Quella Voce Interiore, Eco del Buon Pastore

Cari sposi, portiamo tutti nel cuore il primo saluto di Papa Leone proprio giovedì scorso: “Fratelli e sorelle carissimi, questo è il primo saluto del Cristo Risorto, il Buon Pastore, che ha dato la vita per il gregge di Dio”.

Come non vedere in Gesù risorto il buon Pastore! Colui che ci ha condotti fuori dalle tenebre della morte e del peccato! È estremamente emozionante e profondo meditare che Gesù è sceso fino al fondo della nostra miseria il Venerdì e il Sabato della Settimana Santa per poi, da lì, risalire pieno di gioia e perdono, per vincere ogni forma di male: “Il Dio della pace che ha fatto tornare dai morti il Pastore grande delle pecore, in virtù del sangue di un’alleanza eterna, il Signore nostro Gesù” (Lettera agli Ebrei 13, 21).

Oggi in tutta la Chiesa si celebra la Domenica del Buon Pastore ma il Vangelo preso in esame non è quello classico in cui Gesù si dichiara pubblicamente come tale. Piuttosto, è un brano preso da un capitolo precedente in cui il Maestro ha appena guarito il cieco nato e questo grande segno, evidente, tangibile, verificabile da decine e decine di persone, non convince però i farisei che si chiudono a riccio nei loro pregiudizi contro Gesù.

Ed è allora che il Signore pronuncia le frasi che abbiamo appena letto, come dicendo che solo chi è parte del gregge del Padre può accogliere la voce del Suo Pastore senza preconcetti e chiusure. Da cui il senso principale è che si può ricevere la salvezza dal Maestro a condizione di aprire umilmente il cuore e la mente a Lui.

Eppure, questo Vangelo ha anche un meraviglioso senso nuziale! Lo si capisce dal modo unico di essere Pastore per Gesù. Anzitutto, usando questa immagine, Egli sta affermando di sé una caratteristica divina, cara ai profeti. Infatti, è Jahvé il Dio-Pastore (cfr. Ez 34, 11.15.23) che ha guidato il popolo di Israele come suo gregge, ora dall’Egitto, ora da Babilonia, per ripotarli all’ovile-Terra Promessa. Il Pastore, pertanto, è colui che guida al bene, alla propria destinazione.

Ma la condizione di pastore che incarna Gesù si spinge ben oltre. Difatti normalmente chi possiede un gregge lo fa per viverci sopra, guadagnarsi da vivere grazie al latte, lana e carne; fino ai nostri giorni, qualsiasi pastore non esita minimamente a uccidere le sue pecore o agnelli ogni volta che ne ha bisogno. Gesù fa l’esatto contrario: immola sé stesso per le pecore! La bontà del Pastore è proprio qui, nel suo Amore sconfinato per ciascuno di noi, fino a dare la vita.

Da allora, essere pastore non più solo segno di saper guidare, come nell’Antico Testamento, ma essere pastore al modo di Cristo vuol dire prendersi cura, proteggere, offrire la vita. Ecco perché il Buon Pastore è un sinonimo più che lecito e azzeccato di Sposo.

Ma c’è di più, perché è comodo che uno ti ami gratuitamente senza nessun tipo di appello alla nostra coscienza. Invece, quando Gesù dice che le pecore ascoltano proprio Lui e per questo lo seguono, sta a dire che il nostro cuore è tarato per questo tipo di amore, siamo stati strutturati così, per amare ed essere amati fino all’ultimo cromosoma. Nessun surrogato di amore, leggasi narcisismo, dipendenza affettiva, immaturità… potrà mai realizzare e rendere feconda una vita.

Abbiamo un Papa, figlio di S. Agostino, e sicuramente ci donerà le perle che il Vescovo di Ippona ha scritto proprio su questo punto. Il nostro cuore, il nostro desiderio più profondo cerca e aspira ad un amore così, non superficiale o egoistico, ma segno di una donazione piena: “Nel cuore dell’uomo è impressa la legge di Dio e da lì nasce il desiderio di Lui” (S. Agostino, De Trinitate, XIV)

E così, l’uomo e la donna sono fatti per amarsi come il Buon Pastore ci ha insegnato, devono solo ascoltare la sua voce che già risuona nel profondo del cuore per opera dello Spirito.

È quanto affermava anche San Giovanni Paolo II:

I termini «mio… mia», nell’eterno linguaggio dell’amore umano, non hanno – certamente – tale significato. Essi indicano la reciprocità della donazione, esprimono l’equilibrio del dono – forse proprio questo in primo luogo – cioè, quell’equilibrio del dono, in cui si instaura la reciproca communio personarum. E se questa viene instaurata mediante il dono reciproco della mascolinità e della femminilità, si conserva in essa anche il significato sponsale del corpo” (Catechesi 30 luglio 1980).

Solo amando così, cari sposi, potremo nutrire quel desiderio profondo, insito in ciascuno di noi: “Il desiderio più profondo del cuore umano è essere accolti, essere parte di qualcosa, e sapere che si è amati senza condizioni” (Padre Henry Nouwen).

ANTONIO E LUISA

Il matrimonio, vissuto nella verità e nella grazia, ha una forza profondamente curativa. In esso impariamo che l’amore non si guadagna, non si conquista: si riceve e si dona. Giorno dopo giorno, l’amore del coniuge scava nei solchi dei nostri antichi copioni infantili, quelli che ci hanno insegnato che per essere amati dovevamo essere perfetti o compiacenti. Nel matrimonio autentico sperimentiamo, invece, un amore gratuito e incondizionato, che ci guarisce dalle radici. È l’annuncio silenzioso che siamo degni d’amore così come siamo, e che l’amore vero non ha condizioni, ma è riflesso dell’amore stesso di Dio.

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4 Pensieri su &Idquo;Quella Voce Interiore, Eco del Buon Pastore

  1. Scusate i merito alla parta finale dell email…..volevo chiedere:se in un matrimonio non esiste l amore reciproco nel senso che mio marito è un essere indifferente vado avanti solo per Gesù solo da Lui attingo la grazia di passarci sempre sopra…..mio marito chatta con chiunque ancora a quasi 70 si masturba, si scrive sui siti d incontri insomma di tutto di più. Più volte gli ho spiegato che ha bisogno di aiuto ha avuto un infanzia e un adolescenza non facile tra l altro è rimasto senza padre a 18 anni. Capisco tutto perché il Signore mi da la luce di capire ma spesso esplodo…..chiedo al Signore la sua conversione, offro al Signore le mie sofferenze ma purtroppo lo devo dire non riesco ad avere con lui manifestazioni affettive…..lo so ancora il cammino da percorrere è lungo ma spesso sono stanca e mi sento in colpa per dirgli tante cose brutte…..mi confesso ma poi quando scopro che persevera nelle sue cattive abitudini ricomincio a non sopportarlo. Il sacerdote mi dice sempre di pregare ma voi come esperti in materia cosa mi consigliate?

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    • Cara Rosalba. Tu puoi pregare e dialogare con tuo marito. Poi però lui ha la responsabilità delle proprie scelte. tu puoi concentrarti sul perchè ti sei incastrata (in senso di dinamiche affettive e copioni psicologici) con un uomo con queste ferite e atteggiamenti. Cosa dice di te? Lavora su te stessa per essere libera di scegliere di stare con tuo marito e non per subirlo in un copione che arriva dalla tua infanzia.

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