Oggi affrontiamo uno dei versetti più famosi del Cantico dei Cantici. Affrontiamo la contemplazione del corpo che diventa un’esperienza di infinito. Clicca qui per leggere quanto già pubblicato. La riflessione come sempre è tratta dal nostro libro Sposi sacerdoti dell’amore (Tau Editrice).
Vieni con me dal Libano, o sposa / vieni con me dal Libano! / Avanza, discendi dalla cima dell’Amanah / dalla cima del Senir e dell’Hermon32 / dalle tane dei leoni / dalle montagne dei leopardi! / Tu mi hai rapito il cuore / sorella mia, mia sposa / mi hai rapito il cuore / con uno solo dei tuoi sguardi / con una sola perla della tua collana! / Quanto sono soavi le tue carezze / sorella mia, mia sposa / molto più deliziose del vino le tue carezze / più di ogni balsamo i tuoi profumi! / Le tue labbra stillano nettare, o sposa; / miele e latte è sotto la tua lingua; / il profumo delle tue vesti / è come quello del Libano.
Questi versetti del Cantico seguono immediatamente la descrizione dell’amata da parte dell’amato, il quale, attraverso uno sguardo casto, riesce a far sentire la propria regina profondamente desiderata. Come scriveva Antoine de Saint-Exupéry ne Il piccolo principe: «Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi». La donna, in quegli istanti, prova una gioia che colma, anche se solo per un momento, il suo desiderio innato d’amore.
Lo sguardo dell’uomo va oltre la semplice fisicità della donna, che, per quanto bella, non può saziare gli occhi di chi cerca la bellezza assoluta, di chi cerca l’infinito. In un passo che sembra echeggiare le parole di Sant’Agostino – «Ci hai fatti per Te, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te» – si rivela che l’innamoramento è l’illusione di aver toccato quella bellezza infinita. Ma il corpo da solo non basta: sarebbe una risposta troppo limitata per il desiderio umano. L’uomo, infatti, anela a un’esperienza di infinito, a un legame in cui il corpo diventa la porta d’accesso allo spirito immortale della persona amata.
Questi versetti trasmettono tutta la meraviglia e la passione d’amore di Salomone per la sua amata, in un intreccio di cuore e corpo, desiderio e trascendenza. È il sentimento che Dante descrive nella Divina Commedia, quando vede Beatrice e proclama: «L’amor che move il sole e l’altre stelle». Lo sposo è rapito dalla sua sposa, in un’esperienza totalizzante che pervade ogni dimensione dell’essere, trasformando il desiderio in contemplazione.
Uno sguardo contemplativo così profondo e potente che, come San Giovanni Paolo II ricordava, può motivare l’uomo a donarsi totalmente alla donna amata. Questo amore non si esaurisce con il tempo, ma cresce e si perfeziona. Non è il sentimento fugace degli sposi novelli, travolti dall’innamoramento, ma una relazione curata giorno dopo giorno con dolcezza e dedizione. E per questo ancora più profonda e consapevole.
Se l’unione sponsale viene nutrita, quello sguardo contemplativo non sbiadisce con gli anni. Al contrario, diventa più profondo, permettendo allo sposo di vedere nella sua sposa la regina della propria vita, anche quando il tempo lascia i suoi segni: rughe, capelli bianchi, mani che tremano. Gli anni trascorsi insieme non spengono la meraviglia, ma la rendono eterna. La bellezza dell’amata si arricchisce di anni di quotidianità fatta di abbracci, carezze, ascolto, litigi, perdoni, incomprensioni, silenzi, intimità, complicità e tanto altro ancora.
Questa relazione totalizzante, nel suo crescendo di intimità e profondità, tocca il mistero stesso del divino. Come ricordava Santa Teresa d’Avila, «Dove c’è amore, lì c’è Dio». Ogni incontro d’amore, anche con le sue difficoltà e imperfezioni, diventa un’esperienza mistica, un riflesso della Trinità divina. L’amore trasfigura tutto, anche un corpo che invecchia. Per chi vive il matrimonio come un cammino verso l’eterno, quell’amore diventa lo specchio dell’Amore assoluto, in cui ogni cosa appare nuova e luminosa.
Antonio e Luisa