Nel fare il quarto passo di questo pellegrinaggio all’interno della nostra relazione sponsale e familiare, ecco che incontriamo un segnale circolare:
“Non giudicate, per non essere giudicati; perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati. Perché osservi la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio? O come potrai dire al tuo fratello: permetti che tolga la pagliuzza dal tuo occhio, mentre nell’occhio tuo c’è la trave? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello” (Mt 7,1-5)
Sicuramenti tutti, almeno una volta, ci siamo chiesti cosa intendesse esattamente il Signore mettendo sulla strada dei Suoi discepoli questo “divieto di giudizio”. Forse che il Signore intendeva affermare che un Suo discepolo (quindi anche noi) non dovrebbe mai, in alcun modo e in nessuna occasione, giudicare? Gesù ci ha voluto dire che dovremmo sospendere la nostra capacità di giudizio, di discernimento? Che dovremmo pensare solo a noi stessi e “scollegare la mente” quando si tratta di valutare azioni o persone? Uhm… non può essere.
Interpretare così le parole di Gesù, infatti, ci porterebbe ad essere degli egoisti, delle persone superficiali. Sarebbe assurdo pensare alla sospensione delle nostre facoltà critiche, anche perché il giudizio ha a che fare con l’intelligenza, con la capacità di analisi che Dio ci ha donato e che vuole che esercitiamo per distinguere il bene dal male, la verità dall’errore! La Bibbia ci dice che “L’uomo spirituale… giudica ogni cosa…” (1 Cor 2,15); in altre parole, il cristiano è un attento osservatore, qualcuno che si interroga costantemente sulla volontà di Dio.
Che significano allora le parole di Gesù “Non giudicate”? E per noi sposi? Gesù ci porta a porre l’attenzione su una questione fondamentale, perché dal nostro genere di giudizio dipende la qualità di tutte le nostre relazioni, quindi anche quella sponsale, a partire dal nostro rapporto con Dio. La domanda di fondo è: come giudichiamo? Con quale presupposto, con quale animo?
Cerchiamo di capire meglio il senso delle parole di Cristo. Quando Gesù dice “Non giudicate”, bisogna intendere: “non date sentenze definitive”. Ciò è fondamentale nella vita di coppia e di famiglia.
In una relazione di coppia, è inevitabile che si verifichino dei momenti in cui ci si sente giudicati dal proprio coniuge. Questa sensazione può derivare da varie situazioni, come ad esempio quando si esprime un’opinione o si prende una decisione che non viene compresa o accettata.
Sentirsi giudicati può generare un senso di insicurezza e di inadeguatezza, mettendo a rischio la comunicazione e l’intesa all’interno della coppia. È importante però cercare di comprendere le ragioni che stanno dietro queste reazioni e trovare un modo per comunicare in maniera aperta e rispettosa, al fine di superare le divergenze e rafforzare il legame di reciproca fiducia e accettazione.
Abbiamo detto:
- Comunicazione aperta e sincera. Se è basilare che entrambi i coniugi, ma anche gli altri componenti della famiglia, si sentano liberi di esprimere i propri pensieri, sentimenti e preoccupazioni senza paura di essere giudicati, allora solo una comunicazione aperta e sincera permette di affrontare i problemi di giudizio e di lavorare insieme per superarli.
- Accettazione reciproca. Una comunicazione aperta e sincera avviene se si crea un’ambiente familiare dove ci si accetta reciprocamente per quello che si è, senza cercare di cambiarne la personalità altrui o il modo di essere. Accettare e rispettare l’altro senza giudicarlo permette di costruire una relazione basata sulla fiducia e sull’amore incondizionato.
Quindi, ritornando al monito di Gesù, cerchiamo di non emettiamo sentenze definitive
- perché, innanzitutto, non siamo noi il Giudice ma solo Dio;
- poi, perché la severità che usiamo verso gli altri sarà usata verso di noi;
“Ciascuno esamini se stesso” (1 Cor 11,28), scrive l’apostolo Paolo. Quante volte abbiamo usato una certa unità di misura (o arrotondamento per difetto…) nel valutare noi stessi e un parametro o un’unità di misura completamene diversi nel valutare gli altri! Quante volte abbiamo misurato i nostri errori con il righello e gli errori di nostro marito, di nostra moglie, dei nostri figli con il contachilometri!
- infine, perché sentenziare sugli altri è ridicolo.
L’esempio di Gesù della trave davanti ai propri occhi e della pagliuzza da voler togliere all’altro ci ricorda che soltanto chi è consapevole di dover rendere conto a Dio ed è onesto abbastanza da essere autocritico può avere l’obiettività e la sensibilità per aiutare il prossimo a liberarsi del corpo estraneo nell’occhio!
Chi ha la trave davanti rischia di accecare una persona tentando di fare distrattamente l’“oculista spirituale”, questo anche in famiglia. Guardiamoci sempre allo specchio della Parola di Dio! L’apostolo Paolo, infatti, scrive nella lettera ai Romani “Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo?” (Rm 14,4).
Attenzione: oggi, qui ed ora, ovunque siamo, ovunque andiamo, da casa nostra alla nostra comunità, in qualunque tipo di relazione (sponsale, familiare, lavorativa, comunitaria) Gesù ci invita a cominciare a valutare il nostro cuore e la nostra vita, non che dobbiamo “farci i fatti nostri”. Ci invita a non creare ambienti giudicanti ma accoglienti, popolati non da dita puntate ma da mani tese in nome Suo poiché, se siamo fratelli (anche tra coniugi), dobbiamo aiutarci a vicenda anche a rimuovere le fastidiose pagliuzze dagli occhi!
Che bruciore! Che fastidio tremendo! Immedesimiamoci, agiamo nell’ottica dell’amore. Non siamo chiamati ad indossare la toga del giudice, né la maschera dell’attore (ipocrita), ma i panni che dovremmo già indossare, del fratello: “Permettimi di aiutarti a rimuovere ciò che ti fa soffrire, che non ti aiuta, che non ti fa vedere”. E solo così potremo camminare insieme autenticamente…
Daniela & Martino, Sposi Contemplativi dello Sposo
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Grazie x l’articolo. Io semplificherei dicendo che possiamo giudicare tutte le azioni e i comportamenti (accettandoli, scartandoli o migliorandoli ) ma mai la persona che li ha compiuti. Un abbraccio. Claudio
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Credo che nelle relazioni, qualora si è interpellati a dare un giudizio qualsiasi (positivo o negativo), non su una persona ma su sció che questa ha espresso o manifestato o realizzato, è un modo per crescere entrambi (o piú persone che non presenti che ascoltano). Soltanto cosí si puó sperare che l’Umanitá migliori in tutti quei campi di interesse, a cominciare dalle piccole cose a quelle piú alte…
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