Si conclude il quarto poema, e in esso troviamo uno degli insegnamenti più preziosi per la nostra vita di coppia. L’uomo e la donna del Cantico, in fondo, siamo proprio noi. Sono trascorsi millenni, viviamo in epoche e contesti culturali molto diversi dai loro, eppure portiamo nel cuore gli stessi desideri, e attraversiamo le stesse dinamiche d’amore, di attesa, di incontro e di distanza. Clicca qui per leggere quanto già pubblicato. La riflessione come sempre è tratta dal nostro libro Sposi sacerdoti dell’amore (Tau Editrice).
C’è un momento nella vita di ogni coppia in cui il sogno si rompe. Non è un fallimento. È un passaggio. Ed è sacro.
All’inizio dell’amore tutto è meraviglia. Ci si guarda e si pensa: “Siamo perfetti insieme. Finalmente ho trovato chi mi capisce, chi mi completa.” È la stagione della simbiosi. Un tempo dolce, appassionato, che serve per stringere il legame, per sentirsi finalmente a casa. Ma non può durare per sempre.
A un certo punto, qualcosa cambia. Uno dei due inizia a sentire che l’altro non è sempre sulla stessa lunghezza d’onda. Che non reagisce come ci si aspetterebbe. Che non sempre capisce, non sempre sostiene, non sempre è lì dove lo si desidererebbe. Nasce la distanza, il senso di estraneità. È il tempo della differenziazione. E può fare male.
Io l’ho vissuto questo passaggio con Luisa, anche se ci abbiamo messo tempo a riconoscerlo. All’inizio, pensavo che il mio amore sarebbe bastato per entrambi. Pensavo che, semplicemente, bastava volerci bene. Poi sono arrivate le fatiche, le differenze, le incomprensioni. E mi sono accorto che l’immagine che avevo di lei era mia, non sua. E che il sogno che avevo costruito era fatto della mia storia, delle mie ferite, delle mie aspettative.
Solo quando il sogno cade, può nascere la verità.
Come dicono i coniugi Gillini, arriva per tutti quel momento in cui bisogna lasciar cadere l’immagine idealizzata dell’altro. Quel momento in cui ci si rende conto che la persona che abbiamo accanto non è lì per colmare il nostro vuoto, ma per accompagnarci nel cammino della vita.
Ed è un momento difficile. Perché quando il sogno cade, si fa silenzio. Si avverte un vuoto. A volte si ha la tentazione di fuggire, di pensare: “Forse ho sbagliato persona.” Ma è proprio lì che comincia l’amore vero. Quello che non chiede di essere corrisposto in tutto, ma di essere donato. Quello che non cerca l’ideale, ma abbraccia la realtà.
È la fase della sperimentazione. Si impara a stare accanto all’altro senza perderci dentro, senza annullarci per piacere, senza forzare l’altro a essere ciò che non è. Si impara a dire: “Io sono io, tu sei tu. Eppure scelgo di restare.” Scrive don Luigi Maria Epicoco: “L’amore non è l’ebbrezza del cuore, ma la decisione della volontà. È stare anche quando il cuore trema, è scegliere anche quando l’altro non corrisponde.”
E proprio in questo tempo – fragile, vero, autentico – si può rinascere. È il momento in cui si inizia davvero a chiamare l’altro per nome, nel senso più profondo e biblico del termine. Non solo “Antonio” o “Luisa”, ma “tu, con la tua storia, con le tue ferite, con la tua bellezza concreta.”
È il tempo del riavvicinamento. Si torna a cercarsi, ma con occhi nuovi. Non per possedere, non per completare un’idea, ma per condividere il cammino. Si smette di pretendere e si comincia a custodire.
E lì, davvero, l’amore matura. Diventa interdipendenza. Non fusione, non dipendenza, non isolamento. Ma una danza in cui ciascuno può essere sé stesso, pur restando in relazione. Come scrive Papa Francesco in Amoris Laetitia: “Ogni persona, con la propria identità, diventa un dono per l’altra.”
Questo cammino non è sempre lineare. A volte si ricade, a volte si torna indietro. Ma ogni passo fatto insieme, anche quelli più faticosi, costruisce una relazione più forte. E ci si accorge che l’altro, con tutti i suoi limiti, è un dono prezioso. Non perché è perfetto, ma perché è reale.
L’amore non è una favola, ma è più bello della favola
Viviamo in un tempo che ci ha insegnato a rincorrere l’immagine perfetta: la casa in ordine, i figli sempre sorridenti, il partner che sa sempre cosa dire e quando dirlo. Ma la realtà è un’altra. La nostra famiglia è fatta di imperfezioni, di imprevisti, di giorni no. Ma è vera. E proprio per questo, è più bella della pubblicità.
Scrive il terapeuta cattolico Michele Ferraro: “La coppia non è fatta per essere perfetta, ma per diventare sempre più vera.” E io ringrazio Dio perché con Luisa abbiamo attraversato quel passaggio. Perché abbiamo visto il sogno cadere, ma non ci siamo lasciati. Perché abbiamo imparato ad amarci non per come eravamo nella testa, ma per come siamo, nella realtà.
Se stai attraversando questo tempo di crisi, se senti che l’altro non è più quello che avevi sognato, non spaventarti. Forse è proprio questo il momento più importante. È la soglia dove finisce l’illusione… e comincia l’amore vero. Non è facile. Ma è possibile. E quando si attraversa insieme questa piccola morte, si rinasce. Non si ama più per bisogno, ma per scelta. Non per quello che l’altro ci dà, ma per quello che è.
E a quel punto, ci si guarda davvero negli occhi. E si può dire, finalmente: “Io ti vedo. E ti amo.”
Antonio e Luisa
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Quando questo percorso non viene fatto assieme, quando non c’è la volontà da parte di uno dei due, come è giusto reagire?
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Questo vale anche in famiglia nei confronti dei figli quando qualcosa auccede e infrange il sogno. Li vediamo come realmente sono con lr loro caratteristiche e le loro fragilità.
Ho sperimentato questo sia bei confronti del marito che dei figli.
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