Per amore, mi fido totalmente di Te

Cari sposi, c’è un fatto nel Signore degli anelli che, come tante altri aspetti, contiene un significato simbolico sempre attuale.

Era l’anno 3434 della Settima Era e nell’immensa pianura di Dagorlad, laggiù, tra le colline degli Emyn Muil e la gola di Cyrith Gorgor, si erano schierati in ordine di battaglia due eserciti sconfinati: quello dell’Ultima Alleanza, guidato da Gil-Galad, capo degli Elfi, ed Elendil, Re degli Uomini dell’Ovest, mentre a varie centinaia di metri ecco la masnada degli Orchi con a capo il terribile Sauron.

Dopo ore di lotta furibonda, Isildur, figlio di Elendil, riuscì a tagliare il dito di Sauron nel quale portava il famoso Anello. Ecco finalmente la grande occasione per porre fine al male nella Terra di Mezzo. Ora Isildur ha l’opportunità di cancellare per sempre il ricordo di Sauron e purtroppo, tradendo ogni aspettativa degli Uomini e degli Elfi, invece di distruggere l’Anello gettandolo nel fuoco del Monte Fato, sceglie di tenerlo per sé, corrotto dal suo potere. Questo errore permette all’Anello di sopravvivere e al male di continuare ad agire.

Come sappiamo J. R. R. Tolkien era un credente ed ha intriso il suo capolavoro, Il Signore degli anelli, di una profonda allegoria con la storia della Rivelazione nella sua storia e nei suoi simboli

E difatti, la scena anteriore contiene un riferimento che va assai in linea con quanto leggiamo oggi nella Parola. Isildur, gonfio di entusiasmo per aver vinto la battaglia e forte del possesso dell’anello, si lascia trascinare dal desiderio di potere e di autosufficienza, finendo per divenirne succube, al punto da trovare successivamente la morte.

È interessante vedere come nella prima lettura, la fiducia è sempre legata alla fede nel Signore. Non esiste una persona che confidi totalmente in Dio e poi si appiccichi ai soldi, al potere, alla fama, piuttosto deve fare una scelta radicale a chi donare il cuore. Per questo, nella seconda lettura, Paolo ci ricorda che l’origine della fiducia non è un vago ottimismo ma è Cristo Risorto che sempre vive con noi ogni giorno.

Il Vangelo ci mostra Gesù parlando proprio di questa fiducia perché il portale delle beatitudini è proprio la povertà in spirito, cioè l’essere umili e sapersi fidare di Dio. Esattamente ciò che ha fatto Pietro domenica scorsa quando ha lanciato le reti in un modo del tutto contrario alle più elementari regole della pesca. Fidandosi ha ottenuto molto frutto!

È interessante la declinazione che, di questo brano, fa Luca rispetto a Matteo. Il primo include anche “guai” oltre che “beatitudini”. A chi va diretto il rimprovero di Gesù? Ai ricchi che pensano di non aver bisogno di altro e che fanno delle loro “sicurezze” umane, la loro unica consolazione. Infatti, Luca, nel v. 24, usa un termine tecnico del linguaggio commerciale, il verbo apéchō, che potremmo anche rendere «gli è stata pagata per intero», creando così un contrasto con la «ricompensa nel cielo» di cui parla al v. 23. Come emerge anche da altri passi del vangelo, la ricchezza (intesa in senso materiale) rappresenta per Luca la situazione alternativa alla fede, perché implica la negazione della priorità dell’ascolto della Parola di Dio e della ricerca di Lui nella propria vita. Chiaramente, così intesa, la ricchezza genera idoli ed è per questo che chi segue idoli e non il Signore Gesù, si merita un duro rimprovero.

È bello qui vedere il parallelismo che si crea con la condizione sponsale. Quando una coppia inizia a camminare con il Signore, a fargli spazio nell’ascolto della Parola, a condividersi le cose belle che Gesù ha fatto nella propria vita, la vita nuziale comincia a dare frutti insospettati. Accadono cose nella coppia e attorno alla coppia che dimostrano che non si è affatto soli ma il Risorto comincia a guidare misteriosamente le vite dei coniugi.

In particolar modo, restando sul tema di oggi, è davvero consolante osservare coppie che si fidano di Gesù. Coppie che vivono di Provvidenza, che accolgono una nuova vita, che ritentano a restare insieme nonostante la crisi, che accettano una responsabilità nella chiesa o di cambiare casa, lavoro, città… Sono tanti i modi in cui le coppie che ho incontrato nella mia esperienza mi hanno testimoniato concretamente cosa significa questo fidarsi di Dio.

Mi piace concludere con un brano di Papa Francesco in cui ci rilancia il Vangelo sotto forma di domanda:

“io – ognuno di noi – ho la disponibilità del discepolo? O mi comporto con la rigidità di chi si sente a posto, di chi si sente per bene, di chi si sente già arrivato? Mi lascio “scardinare dentro” dal paradosso delle Beatitudini, o rimango nel perimetro delle mie idee? E poi, con la logica delle Beatitudini, al di là delle fatiche e delle difficoltà, sento la gioia di seguire Gesù?” (13 febbraio 2022)

ANTONIO E LUISA

Beati. Questa parola risuona più volte. Per gli ebrei, il beato era chi seguiva la sapienza di Jahvé nella Torah, mettendo Dio e la sua Legge al primo posto. Gesù parla di beatitudine come consolazione, una ricompensa che riempie il vuoto con la Grazia divina. Davanti a incomprensioni e sofferenze, possiamo reagire con freddezza o affidarci a Dio. Pregando, chiediamo il suo aiuto per perdonare il coniuge e trasformare il dolore in amore. Così avviene il miracolo: il matrimonio diventa dimora di Dio, che ci dona tutto per realizzare il suo progetto d’amore.

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