Ha vissuto cinquantadue giorni

Ha vissuto cinquantadue giorni ed ha compiuto la sua missione in Terra. Poi è tornata dal Creatore. Il dolore di averla dovuta salutare così presto è stato straziante per i suoi genitori ma, nonostante questa croce pesante, hanno ribadito che, tornando indietro, avrebbero rifatto tutto. E sottolineano che avrebbero voluto concepirla così com’era. Bella e prodigiosa.

Avrebbero nuovamente e ostinatamente portato avanti la gravidanza nonostante il parere sfavorevole dei medici che ne hanno diagnosticato l’incompatibilità con la vita. Avrebbero voluto abbracciarla, baciarla, amarla, come è avvenuto in quegli unici e irripetibili cinquantadue giorni insieme.

Elisabetta Maria è entrata nella vita ed è già nell’eternità. Lei era stata pensata così: delicata. E come tutti i “piccoli” di Dio, in grado di scuotere i cuori, di rovesciare i paradigmi della scienza, di voltare le spalle alla cultura dello scarto. Si è lasciata cullare, coccolare, contemplare, abbandonata alle premure dei genitori, dei parenti, degli amici e dei medici che l’hanno accompagnata, dalla nascita al mondo alla nascita in Cielo.

Il dolore è un mistero. Non si spiega. Ma le parole della sua mamma e del suo papà, dopo un anno dalla perdita di questo fagottino, sono testimonianza. Soprattutto sono un megafono per la vita. Nonostante la nostalgia per quella meravigliosa creatura e ciò che ne è scaturito, non avrebbero voluto agire diversamente. Oggi possono dire di aver conosciuto quella creatura. E di averla amata. Non tradendo la loro missione familiare e genitoriale. Non ostacolando l’amore percepito in quei giorni avvolti dal mistero.

Elisabetta Maria è stata nella storia dell’umanità per quanto è stato pensato per lei: il tempo di allargare cuori, convertire chi ha partecipato alla sua nascita, interrogarsi. Elisabetta Maria è stata una pietra scartata dai costruttori del mondo, divenuta testata d’angolo nei Cieli.

Ci sono vite che, pur brevi, brillano come stelle nella notte. L’esistenza di Elisabetta Maria è una di queste: una luce che non ha avuto bisogno di tempo per rivelare il suo senso. Ha vissuto poco, ma ha amato tanto, e soprattutto ha permesso a chi l’ha accolta di imparare la lezione più alta: che ogni vita è dono, anche quando dura un soffio.

I suoi genitori, nel loro sì coraggioso, hanno scritto una pagina di Vangelo vissuto. Non si sono lasciati piegare dalla paura, né dalle statistiche mediche. Hanno creduto che l’amore fosse più forte della previsione, più grande del dolore. E così, accogliendo la loro bambina fragile, hanno accolto Dio stesso che bussava alla porta del loro cuore in una forma disarmante: quella di una vita fragile, segnata, eppure piena di grazia.

Elisabetta Maria ha predicato senza parole. Con il suo respiro leggero ha ricordato al mondo che non è la durata a dare valore a una vita, ma la sua intensità di amore. Ha testimoniato che ogni nascita, anche la più breve, è parte di un disegno più grande, che solo in Cielo comprenderemo fino in fondo.

Chi l’ha incontrata porta dentro di sé un segno. I suoi genitori raccontano che, dopo quei cinquantadue giorni, nulla è più come prima. È come se la loro fede avesse messo radici più profonde. Hanno scoperto che la speranza non nasce dall’illusione che tutto vada bene, ma dalla certezza che Dio trasforma ogni lacrima in promessa di eternità.

Elisabetta Maria vive ora nel ricordo e nella preghiera di chi l’ha amata. È una presenza silenziosa, ma reale, come un angelo che veglia e accompagna. E la sua storia diventa invito a non temere la fragilità, a non fuggire la croce, a non lasciarsi ingannare da chi considera la vita un bene negoziabile. Ogni vita è sacra, anche la più breve. Ogni battito ha valore. Ogni respiro è canto di lode.

Elisabetta Maria continua la sua missione dal Cielo: ricordare a ciascuno che il dolore, se vissuto nell’amore, genera vita; e che anche la più piccola esistenza può diventare un capolavoro di eternità.

Livia Carandente

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