Nella sua terza catechesi sul matrimonio (Mercoledì, 11 agosto 1982), Giovanni Paolo II riprende la Lettera agli Efesini e, rispetto alla precedente, scende a un livello ancora più profondo di comprensione. Clicca qui per leggere l’approfondimento già pubblicato.
Quando San Paolo scrive agli Efesini sul matrimonio, non si limita a dare “consigli di coppia”. Quello che ci consegna è un vero tesoro: un modo nuovo di comprendere l’amore tra marito e moglie alla luce del mistero di Cristo e della Chiesa.
Il brano centrale è questo: “Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo” (Ef 5,21). È una frase che cambia tutto. Non si tratta di sottomissione come dominio o schiavitù, ma di pietas, cioè rispetto profondo, venerazione per ciò che è sacro. Il matrimonio, infatti, non è solo un contratto o un affetto privato: è un sacramento, un segno della presenza di Cristo. E il rapporto tra marito e moglie deve nascere da questa coscienza.
San Paolo parte da una logica reciproca: l’uno per l’altro, entrambi per Cristo. Questo è importante perché, se letto male, il versetto successivo — “Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore” — rischia di sembrare una giustificazione del dominio maschile. In realtà, Paolo chiarisce subito: “E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei”. L’amore del marito non è possesso ma dono totale, fino al sacrificio di sé.
In questo scambio, la “sottomissione” non è unilaterale ma vicendevole: ciascuno si dona all’altro, ciascuno è responsabile della felicità e della crescita dell’altro. Qui sta la rivoluzione cristiana: il matrimonio non è più una struttura gerarchica come spesso lo era nella cultura antica, ma diventa comunione di persone.
San Paolo insiste molto sugli sposi uomini: “Mariti, amate le vostre mogli…”. Sa che il rischio, in una società patriarcale, era di ridurre la donna a dipendenza o a proprietà. L’amore di Cristo, invece, rovescia ogni logica di potere: chi ama diventa servo, si abbassa, si dona. Perciò il marito non è padrone, ma immagine viva di Cristo che si sacrifica per la sua sposa.
Questo non annulla la diversità dei ruoli, che rimane, ma la purifica da ogni abuso. Paolo riconosce che nella sua epoca certi linguaggi e mentalità erano radicati, e infatti parla anche del “rispetto” che la moglie deve al marito. Ma introduce un criterio nuovo e permanente: la reciproca sottomissione nell’amore. È questo il cuore del matrimonio cristiano.
Possiamo dirlo in modo semplice: marito e moglie sono due persone che si chinano l’una sull’altra per lavarsi i piedi a vicenda, proprio come Gesù ha fatto con i suoi discepoli. Nessuno è sopra l’altro, ma ciascuno mette l’altro al centro.
La Lettera agli Efesini ci ricorda anche che questa unione non si esaurisce nei sentimenti: ha una dimensione sacramentale e mistica. Paolo usa un’analogia fortissima: il legame degli sposi è immagine del legame tra Cristo e la Chiesa. “Il marito è capo della moglie come Cristo è capo della Chiesa, suo corpo”. Non è un “capo” che comanda, ma un capo che guida servendo, che dà vita al corpo con la sua stessa vita.
Così, il matrimonio diventa icona vivente del mistero di Cristo: un amore fedele, fecondo, indissolubile. L’amore sponsale è fatto di gesti concreti — tenerezza, perdono, pazienza, sacrificio — ma racchiude una dimensione eterna: ogni volta che due sposi si donano l’uno all’altro, rendono visibile al mondo l’amore invisibile di Dio.
Oggi, certo, la sensibilità è diversa: la donna ha conquistato un ruolo paritario nella società, e parlare di “sottomissione” può urtare. Ma il principio di fondo non cambia: la reciprocità nell’amore rimane la colonna portante della coppia. È questa reciprocità che costruisce una comunione solida, capace di reggere le tempeste e di generare vita, non solo biologica ma anche spirituale.
Alla fine, Paolo ci mostra che nel matrimonio si incontrano due misteri: quello dell’amore umano e quello dell’amore divino. È per questo che dice: “Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa” (Ef 5,32). Ogni matrimonio cristiano diventa allora una piccola Chiesa domestica, un luogo dove si tocca con mano la fedeltà di Dio.
UNA DANZA A DUE
Quando danzi da solo, puoi muoverti come vuoi. Ma quando balli con il tuo sposo o la tua sposa, non puoi più pensare solo ai tuoi passi: devi ascoltare la musica, ma soprattutto devi ascoltare l’altro. Se uno cerca di imporre i suoi movimenti, il ballo diventa rigido e faticoso; se entrambi si sottomettono alla stessa melodia e si donano l’uno all’altro, allora la danza diventa armoniosa, bella da vedere e da vivere.
San Paolo, con parole che a volte ci suonano difficili, dice proprio questo: “Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo”. Non vuol dire che uno comanda e l’altro subisce, ma che entrambi imparano a lasciarsi guidare dallo Spirito, a mettere al centro il bene dell’altro.
Il matrimonio è questa danza: Cristo è la musica che tiene il ritmo, e gli sposi sono chiamati ad affidarsi, a fidarsi e a muoversi insieme. È così che il loro amore diventa non solo un’esperienza privata, ma un segno concreto e visibile dell’amore di Dio.
Antonio e Luisa
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