Quando l’Amore non Riempie più il Vuoto

“Non c’è amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13).
In questa frase Gesù ci dice tutto. Ma spesso noi la ascoltiamo con le orecchie della devozione e non con quelle della vita quotidiana. Eppure, lì dentro c’è una svolta che può cambiare radicalmente il nostro modo di amare: l’amore vero non è prendere. È dare. Non è colmare un vuoto. È scegliere qualcuno, anche quando non ci consola più.

L’amore non nasce dal vuoto: nasce dalla libertà

Nel nostro cammino di coppia, spesso ci imbattiamo in questa dinamica: quando l’altro non fa quello che desideriamo, quando non ci consola, quando ci lascia inascoltati… ci arrabbiamo. Non perché non ci ama, ma perché non riempie quel buco profondo che ci portiamo dentro. Allora lo accuseremo. Lo rifiuteremo. Diremo: “non mi capisci, non mi ami”. Ma la verità è che stiamo chiedendo a lui o a lei ciò che nemmeno Dio chiede di essere.

E qui emerge un nodo cruciale anche nell’ottica dell’Analisi Transazionale: quando agiamo mossi dal nostro Bambino ferito, cerchiamo nell’altro una carezza, un conforto, un contenimento… e chiamiamo tutto questo “amore”. Ma l’amore vero nasce solo da una scelta dell’Adulto interiore: quella parte di noi che è libera, responsabile, capace di verità.

Usare gli altri non è amare

Abbiamo bisogno di smascherare una menzogna diffusa anche nei matrimoni cristiani: non tutto ciò che si chiama amore… è amore. Perché a volte usiamo le persone per non sentire la nostra solitudine. Per non guardarci dentro. Perché abbiamo paura del vuoto.

Ecco perché l’amore maturo – quello che somiglia a Cristo – non è lasciarsi evangelizzare dal proprio vuoto, ma disobbedire a quel vuoto, dicendo: “io sono una persona ferita… ma la cosa più interessante della mia vita, non sono le mie ferite. Sei tu”. Ci vuole santità per amare così. Ci vuole una libertà che solo Dio può donare.

La trappola della colpa: chi è il responsabile della mia infelicità?

Quando in un matrimonio si smette di essere felici, la prima reazione è spesso la ricerca del colpevole. È un meccanismo antico, presente già in Genesi: “La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero…” (Gen 3,12). È colpa tua. È colpa mia. È colpa di Dio.

Ma la verità è che la domanda è sbagliata. Non è “chi è il colpevole?”. È: “Come ne usciamo senza farci a pezzi?” Colpevolizzare non salva. Né l’altro né se stessi. E questo vale sia per il Genitore Normativo che giudica e punisce (“è tutta colpa sua”), sia per il Bambino Adattato che si umilia e si annulla (“sono io che sbaglio sempre”). In entrambi i casi… si esce dalla via dell’amore.

La santità non è perfezione: è resistenza al male

Gesù non ci ha mai promesso che le relazioni sarebbero state sempre felici. Ma ci ha insegnato come restare umani anche quando l’altro smette di esserlo. A volte non possiamo cambiare chi ci sta ferendo. Ma possiamo decidere come viverci quel dolore.
Possiamo scegliere di non lasciarci incattivire. Questa è la santità: non la fine del conflitto, ma la libertà di non lasciare che quel conflitto tiri fuori il peggio di noi.

È una santità che nasce nel quotidiano. Nella carne. Nei silenzi. Nei pianti nascosti in bagno. Nel perdono dato anche quando l’altro non chiede scusa. Non è facile. Ma è possibile… presso Dio.

L’amore cristiano non è una dipendenza reciproca, ma una reciprocità liberata

Gesù dice: “Anche i pagani amano quelli che li amano” (cfr. Mt 5,46). La reciprocità, in sé, è una cosa bellissima. Ma non può essere la base unica del nostro amore. Perché quando viene meno – e prima o poi, capita – resta solo una domanda: “Chi sono io, anche quando tu non mi ami come vorrei?”

Ed è lì che nasce il cristianesimo – la nostra sequela di Cristo – nel matrimonio: quando smetto di amare per ricevere qualcosa in cambio, e comincio ad amare perché Cristo mi ha amato per primo.

Conclusione: l’amore che resta, anche quando fa male

Forse ti aspettavi che l’altro ti rendesse felice. Ma la verità è che nessuno, da solo, può fare questo miracolo. Solo Dio può riempire il vuoto. Tu puoi amare. Puoi scegliere. E puoi lasciarti salvare dentro l’amore che resiste. La santità non è un ideale per supereroi. È un amore che resta. Che non smette. Che si affida. Che dice: “Io non sono il mio dolore. E tu… vali più delle mie ferite.”

Antonio e Luisa

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6 Pensieri su &Idquo;Quando l’Amore non Riempie più il Vuoto

  1. Non è facile. Ci sono momenti in cui tutto sembra perduto. E c’è una sola via. Guardare il crocifisso e ricominciare ad amare con misericordia verso se stessi e verso gli altri a partire da chi non ci sentiamo compresi e non comprendiamo più. Con la fiducia che il Signore è lì per aiutarci a rialzarci e ripartire. Grazie per questa riflessione arrivata in un momento difficile . Provo a ricominciare. Margherita

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  2. non sono per niente d’accordo se non nel fatto del perdonar E ritrovare se stessa ma non per lasciare che l’altro continui ancora a ferirti e non è corretto rimanere dove per te non c’è rispetto o tradimento o altro,Non credo che Dio ci ha messo accanto qualcuno per continuare a soffrire.

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    • Come tutte le cose di Dio può essere scelta una situazione solo nella libertà. Se non sei d’accordo e devi solo subire e giusto che tu vada altrove. Nessuno obbliga a restare, neanche Dio. C’è una promessa che possiamo decidere di onorare oppure no.

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  3. È proprio vero. A volte non è colpa dell’altro, ma colpa del bambino interiore che lasciamo piangere e lamentarsi. A volte conviene essere bambini, perché sei privo di responsabilità e così scarichiamo sull altro le nostre responsabilità. Questo accade a volte anche a me. Quando non mi senti capita, mi autocommisero da sola e cerco nell altro la soluzione ai miei problemi. Studiando un po’ di psicologia ho capito che il problema non è l’altro, ma sono io. Io e i miei vuoti che i miei genitori non hanno saputo colmare. E allora ho deciso di ripartire da me stessa e dalle mie ferite, per diventare più matura e forte e così anche poter amare l’altro. Grazie per questo bellissimo articolo!

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  4. È proprio vero. A volte non è colpa dell’altro, ma colpa del bambino interiore che lasciamo piangere e lamentarsi. A volte conviene essere bambini, perché sei privo di responsabilità e così scarichiamo sull altro le nostre responsabilità. Questo accade a volte anche a me. Quando non mi senti capita, mi autocommisero da sola e cerco nell altro la soluzione ai miei problemi. Studiando un po’ di psicologia ho capito che il problema non è l’altro, ma sono io. Io e i miei vuoti che i miei genitori non hanno saputo colmare. E allora ho deciso di ripartire da me stessa e dalle mie ferite, per diventare più matura e forte e così anche poter amare l’altro. Grazie per questo bellissimo articolo!

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