Economi misericordiosi

Cari sposi, oggi Gesù ci racconta, con una parabola, di un amministratore astuto e scaltro. A causa di un’accusa per la sua avidità eccessiva e ormai insostenibile, si trova all’improvviso senza un lavoro e uno stipendio. E proprio grazie alle sue abilità, riesce a utilizzare le proprie risorse umane per volgere al bene il suo fallimento clamoroso.

Fin qui, niente di nuovo, anche oggi situazioni del genere capitano spesso ma ci sconcerta il fatto che Gesù lodi la sagacia di uno che “ha fatto ’o muorzo e miezzo”.

Tuttavia, il nocciolo della parabola, e di conseguenza della lode di Cristo, sta nel capire quali sono i beni che amministrava. Come nella parabola dei talenti, del banchetto nuziale, dei lavoratori nella vigna, il padrone in questione può avere un riferimento simbolico a Dio. Di conseguenza, i beni che Egli delega al suo amministratore sono tutti quei doni, talenti, grazie, carismi che possediamo in forza della nostra esistenza e per l’appartenenza a Cristo.

Tutti noi cristiani siamo amministratori del Signore, l’Uomo ricco della nostra esistenza, l’Unico che possieda beni e ricchezze. San Paolo, infatti, afferma: “Ognuno ci consideri come ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ora, quanto si richiede negli amministratori è che ognuno risulti fedele” (1 Cor 4, 1s) e Pietro: “Ciascuno viva secondo la grazia ricevuta, mettendola a servizio degli altri, come buoni amministratori di una multiforme grazia di Dio” (1 Pt 4, 10).

La Chiesa ha accolto questa Parola e nel Catechismo ribadisce che «nel disegno di Dio, l’uomo e la donna sono chiamati a “dominare” la terra [Cfr. Gen 1,28] come “amministratori” di Dio» (Catechismo 373) ed anche «il cristiano è un amministratore dei beni del Signore [Cfr. Lc 16,1-3]» (Catechismo 952); «La proprietà di un bene fa di colui che lo possiede un amministratore della Provvidenza, per farlo fruttificare e spartirne i frutti con gli altri, e, in primo luogo, con i propri congiunti» (Catechismo 2404).

Perciò, anzitutto dobbiamo chiederci se siamo consapevoli di avere tra le mani tutti questi beni e se li stiamo usando bene oppure li sperperiamo… La vita presente è ricca di doni, talenti e qualità, le stesse persone con cui viviamo, in primis i familiari, ne fanno parte e dobbiamo prenderci cura di loro come un regalo di cui siamo solo custodi e non proprietari.

E come se non bastasse, un giorno ci verrà chiesto conto di quello che abbiamo “amministrato” e di come l’abbiamo fatto. Diceva Papa Francesco che i poveri, e poveri non sono solo quelli che hanno scarsità economiche ma anche chi è privo di dignità, di certezze, di protezione, di amore…, i poveri devono essere i destinatari dei nostri beni e talenti e se essi «agli occhi del mondo hanno poco valore, sono loro che ci aprono la via al cielo, sono il nostro “passaporto per il paradiso”» (Omelia nella giornata mondiale per i poveri, 19 novembre 2017).

Tuttavia, come la mettiamo con il fatto che l’amministratore si prenda gioco del suo capo? Risposta non facile ma tutto quadra se pensiamo che c’è un bene di cui tutti possiamo, anzi dobbiamo essere assai ricchi, e che siamo chiamati a dare a mani piene ed è la principale ricchezza che Dio vuole condividerci. Se il Padrone è nel fondo Dio stesso, allora i beni del padrone, la Sua vera ricchezza di Dio è la Misericordia! Dio si rivela quale “ricco di misericordia” (Ef 2,4) arrivando a darci il Suo Figlio, il Suo Bene più grande. In effetti, l’amministratore che altro fa se non rimettere i debiti, proprio come noi chiediamo al Padre nella preghiera (Mt 6, 12).

L’affare principale del Padrone è donare il perdono e questo amministratore l’ha fatto a mani piene, e da qui la causa della lode. Egli ha compreso come doveva amministrare i beni, cioè con grande misericordia e rimettendo i debiti agli altri.

Per voi sposi, poi, vi è un collegamento assai chiaro. Difatti, la parola “amministratore” in realtà nella versione greca è “οἰκονόμον”, cioè letteralmente “economo”. Una parola composta da “oikos” o casa, e “nomos” o legge. L’economo si rivela “colui che dà la legge alla casa”. Questa parabola si rivela foriera di un interessante valore nuziale: voi sposi quale legge offrite alla vostra casa, alla vostra esistenza, casa di Dio, tempio santo della presenza di Dio? E per estensione, se siete economi per conto di Dio, con quanta misericordia regolate i vostri pensieri e, di conseguenza, le scelte, le azioni di ogni giorno?

Possiate essere grandi amministratori di perdono e misericordia perché, come ci ricorda San Giovanni Paolo II nella Dives in misericordia: “l’amore misericordioso è sommamente indispensabile tra coloro che sono più vicini: tra i coniugi, tra i genitori e i figli” (n. 14).

ANTONIO E LUISA

Non so se è completamente inerente al Vangelo. L riflessione di padre Luca mi ha però aperto il cuore a un pensiero che ho sperimentato nella mia vita. La misericordia tra gli sposi nasce solo quando si fa memoria della misericordia ricevuta da Dio. Se io mi convinco di essere “bravo da solo”, finirò per pensare di meritare un coniuge all’altezza delle mie aspettative, uno che non sbaglia mai. Questo atteggiamento però non lascia spazio al perdono, perché l’altro diventa misura del mio orgoglio. Al contrario, quando riconosco la mia fragilità e le volte in cui Dio mi ha rialzato, allora comprendo che non sto in piedi grazie ai miei meriti, ma per grazia. Ed è proprio questa esperienza che mi rende capace di guardare mia moglie o mio marito non con disprezzo, ma con compassione. Solo chi si sa perdonato diventa capace di perdono; solo chi ha sperimentato l’amore gratuito di Dio può donare misericordia senza calcoli. Nel matrimonio, dunque, l’umiltà è la porta che apre a una misericordia vera e duratura.

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