Coltivare il Giardino dell’Amore

L’Eden è davvero una condizione perduta per sempre? In questo capitolo ci interroghiamo su questa domanda, prima di tornare ai versetti del Cantico dei Cantici. Clicca qui per leggere quanto già pubblicato. La riflessione come sempre è tratta dal nostro libro Sposi sacerdoti dell’amore (Tau Editrice).

La notte è passata e un nuovo giorno torna a illuminare il giardino dell’amore. Nel Cantico dei Cantici vediamo la sposa Sulamita contemplare con meraviglia il suo amato dopo averlo ritrovato: la luce ricompare dopo l’oscurità della distanza. «Perché, ecco, l’inverno è passato, è cessata la pioggia, se n’è andata; i fiori sono apparsi nei campi…» – canta lo sposo nel Cantico nel secondo poema, annunciando la fine dell’inverno relazionale. Questa dinamica di luce e ombra, di inverno e primavera, percorre tutta la narrazione sacra: il Cantico non è una storia lineare, senza inizio né fine definita, ma un ciclo d’amore fatto di partenze e ricongiungimenti, di notti buie e aurore luminose.

In questa poesia millenaria riconosciamo la trama delle nostre vite. Anche la nostra storia d’amore vive di alti e bassi, di distanze e riavvicinamenti, in un cerchio che sembra non chiudersi mai. Non esistono relazioni che restino sempre uguali a sé stesse: l’amore o cresce e si rafforza, oppure declina diventando più fragile, seguendo una spirale ascendente o discendente. È importante esserne consapevoli nel cammino di coppia: ogni crisi può essere seguita da una nuova crescita, ogni notte può conoscere una nuova alba se troviamo la forza di riscoprirci e abbracciarci di nuovo. L’amore vive di questa alternanza vitale e ci chiama a non arrenderci mai all’oscurità definitiva.

Un amore vivo da coltivare ogni giorno

Proprio perché l’amore non rimane mai uguale, esso non va mai dato per scontato. L’amore coniugale è una realtà viva e in continua evoluzione, che richiede cura costante. Potremmo essere tentati di trattare la relazione come un oggetto d’arredo – qualcosa che, una volta messo al suo posto, non richiede altro che una spolverata ogni tanto. Ma il matrimonio non è un armadio immobile: è una pianta delicata che ha bisogno di essere annaffiata e accudita ogni giorno. Papa Francesco lo ha espresso con un’efficace metafora: il matrimonio somiglia a una pianta viva da curare quotidianamente, non a un mobile vecchio che basta pulire di rado. Occorre vigilare sullo stato di questa pianta, “vedere come sta, darle acqua”, come suggerisce il Papa argentino, perché solo così essa può crescere forte e rigogliosa. Se invece lasciamo che la polvere dell’abitudine la ricopra, il rischio è che il nostro rapporto appassisca lentamente.

L’amore di coppia è un dono prezioso, una realtà viva che attraversa varie stagioni. Nessuna fase della vita familiare giustifica la negligenza: la fiamma dell’affetto va alimentata anche quando arrivano i figli, anche nelle difficoltà del lavoro e della routine. Ricordiamoci che “il dono più prezioso per i figli” – come sottolinea ancora Papa Francesco – “non sono le cose, ma l’amore dei genitori… cioè la relazione coniugale”. I bambini traggono sicurezza e gioia nel vedere mamma e papà amarsi sinceramente. Per questo siamo incoraggiati a non trascurare la famiglia, ma anzi a mettere la cura del legame sponsale al primo posto. In sostanza, coltivare ogni giorno la “pianta” del matrimonio significa prendersi cura di noi stessi in quanto coppia: dedicarsi tempo, ascoltarsi, giocare insieme, sostenersi a vicenda. Sono queste attenzioni quotidiane – semplici ma costanti – a mantenere verdeggiante il giardino dell’amore nel quale anche i figli possono trovare riparo e nutrimento emotivo.

Il giardino nuziale: dall’Eden al Cantico

Sin dall’inizio, la Bibbia presenta l’amore umano con l’immagine di un giardino fertile e luminoso. Nel racconto della Genesi, prima del peccato, l’unione tra l’uomo e la donna fioriva nel giardino dell’Eden, dove tutto era dono e delizia.

Adamo ed Eva vivevano un rapporto pieno e armonioso, circondati dalla bellezza di una creazione incontaminata e vivificante. In quel paradiso originario – “giardino di delizie” secondo il significato antico della parola Eden – ogni cosa era provvista in abbondanza e l’amore reciproco non costava fatica. L’uomo e la donna potevano godere l’uno dell’altra e dei frutti della terra senza sforzo, in una comunione spontanea con Dio, tra loro e con il creato. Quel giardino primordiale simboleggia l’ideale di un amore pieno di vita, gratuito e in perfetta sintonia con la volontà divina.

Anche nel Cantico dei Cantici ritorna potente questa simbologia del giardino. Salomone, celebrando l’amore sponsale, paragona la sua sposa a un giardino incantato, chiuso e prezioso, colmo di piante aromatiche e fonti d’acqua viva. La sposa è come un paradiso segreto in cui il suo diletto ama perdersi.

Queste parole poetiche evocano un luogo di meraviglia e di abbondanza. Non vi ricorda nulla questa descrizione? Anche a noi, come all’autore sacro, essa richiama alla mente il giardino perduto dell’Eden, il paradiso terrestre in cui l’amore era puro e totale. Nel Cantico, infatti, il giardino nuziale rappresenta l’amore tra l’uomo e la donna nella sua pienezza: è immagine dell’amore erotico ma allo stesso tempo oblativo, fatto di tenerezza concreta nei gesti e dolcezza nelle parole.

Ogni frutto delizioso, ogni aroma e colore cantato nel brano biblico rimanda alla gioia, alla meraviglia, alla pienezza dei sensi e del cuore che l’amore autentico sa donare. È uno scenario di festa e di incanto, nel quale i due innamorati sperimentano una comunione profonda.

Eppure, sorge spontanea una domanda: come è possibile tutto ciò per noi, figli di Adamo? L’uomo e la donna del Cantico – proprio come ciascuno di noi – portano in sé l’eredità della caduta, della fragilità e dell’egoismo. Siamo nati dopo il peccato originale, conosciamo la fatica di amarci davvero e i limiti della nostra condizione. Come possiamo allora tornare a quel paradiso di intimità e di gioia simboleggiato dal giardino?

La Parola di Dio ci assicura che è possibile rivivere, almeno in parte, l’armonia delle origini. L’amore umano, pur ferito, può essere redento e condotto a una nuova pienezza. Nel Cantico dei Cantici Dio ci sussurra che possiamo ritrovare l’Eden nel nostro rapporto di coppia – ma, attenzione, non sarà più un dono automatico come quello delle origini. Dopo il peccato, quel giardino di beatitudine non si conserva da sé: va conquistato di nuovo e custodito con impegno.

Del resto, la dimensione sponsale del nostro amore è talmente profonda che la Scrittura la adopera per parlare dell’amore stesso di Dio verso l’umanità. In questo senso l’amore coniugale umano diviene segno e riflesso dell’amore divino: nel dono reciproco degli sposi si rispecchia il dono di Dio, e la Grazia scende ad arricchire e sostenere la loro unione. Proprio perché porta in sé l’impronta di Dio, l’amore sponsale è chiamato a una qualità “paradisiaca” – ed è la Grazia a renderlo possibile, senza però sostituirsi alla nostra libertà e responsabilità.

La fatica e la grazia nell’amore reciproco

Se l’Eden originario non richiedeva sforzo, il nuovo Eden dell’amore coniugale esige invece lavoro e dedizione quotidiana. Il “giardino” della nostra relazione va dissodato, seminato e irrigato ogni giorno con pazienza. Ogni fiore di tenerezza e ogni pianta aromatica di gentilezza vanno coltivati con gesti concreti: attenzione, ascolto, perdono, rispetto.

Ogni creatura che popola il giardino – i simbolici “animali” che rappresentano la vitalità e la ricchezza della vita insieme – va nutrita con attenzioni reciproche costanti. Non esiste più, dopo la caduta, un giardino dell’amore che si mantenga rigoglioso da solo, senza la nostra cura. Se smettiamo di impegnarci, quel giardino pian piano si inaridisce fino a diventare un deserto relazionale. Ma se invece ce ne prendiamo cura a due mani, con perseveranza e dolcezza, vedremo rifiorire paradisi di intimità nel cuore della vita quotidiana.

La nostra relazione di sposi è quel giardino affidato alle nostre cure. Solo coltivandolo giorno per giorno – insieme, in reciprocità – potremo evitare di smarrirci nella desolazione e davvero fare esperienza di un piccolo paradiso in terra. Certo, viviamo tutto ciò nei limiti della nostra umanità imperfetta e fragile. Ci saranno stagioni di siccità e momenti in cui zappare il terreno del cuore costerà fatica e sacrificio.

Ma proprio quando l’impegno sincero si unisce alla Grazia di Dio, il miracolo dell’amore si rinnova. La fatica condivisa diventa feconda; il perdono reciproco risana le ferite; la routine quotidiana si trasfigura in un cammino di santificazione. L’amore sponsale è davvero un dono e al contempo un compito: dono meraviglioso che Dio fa a una coppia chiamandola a unirsi, e compito affidato alla libertà dei coniugi di amarsi l’un l’altro come Lui li ha amati. Ogni giorno, con umiltà e creatività, siamo invitati a lavorare in questo giardino sapendo che ogni sforzo vale infinitamente la pena. Il frutto che ne scaturisce, infatti, è una comunione d’amore intensa e gioiosa, che vale ben più di tutta la fatica spesa – perché in essa palpita la presenza vivificante di Dio stesso, e il suo Amore rende possibile il nostro.

Antonio e Luisa

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