La strettezza di vivere nella sequela

Cari sposi, per alcuni le ferie sono finite e sta per riprendere il tempo dell’ordinarietà tra lavoro, famiglia e tante altre cose abituali. La speranza è che il riposo estivo abbia rigenerato corpo e anima e se la nostalgia può invadere l’anima, la bella notizia è che Gesù vive soprattutto nelle cose di tutti i giorni e non smetterà mai di elargire i suoi doni, in modo particolare a coloro che Glieli chiedono con fede e insistenza.

Oggi il Maestro ci continua a parlare nella Liturgia, anzitutto con la prima lettura che è presa dagli ultimi capitoli del profeta Isaia. Quella parte del libro è stata scritta nel periodo in cui il popolo di Israele era tornato ormai dall’esilio in Babilonia e tale esperienza aveva mutato la precedente concezione di salvezza. Da una visione ristretta – solo chi è ebreo sarà salvo – adesso Israele comprende che egli non ne detiene l’esclusiva ma piuttosto che è stato chiamato per primo ad essere primizia di una moltitudine di popoli. L’autore sacro qui arriva a dire qualcosa di scandaloso se l’avesse scritto per anche solo 100 anni prima, che cioè i pagani aderiranno alla fede mosaica e addirittura potranno diventare sacerdoti di Jahvé! Per cui, appunto, leggiamo che non solo Israele, ma anche gli stranieri e gli emarginati possono aderire all’alleanza con Dio (Is 56,3–8). Questo per noi cattolici ha un importanza fondamentale, perché rende evidente che già l’Antico Testamento contiene un’apertura universale del Vangelo a tutte le genti (cfr. Mt 28,19; Ef 2,11-22).

Questa premessa è assai importante per comprendere il Vangelo. La domanda sulla salvezza che viene posta a Gesù, Gli dà piede per un approfondimento di vitale importanza per noi. Facciamoci anzitutto una domanda: in questa circostanza a chi sta parlando Gesù? È chiaro che si rivolge al suo seguito, quindi non a persone qualunque ma a chi stava credendo in Lui e lo accompagnava cammin facendo fino a Gerusalemme. Traslatando la scena ad oggi, Gesù interpellerebbe i cristiani credenti/praticanti, quelli vicini, chi va a Messa la domenica.

È molto interessante che il Maestro dribbla la questione numerica, tipo la vexata quaestio dei 144.000…, e invece va diritto al nocciolo: la salvezza è direttamente collegata alla relazione vitale, reale e personale con Lui.

È così chiaro nell’affermare questo che il Signore arriva persino a ipotizzare di disconoscere coloro con cui aveva mangiato a tavola – e sappiamo quanto peso abbia per Gesù la mensa e la convivialità – pur di dire che non sono i centimetri di prossimità che fanno un credente ma la relazione di amicizia! Ora spero che a tutti noi inizi un po’ a scottare la sedia in questo momento, a noi che siamo spesso tentati di farci forti delle nostre sacrosante abitudini di fede… appunto, abitudini che possono cancellare l’anima con cui vanno vissute.  Non sono stati proprio i concittadini nazzareni, coloro che avevano visto Gesù in pantaloncini corti, a volerlo sfracellare da un dirupo?

Ed ecco allora chiaro il senso della porta stretta: è dura mantenere l’amicizia con Gesù, perché è un dono da supplicare e non si può mai supporre e ricoprirlo sotto le spoglie della routine. È quindi proprio a noi cristiani che questa porta risulta stretta, perché è la Grazia che continuamente ci deve sorprendere e mai presumere di averla già assimilata. La porta stretta è la battaglia di ogni giorno per accogliere Gesù che passa dalla nostra vita, è un dono sempre da rinnovare e mai considerare un possesso comodo o un’appartenenza scontata.

Di conseguenza per voi sposi, tutto ciò costituisce una vocazione speciale. Papa Francesco, facendosi eco di un Magistero costante, dice che Gesù Risorto “abita” la relazione degli sposi, di ogni coppia che ha ricevuto il sacramento. Lo dice due volte in Amoris laetitia: anzitutto come dato di fatto, dicendo che Egli è con gli sposi, a prescindere dal loro grado di santità (cfr. AL 315) e poi nel senso che quella relazione è chiamata a diventare sempre più una sua dimora (cfr. AL 29). Il senso del verbo “abitare” è lo stesso che Giovanni usa per esprimere il concetto che il Verbo si è incarnato ed è venuto ad “abitare” in mezzo a noi (cfr. Gv 1, 18), per cui esso riveste un significato assi forte ed esplicito. Parafrasando il Vangelo odierno, voi sposi potreste dire a Gesù: “Signore, noi ci siamo sposati in Chiesa, quindi siamo salvi” ma se questo non comportasse poi una relazione vera con lo Sposo, l’esito e la risposta del Maestro sarebbe la medesima del testo.

Cari sposi, sforzatevi di crescere nell’amore personale e di coppia con il vostro Sposo, con la preghiera, i sacramenti, i sacrifici offerti per amore. Il Papa Francesco chiarisce tutto questo in modo chiaro e con le sue parole vorrei concludere:

«Tale percorso prevede che si attraversi una porta. Ma, dov’è la porta? Com’è la porta? Chi è la porta? Gesù stesso è la porta. Lo dice Lui nel Vangelo di Giovanni; “Io sono la porta” (Gv 10,9). Lui ci conduce nella comunione con il Padre, dove troviamo amore, comprensione e protezione. Ma perché questa porta è stretta, si può domandare? Perché dice che è stretta? È una porta stretta non perché sia oppressiva, ma perché ci chiede di restringere e contenere il nostro orgoglio e la nostra paura, per aprirci con cuore umile e fiducioso a Lui, riconoscendoci peccatori, bisognosi del suo perdono. Per questo è stretta: per contenere il nostro orgoglio, che ci gonfia. La porta della misericordia di Dio è stretta ma sempre spalancata per tutti! Dio non fa preferenze, ma accoglie sempre tutti, senza distinzioni. Una porta stretta per restringere il nostro orgoglio e la nostra paura; una porta spalancata perché Dio ci accoglie senza distinzioni. E la salvezza che Egli ci dona è un flusso incessante di misericordia, che abbatte ogni barriera e apre sorprendenti prospettive di luce e di pace. La porta stretta ma sempre spalancata: non dimenticatevi di questo» (Angelus, 21 agosto 2016).

ANTONIO E LUISA

La parola che illumina tutto è relazione. Non è uno slogan, ma il cuore stesso del matrimonio. Lo ricordava padre Luca, richiamando le parole di papa Francesco: l’amore coniugale . come la fede – non vive di automatismi, ma di una scelta che si rinnova ogni giorno. Certo, al centro c’è Gesù, presenza viva che sostiene e feconda l’unione. Ma la sua grazia trova spazio solo in un cuore aperto: capace di accogliere l’altro con le sue fragilità e di lasciarsi sorprendere dalla sua bellezza. Un cuore che non smette di stupirsi davanti al dono della persona amata. Perché l’amore non cresce nei grandi gesti eroici, ma nei dettagli quotidiani: uno sguardo, una carezza, una parola buona, un dialogo sincero. Sono questi atti semplici che rendono vivo il matrimonio, lo custodiscono dalle abitudini sterili e lo trasformano in un segno di speranza per il mondo.

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