti troviamo un elenco di fatti che apparentemente potrà sembrare scarno, ma è alquanto essenziale per capire alcune dinamiche dell’evangelizzazione. Antiochia è diventata famosa perché è la città nella quale per la prima volta i discepoli di Gesù Cristo furono chiamati cristiani, ma come ha fatto il Vangelo ad arrivare in questa città benedetta sì da meritarsi un anno di predicazione del grande Apostolo delle genti, San Paolo, insieme al suo inseparabile Barnaba, ci viene raccontato in questo brano.

Tutto parte da alcune persone di Cipro e di Cirene, i quali, trasgredendo la consuetudine di allora, cominciano ad evangelizzare ai gentili, cioè ai non-Giudei. E il Signore benedisse questa apparente noncuranza delle “regole degli evangelizzatori”, questa sfrontatezza di permettersi di parlare ai non-Giudei. Ma possiamo premiarli semplicemente come dei pionieri dell’evangelizzazione oppure liquidarli alla stregua di sprovveduti a cui è semplicemente andata bene?

Nessuna delle due ipotesi sarebbe rispettosa di questi discepoli, essi infatti non sono degli improvvisatori ma hanno seguito l’intuito che lo Spirito Santo ha messo nei loro cuori, ma questo intuito non è venuto dal nulla come per incanto. Essi erano sfuggiti alla persecuzione causata da Stefano – ve lo ricordate quello che onoriamo il 26 Dicembre ed è definito il protomartire? – tra molte tribolazioni e pericoli, hanno viaggiato con prudenza e coraggio fino a giungere ad Antiochia. Quando si sopravvive ad una persecuzione – soprattutto una di quelle cruenti – non si può restare a braccia conserte aspettando il tempo che passa; è probabile che questa gente abbia conosciuto direttamente Stefano, in ogni caso, il fatto di essere sopravvissuti ad una persecuzione nonché ad un viaggio rischioso ed insidioso, avrà interrogato i loro cuori, e loro hanno risposto generosamente a questo appello della coscienza, hanno ricevuto nuova forza e coraggio dallo Spirito Santo per evangelizzare in questa nuova città anche i non-Giudei.

Cari sposi, di sicuro molti di noi sono “sopravvissuti” a tante tribolazioni, forse non a persecuzioni cruente, ci sono molte coppie che sono “risorte” dopo anni di relazione morta, ci sono sposi che hanno perdonato tradimenti nel silenzio del proprio cuore, nella totale indifferenza del mondo, forse, ma non sono indifferenti al Signore. Oggi ci rivolgiamo particolarmente a questi sposi: vi siete mai chiesti perché siete “sopravvissuti”?

Forse il Signore vi sta chiedendo di andare ad evangelizzare la vostra “Antiochia”, non lasciate cadere invano la richiesta dello Spirito Santo ad essere Suoi testimoni veraci, basta rispondere con generosità all’appello del Signore, almeno come atto di giustizia a Colui che un tempo si è mostrato tanto generoso con voi da donarvi un “nuova vita”.

Alla fine di questo brano si capisce cosa intende la Chiesa quando ci insegna che le persecuzioni sono feconde, quando ci insegna che il sangue dei martiri diventa come il fertilizzante che nutre e fa germogliare la terra: tutto nasce dal martirio di Santo Stefano e dalla persecuzione scoppiata a causa sua, questa gente scappa fino ad Antiochia, lì giunge Barnaba, il quale chiama pure San Paolo, si fermano almeno un anno ed il Vangelo comincia ad essere predicato ai non-Giudei. Tutto è partito dal martirio di Santo Stefano, se ci pensiamo bene noi che non siamo dei Giudei siamo stati evangelizzati grazie a questa vicenda narrata in questo brano, poteva Stefano immaginarsi che il suo sacrificio sarebbe stato così fecondo? No di sicuro!

Coraggio sposi, quando siamo perseguitati, quando stiamo vivendo un sacrificio per Cristo, non temiamo di vivere senza un senso, perché il Signore sa rendere fecondo ogni nostro piccolo gesto di amore per Lui, anche se noi non vedremo i frutti con i nostri occhi.

Giorgio e Valentina.

Egli ha cura di voi

Dalla prima lettera di san Pietro apostolo (1 Pt  5,5b-14) Carissimi, rivestitevi tutti di umiltà gli uni verso gli altri, perché Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili. Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio, affinché vi esalti al tempo opportuno, riversando su di lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi. Siate sobri, vegliate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede, sapendo che le medesime sofferenze sono imposte ai vostri fratelli sparsi per il mondo. […]

Oggi ci viene proposto quello spezzone della prima lettera di Pietro nella quale viene citato l’evangelista Marco, perché oggi cade proprio la sua festa, è come se la Chiesa volesse ricordarci che l’evangelista Marco non è uno che si è alzato una mattina con la strampalata idea di scrivere un Vangelo, ma è uno che ha vissuto fianco a fianco con S. Pietro, praticamente è stato il suo segretario per tanto tempo… come a dire che il Vangelo di S. Marco non è nient’altro che una raccolta ordinata delle prediche di S. Pietro.

Se in apparenza questo ci sembra un dato di poco conto, in realtà, ci aiuta a comprendere come davvero la nostra fede sia fondata sulla predicazione apostolica sia orale che scritta; ed è proprio così che “funziona” la trasmissione della fede, non è un fulmine a ciel sereno, essa ha bisogno di umanità, necessità di incontri, di volti, di testimonianze, di rapporti veri dentro un’ amicizia bella.

E qual è il rapporto più prossimo a noi per trasmettere e vivere una vita impastata di fede concreta? Naturalmente il matrimonio, anzi, il sacramento del matrimonio. Va specificato, perché il matrimonio da solo non ce la fa, presto o tardi si scontra con le bassezze umane, per vivere questa trasmissione della fede è necessaria la Grazia, e il luogo dove si incontra la Grazia nell’esperienza cristiana si chiama sacramento.

Le poche parole su cui ci soffermiamo oggi sono le seguenti: “[…] riversando su di lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi. Siate sobri, vegliate.” Sono parole accorate di Pietro, il quale vuole incoraggiare e irrobustire la fede delle varie comunità a cui sta scrivendo. Probabilmente sta parlando delle preoccupazioni che questi fratelli nutrivano per le persecuzioni nei loro confronti, o comunque cercava di dare risposte alle varie circostanze che giungevano ai suoi orecchi da vari messaggeri.

Se non viviamo la nostra figliolanza divina, finisce che restiamo intorcigliati nella faccende di questo mondo, come succede ad una mosca che non riesce più a liberarsi dalla ragnatela nella quale si è impigliata… pensiamo, sbrighiamo faccende, ci diamo da fare, ci affaccendiamo per cose di poco conto, ci arrabbiamo se non tutto procede secondo i nostri piani… praticamente viviamo come se tutto dipendesse da noi. E qui sta il problema: siccome noi avvertiamo la nostra limitatezza, ne avvertiamo la fragilità, ci scontriamo giorno dopo giorno con la nostra incapacità a stare dietro a tutto, sbattiamo continuamente contro il muro dei nostri limiti, della nostra incapacità di avere tutto sotto controllo – perché qualcosa inevitabilmente sfugge al nostro controllo – … avvertiamo di non avere il pieno controllo, e questo ci disorienta, ci lascia un senso di incompiutezza, e così nascono le ansie, le paure, gli attacchi di panico.

Quando siamo pre-occupati significa che ci occupiamo prima di una realtà senza viverla ancora, significa che il cuore sta già lavorando dentro quella realtà prima che essa diventi reale avvenimento che ci interpella, ma questo è angosciante proprio perché mette in moto tutti quei meccanismi di cui sopra… col cuore viviamo già quella – probabile – realtà ma avvertiamo di non poter controllare nemmeno il futuro. Che fare dunque?

Bisogna tornare come bambini, e i bambini che realtà vivono? Quella di essere figli, di appartenere ad un papà e ad una mamma, e non conoscono l’ansia del non controllo, perché lasciano il controllo a papà e mamma. Anche noi sposi dobbiamo imitare questo modo di vivere dei bambini, dobbiamo riscoprire la nostra figliolanza divina: se abbiamo un Creatore che è un padre, o meglio, che è Il Padre – non un padre qualunque – e ci conosce nelle nostre fibre più intime perché le ha pensate Lui, quale padre lascerebbe un bimbo in balìa dei pericoli del mondo che lo circonda?

Cari sposi, nella vita matrimoniale non mancano tempi difficili e duri, tempi in cui la nostra figliolanza divina – dono del Battesimo – è messa a dura prova, ma Pietro ci assicura di riversare in Dio ogni nostra preoccupazione affinché essa non ci soffochi il cuore, se infatti abbiamo fiducia nel Padre abbiamo la certezza che Lui avrà cura di noi. Ce lo assicura questa Parola: Egli avrà cura di noi.

Lo sposo e la sposa sono l’uno per l’altra questa manifestazione nella carne della cura di Dio, coraggio allora, cari sposi, il Signore ha talmente fiducia di noi che ci fa Suoi vicari della Sua cura presso il nostro coniuge. Chi si affida a Lui non rimane mai deluso, coraggio!

Giorgio e Valentina.

Pinocchio /1

Inizia con oggi un serie di articoli sul famosissimo libro di Carlo Collodi, pseudonimo di Carlo Lorenzini, il quale scrisse su un giornale per bambini una serie di avventure di un simpatico burattino di legno, la raccolta di queste storie divenne poi il celebre libro che tutti conosciamo. Raccontiamo brevemente la trama per chi avesse bisogno di rispolverare la memoria: da un pezzo di legno – che magicamente ha vita propria – un falegname di nome Geppetto tira fuori un burattino che si muove senza fili avendo vita propria, e dopo una serie di avventure più o meno disastrose, finalmente il burattino diventa un bambino vero in carne ed ossa. Ci sono diversi autori che hanno tratto spunto dai racconti del burattino, noi cercheremo di fare un miscuglio tra le riflessioni che il libro ha suscitato a noi come sposi/genitori e quelle che il compianto cardinale Giacomo Biffi racconta nel suo libro “Contro Mastro Ciliegia“, definito da lui stesso un commento teologico alle avventure di Pinocchio.

Le nostre riflessioni non seguiranno il susseguirsi dei capitoli pagina dopo pagina, ma potrà succedere di saltare qualche capitolo a piè pari, a volte ci soffermeremo su qualche particolare, capiterà che citeremo alcune frasi chiave del Collodi, altre volte analizzeremo un personaggio piuttosto che un altro, di modo che gli sposi che avranno la pazienza di seguirci in questo percorso potranno avere la possibilità chi di fare un cammino di crescita personale, chi di crescere come coppia, chi di crescere come genitore, chi di crescere nella fede, chi di guarire dalle ferite del passato.

Fatte le dovute premesse cominciamo ad aprire il primo capitolo che ci fa entrare “nella bottega di un vecchio falegname, il quale aveva nome mastr’Antonio, se non che tutti lo chiamavano maestro Ciliegia, per via della punta del suo naso, che era sempre lustra e paonazza, come una ciliegia matura“. Ma a ben vedere non siamo noi ad entrare in questa bottega, semmai ci limiteremo ad osservare dal di fuori gli avvenimenti che fra poco accadranno in tale luogo, ciò che invece entrò davvero in questa bottega artigiana fu “Non un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli che d’inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e per riscaldare le stanze“. Mastro Ciliegia è un uomo senza fronzoli, che incarna il materialista tipo, uno per il quale è vero solo ciò che si vede e si tocca, che non lascia spazio alle novità, insomma… per lui un pezzo di legno è solo un pezzo di legno. Tant’è vero che gli pare inconcepibile il sentire una vocina uscire da quel legno, si convince che possa essere un’autosuggestione, siccome non rientra nei suoi schemi è impossibile e non ci crede neanche quando la sente ripetutamente. Lui aveva già segnato il destino di quel pezzo di legno, e gli pareva di avergli già concesso troppo considerarlo “una gamba di tavolino“, una gran fortuna per un pezzo di legno da catasta.

Quante volte anche noi consideriamo il nostro coniuge come un pezzo di legno da catasta? Quante volte anche noi ci pare che averlo/la già considerato come una gamba da tavolino sia pure troppo per un pezzo da catasta?

Cari sposi, troppe volte anche noi bolliamo con un marchio il nostro amato, la nostra amata, e non glielo leviamo più, perché per noi è impossibile che esca una vocina da quel pezzo di legno che è il nostro coniuge, ci pare impossibile che dentro quel legno ci sia un’anima, siccome non rientra nei nostri schemi imprigioniamo lei/lui nel pre-giudizio che abbiamo nei suoi confronti. Lo incateniamo dentro le nostre definizioni “sei sempre lo stesso/la stessa“… “è impossibile, non cambierai mai” … “lascia stare che tu non sei capace” … “. Questo è il metodo migliore per bloccare lui/lei che magari sente una spinta a cambiare se stesso/a ma ne è impedito/a dalle prigioni in cui noi lo/la abbiamo rinchiuso/a. E così succede anche con i bambini: se l’educatore continua ad apostrofarlo “stupido“, il bambino crescerà convinto di esserlo e lo diventerà davvero; così com’è altrettanto pericoloso definirlo sempre “sei un genio“, questo crescerà convinto di esserlo ma presto o tardi si scontrerà con la dura realtà e saranno dolori.

L’amore degli sposi deve sempre più assomigliare all’amore di Dio Padre: un amore che incoraggia a migliorarsi sempre, un amore che ci fa sentire unici ed irripetibili, un amore che non nega i nostri difetti ma li abbraccia, un amore che vede più in là del nostro naso, che non vede solo quel pezzo di legno da catasta che siamo, ma intravede già ciò che potremmo diventare con la Sua Grazia. Coraggio sposi, la strada del matrimonio non è fatta per gente statica, facciamo sentire la nostra vocina a lui/lei, ma soprattutto apriamo le nostre orecchie per sentire la vocina del nostro coniuge che si sforza di uscire da quel pezzo di legno da catasta che per noi è già tanto se diventerà una gamba di tavolino.

Giorgio e Valentina.

I nostalgici

Dagli Atti degli Apostoli (At 4,32-37) La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune. Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore. Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno. Così Giuseppe, soprannominato dagli apostoli Bàrnaba, che significa “figlio dell’esortazione”, un levìta originario di Cipro, padrone di un campo, lo vendette e ne consegnò il ricavato deponendolo ai piedi degli apostoli.

Proseguendo nella lettura degli Atti degli Apostoli ci si imbatte in questo brano che viene proposto nella Messa odierna. Ci sono vari studi che hanno approfondito la vita delle prime comunità cristiane, ora per capirne la struttura ora per studiarne l’impatto sociale o per altri motivi, ma quello che più ci interessa non è tanto come fosse strutturata la prima Chiesa oppure quali stili di vita avesse perché questo potrebbe da un lato stimolarci ma dall’altro restare pura curiosità ma non toccare la nostra vita.

Tra questi modi di leggere la prima forma di vita comunitaria post-resurrezione quella che spicca di più è quella dei nostalgici che vorrebbero plasmare la Chiesa (non in senso mistico, ma nel senso della Chiesa organizzata) sul modello di questa prima comunità descritta negli Atti, e più volte nel corso della storia ci sono stati tentativi di riprodurre questa comunità ma sono tutti falliti. Certamente questi tentativi sono lodevoli nell’intenzione ma poi si sono scontrati con la dura realtà; infatti la società, il popolo, l’epoca, i costumi, gli stili di vita, le usanze, la struttura politica e la cultura in cui è nata quella comunità primitiva sono completamente diversi dai nostri perciò questo rende praticamente impossibile riprodurre esattamente quella Chiesa originaria. Ma perché quella comunità primitiva continua ad affascinarci nonostante siano passati molti secoli? I cosiddetti nostalgici della comunità primitiva sono spinti da un’illusione oppure c’è qualcosa che comunque ci attrae? Dov’è il segreto di questa comunità?

Certamente dobbiamo tener presente che i fatti di Gesù erano appena accaduti, soprattutto la Pentecoste ha sigillato nei cuori dei Dodici le apparizioni del Risorto ed impresso nuova forza e coraggio in loro, sicuramente poi dobbiamo tener presente che la Madonna era ancora tra loro all’inizio, e queste situazioni sono certamente favorevoli e non possono essere riprodotte tali e quali, quella resta una condizione privilegiata ed irripetibile, ecco perché ci viene presentata anche in qualche dettaglio; quei fatti straordinari, le persone coinvolte e le condizioni uniche ed irripetibili sono per il lettore una conferma che si sta narrando di fatti realmente accaduti, è come se fosse un sigillo di garanzia che il prodotto è DOC e DOP – e tutte le altre sigle che volete -.

Il fascino che tale situazione esercita su di noi – e la sua irripetibilità – non può diventare invidia della grazia altrui altrimenti cadremmo in un peccato grave e nemmeno ci deve illudere di riprodurlo tale e quale come se fossimo a teatro e sconnessi dalla vita reale. Possiamo però tendere a riprodurre non tanto le situazioni e gli stili di vita di tale comunità prototipo, quanto la vera realtà che ci affascina ma di cui spesso non teniamo conto in maniera adeguata: “La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola […] “.

Questo è il nocciolo, questo è il vero motore di quella comunità, questo ha suscitato quel modus vivendi che tanto ci affascina e suscita nostalgia nel nostro cuore. E’ la nostalgia di unità, la nostalgia della pace vera, la nostalgia di una perfetta armonia, in altre parole la nostalgia di Dio che è in se stesso tale armonia tra le tre Persone Divine, tale unità di cuori che battono all’unisono. Non è sbagliato dunque il moto iniziale dei nostalgici, ma deve essere incanalato nella realtà concreta che ci sta davanti.

All’interno della comunità dell’Intercomunione delle famiglie sperimentiamo questa realtà, seppur con tutti i limiti dell’umana natura e della società odierna, poiché il motore di tutto è avere un cuore solo che batte all’unisono per aiutarci reciprocamente a vivere più santamente il sacramento del matrimonio – a partire dal vivere bene la sessualità e la castità coniugali – abbiamo come un’anima sola che respira lo stesso respiro di Dio ma che si traduce in diversità di stili, assomiglia un po’ a quando diverse case automobilistiche mettono in comune un’ unico progetto di automobile ma lo rivestono ognuna a proprio modo, sotto però c’è la stessa scocca, lo stesso motore, le stesse caratteristiche principali… se le guardi da fuori ne cogli le diversità estetiche, ma gli esperti nel settore sanno e vedono che sotto c’è la stesso progetto.

Questa vita comunitaria come incide sul matrimonio? Aiuta ed incoraggia gli sposi a riprodurre all’interno della loro relazione sponsale quelle stesse caratteristiche di unità di intenti, di unità di cuori, di unità di obiettivi. Ogni incontro diventa un’occasione di bene reciproco, perché non c’è nessuna primadonna che si impone, ma ogni coppia mette in comune ciò che ha – non importa che sia tanto o poco – ogni coppia mette a disposizione le proprie capacità e carismi: c’è chi prepara la logistica, chi pensa alle vettovaglie, chi pensa ai bambini, chi cucina bene e chi mangia con gusto, chi aiuta a pregare, chi a cantare, chi ha capacità oratorie, chi ha capacità informatiche, chi tiene la cassa, chi sa ascoltare i cuori, chi sa dare il consiglio giusto, chi sa accompagnare le ferite, chi capisce cosa è meglio per tutti, chi si fida di queste scelte… ogni coppia ritorna alla propria quotidianità con un pizzico in più di coraggio per affrontare le proprie sfide e con un po’ più di fiducia in se stessa perché vede altre coppie vivere il sacramento del matrimonio dando il massimo di se stessi, affidandosi con la fede nel Signore Gesù, ne vedono i frutti di Grazia ed insieme si riprende forza e coraggio.

Il marito impara dalle virtù degli altri mariti ad amare meglio e più in profondità la propria sposa; la moglie si confronta con le altre mogli e si incoraggiano a vicenda per amare meglio e di più i propri sposi. La comunità primitiva aveva dei doni particolari ed unici, ma se ci pensiamo bene anche le nostre comunità parrocchiali, i nostri gruppi di preghiera o le altre realtà comunitarie – come quella sopra descritta – hanno la possibilità di avere la presenza reale, viva, sostanziale ed efficace della presenza di Gesù – nella Santissima Eucarestia -, possono anche beneficiare della materna presenza della Madonna – per esempio recitando il Rosario – e possono invocare l’aiuto dei Santi Apostoli con la preghiera.

Cari sposi, tutte queste bellezze possono diventare realtà sia per le nostre parrocchie che, soprattutto, per le nostre case, le nostre chiese domestiche, dove la presenza di Cristo è reale tra i due sposi consacrati dal Sacramento del Matrimonio. Coraggio dunque, care famiglie, lasciamoci invadere dal fascino della primitiva comunità cristiana e chiediamo l’aiuto dal Cielo perché essa possa essere riprodotta nella sua essenzialità a partire dalla nostra relazione sponsale.

Ciò che è impossibile agli uomini è possibile a Dio.

Giorgio e Valentina.

Pietrina di scarto o no?

Dagli Atti degli Apostoli (At 4,1-12) Allora Pietro, colmato di Spirito Santo, disse loro: «Capi del popolo e anziani, visto che oggi veniamo interrogati sul beneficio recato a un uomo infermo, e cioè per mezzo di chi egli sia stato salvato, sia noto a tutti voi e a tutto il popolo d’Israele: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi risanato. Questo Gesù è la pietra, che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo. In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati».

In questa ottava di Pasqua la Chiesa ci fa leggere vari incontri del Risorto descritti nei Vangeli e contemporaneamente diversi brani dagli Atti degli Apostoli, che è un libro che assomiglia ad un diario di bordo, una sorta di raccolta ordinata dei fatti accaduti dopo la Risurrezione e la Pentecoste. In particolare oggi ci soffermiamo sulle due frasi finali di S. Pietro di questo brano perché ci toccano nel profondo come sposi.

Innanzitutto è curioso che Simone usi la metafora della pietra, la stessa usata dal Maestro quando cambiò il suo nome in Pietro, per dirci qualcosa circa la natura del Risorto, infatti la metafora si impreziosisce di un particolare, e cioè del fatto che Gesù non è solo una grande pietra di una costruzione, ma la pietra d’angolo. Per capire questa metafora è bene sapere che la pietra angolare (o testata d’angolo) di una costruzione è la prima pietra posata, sulla quale si è soliti incidere un’iscrizione che riporta date e nomi a memoria dei posteri, è anche la pietra sulla quale idealmente poggia tutta la struttura muraria.

Il matrimonio deve essere come quella struttura che si poggia sulla pietra angolare, che è il Cristo, ed i costruttori del matrimonio devono posare un mattone dopo l’altro, giorno dopo giorno, a partire da quella pietra che regge il peso di tutta la casa, è la pietra che non si sposta mai, la pietra che resterà sempre al proprio posto; ogni mattone fa da base a quello sopra, ma a sua volta si appoggia su quella pietra. E qual è l’iscrizione incisa sulla pietra angolare del nostro matrimonio?

Sicuramente ci sono i due nomi degli sposi e quello di Cristo. Ma anche se uno dei due dovesse decidere di andarsene a costruire un’altra casa con un’altra persona, quella pietra resterà fissa lì, la nuova casa (tranne nel caso di nuovo matrimonio dopo una vedovanza) non avrà una pietra angolare, i mattoni non avranno una base solida ed indistruttibile sulla quale poter contare sempre, anche in caso di terremoto o di uragano; sarà una casa senza una pietra angolare che regge tutto il peso, senza una pietra sulla quale restano incisi i nomi degli sposi.

In questo brano Pietro lo dice in modo esplicito, casomai qualcuno avesse dei dubbi: “In nessun altro c’è salvezza” come a dire che noi possiamo costruire tutte le strutture che vogliamo e con chi vogliamo, ma solo quella che ha Cristo come pietra angolare sarà salva dalle intemperie. Spesso ci capita di incontrare coppie che ci raccontano delle loro grandi difficoltà matrimoniali, relazioni ridotte all’osso, sposi che dialogano con più facilità coi colleghi piuttosto che con la moglie, spose che si confidano con le amiche (peggio se con la mamma) invece di aprire il proprio cuore al marito, sposi che si sentono in diritto di tutto ed in dovere di niente, spose che non si sentono comprese e si sentono trattate come oggetti dai propri mariti, ecc… quando poi si entra un po’ in dialogo si scopre che queste coppie non frequentano la Messa domenicale da tempo immemore, oppure sono coppie che frequentano l’oratorio solo per fare volontariato di vario tipo, oppure sono coppie che si sono macchiate del gravissimo peccato di aborto, coppie che non vivono una vita di fede, restano lontano dalla vita sacramentale: queste coppie potremmo paragonarle ad una casa che non è stata costruita dalle mani esperte di un muratore, case che non hanno seguito il progetto originale del geometra, case fai da te che non tengono conto dei calcoli dell’architetto, in Campania le definirebbero “case sgarrupate“.

Cari sposi, se vogliamo che la casa del nostro matrimonio sia sempre più bella, più robusta e più ordinata, bisogna che ci atteniamo ai disegni del progettista, dobbiamo seguire le regole di costruzione date dall’architetto del nostro matrimonio, seguire le regole di manutenzione ordinaria e straordinaria che ci vengono date. I matrimoni che trattano Cristo come una pietrina di scarto non avranno mai una casa secondo il progetto originale, per dirla alla moda di adesso non avranno mai una casa “veramente ecologica”.

Coraggio sposi, se ci accorgiamo di avere qualche muro storto e fuori asse, se ci accorgiamo di qualche colonna non a filo di piombo, possiamo sempre recuperare chiamando il progettista che ci mandi dei tecnici che ci aiutino a ripristinare la nostra casa secondo il progetto originale.

Giorgio e Valentina.

I nostri sabati

Non è mai facile scrivere un articolo nel giorno solenne del Sabato Santo poiché su questo giorno hanno scritto fiumi di parole grandi santi e predicatori quali i Dottori e i Padri della Chiesa, e traiamo proprio da uno di loro la riflessione di oggi; è un testo molto ricco e profondo, ne riportiamo solo alcune frasi che ci aiutano come sposi.

Da un’antica «Omelia sul Sabato santo» (PG 43, 439. 451. 462-463) La discesa agli inferi del Signore.  Che cosa è avvenuto? Oggi sulla terra c’è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne si è addormentato e ha svegliato coloro che da secoli dormivano. Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi. ​Certo egli va a cercare il primo padre, come la pecorella smarrita. Egli vuole scendere a visitare quelli che siedono nelle tenebre e nell’ombra di morte. Dio e il Figlio suo vanno a liberare dalle sofferenze Adamo ed Eva che si trovano in prigione. ​Il Signore entrò da loro portando le armi vittoriose della croce. […] ​Io sono il tuo Dio, che per te sono diventato tuo figlio; che per te e per questi, che da te hanno avuto origine, ora parlo e nella mia potenza ordino a coloro che erano in carcere: Uscite! A coloro che erano nelle tenebre: Siate illuminati! A coloro che erano morti: Risorgete! A te comando: Svegliati, tu che dormi! Infatti non ti ho creato perché rimanessi prigioniero nell’inferno. Risorgi dai morti. Io sono la vita dei morti. Risorgi, opera delle mie mani! Risorgi, mia effige, fatta a mia immagine! Risorgi, usciamo di qui! Tu in me e io in te siamo infatti un’unica e indivisa natura. […]

In questo giorno la Chiesa vuole far risaltare il grande silenzio descritto all’inizio di quest’antica omelia attraverso il silenzio delle campane, ci vuole aiutare a vivere questo giorno con mestizia, vuole spronarci a riflettere sul nostro rapporto col Salvatore, ci aiuta a fare un serio esame di coscienza; se vogliamo trarre maggior profitto da questo Triduo bisogna che impariamo a seguire i consigli e le direttive che la saggezza bimillenaria della Chiesa ci mette a disposizione.

Le parole di questo testo sono eloquenti e non hanno bisogno di commenti per essere comprese, ci permettiamo solo di farvi notare come a volte anche gli sposi siano come Adamo ed Eva, anche noi abbiamo disobbedito ai comandi del Signore, ai comandi dell’Onnipotente, a volte abbiamo ceduto alle lusinghe dell’antico serpente, abbiamo permesso che il tentatore infilasse nei nostri pensieri il dubbio che Dio non ci ami perché le sue leggi sarebbero castranti per la nostra vita.

Se leggiamo con attenzione le parole che quest’omileta pone sulle labbra del Salvatore ci accorgiamo che non sono parole di vendetta o di rancore (questo il link per la lettura integrale), esse assomigliano alle poche parole che Gesù rivolge alla adultera che ha rischiato la lapidazione: non nega il peccato di lei, ma nello stesso tempo vede nel cuore di questa donna le condizioni necessarie per ricevere il perdono e la congeda invitandola con ferma tenerezza a non peccare più. Similmente, in questa discesa agli inferi, il Salvatore usa parole che non negano il peccato di Adamo ed Eva, ma nello stesso tempo li esorta, li invita, li incoraggia ad uscire da quella prigione, a risorgere.

Per capire cosa vuole dirci il Signore, vi invitiamo a rileggere lentamente il testo integrale sostituendo i nomi di Adamo ed Eva con i nostri, e sostituendo ai loro peccati i nostri, sicuramente molte coppie troveranno giovamento per il proprio cammino. Non importa il mero e freddo elenco dei peccati del passato, o quelli del presente, non ha troppa importanza neanche la quantità e la loro gravità SE non ci pentiamo di essi. Le condizioni “sine qua non” per ricevere il perdono del Signore sono quelle che la Chiesa ci insegna da sempre: 1) l’esame di coscienza 2) il dolore dei peccati 3) il proponimento di non commetterne più 4) la confessione 5) la soddisfazione o penitenza.

E questi atteggiamenti non possono essere vissuti a compartimenti stagni, perché noi siamo un’unità inscindibile di anima e corpo, dobbiamo fare in modo di predisporre la nostra anima a chiedere e ricevere il perdono di Dio e dobbiamo esternarlo nel corpo. Quando il Signore scorge questi moti del cuore, non resiste ed apre i boccaporti del Suo Sacratissimo Cuore dal Quale sgorgano infiniti fiumi di misericordia. Probabilmente ci sono tante coppie che si trovano nella condizione di Adamo ed Eva descritta nel testo citato, ed è proprio su questo punto che vogliamo cogliere la riflessione odierna: non serve a niente piangersi addosso, l’autocommiserazione non fa bene al cuore, contemporaneamente non ha nemmeno senso lo sminuire i nostri peccati e/o scusarli sempre e comunque.

Il Signore scende nelle nostre prigioni di sposi per tirarci fuori da lì e la chiave per uscirne è sulla sua Croce. Egli ci comanda di uscire, badate bene che è un comando, non è un suggerimento della fatina delle fiabe. Ma perché ha il potere di comandare? Perché Lui è IL SIGNORE, e questa signoria però la esercita con lo stile della Croce, su quella croce infatti è vittorioso.

Cari sposi, accogliamo il comando misericordioso di Gesù: sposo e sposa, ordina a voi di uscire dalla prigione del peccato. Comanda a noi sposi di risorgere dalla morte del peccato e di vivere nella Sua luce e ci definisce “opera delle mie mani” e “mia effige”. Come possiamo essere Sua effige se restiamo prigionieri? Coraggio sposi, questo Sabato Santo evadiamo dalle nostre prigioni, non c’entrano niente i sentimenti, quando Gesù comanda si obbedisce senza se e senza ma.

Coraggio e … Buona Santa Pasqua.

Giorgio e Valentina.

La fiamma smorta.

Dal libro del profeta Isaìa (Is 42,1-7) «Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio. Ho posto il mio spirito su di lui; egli porterà il diritto alle nazioni. Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta; proclamerà il diritto con verità. Non verrà meno e non si abbatterà, finché non avrà stabilito il diritto sulla terra, e le isole attendono il suo insegnamento». […]

Quello proposto il Lunedi Santo è un brano che ci introduce in maniera inequivocabile verso la Pasqua imminente delineando alcuni tratti principali del servo di Dio, così infatti viene preannunciato il Messia, e già chiamarlo servo dice tanto della Sua missione, ma poi ne vengono delineate alcune caratteristiche che ci aiutano a comprendere meglio alcuni aspetti di Gesù. In particolare oggi ci soffermiamo sull’espressione : “non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta“.

Incontriamo tante coppie in crisi relazionale, in cui è venuta a mancare la fiducia reciproca, coppie che non riescono più a vedere l’altro come una risorsa e come un dono. Non vogliamo entrare nell’intricato mondo delle relazioni, ma solo mettere in evidenza uno tra i tanti pericoli che minano la relazione e la coppia stessa. Per farlo dobbiamo innanzitutto capire come agisce il Signore con noi. Egli non è uno che lascia al diavolo campo libero senza mettere a nostra disposizione tutte le armi per combattere questa buona battaglia quotidiana. Il diavolo è invidioso perciò cerca SENZA SOSTA, in ogni modo e con ogni mezzo, di rubare un figlio di Dio dalla salvezza di Dio per conquistarlo all’inferno eternamente.

Il Signore permette queste tentazioni per saggiare la nostra fede, per trarne un vantaggio per la nostra fede, affinché accresca la nostra fede in Lui di vittoria in vittoria contro l’antico serpente; nella battaglia sperimentiamo quanto la vittoria sia alla nostra portata non tanto grazie alle nostre misere forze, ma per la Sua potenza, se ci affidiamo a Lui e ci rifugiamo in Lui nella battaglia, Egli certo non ci deluderà, anzi, riporteremo sempre vittoria perché il Signore è infinitamente più potente dei Satana. Spesso però ci lasciamo travolgere dagli eventi perché gli attacchi del Maligno non sono così sfacciati e frontali, il più delle volte egli agisce con sotterfugi, di nascosto, come fa un infiltrato, uno sporco doppiogiochista, una vera e propria spia, maschera il male di bene e traveste il bene di male, cosicché nella confusione ci sferra l’attacco finale, anzi, la confusione è già una sua piccola vittoria.

Non di rado in questi frangenti noi cadiamo nella delusione, nello scoraggiamento, nella sfiducia in noi stessi, negli altri, nella vita e in Dio. La voce del Signore si fa sentire più che mai, continuando a farci vedere sprazzi di luce, un po’ come se ci facesse scorgere la luce in fondo al tunnel, come se ci facesse intuire che il finale sarà diverso, ma ci lascia liberi di aderire alla Sua voce o meno. I Suoi appelli non sono quasi mai come dei manifesti a caratteri cubitali in mezzo agli incroci, come quelle gigantografie che siamo soliti vedere in giro per le nostre grandi città, non è così, spesso la Sua voce assomiglia ad un fiorellino che sboccia in mezzo alle fessure del marciapiede, come quella farfalla che si posa sulle roselline del nostro balcone tra l’indifferenza dei nostri sguardi, assomiglia all’ultimo raggio di sole che squarcia le nubi dopo una giornata di temporale, come un arcobaleno che silenziosamente appare… per poter scorgere tutte queste bellezze bisogna avere uno sguardo allenato ai particolari e saperne gioire.

Se il Signore ci facesse una telefonata per avvertirci delle insidie o ci mandasse un messaggio via Whatsapp non saremmo più liberi perché agiremmo come dei burattini con i fili, ma il Signore ci ama a tal punto da rischiare di perderci pur di conservarci liberi, affinché la nostra risposta sia vero amore deve essere una scelta libera. Egli non ci vuole schiavi senza libera iniziativa, siamo figli e quindi i Suoi richiami sono sempre di incoraggiamento, sono dolci inviti a fidarsi di Lui… quando il fuoco nel camino sembra ormai spento, l’esperto toglie delicatamente la cenere da sopra e lascia che le braci sotto riprendano vigore con un soffio delicato ma sicuro… il Signore agisce così con la cenere della nostra anima.

E se noi sposi vogliamo far rinascere una relazione apparentemente spenta dobbiamo imitare Gesù, dobbiamo impegnarci ad usare delicatezza nel togliere la cenere del nostro consorte e ravvivare le braci sotto che attendono di essere rinvigorite. Cari sposi, per fare questo ci vuole tanta tenerezza, tanta delicatezza, ma anche tanto impegno quotidiano, dobbiamo aiutare il nostro coniuge a far emergere le sue qualità, i suoi pregi, i suoi carismi. Come ?

Evidenziando come lei diventi più bella quando sorride al nostro rientro o viceversa, quando lei/lui cucina con allegria le pietanze sono più gustose, quando canta la sua voce è intrigante… evidenziando come lui diventi più affascinante quando esce di casa con quella camicia, quando la abbraccia mentre cucina risulta più virile e lei si sente protetta ed unica, quando rientra dal lavoro con quello sguardo è bellissimo. Questi sono solo alcuni esempi ma poi ogni coppia ha le proprie dinamiche per cui lui e lei si impegnano nel rinvigorire le braci sotto la cenere.

Coraggio sposi, anche se il nostro matrimonio sembra uno stoppino dalla fiamma smorta, stiamo certi che con l’aiuto del Signore ed il nostro immancabile impegno quotidiano il Signore compirà il miracolo di ravvivare la fiamma dell’amore ad immagine del Suo amore, un amore senza limiti, che non ci pensa due volte a morire in Croce per salvarci dalla dannazione eterna. E così lo sposo non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta della sua sposa e la sposa non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta del suo sposo.

Giorgio e Valentina.

Imitare

Dal libro della Gènesi (Gn 17,3-9) In quei giorni Abram si prostrò con il viso a terra e Dio parlò con lui: «Quanto a me. ecco la mia alleanza è con te: diventerai padre di una moltitudine di nazioni. Non ti chiamerai più Abram, ma ti chiamerai Abramo, perché padre di una moltitudine di nazioni ti renderò. E ti renderò molto, molto fecondo; ti farò diventare nazioni e da te usciranno dei re. Stabilirò la mia alleanza con te e con la tua discendenza dopo di te di generazione in generazione, come alleanza perenne, per essere il Dio tuo e della tua discendenza dopo di te. La terra dove sei forestiero, tutta la terra di Canaan, la darò in possesso per sempre a te e alla tua discendenza dopo di te; sarò il loro Dio». Disse Dio ad Abramo: «Da parte tua devi osservare la mia alleanza, tu e la tua discendenza dopo di te, di generazione in generazione».

In questo brano ci viene chiaramente mostrata la figura di Abramo come colui che è nostro padre nella fede, poiché da lui possiamo prendere esempio ed imparare come si fa a vivere e compiere delle scelte guidati e sorretti dalla fede nell’unico e vero Dio.

I Padri della Chiesa hanno letto nelle parole “da te usciranno dei re” un chiaro riferimento a Gesù, il Re dei Re, oltre ai vari re terreni che il popolo di Israele ha avuto nel corso delle proprie vicende. Ci sono poi riferimenti alle vicissitudini che hanno diviso la discendenza di Abramo nata dalla donna libera e quella nata dalla donna schiava, ma quello che vorremmo farvi notare oggi è posto proprio all’inizio del brano: “Abram si prostrò con il viso a terra e Dio parlò con lui ” e da qui prendono il via una serie di promesse bellissime, tra le quali spicca quella della discendenza e della nazione, perché il Signore è uno che ha i piedi ben piantati a terra a sa bene che in quella cultura la discendenza ha un ruolo di primaria importanza per un padre, soprattutto per Abram che aveva un matrimonio sterile con Sarai; la seconda importante promessa che riguarda la nazione è altrettanto allettante ed invitante per un uomo che è fuggito dalla carestia della terra natia ed è in cerca di un posto ove stabilirsi.

Ma l’insegnamento più grande che ci viene da questo brano è, come anticipato, nelle prima battute, nell’atteggiamento che Abram pone in atto di fronte a Dio: la prostrazione. Per quel popolo la prostrazione ha una grande valenza simbolica, l’uomo si mette faccia a terra a significare un atto di adorazione, di umiliazione e di sottomissione. E’ lo stesso atto che compiono i Re Magi dinanzi al Bambinello, ricordate? E dopo, solamente dopo, Dio parla ad Abram cambiandone per sempre il destino insieme al nome, poiché anche questo binomio, destino-nome, ha una grande valenza simbolica per quella cultura, tant’è vero che al Messia viene posto il nome Gesù, che significa Dio salva, anche in questo caso il nome segna il destino da compiere.

Cari sposi, quando siamo desiderosi di scoprire il nostro destino, il destino della nostra coppia, della nostra famiglia, dobbiamo innanzitutto imitare la fede di Abram e prostrarci dinanzi all’unico in grado di dare una svolta al nostro futuro. Forse nelle nostre chiese vedere un coppia prostrata potrebbe destare qualche scandalo per via della nostra cultura, ma forse se ci vedessero inginocchiati non dovrebbero cacciarci dalla chiesa. L’atteggiamento esteriore deve riflettere lo stato d’animo interiore, anzi, è proprio per una necessità interiore che il corpo ubbidisce e si inginocchia quasi a rivelare che per il cuore non è sufficiente la prostrazione dell’anima, ma è necessaria la protrazione del corpo che manifesta le vere intenzioni del cuore.

Il tabernacolo che custodisce il Santissimo è sempre lì ad aspettarci, basta entrare in chiesa e mettersi in adorazione, sottomettendo alla Sua volontà tutte le nostre facoltà mentali, fisiche, psichiche e spirituali. Con un vero atto di sottomissione il cuore di Dio si scioglie, per così dire, lasciando uscire fiumi di grazia che però dobbiamo raccogliere e saper gestire bene, non vanno sprecati i doni di Dio. Naturalmente questo gesto non basta da solo (ricordiamo che è un gesto che l’anima non riesce a contenere e trasuda esteriormente nel corpo), ma va accompagnato dalla preghiera costante, dal digiuno e dalla elemosina, quello che più conta è la decisione del cuore di prostrarsi al Signore e alla Sua volontà sulla nostra vita, perché il Suo disegno sul nostro matrimonio è sicuramente meglio dei nostri progetti.

Quando il cuore è sottomesso al Padre, allora Lui cambia il nome ad Abram, ed è così anche per gli sposi cristiani. Anche noi abbiamo sperimentato doni e carismi che prima non avevamo, di cui neanche sognavamo di esserne destinatari, succede quando ci si mette nelle Sue mani sapienti e si lascia a Lui decidere il nuovo nome della coppia, sicché ci siamo trovati ad essere fecondi là dove prima c’era aridità e senza rendercene conto, spesso senza dire niente.

Coraggio sposi, per saper restare in piedi nella vita, c’è bisogno di stare prima in ginocchio.

Giorgio e Valentina.

Domenica e famiglia: un connubio possibile /57

Eccoci giunti all’ultima puntata del nostro lungo percorso alla riscoperta della Santa Messa, abbiamo avuto modo di approfondire più o meno dettagliatamente i vari momenti all’interno della divina Liturgia, ora vedremo la Messa nel suo insieme e qualche aspetto ad essa connesso come in una panoramica finale. Facciamo qualche premessa doverosa ma chiarificatrice:

  • la Messa non è un’azione esterna a noi, non è nemmeno un rituale che il parroco si vede costretto a compiere ogni Domenica, e per il quale necessita di un po’ di compagnia; il parroco non sta pagando ad un dio ignoto e cattivo un tributo per ingraziarselo e tenerselo buono a favore di tutto il popolo sicché sentiamo un po’ il dovere di sostenerlo perché sta agendo anche a nome nostro, non sia mai che il divino si adiri contro noi che non eravamo presenti al rituale;
  • la Messa non è un evento sociale a sfondo religioso; non è neanche lo show di qualche strampalato parroco desideroso di trasformare il presbiterio nel palco di un’intrattenitore; non è nemmeno un contenitore dove inserire tutto ciò che ci salta in mente: dal balletto all’offertorio con signorine poco vestite alla barzelletta durante l’omelia, dalla presentazione di eventi mondani alla festa per la vittoria del derby inter-parrocchiale, dall’applauso a Gesù risorto all’usare come canto d’inizio il brano vincitore di Sanremo;
  • la Messa non è uno spettacolo teatrale un po’ più serio condito da qualche proverbio saggio; la Messa non è una cosa vecchia che ha bisogno di essere modernizzata o spolverata o sostituita; non è un tradizionale rito sociale a cui assistere per sentirsi parte di una comunità, alla stregua di una sagra;
  • la Messa non è nemmeno il luogo dove dare uno sterile sfoggio delle proprie abilità musicali, canore, recitative od organizzative per nutrire il proprio ego; non è il momento per incontrare altri e fare pettegolezzi e/o chiacchiere da bar.

Quello sopra riportato è un triste (e parziale) elenco di situazioni desacralizzanti veramente accadute, ma la Santa Messa è tutt’altro, nel Messale (che riporta parte di altri testi dottrinali) viene così definita:

«Il nostro Salvatore nell’ultima Cena istituì il sacrificio eucaristico del suo Corpo e del suo Sangue, al fine di perpetuare nei secoli, fino al suo ritorno, il sacrificio della croce, e di affidare così alla sua diletta sposa, la Chiesa, il memoriale della sua morte e risurrezione» e qualche riga più avanti: «ogni volta che celebriamo il memoriale di questo sacrificio, si compie l’opera della nostra redenzione». Altrove la descrive con parole diverse ma uguali nella sostanza: La celebrazione della Messa, in quanto azione di Cristo e del popolo di Dio gerarchicamente ordinato, costituisce il centro di tutta la vita cristiana per la Chiesa universale, per quella locale, e per i singoli fedeli. Nella Messa, infatti, si ha il culmine sia dell’azione con cui Dio santifica il mondo in Cristo, sia del culto che gli uomini rendono al Padre, adorandolo per mezzo di Cristo Figlio di Dio nello Spirito Santo. […] Tutte le altre azioni sacre e ogni attività della vita cristiana sono in stretta relazione con la Messa: da essa derivano e ad essa sono ordinate.

La Messa è quindi il centro della vita da cui irradiano tutte le altre attività, il centro da cui tutto prende senso e al quale tutto è ordinato, non può essere trattata come un impegno tra i tanti che un prete ha durante le proprie attività giornaliere, altrimenti queste stesse attività diventeranno predicazione di se stesso.

La chiesa dove si celebra la Messa è un luogo sacro, consacrato al Signore, è il luogo dell’incontro con il Re dei Re, il Dio vivo, l’unico e vero Dio, che resta sempre in mezzo al suo popolo con il Suo Corpo ed il Suo Sangue, la Sua anima e la Sua Divinità… ed in questo luogo non possiamo entrarci come quando si entra in un teatro, una sala concerto, un auditorium, un cinema o un museo. E’ il luogo della presenza di Dio, ma non è solo una presenza spirituale che io avverto in base alla mia fede, ma la Sua presenza è reale, vera e sostanziale nel tabernacolo, e non dipende dalla mia fede perché Lui è lì comunque.

Quale donna, per esempio, oserebbe presentarsi al cospetto del Presidente della Repubblica con un vestito scollato fino all’ombelico o con una minigonna da infarto? Quale uomo si presenterebbe alla corte di un sovrano in tuta da relax casalingo? Se per questi eventi mondani sappiamo come vestirci, perché pensiamo che in chiesa tutto sia lecito?

Sappiamo benissimo quanta importanza abbia il linguaggio non verbale nella comunicazione, gli esperti dicono che sfiori l’80%, ma questo dato non vale solo nell’educazione dei bambini o nella relazione tra sposi, il nostro modo di vestire dice dell’importanza che noi diamo a ciò che stiamo vivendo. La Domenica è un piccolo anticipo di Paradiso, ma dobbiamo aiutare noi stessi a viverlo come tale anche nella carne, e dobbiamo aiutare gli altri a vivere lo stesso. E questo significa che tutto nella Domenica deve essere diverso: la preghiera al mattino, la preparazione alla Messa, il vestito, la colazione, il pranzo, la tavola, il modo di parlare, il contenuto dei dialoghi, i gesti di carità fraterna, il modo di impegnare il tempo nella giornata, se non diventa vita la nostra fede rimane un bel soprammobile a cui togliere un po’ di polvere almeno la Domenica.

Coraggio famiglie, tocca a noi far vivere una nuova primavera alla Chiesa intera.

Giorgio e Valentina

Uscite . Venite fuori!

Dal libro del profeta Isaìa (Is 49,8-15) Così dice il Signore: «Al tempo della benevolenza ti ho risposto, nel giorno della salvezza ti ho aiutato. Ti ho formato e ti ho stabilito come alleanza del popolo, per far risorgere la terra, per farti rioccupare l’eredità devastata, per dire ai prigionieri: “Uscite”, e a quelli che sono nelle tenebre: “Venite fuori”.

Chi si ostina a pensare alla Quaresima come ad un tempo ostile e triste è perché in fondo non l’ha mai vissuta veramente, basterebbe ascoltare gli accorati appelli del Signore alla conversione che abbiamo in parte analizzato in questi articoli per rendersi conto di come il Signore non molli la presa, non sia uno che getta la spugna alla prima difficoltà e prometta ai Suoi figli pace, gioia, consolazione… è come se il Signore ci volesse mettere l’acquolina in bocca.

Assomiglia ai nostri (spesso vani) tentativi di genitori di convincere i nostri piccoli circa la bellezza di un gesto: se non funziona la prima o la seconda volta con un ordine, ecco che allora diamo il via alla tattica del convincimento elogiando i (molteplici) risvolti positivi del gesto che intendiamo insegnare loro. Similmente anche il Signore dapprima (all’inizio della Quaresima) comincia con un ordine, anche se tenero e dolce ma pur sempre ordine, circa le opere quaresimali di digiuno, preghiera, penitenza, elemosina e carità; e poi man mano che i giorni avanzano ci ricorda le gesta di questo o quell’uomo di fede per spronarci all’imitazione, ma poi a metà Quaresima la Chiesa sa che l’uomo ha bisogno di un ristoro (anche spirituale) per poter riprendere il cammino con maggior vigore e con rinnovato slancio, ed è per questo che Domenica scorsa il colore viola si è un po’ attenuato verso il rosa. Ed anche nei giorni seguenti ci vengono proposti dei brani dove viene più volte descritta l’abbondanza della natura per una nuova epoca di pace che verrà se il popolo si convertirà, abbondanza che è simbolo della abbondanza della misericordia di Dio. Anche nel brano riportato sopra possiamo notare come la nota di fondo sia un’incoraggiamento all’attesa di una nuova vita in cui tutto verrà restaurato, la terra risorgerà ecc…

Ti ho formato e ti ho stabilito come alleanza del popolo” è il Signore che parla a Isaia, ma è chiaro che egli sia solo una prefigura di Colui che sarà la nuova ed eterna alleanza, sancita nel Suo sangue, il sangue dell’Agnello.

per far risorgere la terra” e qual è la terra che deve risorgere nei nostri matrimoni? E’ proprio la terra delle nostre relazioni, che forse col tempo ha perso un pochino della sua fecondità, forse per qualcuno è una terra seccata e riarsa dalla siccità di una relazione fredda e senza tenerezza e dolcezza. E’ tempo ormai di lasciare la terra della nostra relazione in mano al contadino migliore che ci sia: Gesù. Bisogna che diamo a Lui il pieno potere sul nostro matrimonio, diamo a Lui le chiavi del trattore che lavorerà il nostro terreno, perché c’è bisogno di arare, di rigirare la terra, di concimare per poter poi piantare nuove semine ed irrigarle.

“per farti rioccupare l’eredità devastata quale eredità è stata devastata? Ci sono molti sposi che sono stati devastati dalla lussuria… la quale agisce come un ladro che occupa un’eredità non sua. I nostri corpi battezzati divengono tempio dello Spirito Santo e quando gli sposi uniscono i propri corpi nel sacro gesto dell’intimità coniugale lo Spirito Santo dovrebbe esplodere di gioia in loro, è come se Esso trovasse una casa sempre più grande e dilatata per poterci stare sempre più comodo. E’ questa eredità che la lussuria viene a portar via, i corpi (e le anime) ne restano devastati e non vedono più Dio perché “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio“, di conseguenza chi non vive la castità, la purezza, non può vedere Dio, si diventa quindi ciechi.

“per dire ai prigionieri: “Uscite”, e a quelli che sono nelle tenebre: “Venite fuori”. abbiamo incontrato tanti sposi che non riescono a dare una svolta decisiva al proprio matrimonio perché prigionieri del peccato. Esso infatti è come uno specchietto per le allodole : ti promette gioia e ti appaga, sì ma per pochi istanti, per brevi momenti, poi ti lascia in bocca un’amarezza che stai peggio di prima, poi ti lascia un vuoto incolmabile che tentiamo di riempire con un altro peccato, e poi un altro ancora fino a che si diviene prigionieri perché non facciamo più quello che vogliamo ma quello che ci viene imposto da questo inganno diabolico. E dentro in quella prigione gli occhi sono spenti, senza luce, non sono occhi pieni di vigore, pieni di voglia di vivere, sono invece occhi gonfi di tristezza, di incompiutezza. Ecco allora che abbiamo bisogno di qualcuno che ci tiri fuori da questa prigione, ed è Gesù l’unico liberatore, l’unico che ha la chiave di quella prigione, e la chiave è nella Sua Croce. Gesù è l’unico che ci tira fuori dalle tenebre della disperazione, è l’unico a cui poter chiedere di illuminare i nostri occhi.

Coraggio sposi, abbiamo ancora la possibilità di uscire dalle nostri prigioni. Il Signore ce lo sta gridando attraverso le parole di Isaia, non lasciamoci scappare questa opportunità di far rifiorire il nostro matrimonio.

Giorgio e Valentina.

Sei nella fornace ?

Dal libro del profeta Daniele (Dn 3,25.34-43) In quei giorni, Azarìa si alzò e fece questa preghiera in mezzo al fuoco e aprendo la bocca disse: «Non ci abbandonare fino in fondo, per amore del tuo nome, non infrangere la tua alleanza ; non ritirare da noi la tua misericordia, per amore di Abramo, tuo amico, di Isacco, tuo servo, di Israele, tuo santo, ai quali hai parlato, promettendo di moltiplicare la loro stirpe come le stelle del cielo, come la sabbia sulla spiaggia del mare. Ora invece, Signore, noi siamo diventati più piccoli di qualunque altra nazione, oggi siamo umiliati per tutta la terra a causa dei nostri peccati. Ora non abbiamo più né principe, né profeta né capo né olocàusto né sacrificio né oblazione né incenso né luogo per presentarti le primizie e trovare misericordia. Potessimo essere accolti con il cuore contrito e con lo spirito umiliato, come olocàusti di montoni e di tori, come migliaia di grassi agnelli. Tale sia oggi il nostro sacrificio davanti a te e ti sia gradito, perché non c’è delusione per coloro che confidano in te. Ora ti seguiamo con tutto il cuore, ti temiamo e cerchiamo il tuo volto, non coprirci di vergogna. Fa’ con noi secondo la tua clemenza, secondo la tua grande misericordia. Salvaci con i tuoi prodigi, da’ gloria al tuo nome, Signore».

Oggi ci troviamo di fronte ad una tra le scene più conosciute della Bibbia, e cioè la famosa fornace ardente dentro la quale furono gettati i tre giovani Azaria, Anania e Misaele, rei di essersi rifiutati di adorare la statua dell’idolo del re Nabucodonosor in quanto fedeli al Dio di Israele. Per comprendere un po’ meglio di cosa stiamo parlando dobbiamo fare un passo indietro ricordando che questi tre giovani ebrei erano stati deportati dalla loro terra d’origine per essere istruiti alla corte del re Nabucodonosor, il quale fece erigere una statua d’oro, ma quando questi venne a sapere che essi si rifiutavano di adorare la statua li condannò alla fornace ardente nonostante fossero entrati nelle sue grazie. Succede però che i tre giovani non furono neanche toccati dalle fiamme perché erano rimasti fedeli al Signore, fu così che il re alla fine li tirò fuori costretto ad ammettere che il Dio dei tre giovani era veramente un Dio potente e non una loro invenzione.

Questa pagina ci insegna come la fiducia ferma, irremovibile, salda ed irreprensibile nel Signore sia sempre premiata anche in questa vita e porti frutti abbondanti di grazia per sé e per gli altri… detta così è presto fatta e tanti saluti e buona giornata. Ma c’è dell’altro per noi sposi? In questi giorni la Chiesa ci fa leggere diversi brani tratti dall’antico Testamento che vogliono rassicurarci sul fatto che solo il Signore è il vero ed unico Dio, l’Onnipotente che tutto può e che tutto perdona ad un cuore contrito perché la Sua misericordia è sempre più in là di quanto possiamo immaginare, e lo fa raccontandoci le varie esperienze di uomini e donne che hanno confidato in Lui.

E’ come se la Chiesa ci dicesse: “Forza, coraggio, non temere, i sacrifici ed i digiuni che stai compiendo in questa prima metà di Quaresima sono giusti, stai sacrificando all’unico e vero Dio, vai avanti così, riprendi vigore nella seconda metà di Quaresima che ti porterà alla Pasqua, non mollare proprio ora perché chiunque ha confidato nel Signore nostro Dio non è rimasto deluso, nessuno è rimasto a bocca asciutta!”

Sentiamo tante storie di sposi che assomigliano a quel fuoco in cui è stato gettato il nostro Azaria, a volte le relazioni diventano tali che ci si scotta solo avvicinandosi l’uno all’altra perché non c’è pace, e spesso la frase più frequente è: “il nostro matrimonio è un inferno!” E l’inferno non è forse un fuoco che brucia ma non purifica? Si ha la sensazione di non poterne uscire, ci si sente come in un vicolo cieco… Azaria ci mostra che anche quando tutto intorno a noi rema contro, c’è sempre una via d’uscita nel confidare nel Signore. Lo sapevamo già, penserà qualcuno, facile a dirsi e a scriverlo, ma poi nella vita reale?

Dobbiamo sempre più convincerci del nostro essere peccatori e del fatto che portiamo nella nostra vita e nella nostra carne le conseguenza mortifere dei nostri peccati. Le anime del Purgatorio che, per concessione divina, hanno rivelato qualcosa, hanno sempre dichiarato che avrebbero preferito le peggiori sofferenze in questa vita piuttosto che un giorno in Purgatorio. Se noi potessimo vedere lo stato della nostra anima come in una sorta di radiografia/ecografia, e ciò che ci attenderebbe in Purgatorio se morissimo all’istante, sicuramente ci lamenteremmo di meno della fatiche di questa vita.

Quando due sposi si trovano di fronte ad una sofferenza, ad una fatica, di qualsiasi grado e natura essa sia, devono affrontarla come Azaria ha affrontato la prova della fornace. Se di fronte ad una sofferenza cominciassimo a lamentarci con Dio sarebbe come uno sfogo di fronte ad una ingiustizia subìta che umanamente è comprensibile ma non ne usciremmo più da questa situazione perché in fondo in fondo ci sentiremmo trattati ingiustamente da Colui che “tanto devotamente” serviamo. Al contrario, l’atteggiamento giusto è riconoscere che quella sofferenza può essere feconda se affidata a Dio.

Cuore contrito e spirito umiliato sono, dunque, i due atteggiamenti che ci aprono le porte della misericordia, non tanto perché Dio tenga chiuse queste porte, ma perché è il nostro cuore che è pronto ad accogliere la Sua misericordia. Quando Dio vuole darci una Grazia resta lì col regalo in mano, nell’attesa che noi allunghiamo le nostre mani per riceverlo, perché il problema non sta nel donatore, ma nel beneficiario. E le nostre mani allungate a ricevere il dono di Grazia è il cuore contrito e lo spirito umiliato a riconoscere che abbiamo bisogno dell’aiuto di Dio.

Coraggio sposi, non c’è crisi matrimoniale da cui è impossibile uscire, anche se fosse una fornace ardente come quella di Azaria. I santi ci insegnano che il metodo migliore per avere un cuore contrito è la confessione frequente; infatti essa ci abitua a vedere sempre più nel dettaglio la sporcizia della nostra anima, similmente a quanto succede a chi si lava tutti i giorni, il quale, non sopporta non farsi la doccia anche solo per mezza giornata in più, perché ci si abitua al pulito, al bello, al profumo… chi invece si lava raramente non avverte la sporcizia e finisce col lavarsi ancora più raramente perché ci si abitua alla sporcizia scambiandola per normalità. Non dobbiamo mai lasciare che il nostro cuore si “abitui” al peccato, mai!

Giorgio e Valentina.

Domenica e famiglia: un connubio possibile /56

(Dopo l’orazione e prima della Benedizione si possono dare, quando occorre, brevi comunicazioni al popolo. Segue il congedo. Il sacerdote, allargando le braccia, rivolto verso il popolo, dice:) Il Signore sia con voi. (Il popolo risponde:) E con il tuo spirito. (Il sacerdote benedice il popolo:) Vi benedica Dio onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo. (Il popolo risponde:) Amen. (Infine il diacono o il sacerdote stesso, rivolto al popolo, a mani giunte, dice:) Andate in pace. (Oppure:) La Messa è finita : andate in pace. (Oppure:) Andate e annunciate il Vangelo del Signore. (Oppure:) Glorificate il Signore con la vostra vita. Andate in pace. (Oppure:) La gioia del Signore sia la vostra forza. Andate in pace. (Oppure:) Nel nome del Signore, andate in pace. (Oppure, specialmente nelle domeniche di Pasqua:) Portate a tutti la gioia del Signore risorto. Andate in pace. (Il popolo risponde:) Rendiamo grazie a Dio. (Oppure in canto:) Ite, missa est. (R/.) Deo grátias. (Il sacerdote bacia l’altare in segno di venerazione come all’inizio; fa quindi con i ministri un profondo inchino e torna in sacrestia. Quando segue immediatamente un’altra azione liturgica, si tralasciano i riti di conclusione.)

Questa è l’ultima parte della Messa, e a nostro parere purtroppo è stata voluta (nell’ultima riforma liturgica) troppo sbrigativa e fulminea che non lascia tempo ai fedeli (ma nemmeno al sacerdote) di rendersi conto di quanto appena compiuto e celebrato.

Ci è capitato tante volte di essere anche quasi catapultati fuori perché c’era fretta di disinfettare i banchi oppure perché la chiesa sarebbe servita immediatamente libera per l’incontro X con i genitori oppure per un Battesimo o altro, senza contare le volte che siamo stati accompagnati fuori dai rigidi bodyguard che manco nelle discoteche, insomma… la chiesa si trasforma nel raggio di pochi secondi in un mercato proliferante di voci e grida e schiamazzi, e questo avviene appena il prete ha messo piede in sacrestia, ma a volte anche prima. Quando ci va bene riusciamo a pregare un pochino per la Comunione Eucaristica appena ricevuta durante gli “annunci pubblicitari” da parte del parroco.

Perché tutto ciò? Dov’è finita la sacralità in tutto questo?

Le famiglie sanno bene che quando si sta a tavola tutti insieme è un momento di “liturgia domestica“, per molte succede ogni sera a cena, per altre succede solo la domenica e per altre ancora più raramente; in ogni caso per la famiglia è un momento particolarmente intimo: è un momento in cui ci si ascolta vicendevolmente, ci si racconta la giornata, si affrontano problemi per trovare una comune soluzione, si organizzano gli impegni settimanali, ci si racconta barzellette, aneddoti della giornata, si condividono preoccupazioni, si impara l’arte di amarsi a vicenda, di sopportarsi e di sostenersi.

Ed è ritenuto così importante che insegniamo ai bambini a comportarsi bene a tavola, perché se fosse solo un problema di nutrimento non servirebbe apparecchiare la tavola con dignità, si potrebbe anche mangiare in piedi in giro per casa, oppure ognuno potrebbe nutrirsi quando ne ha voglia senza aspettarsi a vicenda, la mamma non preparerebbe una pietanza per tutti ma ognuno aprirebbe il frigo stile self-service oppure in perfetto stile fast-food… ma questo ci farebbe assomigliare più ad un assembramento malriuscito di essere umani che per caso vivono nella stessa casa e attingono dallo stesso frigorifero… sarebbe disumano e indegno dell’umana natura, sarebbe più degno degli animali i quali mangiano solo per nutrimento ignorandosi l’un l’altro anche se sono in centinaia nello stesso pollaio o nella stessa stalla.

A volte succede che un membro si segga a tavola con gli altri, si nutra voracemente nel giro di 3 minuti, si alzi e abbandoni la compagnia perché ha di meglio da fare… ovviamente chi rimane a tavola vive un misto tra rabbia, indignazione, stupore, incredulità, perché manca la relazione e il tutto è ridotto a nutrimento per il corpo, la famiglia a tavola viene ridotta ad un dispenser di cibo, ma la famiglia sappiamo bene che è molto di più. Similmente la Messa non può assomigliare ad un pollaio o ad una stalla, c’è bisogno di relazione con Dio, di dignità umana, deve assomigliare alla relazione d’amore che si instaura quando la famiglia è riunita a cena, e chi meglio può dare dignità all’uomo se non Colui che è l’uomo perfetto, cioè Cristo stesso, Colui che, essendo di natura divina si è abbassato ed umiliato a tal punto da assumere la nostra condizione umana?

Non possiamo quindi sperare di ottenere buoni frutti dal mistero appena celebrato se una volta ricevuta la benedizione trattiamo la Messa come quando si spengono i riflettori sul palco… anzi, a ben vedere quando usciamo da un cinema o da un teatro ci si scambia opinioni ed emozioni con gli amici su quanto appena vissuto, quasi che lasciamo vivere lo spettacolo ancora un po’ dentro di noi… e perché non dovremmo fare lo stesso con la Santa Messa? Perché ci ostiniamo a non farla vivere per un po’ dentro di noi?

Nel bellissimo rito della Messa in “vetus ordo” dopo la benedizione non c’è il mercato in piazza, ma c’è ancora del tempo per “digerire” il mistero appena celebrato (per tornare all’esempio della cena in famiglia), per farlo entrare dentro di noi, per assaporarne tutta la bellezza di Grazia, per continuare a restare in contemplazione di quel pezzo di Paradiso in terra che è la Messa; e questo i nostri avi l’avevano ben capito, ecco perché in quel rito, dopo la benedizione finale, si resta ancora in silenzio ad ascoltare il prologo del Vangelo di S. Giovanni, e poi ci sono le preghiere di ringraziamento ai piedi dell’altare, e solamente dopo quest’ultime preghiere il sacerdote rientra in sacrestia in un clima di silenzio e raccoglimento che perdura tra i banchi dei fedeli sin da quando si entra in chiesa prima dell’inizio della Messa.

Cari sposi, se vogliamo che il nostro matrimonio cresca in bellezza, intensità e santità, è necessario lasciar penetrare dentro il nostro cuore i misteri di Grazia che scaturiscono dalla Santa Messa e quindi dall’Eucarestia, ma per fare ciò dobbiamo dare il tempo alla Grazia di agire in noi, dobbiamo imparare a preparare bene e curare ogni aspetto esteriore ed interiore prima, durante e dopo la Messa; quello a cui ci riferiamo oggi è quello dopo la benedizione finale, chiamato dalla Tradizione “il tempo del ringraziamento”. Questo tempo è dunque preziosissimo affinché l’Eucarestia appena ricevuta ed il mistero appena celebrato trovino spazio ed accoglienza nel nostro cuore e producano i loro frutti nella vita concreta.

In alcune parrocchie i fedeli si preparano alla Santa Messa (almeno quella domenicale) con la recita devota di una corona del Santo Rosario, e dopo la Messa ne recitano un’altra come ringraziamento del dono ricevuto ; inutile sottolineare gli effetti di Grazia che si moltiplicano in codeste parrocchie soprattutto riguardo la rinascita e la riscoperta della fede nei matrimoni e nelle famiglie.

Coraggio famiglie, viviamo in un tempo in cui c’è estremo bisogno della riscoperta della sacralità della Santa Messa e i protagonisti di questa rinascita non possono essere soltanto i nostri amati e benedetti sacerdoti, ma siamo noi famiglie che dobbiamo cominciare a viverla come si deve, anche i preti hanno bisogno della nostra testimonianza di fede vissuta per alimentare la loro fede.

Giorgio e Valentina.

Non è sufficiente

Dal libro del profeta Isaìa (Is 1,10.16-20) Ascoltate la parola del Signore, capi di Sòdoma ; prestate orecchio all’insegnamento del nostro Dio, popolo di Gomorra! «Lavatevi, purificatevi, allontanate dai miei occhi il male delle vostre azioni. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, cercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova». «Su, venite e discutiamo – dice il Signore. Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana. Se sarete docili e ascolterete, mangerete i frutti della terra. Ma se vi ostinate e vi ribellate, sarete divorati dalla spada, perché la bocca del Signore ha parlato».

Continua la serie di letture commoventi tratte da Isaia, il quale ci mostra un Dio Padre tenero e misericordioso, che non smette di rimproverare i Suoi figli mentre assicura loro la Sua misericordia se si convertiranno.

Molti cristiani sono convinti che per essere bravi cristiani sia sufficiente essere onesti cittadini ed educati dimenticando che non è un requisito caratteristico dei cristiani, le persone oneste ed educate c’erano anche 5000 anni fa prima del cristianesimo. Altri si illudono che basti non trasgredire questo o quello tra i Dieci Comandamenti divini, dimenticando che ce ne sono altri nove che magari vengono ignorati e puntualmente trasgrediti. Ce ne sono tantissimi altri che pretendono di salvarsi senza merito, cioè fanno ciò che vogliono in questa vita convinti che il Signore sia tanto buono da perdonare qualsiasi peccato senza la necessaria conversione.

Tutte queste (e molte altre non citate) cattive interpretazioni della misericordia divina vengono smascherate da questo brano con la consueta mitezza e chiarezza della Parola di Dio. Per farlo ci basterà fermarci a riflettere su un passaggio tra i tanti : “Cessate di fare il male, imparate a fare il bene,[…]”.

Da un lato il Signore ci ricorda la necessità di un taglio netto col peccato, bisogna avere il coraggio di tagliare i ponti con esso, anche la sapienza popolare ci viene in aiuto: “bisogna saper prendere il toro per le corna“, così come anche la psicologia sana: se vuoi sconfiggere una paura la devi affrontare… se vuoi guarire da una ferita devi farla vedere al medico nella sua crudezza e lasciarti medicare da mani esperte… Potremmo citare altri detti popolari che ci mostrano come la vita ci metta continuamente di fronte a scelte concrete, e ci imponga di prendere delle decisioni a volte drastiche. Questo è l’atteggiamento giusto per cominciare la conversione: la decisione irremovibile, ferma, risoluta, convinta, ardita, salda, di cessare di fare il male, di non avere più nulla da spartire col peccato, di smettere di voler tenere il piede in due scarpe, di uscire una volta per tutte dalla tiepidezza:

(Apocalisse 3,15-16) Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca.

Questa decisione va presa e va rinnovata ogni minuto della vita ma non basta, non è sufficiente cessare di fare il male, infatti la citazione da cui siamo partiti, aggiunge “imparate a fare il bene“… ed è qui che “casca l’asino”, è qui che molti sposi inciampano nel cammino della relazione matrimoniale: ci sono tanti sposi convinti di aver costruito un buon matrimonio e quindi di essere bravi sposi semplicemente perché non hanno mai commesso adulterio carnale, mentre invece Gesù ci ha ricordato e dimostrato che basta il pensiero (cfr Mt 5, 27-28). L’esempio è fatto sul peccato di adulterio poiché è il più eclatante, ma il discorso vale per tutto il resto naturalmente.

Facciamo qualche esempio concreto:

  • non è sufficiente che io mi astenga dall’adulterio carnale, bisogna che estirpi dal mio cuore la lussuria altrimenti tratterò il mio coniuge come un oggetto che mi soddisfa, quindi dovrò smettere di guardare immagini indecenti per purificare il mio sguardo e nello stesso tempo comincerò a contemplare di più il volto di lui/lei, i suoi occhi, le sue mani che tanto si danno da fare per la famiglia
  • non è sufficiente che smetta di lamentarmi dei difetti di lei/lui, dovrò cominciare a riconoscerne i pregi ed incoraggiarlo/la a svilupparli e a metterli in luce nella relazione tra noi ma anche e soprattutto nella relazione con gli altri e con i figli
  • non è sufficiente astenersi dall’usare parole dispregiative e di disprezzo con lui/lei, ma dovrò impegnarmi ad usare parole tenere e amorevoli che ben dispongono il cuore dell’altro/a
  • non è sufficiente smettere di scappare dai problemi restando fuori casa con mille scuse lavorative e non, ma dovrò impegnarmi a stare in casa in modo attivo, con la volontà di risolvere i problemi insieme
  • non è sufficiente smettere di accusare l’altro/a ma dovrò impegnarmi ad ascoltare le sue ragioni, ad ascoltare il suo cuore, a conoscere il suo passato, le sue ferite, devo impegnarmi a fare spazio all’altro/a
  • non è sufficiente rinunciare alla vendetta su di lei/lui, ma dovrò impegnarmi a mettere al centro il NOI, perché da una discussione se ne esce non quando uno dei due ammette il proprio sbaglio cosicché finalmente l’altro/a può indossare la corona del vincitore, ma se ne esce vincitori insieme quando il perdono rispristina la comunione perduta, quando la pace regna sovrana.

Coraggio cari sposi, la vocazione matrimoniale non è mica una passeggiata, ma con l’aiuto della Grazia l’impossibile diventa possibile.

Giorgio e Valentina.

A voce alta per studiare.

Dal libro del profeta Isaìa (Is 55,10-11) Così dice il Signore: «Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca : non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata».

Questo brano fa parte di un capitolo tra i più commoventi e carichi di sentimenti materni, ed è divenuto famoso nel 1987 grazie ad una canzone del gruppo Gen Verde, oltre all’aspetto musicale che può risultare più o meno piacevole questo canto ha sicuramente il pregio di aver riportato in auge un brano della Parola di Dio che altrimenti avrebbe rischiato di andare nel dimenticatoio per tanti cristiani.

Abbiamo già trattato l’anno scorso questo brano di Isaia in due articoli, partendo nel primo dalle caratteristiche dell’acqua e nel secondo da quelle della neve, oggi vedremo un altro aspetto a cui ci richiama questo brano. Per aiutarci partiremo da una realtà della vita comune per poi traslare ed applicare lo stesso metodo per la vita spirituale: come facciamo quando dobbiamo ricordarci qualcosa?

Pensiamo a esempio quando prendiamo al telefono un appuntamento per una visita: per ricordarci indirizzo, data ed orario ripetiamo ad alta voce più volte fino a che non troviamo carta e penna per un promemoria ; oppure se ci viene comunicato un codice alfanumerico da ricordare come una password lo ripetiamo diverse volte ad alta voce per fissarlo nella memoria. E’ un meccanismo che ci aiuta perché quando parliamo a voce alta praticamente ascoltiamo noi stessi come fosse un’altra persona, e già solo il ripeterlo qualche volta è un meccanismo mnemonico.

C’è un altro metodo che giova molto alla memoria: se vogliamo ricordare qualcosa di importante su cui meditare basta addormentarsi ripetendo una frase di promemoria e ci sveglieremo con in testa quella frase che testardamente ritornerà a galla durante tutta la giornata… ecco perché a chi deve affrontare un’interrogazione l’indomani viene suggerito di andare a letto la sera prima ripetendo o leggendo il testo della lezione.

I maestri di spirito e i Padri della Chiesa ci insegnano che per meditare la Parola di Dio bisogna addormentarsi leggendo il versetto che ci ha colpito in quella giornata o ripeterlo a noi stessi a viva voce ed automaticamente ci si sveglierà con quella Parola nella testa, la quale riaffiorerà più volte nel corso della giornata tra un’occupazione e l’altra, è così che piano piano essa penetrerà nel cuore e ne diventerà fertilizzante per la nostra anima.

La Parola di Dio ha bisogno di penetrare nel terreno del nostro cuore e di restarci tutto il tempo che occorre per fertilizzarlo, ed Isaia ci dice che finché essa non ha compiuto il suo lavoro non torna al cielo, un modo come un altro per dire che Dio non si dà per vinto, ma, al contrario, insiste con il nostro cuore fino all’ultimo nostro respiro affinché non moriamo impenitenti; la Sua insistenza però non è pedante ma è dolce e tenera, in ogni caso i Suoi inviti non sono imposizione perché Lui non è il grande burattinaio e noi sue marionette mosse dai suoi fili, ma Lui è Il Padre che insiste con il cuore dei Suoi figli lasciando in essi la nostalgia del Suo grande amore; affinché essi ritornino a Lui grazie ad una loro decisione presa in piena libertà come risposta ad un Amore che continuamente fa risuonare la Sua voce come una brezza leggera ma continua.

Innanzitutto non dobbiamo temere che la Parola di Dio non sia efficace, dobbiamo temere piuttosto che il terreno del nostro cuore non sia come il cemento armato che non lascia passare nulla.

Cari sposi, avete un coniuge un po’ sordo ai richiami di Dio? Fatevi voi il dolce ripetitore di quelle frequenze, senza diventare pedanti ma usando le armi che il Matrimonio ha messo nelle vostre mani: se per esempio notate che lui/lei dubiti dell’amore di Dio potreste addormentarvi tutte le sere sussurrandogli/le dolcemente quanto lo/la amiate così com’è ora, senza aspettare che diventi bravo/a e buono/a… così come funziona per un’interrogazione funziona anche per le parole d’amore! Non c’è niente di più disarmante per un cuore indurito che il sentirsi amato con una dolcezza e tenerezza inversamente proporzionale alla sua acidità. Si sveglierà con quelle parole in testa e casomai abbiate il dubbio che se le dimentichi ripeteteglielo prima di congedarvi per le attività giornaliere.

Sicuramente prima o poi quel cuore si scioglierà e si chiederà perché lo trattate in modo inversamente proporzionale a ciò che si merita o a come vi tratta lui/lei… e poi ve ne renderà conto: è lì che sfodererete l’arma della Parola di Dio dicendo al vostro coniuge che lo amate così tanto perché state amandolo incondizionatamente e a prescindere dai meriti così come Gesù è morto per voi stessi e vi ha amato quando ancora eravate peccatori, senza pretendere da subito il cambiamento ma “gridando” il Suo amore per voi, un amore grande e gratuito tale da morire in croce per dirvelo prima ancora di ascoltare la vostra risposta.

Coraggio sposi, dobbiamo tornare un po’ come quando eravamo studenti e ripetere a voce alta come per studiare l’amore di Dio per il nostro coniuge… ponete particolare attenzione alla sera prima di addormentarvi : non lasciatevi scappare l’occasione di manifestare il vostro amore a lui/lei (se ci crediamo la nostra voce sarà eco di quella di Dio)… non sappiamo se domattina saremo ancora qui!

Giorgio e Valentina.

Domenica e famiglia: un connubio possibile /55

Abbiamo visto quanto il momento cosiddetto della Comunione sia vitale per la vita del cristiano, ma c’è un aspetto che spesso viene sottaciuto, e cioè il fatto che quando c’è una comunione significa che i soggetti interessati da essa mettono in comune qualcosa del proprio.

Se pensiamo ad esempio alla comunione dei beni coniugale, sappiamo come ogni bene acquistato dopo il matrimonio sia di proprietà di entrambi i coniugi anche se il suo uso o la sua necessità riguardi solo uno dei due. Ma anche quando due coniugi scelgono la separazione dei beni per motivi fiscali e burocratici legati alle leggi dello Stato in cui vivono, in realtà vivono una comunione dei beni “de facto”. Inoltre, sappiamo bene come la comunione dei beni non si limiti alle cose materiali, ma vada ben oltre interessando la sfera sentimentale, affettiva, sociale, religiosa, psicologica, sessuale, gli interessi e gli hobby, le famiglie d’origine, il proprio passato e il proprio vissuto, le virtù ed i vizi, i pregi quanto i difetti, le luci e le ombre di ognuno… insomma quando si sposa una persona la si sposa “full optional”, con l’opzione “tutto compreso”, altrimenti non è matrimonio vero ma semplice convivenza.

Similmente fare comunione col Signore significa sicuramente ricevere/accogliere Lui stesso con tutto ciò che abbiamo visto finora (e infinitamente di più delle nostre povere parole), ma anche noi dobbiamo fare la nostra parte.

Quando due società diventano associate e la più grande diventa proprietaria al 90%, non significa che la società minoritaria non debba portare il proprio contributo, anche se in misura del 10% essa deve comunque fare la propria parte, altrimenti la società non funziona. Similmente nella Comunione Eucaristica la parte principale è naturalmente quella di Gesù (potremmo dire ben oltre il 90% dell’esempio), ma Lui non può fare niente senza il nostro consenso, senza la nostra disponibilità, senza la nostra apertura del cuore alla Sua azione.

Che cosa possiamo mettere di nostro in comunione con Gesù ?

Lui ci dona tutto Se stesso nell’Eucarestia, e noi che cosa possiamo donarGli?

Innanzitutto possiamo donarGli la nostra preghiera di adorazione e di ringraziamento per un tale onore immeritato, dobbiamo imparare e recuperare il senso del sacro attraverso il rigoroso silenzio e la compostezza del corpo, dobbiamo tornare a contemplare ciò che sta avvenendo… avete presente quel senso di stupore che si prova dinanzi ad un bel tramonto o ad un panorama mozzafiato? Si usa apposta l’aggettivo “mozzafiato” perché è una realtà che lascia senza parole ma toglie anche il respiro, tale deve essere l’attenzione che essa richiede da non essere distratti nemmeno dal respiro (che è invece una funzione vitale). E nella società odierna abbiamo tanto bisogno di recuperare questa contemplazione mozzafiato dell’Eucarestia dentro noi.

Questa preghiera deve essere silenziosa e contemplativa, e nasce spontanea quando si capisce/intuisce che Colui che nemmeno i cieli dei cieli possono contenere è ora dentro di me; Egli si fa tanto umile e tanto piccolo da fidarsi di me (infatti potrei anche sputarlo per terra) tanto da lasciarsi mangiare, tale è la Sua misura di voler essere uno con me. Dopo questo primo atteggiamento contemplativo, sorge un atto di umiltà, momento delicatissimo in cui si prende coscienza della assoluta indegnità di tale onore, perché la sincerità che esige questo momento ci fa capire quanto il nostro cuore/la nostra vita abbia ancora tanto bisogno di conversione. Ed è grazie a quest’atto di umiltà che capiamo cosa “mettere sul piatto” della comunione (vedi gli esempi di cui sopra), sarà questa presa di coscienza che costringerà ad offrire alla “società” appena costituita la nostra volontà di cambiare, il nostro fermo desiderio di combattere un vizio e/o un difetto del carattere, la fermezza di non ricadere più in questo o quel peccato, la decisione di dare il “bel servito” all’uomo vecchio e lasciare spazio all’uomo nuovo… in questo momento noi abbiamo la possibilità di offrire al Signore tutto noi stessi affinché tutto si santifichi.

Possiamo offrire al Signore :

  • i nostri pensieri affinché siano i Suoi pensieri e spariscano i nostri pensieri impuri e maligni
  • la nostra intelligenza affinché la ragione sia sempre sorretta dalla fede in Lui e non sia venduta al mondo
  • la nostra memoria affinché venga ripulita dalle sozzure e dai rancori
  • la nostra forza di volontà affinché diventi la Sua forza di volontà
  • i nostri occhi affinché sia Lui a guardare attraverso i nostri occhi con il Suo sguardo
  • il nostro tatto affinché sia Lui a toccare/abbracciare attraverso le nostre mani /braccia
  • il nostro udito affinché sia ripulito dall’immondizia del mondo e ci lasci ascoltare la voce del Padre attraverso i nostri orecchi e possiamo sentire i Suoi richiami alla nostra coscienza
  • la nostra bocca affinché essa parli di Lui e come Lui, le nostre parole siano le Sue parole
  • i nostri affetti e sentimenti affinché siano ad imitazione dei Suoi
  • la nostra sessualità umana (maschile o femminile) affinché sia sempre più pura come la Sua, i maschi possono pensare più concretamente a Lui e le femmine alla Sua Vergine Madre

Cari sposi e care famiglie, come vedete la Comunione Eucaristica richiede anche un apporto attivo e non solo passivo, se vogliamo crescere nella santità non possiamo pretendere che faccia tutto il Signore senza il nostro sforzo, senza la nostra fatica della conversione quotidiana. Così come una casa ordinata e pulita ha bisogno dell’apporto di ciascun membro della famiglia, seppur piccolo, così anche la casa del nostro cuore deve essere ordinata e pulita per essere abitata dal Signore, ma senza il nostro contributo nulla può.

Sant’Agostino di Ippona ha ben riassunto questo concetto nella famosa frase :

Dio, che ti ha creato senza di te, non può salvarti senza di te [Sant’Agostino, Sermo CLXIX, 13]

Giorgio e Valentina.

Figli e sposi.

Dal libro del Siràcide (Sir 2,1-13) Figlio, se ti presenti per servire il Signore, resta saldo nella giustizia e nel timore, prepàrati alla tentazione. Abbi un cuore retto e sii costante, tendi l’orecchio e accogli parole sagge, non ti smarrire nel tempo della prova. Stai unito a lui senza separartene, perché tu sia esaltato nei tuoi ultimi giorni. Accetta quanto ti capita e sii paziente nelle vicende dolorose, perché l’oro si prova con il fuoco e gli uomini ben accetti nel crogiuolo del dolore. Affìdati a lui ed egli ti aiuterà, raddrizza le tue vie e spera in lui, persisti nel suo timore e invecchia in esso. Voi che temete il Signore, aspettate la sua misericordia e non deviate, per non cadere. Voi che temete il Signore, confidate in lui, e la vostra ricompensa non verrà meno. Voi che temete il Signore, sperate nei suoi benefici, nella felicità eterna e nella misericordia. Voi che temete il Signore, amatelo, e i vostri cuori saranno ricolmi di luce. Considerate le generazioni passate e riflettete: chi ha confidato nel Signore ed è rimasto deluso? O chi ha perseverato nel suo timore e fu abbandonato? O chi lo ha invocato e da lui è stato trascurato? Perché il Signore è clemente e misericordioso, perdona i peccati e salva al momento della tribolazione, protegge coloro che lo ricercano sinceramente.

Ci stiamo preparando per l’inizio della Quaresima che domani prenderà il via con il solenne ed austero rito dell’imposizione delle Ceneri, che è un gesto che affonda le proprie radici nell’Antico Testamento; se un cristiano prende sul serio la propria santità farà di tutto domani per non perdersi questo momento costi quel che costi, perché ci ricorda la nostra condizione di provvisorietà e fragilità nonché la necessità di penitenza per scontare i nostri peccati.

La Chiesa sa che il dramma dell’esistenza ha bisogno di incoraggiamento, di forza dall’Alto, di continui ed amorevoli solleciti, ed ecco perché nei giorni precedenti le Ceneri, specialmente oggi, le letture liturgiche sono ricche di parole commoventi ed incoraggianti, che ci ricordano e celebrano la tenerezza del Signore, il Suo grande amore per l’uomo, la Sua misericordia per quanti si pentono dei propri peccati, la Sua sollecitudine per coloro che soffrono, la Sua clemenza e la Sua fedeltà.

In particolare oggi ci soffermiamo sul brano sopra riportato, che con parole chiare ed inequivocabili ci indica la strada da percorrere in Quaresima e nello stesso tempo ci infonde coraggio per affrontare gli inevitabili ostacoli che incontreremo su tale strada. All’inizio del brano qualcuno ci chiama figlio. Sembra scontato dire che tutti siamo figli, ma chi è che sta parlando al nostro cuore e ci chiama figlio? Se è vero che questa è Parola di Dio, significa che è Dio a parlare, perciò Colui che ci chiama figlio è Il Padre.

Cari sposi, siamo figli del Padre, ma se Lui è anche il Re dei Re, significa che noi siamo come dei prìncipi e delle principesse, non siamo orfani e catapultati in questo mondo dal caso, siamo figli del Re (grazie al Battesimo), ma sappiamo anche che essere figli di un sovrano ha dei vantaggi ma insieme porta degli oneri e dei doveri a cui non possiamo sottrarci altrimenti non daremmo il giusto onore al Sovrano e perderemmo la dignità di figli. Il libro del Siràcide non ci nasconde difficoltà ed ostacoli, ma ci dà la speranza di non faticare invano, di lottare non per una corona corruttibile, ma per una felicità eterna. Spesso affrontiamo le difficoltà matrimoniali senza questo anelito eterno, perché siamo tutti concentrati su noi stessi e sulle nostre problematiche; non stiamo negando che esistano delle difficoltà anche di grande rilievo e di enorme dolore in tantissime coppie, ma spesso sono problematiche legate alla realtà caduca di questo mondo, e preoccuparcene oltre misura ci fa perdere l’orientamento, ci lascia inchiodati a questo mondo, ci induce piano piano a pensare che tutto si risolva in questo mondo e che non c’è un aldilà.

Mentre la Quaresima, incominciata col rito delle Ceneri, ci impone di alzare lo sguardo, di cambiare un poco prospettiva, ci ricorda che siamo polvere e polvere torneremo, ci ricorda la transitorietà di questa vita, che è importantissima ma dura un soffio rispetto alla vita eterna: immaginate di non dover più pagare le bollette della luce per l’eternità, immaginate di non essere costretti alle interminabili code in auto per tutta l’eternità, immaginate di non pagare più nessun mutuo per la casa per l’eternità, immaginate di non dover fare la spesa perché tanto non si avrà un corpo mortale da nutrire, immaginate di non stancarvi mai per l’eternità, immaginate una vita beata e felice per l’eternità… si fa fatica a pensarci con consapevolezza piena ma il Paradiso che ci attende sarà infinitamente di più di quelle frivolezze che abbiamo appena citato.

Se la vita matrimoniale perde l’afflato eterno perde se stessa.

E chi accusa la Bibbia di essere vecchia e di non parlare all’uomo contemporaneo, avrà da ritrattare leggendo questo brano, quale Dio spende così tante parole per incoraggiare i propri seguaci? Quale Dio usa parole così educative che preparano l’uomo come un educatore che aiuta il bambino a diventare un uomo forte che sa affrontare pericoli ed avversità, e non come un pappamolle? Quale Dio usa parole così compassionevoli e ricche di sentimento? Coraggio sposi, la Quaresima è quel momento propizio per ritrovare il giusto posto di Dio nella nostra vita: il primo.

Giorgio e Valentina.

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Come le mongolfiere!

Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!

Non è la prima volta che Gesù ci mette in guardia sulla brevità e transitorietà di questa vita. Effettivamente il problema della morte è stato affrontato da tutti gli uomini in tutte le epoche, in tutte le culture, e le risposte sono molteplici; ai nostri giorni, il mondo occidentale, sembra essersi accorto di non avere una risposta convincente, ed allora ha deciso di anestetizzare il pensiero della morte con trucchi di vario tipo, che fondamentalmente vogliono riempire il “buco” creato dalla mancanza di questa risposta.

Sposi, genitori, nonni…… stiamo in campana….. quando il mondo ci vuole riempire con cose, impegni, affetti, interessi che sollazzano i nostri sensi, fermiamoci un attimo a riflettere se ci aiutano ad avvicinarci a Dio oppure sono ostacoli…. e poi prendiamo le nostre decisioni…. vi possiamo testimoniare che noi, Giorgio e Valentina, da quando abbiamo cominciato ci siamo alleggeriti parecchio. Noi sposi dovremmo essere come delle mongolfiere…. non nel senso della forma esterna, ma nella sostanza… e cioè : per poter volare in alto dobbiamo alleggerirci della zavorra che ci vuole tenere giù…. ma il nostro cuore, la nostra anima è fatta per volare in Alto.

Il Vangelo che abbiamo scelto ci invita a stare pronti con le vesti strette ai fianchi…… che significa? I servi quando lavorano, quando sono indaffarati nelle varie faccende domestiche necessitano di vesti che non ingombrino i loro movimenti che altrimenti risulterebbero goffi ed impacciati. Anche noi sposi dobbiamo quindi farci trovare così, e cioè non farci trovare impreparati al momento della morte, ma pronti con le vesti della quotidianità resa straordinaria dall’amore. In un dialogo di tempo fa, per spiegare questo atteggiamento ad una mamma, usammo l’immagine dei piatti sporchi o della lavatrice…… cioé? chiese lei….. Se il tuo cuore non ha la zavorra delle cose mondane, può riuscire a scorgere la presenza di Cristo anche nel lavare i piatti , nel caricare l’ennesima lavatrice, nel cucinare la cena giorno dopo giorno…. significa che la mia conversione quotidiana passa anche (ma non solo) attraverso questi gesti GRATUITI di amore.

E’ l’impegno quotidiano nel vivere la santità del matrimonio! E le lampade accese servono per vedere nell’oscurità della notte. Eh…… già, cari sposi, per riuscire a scorgere la direzione del nostro cammino in mezzo all’oscurità di questo mondo (che è zavorra), dobbiamo avere le lampade accese. La nostra lampada prende luce da diverse fonti che Dio ci ha messo a disposizione: la Parola di Dio, la preghiera, l’Eucarestia, la vita sacramentale attiva, il digiuno, la mortificazione, l’esempio dei santi, le prediche accorate di tanti bravi sacerdoti, momenti di catechesi, e altro ancora.

Tutti sulla mongolfiera! Vi assicuriamo che il panorama da lassù è mozzafiato….. basta alleggerire la mongolfiera del nostro matrimonio dalla zavorra con cui il mondo vuole appesantire il nostro viaggio….. Prendiamo insieme il volo!

Coraggio sposi….. sentiamo già una fresca e lieve brezza.

Giorgio e Valentina.

Domenica e famiglia : un connubio possibile / 54

Stiamo ancora riflettendo sul momento della cosiddetta Comunione.

Diveniamo quindi per un po’ di tempo dei tabernacoli viventi, cioè facciamo da dimora a Gesù… di solito per far sentire a proprio agio l’ospite si dice: “Fai come se fossi a casa tua”, ma se potessimo rivolgere la stessa frase a Gesù e Lui ci prendesse sul serio che cosa farebbe del nostro corpo e del nostro cuore/anima? Siamo così sicuri che si sentirebbe a suo agio tra le impurità del nostro corpo e del nostro cuore?

Il nostro continuo lavoro di sposi è quello di vivere sempre di più e sempre meglio la virtù della castità, la quale ci aiuta a ripulire la casa dove far soggiornare Gesù Eucarestia e lasciarcelo spiritualmente come ospite fisso una volta che le specie consacrate hanno perso gli accidenti del pane e/o del vino. Per aiutarci a vivere meglio questa virtù può essere d’aiuto il pensare ogni giorno alla preparazione della comunione eucaristica della Domenica ; quando siamo presi d’assalto dai nemici della castità possiamo riflettere se cedere a quel gesto o quel pensiero impuro ci permetta di ospitare degnamente Gesù Eucarestia la Domenica… se sorgono dubbi significa che quello è un peccato ed è assolutamente da evitare, perché la coscienza, anche se non ben formata, ci lascia irrequieti col dubbio irrisolto, e questo è un chiaro segnale da prendere in considerazione.

Dovremmo vivere la relazione col nostro coniuge con i frutti della comunione passata e come anelito e preparazione alla comunione futura… se vissuta così, tutta la settimana ha come obiettivo la Messa domenicale e da essa riparte per viverne un’altra. Non può esserci una separazione tra la vita ordinaria e la fede, perché Gesù si è fatto vero uomo, uomo al 100% tranne il peccato, perciò tutto ciò che riguarda l’uomo ha a che fare con la fede e da essa è illuminato, corroborato e santificato; il mondo tende a fare una separazione, a disgregare l’uomo nella sua stessa natura intima, ma l’uomo allontanato da Dio perde senso, vita, nutrimento… è come una lampadina scollegata dalla corrente elettrica, è come un fiume che pretende di essere tale senza una fonte, è come un giorno senza sole, come un quadro anonimo senza autore. E ciò che vale per l’uomo analogamente vale per la famiglia, vale per il matrimonio, vale per la coppia di sposi, senza Dio che si fa carne, che diventa realtà quotidiana, si barcolla come gli ubriachi mossi dai venti del mondo che ci strattona di qua e di là secondo i propri gusti malsani o le proprie mode.

Non possiamo pretendere di amare con lo stile di Dio se non andiamo mai alla fonte di tale amore, che è Dio stesso presente nella Santissima Eucarestia, essa è il nostro alimento speciale, e se La accogliamo con le dovute disposizioni interne ed esterne essa produce nell’anima effetti diversi per ognuno, è un cibo “personalizzato”: se un’anima ha bisogno di pace Essa infonde pace, se un’altra ha bisogno di uno scossone Essa produce scossone, se una terz’anima necessita di coraggio Essa infonde coraggio, se ha bisogno di forza riceve forza per combattere i vizi, se ha bisogno di perseveranza riceve perseveranza per vivere le virtù, ecc… ogni anima è amata in modo personalizzato da Dio, il Quale dispone liberamente dei Suoi beni e dà a ciascuno ciò che serve per il cammino di santità, per ogni momento di ogni anima Dio prepara delle Grazie che poi elargisce a seconda della disposizioni dell’anima stessa, ecco perché ci siamo azzardati a definire l’Eucarestia un cibo “personalizzato”. Più si avanza nel cammino di santità e più si capisce come il momento della Comunione Eucaristica sia il momento privilegiato per chiedere Grazie e crescere nella fede, ma lasciamo che a spiegarcelo sia Santa Teresa d’Avila :

Fino a quando il calore naturale non ha consumato gli accidenti del pane, il buon Gesù è in noi: avviciniamoci a Lui! Se quando era nel mondo guariva gli infermi col semplice tocco delle vesti, come dubitare che, stando in noi personalmente, non abbia a far miracoli se abbiamo fede? (Cammino di perfezione 34,6-8).  […] ci dette in alimento perpetuo la manna di questa sacratissima Umanità. Noi ora la possiamo trovare quando vogliamo, per cui se moriamo di fame è unicamente per colpa nostra. L’anima troverà sempre nel SS. Sacramento, sotto qualsiasi aspetto lo consideri, grandi consolazioni e delizie, e dopo aver cominciato a gustare il Salvatore, non vi saranno prove, persecuzioni e travagli che non sopporterà facilmente (Cammino di perfezione 34,1-2) Quanto a voi, fategli buona compagnia e non vogliate perdere una così bella occasione per trattare dei vostri interessi, come quella che vi si offre dopo la S. Comunione. […] se voi portate il pensiero ad altre cose, non fate conto di Lui e neppur pensate che vi sta nell’anima, come volete che vi si dia a conoscere? Quel tempo è assai prezioso perché allora il Maestro ci istruisce: facciamo d’ascoltare, baciamogli i piedi, riconoscenti per tanta sua degnazione, e supplichiamolo di star sempre con noi. Appena comunicate, chiudete gli occhi del corpo e aprite quelli dell’anima per fissarli in fondo al vostro cuore, dove il Signore è disceso. Vi dico, vi torno a dire e ve lo vorrei ripetere all’infinito, che se vi abituate a questa pratica ogni qualvolta vi accostate alla Comunione, il Signore non si nasconderà mai così totalmente da non manifestarsi con qualcuno di quei molti espedienti che ho detto, in proporzione del vostro desiderio: lo potreste desiderare con tanto ardore da indurlo a manifestarsi del tutto. Ma se noi non facciamo conto di Lui, e lo abbandoniamo appena ricevuto… che volete che faccia? Deve costringerci a guardarlo per potersi manifestare? Non è già per una grande misericordia se ci assicura che Egli è nel SS. Sacramento e vuole che ci crediamo? Ma quanto a mostrarsi svelatamente, a comunicare le sue grandezze e a diffondere i suoi tesori, è desso un favore che non vuol concedere se non a coloro che ne vede molto desiderosi (Cammino di perfezione 34,10.12-13)

Giorgio e Valentina.

La creazione abbonda.

Dal libro della Gènesi (Gn 1,20-2,4a) Dio disse: «Le acque brùlichino […] E fu sera e fu mattina: quinto giorno. Dio disse: «La terra produca esseri viventi secondo la loro specie […] Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: dòmini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra». E Dio creò l’uomo a sua immagine ; a immagine di Dio lo creò : maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e Dio disse loro : «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra». Dio disse: «Ecco, io vi do ogni erba […]. E così avvenne. Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona. E fu sera e fu mattina: sesto giorno. Così furono portati a compimento il cielo e la terra e tutte le loro schiere. Dio, nel settimo giorno, portò a compimento il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro che aveva fatto. Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli aveva fatto creando. Queste sono le origini del cielo e della terra, quando vennero creati.

In questi giorni la Chiesa ci fa rileggere i primi capitoli della Genesi, quelli famosi della Creazione, e oggi ci viene proposta la seconda parte che termina con la creazione dell’uomo (non inteso in senso maschile ma come creatura). In questi duemila anni di magistero ci sono già innumerevoli considerazioni, approfondimenti, prediche, insegnamenti orali e scritti su questi primi capitoli della Bibbia che non possiamo alzare la mano come i primi della classe e dirvi che abbiamo capito tutto noi, per questo vogliamo solo aiutare a mettere a fuoco un aspetto che emerge da questo racconto: l’abbondanza.

Si può notare come l’uomo, in queste pagine della Genesi, sia come la ciliegina sulla torta, ma attenzione a non pensare che il resto della creazione sia di addobbo; non è che il Padre si sia messo a mirare la creazione pensando che mancasse qualcosa, e come fa il prestigiatore quando tira fuori dal cappello il coniglio così abbia tirato fuori dal suo cappello delle idee la creatura umana… no!

Ha pensato fin dall’inizio l’uomo, il quale però necessitava di un posto dove vivere, ecco che allora prima crea l’universo accogliente per poi collocarci finalmente l’uomo.

Se si affronta con calma la lettura di questo brano si può notare come la descrizione delle creature che ne emerge sia quasi meticolosa e non sia solo un banale elenco, assomiglia invece ad una planata dall’alto sulle creature come quelle alle quali ci hanno abituato da qualche tempo ormai i video eseguiti con i droni volanti i quali ci fanno ammirare paesaggi e particolari prima ignoti. Potrebbe anche sembrare un elenco troppo ridondante, esageratamente abbondante, eppure non descrive che una minima parte del mondo creato. Spesso ci si sofferma con le riflessioni sulla frase “… a nostra immagine e somiglianza…” pensando al desiderio di infinito che abbiamo dentro, o alla spinta a vivere rapporti interpersonali con altri poiché anche Dio in sé è comunione di amore fra tre persone, ma quasi mai si mette l’accento sull’abbondanza della Creazione.

Tutto è stato creato per l’uomo, dalle stelle più lontane all’erba del giardino di casa, se ci si ferma un attimo a pensare ci si accorge di quanta abbondanza il Signore abbia usato per pura gratuità nei nostri confronti. Noi non siamo mai andati sull’Himalaya né ci andremo mai e forse non lo vedremo mai dal vivo coi nostri occhi nemmeno da lontano, eppure Dio l’ha creato anche per noi ed è lì; noi non siamo mai stati e mai andremo alle Hawaii eppure esistono… per noi due che abitiamo a Brescia non cambia niente nella nostra vita quotidiana il fatto che esistano l’Himalaya e le Hawaii! Ma Dio ha voluto essere così abbondante perché la creazione è un piccolo riflesso di se stesso, e siccome Lui è infinitamente abbondante ecco allora che ha impresso anche nella Creazione un indizio che richiamasse alla Suo essere abbondante per natura.

E gli sposi? Essi sono chiamati a loro volta a vivere questa abbondanza e a renderla vita concreta attraverso: l’abbondanza della prole, l’abbondanza di gesti di amore concreto, l’abbondanza nell’amicizia, l’abbondanza di gratuità, l’abbondanza di servizio alle molteplici forme di povertà, l’abbondanza nel tempo dedicato all’ascolto del cuore dell’amato/a, l’abbondanza nel sacrificare se stessi per far felice il nostro coniuge, l’abbondanza nell’investire sull’educazione dei figli, l’abbondanza di elemosina, l’abbondanza nella cura dei parenti malati o vecchi, l’abbondanza di tempo nella preghiera… in sintesi siamo chiamati a vivere un matrimonio abbondante di santità… quando ci si ferma a contare non c’è più la gratuità.

Che c’azzecca la gratuità? L’abbondanza e la gratuità vanno a braccetto, non si può definire una realtà abbondante se non c’è gratuità, se ci pensiamo bene è così anche nelle piccole cose umane: notiamo ad esempio che quando riceviamo beni dalle persone che ci amano, spesso la misura è oltre il fabbisogno, per cui tale misura la chiamiamo abbondanza e non viene misurata dal donatore, per cui essa è gratuita; quando definiamo una realtà abbondante significa che supera la reale necessità, e la misura che abbonda è comunque compresa nella realtà stessa perciò è gratuita… gratis e abbondanza vanno di pari passo.

Se potessimo fare un elenco delle grazie ricevute dal Signore non basterebbero 100 fogli, contando solo quelle che conosciamo, se poi nell’elenco potessimo aggiungere quelle che nemmeno conosciamo né sappiamo di aver ricevuto, chissà quanti fogli occorrerebbero! Citiamo solo un paio di grazie: ogni mattina che ci siamo svegliati e ci siamo resi conto di essere ancora vivi è una grazia gratuita del Padre, ogni respiro che facciamo è voluto dal Signore. Provate a contare solo queste due grazie: questa non vi sembra abbondanza?

Coraggio sposi, il matrimonio deve essere la palestra dove si impara a vivere con abbondanza come il Padre, senza misurare tutto come gli avari, ma donando tutto e anche di più con gratuità, allora diventeremo sempre più a somiglianza di Dio.

Giorgio e Valentina.

Galline o aquile ?

Dalla lettera agli Ebrei (Eb 12,1-4) Fratelli, anche noi, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento. Egli, di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di Dio. Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo. Non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato.

Siamo ancora a riflettere su un brano della lettera agli Ebrei, e questa volta lo sguardo di S. Paolo si concentra sulla famosa simbologia della buona battaglia, che è un’immagine eloquente, e ne coglie un aspetto usando un’altra immagine: la corsa. Quando si fa una corsa di solito è preferibile essere leggeri, bisogna essere pieni di energie senza avere lo stomaco ingolfato da una vorace abbuffata, non si corre bene con un sassolino nelle scarpe, bisogna sapere che la corsa avrà un termine, bisogna allenare il corpo e la mente con costanza e perseveranza per resistere alle fatiche e superare gli ostacoli di varia natura, deve essere ben chiaro il punto di arrivo e la meta sicché la corsa acquisti più dignità e senso nel sopportare la fatica.

Portiamo tutte queste realtà nella vita spirituale e capiremo cosa intende l’Apostolo, soprattutto pensiamo al peso da deporre, cioè al peccato. Quale atleta si metterebbe a correre i 100m con un’altra persona aggrappata sulla schiena tipo koala? Nessuno, perché nella più rosea delle previsioni camminerà lentamente, oppure la corsa si limiterà a pochi passi eseguiti con enorme fatica. Analogamente, il cammino spirituale di molti sposi cristiani è frenato dal peccato che è come quel peso caricato sulle spalle.

E la maggior parte di queste persone sono i più vicini alla tonaca del parroco: sono quelli che partecipano a 50 corsi di formazione e di evangelizzazione, partecipano alle catechesi, ai ritiri spirituali, alle veglie di preghiera, pregano tutte le novene, insomma pare che nulla possa impedire loro di essere santi subito, ed invece sentiamo molte testimonianze di come queste persone avvertano di non fare progressi nella vita spirituale e non ne capiscano le cause. La causa è il peso del peccato che frena così tanto il cammino/la corsa fino ad arrestarla. Per correre bene bisogna essere agili e snelli altrimenti è come se il campione dei 100m corresse con uno zaino di 35 chili sulle spalle, va da sé che il podio lo veda solo in fotografia o col cannocchiale.

Molti sposi cristiani pensano che sia sufficiente riempirsi di pratiche religiose per essere ben visti dal Signore, similmente all’atleta che corre con lo stomaco ingolfato da un’abbuffata. Molti altri credono che nella vita sia sufficiente “essere della brave persone“, similmente a chi corre senza una meta, senza un obiettivo ben definito, senza puntare al podio. Ma la Chiesa non si stanca di ripeterci che la nostra prima vocazione è alla santità, ognuno nel proprio stato di vita, la vocazione è la santità e non “essere delle brave persone “, la vocazione è la santità e non un generico ed insignificante “fare del bene agli altri“, la vocazione è la santità e non “riempirsi di pratiche religiose” asettiche che non partono da un cuore amante il Signore, la vocazione è la santità e non un “volersi bene” all’acqua di rose.

Capite? La santità è di più, è molto di più, santità è allenarsi e correre per il podio, non inteso genericamente, ma per il primo posto nel podio, dobbiamo correre per l’oro, non dobbiamo accontentarci del podio semplicemente, dobbiamo volere il massimo, ma è lo stesso che vuole il Signore da noi, ce lo ha ripetuto più volte quando ci ha detto che noi siamo il sale e la luce del mondo, altrimenti avrebbe detto che siamo dei banali insaporitori e non sale, ci avrebbe detto che siamo una lucignolino e non luce. Ci sono molti sposi che non vogliono essere tutti del Signore, ma concedono al Signore questo o quell’aspetto della propria vita, che di solito è il 10% del proprio matrimonio (siamo ottimisti), il resto se lo tengono per sé ritenendosi anche fin troppo generosi nei confronti del Signore. Ma il Signore ci dona tutto e noi come lo ricambiamo?

Il Signore ha pensato per noi proprio quel coniuge fin dall’eternità e ce ne fa dono dimostrando di avere fiducia nelle nostre capacità poiché ci chiede di amarlo noi per Lui, ci chiede di essere Suoi ambasciatori per l’amato/a. Lui ci ha donato l’unico Figlio che aveva, continua a riempirci di grazie che nemmeno conosciamo, e noi lo ricambiamo con così poco? Gli sposi che vogliono correre per l’oro della santità devono abbandonare almeno il peccato mortale, consegnare al Signore il 100% della propria vita, cominciare a vivere una vita virtuosa. La consacrazione matrimoniale chiede tutto ma dona di più.

Cari sposi, la santità è l’obiettivo, la meta è aiutarsi vicendevolmente a diventare santi, primo posto sul podio, non accontentatevi. Certi sposi assomigliano a quell’aquila che viveva come una gallina perché nessuno le aveva detto che lei fosse un’aquila. Coraggio sposi, libriamoci in volo !

Giorgio e Valentina.

Domenica e famiglia : un connubio possibile /53

continuing … L’Eucarestia è comunque infinitamente di più di ciò che le nostre povere parole riescono ad esprimere, è un mistero di cui possiamo fare esperienza reale e concreta, è un mistero in cui immergersi per viverlo realmente e da cui lasciarsi plasmare volta dopo volta. Coraggio famiglie, Gesù ci aspetta e vuole fare di noi un tabernacolo vivente. Oggi rifletteremo proprio su questo termine latino tabernaculum che è stato usato nella Bibbia per tradurre la parola ebraica  מִשְׁכָּן mishkàn, che significa dimora. Quindi la parola tabernacolo nella Bibbia è usata per intendere il luogo della casa di Dio presso gli uomini, la dimora di Dio in mezzo al Suo popolo.

Nell’Antico Testamento, quando Israele era ancora nomade, la tenda che conteneva l’Arca dell’Alleanza era trattata e considerata con il massimo del rispetto e dell’onore poiché essa era la dimora di Dio in mezzo al Suo popolo… un po’ come se adesso potessimo portarci in giro la nostra chiesa parrocchiale. Se uno voleva stare vicino a Dio doveva entrare nella tenda che conteneva l’Arca, questa tenda era la dimora di Dio presso il Suo popolo, significava la presenza di Dio, era quindi un tabernacolo. Certamente era una prefigura del vero tabernacolo che troviamo nelle chiese cattoliche oggi, poiché nel tabernacolo antico la presenza del Signore era spirituale grazie alla presenza delle Tavole della Legge consegnate a Mosè e scritte da Dio, ma nei nostri tabernacoli è tutta un’altra cosa poiché la presenza non è solo spirituale, la presenza di Gesù nelle ostie consacrate è reale, vera e sostanziale.

Naturalmente vengono conservate solo le ostie per motivi pratici/logistici, ciò non intacca in alcun modo il fatto che anche nella più piccola e singola briciola di ogni ostia consacrata ci sia lo stesso Gesù intero (corpo, sangue, anima e divinità) tanto quanto c’è nell’ostia intera e tanto quanto in ogni singola goccia di vino consacrato, anche se, ribadiamo, vengono conservate solo le ostie per motivi di praticità; infatti risulta più semplice trasportare e stoccare delle ostie di pane piuttosto che del vino, il quale necessiterebbe di contenitori ermetici per evitare eventuali dispersioni della sostanza ed anche il trasporto risulterebbe più laborioso e di non facile soluzione.

Ma tornando alla nostra riflessione, dobbiamo quindi considerare che in un ostia consacrata c’è la presenza vera, reale e sostanziale di Gesù Cristo il Figlio del Padre celeste, lo stesso che camminava per la Palestina 2000 anni fa, e la Sua presenza resta in tale ostia fino a che gli accidenti del pane sussistono. La scienza ci dice che un boccone di pane resta pane nel nostro organismo per circa 10/15 minuti prima che venga preso d’assalto e disgregato dai succhi gastrici, ciò significa che il pane resta tale per questi minuti, ne concludiamo che noi ci teniamo dentro Gesù per circa un quarto d’ora.

Se quindi noi mangiamo quell’ostia consacrata e poi torniamo al nostro posto, è come se il tabernacolo della chiesa si fosse replicato in noi e venisse con noi nel nostro banco. Praticamente, con la Santa comunione, noi diventiamo oggettivamente dei tabernacoli che camminano poiché abbiamo in bocca la stessa sostanza che è conservata nel tabernacolo.

Ora facciamo qualche piccolo ragionamento: spesso il momento della Santa Comunione viene “risolto” il più velocemente possibile dai preti, dei quali non capiamo i motivi della fretta che dimostrano, sicché ne consegue che la Messa finisce da lì a 5 minuti scarsi, se appena finita la Messa c’è il fuggi fuggi generale manco ci fosse una bomba ad orologeria in chiesa, che ne è di quel Gesù dentro a tutte quelle persone? Più di una volta ci è successo di ricevere l’Eucarestia per ultimi, tornare al nostro posto, inginocchiarci, non fare in tempo nemmeno a recitare un Padre Nostro che sul più bello arriva la preghiera finale con benedizione incorporata. Meglio una doccia gelata! Vi lasciamo spiegare meglio dalle parole di un santo cosa accade e cosa bisognerebbe fare:

Un episodio racconta di una nobildonna che andava spesso alla Messa celebrata da San Filippo Neri. Dopo aver preso la Comunione, ella se ne andava mancando di fare un adeguato ringraziamento. La cosa si verificava spesso. Un giorno, prima di iniziare la celebrazione della Messa, san Filippo disse a due chierichetti: “Ad un mio cenno seguite con le candele accese una donna che io vi indicherò”. Iniziò la Messa, dopo la Comunione, la solita nobildonna, ricevuta l’ostia, lasciò la Chiesa. San Filippo fece cenno ai due chierichetti e questi obbedirono all’istante. I due fanciulli, con due grosse candele accese, seguivano la donna. Questa ovviamente si girò e chiese loro il perché. I fanciulli dissero la verità e la donna, visibilmente innervosita, tornò in chiesa per chiedere spiegazioni al sacerdote. “Come vi siete permesso?” disse a san Filippo, ma questi di rimando: “Signora, mi sono permesso perché stava portando la Santissima Eucaristia in processione per le strade di Roma. Lo sa o non lo sa che ogni qualvolta riceviamo Gesù Sacramentato diventiamo per un po’ di tempo dei tabernacoli viventi?”. La nobildonna capì tutto e non osò replicare.

Giorgio e Valentina.

Un corpo mi hai dato…

Dalla lettera agli Ebrei (Eb 10,1-10) Fratelli, la Legge, poiché possiede soltanto un’ombra dei beni futuri e non la realtà stessa delle cose, non ha mai il potere di condurre alla perfezione per mezzo di sacrifici – sempre uguali, che si continuano a offrire di anno in anno – coloro che si accostano a Dio. Altrimenti, non si sarebbe forse cessato di offrirli, dal momento che gli offerenti, purificati una volta per tutte, non avrebbero più alcuna coscienza dei peccati? Invece in quei sacrifici si rinnova di anno in anno il ricordo dei peccati. È impossibile infatti che il sangue di tori e di capri elimini i peccati. Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice: «Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: “Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà”». Dopo aver detto: «Tu non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato», cose che vengono offerte secondo la Legge, soggiunge: «Ecco, io vengo a fare la tua volontà». Così egli abolisce il primo sacrificio per costituire quello nuovo. Mediante quella volontà siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre.

Continua la proposta della Chiesa, in questo tempo post-natalizio, di farci leggere la lettera di S. Paolo agli Ebrei, ed anche in questo estratto viene specificato come i sacrifici dell’antica legge siano solo una pallida figura dell’unico, nuovo e definitivo sacrificio di Cristo, viene inoltre specificato come quest’ultimo sacrificio non sia compiuto col corpo di animali, ma il nuovo agnello da sacrificare fosse proprio il corpo stesso di Gesù: …un corpo invece mi hai preparato… Inoltre specifica che questo sacrificio viene compiuto da Gesù come atto di obbedienza alla volontà del Padre, e noi …mediante quella volontà siamo stati santificati…

Dobbiamo stare sempre attenti a non cadere nel tranello di pensare che approfondire le verità della nostra fede sia tempo perso e che in fondo non c’entri niente con la vita matrimoniale di tutti i giorni; oggi stiamo affrontando la verità di Gesù sacerdote e vittima per la nostra salvezza, ma non è una verità astratta, al contrario, è una verità che deve diventare vita reale. Ricordiamoci sempre che il matrimonio sacramento deve essere una relazione ad immagine della Trinità, il modo di amarci deve essere figura del modo che Cristo ha di amare. E qual è questo stile? Oggi ne vediamo una sola caratteristica descritta proprio dal brano oggi proposto: Cristo ha amato sacrificando il suo corpo come vittima di sacrificio.

Cari sposi, ma noi che rapporto abbiamo col nostro corpo? E con il corpo dell’amato/a?

Ci sarebbe tanto da scrivere sul tema del corpo che racchiudere tutto in un solo articolo è impensabile, ed in effetti tutti gli articoli di questo blog hanno come sfondo il corpo come mezzo espressivo dell’amore, oggi ne vedremo solo un aspetto: l’aspetto sacrificale del corpo. Del sacrificio non se ne parla così spesso, e ancor meno si trovano testimoni gioiosi e credibili del sacrificio. Incontriamo per esempio tanti sposi che raccontano le proprie fatiche di genitori, magari comuni a quelle di tanti altri, ma c’è uno sfondo di insoddisfazione dentro questi racconti, c’è uno sfondo di non-senso, non si intravede un barlume di eternità.

Ci sono invece tanti coniugi che affrontano le fatiche dell’essere genitori, padri che sostentano da soli una famiglia numerosa e per questo sopportano turni estenuanti di lavoro, madri che ascoltano le confidenze di tutti e a tutti sanno dare una parola di conforto senza che nessuno si accorga che anche lei ne avrebbe bisogno, ecc… MA dietro a questi sacrifici non c’è mai un lamento per la situazione di difficoltà. Perché ? Perché c’è il senso del vivere, c’è lo sguardo verso l’eternità, e quindi questa vita con tutte le sue numerose difficoltà acquista un valore eterno e nello stesso tempo se ne coglie la caducità.

Cari sposi, dobbiamo recuperare questo senso dentro le fatiche di ogni giorno, ma non dobbiamo limitarci alle fatiche ed ai sacrifici che il normale corso della vita richiede a tutti, dobbiamo saper andare oltre imparando da Gesù ad offrire i nostri corpi come ha fatto Lui: fino all’ultima goccia di sangue. E gratuitamente, senza pretendere di vedere i frutti dei nostri sacrifici e senza pretendere un ringraziamento.

La maggior parte dei frutti dei sacrifici dei nostri nonni hanno preso vita in noi nipoti, ma essi non li hanno nemmeno visti eppure si sono sacrificati lo stesso, e così accade spesso anche con i nostri genitori. Il matrimonio con le sole forze umane non va avanti tanto, diremmo che “tira a campare”, ecco perché serve la Grazia del sacramento. Tutte le volte che sopporto lei/lui con pazienza e senza rinfacciare, senza vendetta, porto un pezzo di Paradiso nella relazione sponsale. Tutte le volte che faccio un sacrificio unendo il mio sforzo corporale al sacrificio di Gesù porto un pezzo di Paradiso nel matrimonio.

Ogni fatica ed ogni sacrificio, se vissuto in unione col cuore a Gesù, acquista un senso d’eternità, e noi sposi siamo chiamati a vivere così il matrimonio; le fatiche non spariranno come per magia, ma avranno dentro un senso, il senso del donare tutto fino in fondo e gratuitamente ad imitazione del sacrificio del corpo di Gesù. Coraggio sposi, portiamo un pezzo di Paradiso nelle nostre case.

Giorgio e Valentina.