Agosto … moglie mia ti riconosco!

Per la maggior parte degli italiani le settimane centrali di agosto sono sinonimo di ferie. Anche se, ormai, sono lontani i tempi dei tipici tormentoni nostrani, a colpi di “Per quest’anno non cambiare, stessa spiaggia, stesso mare” o “Domenica d’agosto, che caldo fa! La spiaggia è un girarrosto non servirà” . E che dire del detto “Agosto, moglie mia non ti conosco”, dall’omonimo romanzo di Achille Campanile? Tale espressione, però, non è frutto esclusivo dell’opera umoristica dello scrittore romano, ma trae origine da una serie di antichi detti popolari, basati sulla credenza che fosse altamente rischioso per gli uomini avere rapporti sessuali durante i periodi di caldo intenso.

Esiodo, celebre poeta greco, osservava che durante l’estate “le donne sono tutte calore e gli uomini tutta fiacchezza“. Condivideva una visione simile anche Alceo, altro poeta dell’antichità, che scriveva: “Innaffia di vino i polmoni che il solleone è al culmine … quando l’estate tutto incanta propagandosi nell’avvampante bagliore, e fioriscono i cardi, ora le donne sono procaci ma gli uomini sono fiacchi, poiché Sirio brucia il capo e le ginocchia“.

Secondo i greci, dunque, la scarsa propensione degli uomini ai rapporti amorosi nel mese di agosto era imputabile proprio a Sirio, la stella più luminosa della costellazione del Cane Maggiore. Questa stella, associata al caldo intenso di quel periodo, veniva anche chiamata Canicula (piccolo cane), un termine che col tempo è stato appunto associato all’afa e al caldo insopportabile.

Vi erano, però, anche spiegazioni più logiche e pratiche: un concepimento ad agosto avrebbe portato a un parto in primavera, una stagione cruciale per il lavoro nei campi. In quel periodo, infatti, ogni forza lavorativa era fondamentale, compresa quella delle donne. Una partoriente sarebbe stata impossibilitata a svolgere le fatiche agricole richieste ed è per questo che s’imponevano – o quanto meno consigliavano – limiti alle relazioni coniugali. I mariti erano quindi simbolicamente “esiliati” dal talamo nuziale e tenuti a mantenere le distanze dalle proprie mogli.

Col passare dei secoli, usi e costumi si sono trasformati e il proverbio legato al mese di agosto ha assunto un significato diverso. Probabilmente complice anche il famoso film “Quando la moglie è in vacanza” con Marilyn Monroe (famosa la scena del vestito svolazzante), si è radicata l’idea che non frequentare la propria moglie in agosto sia sinonimo di tradimento. Per estensione, il detto ha preso poi il triste significato che, durante le vacanze, si desidera essere liberi di fare tutto ciò che si vuole, senza alcun vincolo che possa limitare le proprie scelte. Liberi anche di dimenticarsi della moglie. O del marito. E di fare ciò che si vuole.  

Tra gli anni Venti e Settanta del Novecento, era comune che le mogli partissero da sole o insieme ai figli per trascorrere le vacanze, mentre i mariti, rimasti in città a lavorare, avevano sicuramente maggiori occasioni per vivere “avventure galanti”. A onor del vero, spesso anche le mogli facevano altrettanto, al punto che i treni del venerdì sera, pieni di mariti diretti verso le località di villeggiatura, venivano soprannominati i “treni dei cornuti“. A partire dagli anni Ottanta, con l’aumento dell’occupazione femminile, si è generalmente scelto di mettersi d’accordo per i periodi di ferie, condividendo insieme il piacere delle vacanze tanto attese e meritate.

Ma noi, uomini e donne del 2025, che si sentiamo tanto evoluti e post-moderni, potremmo forse ancora accettare passivamente tutto questo? Direi che è venuto il tempo per affermare con convinzione il contrario: agosto … moglie mia ti riconosco! Ma anche … marito mio ti riconosco! Perché se è vero che “la fede non va in vacanza” – come ho affermato in un precedente articolo – è altrettanto vero che una relazione matura non può certo squagliarsi al sole come una granita! La bellezza dell’estate, lungi dall’essere una galleria gratuita di lati A e lati B troppo spesso esposti in modo eccessivo, deve diventare la bellezza di viversi. Viversi come coniugi, viversi come coppia. Finalmente con più calma, finalmente con più tranquillità.

E pazienza se ci sarà un po’ di cellulite in più o qualche pancetta di troppo; amarsi è innanzitutto un atto dell’anima e del cuore. Certo, anche la fisicità vuole la sua parte (ci mancherebbe!) ma ben sappiamo anche la bellezza passa mentre sono altre le cose che non devono tramontare. Allora mettiamo tutto alla luce del sole: non tanto e non solo i corpi ma la maturità del nostro essere sposi. E sposi cristiani. E sarà un riconoscersi pieno di gioia.

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Fabrizia Perrachon

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