Gestire il denaro nel matrimonio: un atto d’amore

Qualche giorno fa una lettrice mi ha scritto chiedendomi un approfondimento su un tema concreto ma spesso trascurato: quale posto abbia l’aspetto economico nel dono totale che gli sposi si fanno nel matrimonio cattolico.

Nel matrimonio cristiano, gli sposi si promettono amore e fedeltà “nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia”, ma questa promessa riguarda anche la gestione concreta della vita quotidiana, inclusa la dimensione economica. Non è un dettaglio marginale: l’economia familiare diventa parte integrante della comunione di vita. Condividere entrate, risorse, scelte di spesa e sacrifici significa tradurre nella realtà quel “dono totale di sé” che rende il matrimonio un sacramento vivo.

Spesso, soprattutto nelle famiglie di oggi, la questione si fa evidente quando uno dei due coniugi, di solito la donna, decide di rallentare o sospendere la propria carriera per dedicarsi alla cura dei figli e alla vita domestica. In questi casi, il reddito non è più il frutto di un singolo, ma della coppia insieme: chi lavora porta a casa il salario, ma chi si dedica alla famiglia costruisce con altrettanta dignità il bene comune. Papa Francesco lo ha espresso chiaramente: «Il denaro deve servire, non governare» (Evangelii Gaudium), e serve proprio quando è messo a disposizione della comunione e non diventa terreno di divisione.

Don Fabio Rosini, con la sua consueta concretezza, ricorda che l’amore non è un sentimento astratto, ma una responsabilità incarnata: “Amare è avere cura dell’altro in tutto, non a metà. E se la vita dell’altro ha bisogno anche della mia disponibilità economica, questo è amore che si fa concreto”. Non basta, dunque, dirsi reciprocamente affetto; occorre tradurre le parole in scelte quotidiane: un conto corrente condiviso, spese decise insieme, trasparenza nella gestione delle risorse.

Luigi Maria Epicoco, riflettendo sul Vangelo, sottolinea che il dono totale non si limita agli aspetti spirituali o emotivi: “Amare significa mettere sul tavolo tutto di sé, senza zone franche. Anche il portafoglio è parte del cuore”. È una provocazione forte ma realista: quanti matrimoni si incrinano per questioni economiche, per risorse non condivise o per una percezione di ingiustizia? Eppure, l’economia condivisa è linguaggio d’amore: significa riconoscere che “ciò che è mio è tuo” non solo in senso poetico, ma nella gestione quotidiana.

Non si tratta di annullare le differenze: ciascuno può avere sensibilità diverse rispetto al risparmio, alla spesa, alla progettualità. Ma proprio il dialogo sulle scelte economiche diventa un laboratorio di unità: decidere insieme come spendere, come investire, come risparmiare significa imparare a pensare come un “noi” e non più come due “io” paralleli.

La teologia del corpo di San Giovanni Paolo II illumina anche questo: se il matrimonio è “comunione di persone”, allora la comunione non può fermarsi davanti al denaro. È lì che si misura la capacità di fidarsi, di affidarsi, di rinunciare al controllo per accogliere l’altro. La donna che lascia il lavoro per i figli non “perde” potere economico, perché il marito, se vive da sposo cristiano, riconosce che quel reddito è frutto comune, generato da un progetto condiviso.

In un mondo che spesso separa economia e affetti, la famiglia cristiana testimonia invece che l’economia è luogo di amore. È nella gestione del denaro che gli sposi imparano la responsabilità, la sobrietà, la solidarietà verso chi ha meno. È lì che insegnano ai figli il valore del dono, del sacrificio, del non vivere per accumulare ma per costruire legami.

In fondo, la comunione economica è un piccolo sacramento nel sacramento: è segno visibile di un amore invisibile. Quando uno stipendio diventa “nostro” e non “mio”, quando un sacrificio viene vissuto insieme, quando si sceglie di condividere non solo ciò che è bello ma anche la fatica di arrivare a fine mese, allora il matrimonio mostra davvero il volto di Cristo, che “pur essendo ricco, si fece povero per noi” (2 Cor 8,9).

Condividere il denaro non è dunque una questione contabile, ma un atto spirituale, un gesto di comunione e di fiducia reciproca. È parte del “sì per sempre” che gli sposi si donano davanti a Dio. Un sì che, per essere autentico, non lascia fuori neppure l’economia.

Antonio e Luisa

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