L’amata: il desiderio che salva

Un amore che redime il peccato originale trasformando il dominio in dono reciproco. Ne parliamo i versetti del Cantico che approfondiamo in questo capitolo. Clicca qui per leggere quanto già pubblicato. La riflessione come sempre è tratta dal nostro libro Sposi sacerdoti dell’amore (Tau Editrice).

«Io sono del mio diletto e verso di me è il suo desiderio»

È la terza volta che nel Cantico dei Cantici troviamo un’affermazione di mutua appartenenza. Ma qui la formula cambia: non si tratta solo di dire “io sono tua” o “tu sei mio”, bensì di riconoscere che il desiderio dell’altro non è più un potere che domina, ma una forza che custodisce. È la formula più vicina al patto coniugale, a quell’alleanza in cui l’uomo e la donna si donano reciprocamente senza riserve.

La ferita delle origini

Il testo richiama volutamente Genesi 3,16, quando Dio dice alla donna dopo la caduta: «Verso tuo marito sarà il tuo desiderio, ma egli ti dominerà». È una delle frasi più drammatiche della Scrittura. Esprime la rottura dell’armonia originaria: non più relazione di dono, ma rapporto segnato dal sospetto, dal possesso, dal dominio.

Questa ferita non appartiene solo alla coppia delle origini: la portiamo dentro tutti. È il disordine che si manifesta ogni volta che l’amore si sporca di egoismo. Quante volte, nelle nostre relazioni, scambiamo il bisogno di possedere per amore? Quante volte il desiderio di tenere stretto l’altro nasce dalla paura di perderlo, e non da una libertà che lo accoglie?

La cronaca ci racconta di delitti “per amore”. Ma l’amore non uccide, mai. San Paolo è netto: «L’amore non cerca il proprio interesse» (1Cor 13,5). Dietro molte parole che chiamano “amore” si nasconde in realtà un io ferito, che confonde l’altro con un oggetto utile alla propria sopravvivenza emotiva. L’altro vale finché soddisfa i miei bisogni, poi diventa scarto. Non serve arrivare all’estremo del delitto: basta osservare tante dinamiche familiari quotidiane, dove il rancore si accumula, i conflitti nascono da orgoglio ferito e incapacità di empatia. Non c’è dono, ma pretesa. Non c’è accoglienza, ma consumo reciproco.

Dal dominio al dono

Il Cantico osa di più. Prende le stesse parole della Genesi e le capovolge:

  • «Verso tuo marito sarà il tuo desiderio» (Genesi) diventa «Io sono del mio diletto» (Cantico).
  • «Egli ti dominerà» (Genesi) diventa «Verso di me è il suo desiderio» (Cantico).

È un ribaltamento radicale. Non c’è più dominio, ma desiderio reciproco. Non più una donna che tende all’uomo senza ricevere che possesso, ma una sposa che scopre che il suo sposo la desidera come persona intera. Il desiderio non è più catena, ma linguaggio di comunione.

Psicologicamente, questo passaggio è enorme. Significa che nella coppia non ci si limita a ripetere copioni antichi di possesso e paura, ma si può scegliere un’altra direzione. In analisi si direbbe: il vecchio copione del “tu vali se mi servi” può essere interrotto per aprire a un nuovo modo di stare insieme, basato sul riconoscimento reciproco. Biblicamente, è la redenzione che guarisce la ferita delle origini.

Il Cantico, qualche pagina più avanti, dirà: «Forte come la morte è l’amore». La morte entrata nel mondo col peccato non ha l’ultima parola. L’amore vero è capace di vincerla. Qui lo vediamo in atto: il desiderio dell’uomo non si traduce in possesso, ma in gioia di appartenenza. «Verso di me è il suo desiderio»: è lui che la desidera, non per dominarla, ma per accoglierla.

E lei risponde con una formula di totalità: «Io sono del mio diletto». Non “una parte di me”, non “finché mi conviene”, ma “io tutta”. È la logica dell’alleanza, la stessa che Dio usa con Israele: «Io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo» (Ger 31,33).

Questa è la buona notizia per gli sposi: il matrimonio non è condanna a rivivere il dramma di Genesi 3, ma possibilità di riscoprire l’armonia del principio. Gesù stesso lo ricorda: «Dall’inizio della creazione Dio li fece maschio e femmina» (Mc 10,6). Il sacramento del matrimonio diventa allora una via concreta per guarire le ferite del peccato originale, permettendo all’uomo e alla donna di non ridursi a strumenti l’uno dell’altra, ma di essere tempio l’uno per l’altra.

Recuperare il giardino perduto

Ogni coppia conosce la fatica di cadere nella logica del possesso. Ma ogni coppia può anche sperimentare che l’amore di Cristo apre una strada diversa. San Paolo scrive: «Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei» (Ef 5,25). È questo amore crocifisso e risorto che rende possibile ciò che da soli non riusciamo: trasformare il desiderio in dono, la paura in fiducia, la solitudine in comunione.

In termini relazionali, significa imparare a vedere nell’altro non una proiezione dei miei bisogni, ma un soggetto con la sua dignità. Non dire più: “Ti prendo per colmare il mio vuoto”, ma: “Ti accolgo perché con te posso crescere e diventare più vero”.

Questa trasformazione non avviene una volta per tutte. È un cammino quotidiano, fatto di scelte piccole e concrete: ascoltare invece di reagire, perdonare invece di accumulare rancore, donare tempo invece di difenderlo gelosamente. È lì che il Cantico diventa vita.

«Io sono del mio diletto e verso di me è il suo desiderio» non è solo una poesia romantica. È la rivelazione che il matrimonio, vissuto nella grazia di Cristo, è il luogo in cui il disordine delle origini viene guarito. Dove il dominio lascia spazio al dono, e il desiderio diventa lingua di alleanza.

Non c’è coppia che non porti in sé la ferita del peccato. Ma non c’è coppia che, se lo vuole, non possa sperimentare la forza di un amore più grande delle sue ferite. Lì, davvero, il matrimonio diventa non solo un contratto umano, ma un sacramento che trasfigura.

E forse, ogni volta che un uomo e una donna riescono a dirsi sinceramente «Io sono tuo» e «verso di me è il tuo desiderio», si riapre per un istante il giardino delle origini. Non un’illusione, ma un anticipo di quel paradiso che Cristo è venuto a restituirci.

Antonio e Luisa

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