Ultimamente riflettevo su quanto ciò che faccio singolarmente abbia un effetto anche sul mio sposo. Una carne sola, in fondo, vuol dire anche questo: che tutto ciò che faccio “io” ricade sul “noi”. Proprio come quando, che so, ti sloghi una caviglia o ti rompi un braccio: il problema non riguarda solo la caviglia o il braccio, ma tutta la tua persona, che improvvisamente si trova in sofferenza e deve ricalibrare la sua vita intorno a quell’infortunio.
Non puoi dire: “Caviglia, è un problema tuo” o “Braccio, cavatela da solo!”, ma quell’intoppo ti costringe a fermare tutto il tuo corpo, per intero. Ecco, in egual modo, se crediamo che davvero la Chiesa abbia ragione e il Sacramento del Matrimonio unisca gli sposi in una caro (l’ho imparato anche in latino, è tempo di usarlo!), allora su questo “noi” ricadono le conseguenze, belle e brutte, di ogni nostra (anche singola) azione. Un brividino… che responsabilità grande. E che grande dono, questo invisibile filo che ci unisce anche distanti!
A questa riflessione ne aggancio un’altra: se siamo una caro, quanto anche il modo dell’uno di vivere la sessualità influisce sulla relazione! No, non è una domanda: è una consapevolezza. Banalmente, una scelta come la pillola (che riguarda esclusivamente la donna) è fatta per “ricadere” su entrambi; una scelta come l’astinenza (magari per un impedimento fisico di uno dei due) ricade, anche questa, su entrambi. Essendo una dimensione a misura di sposi, ogni scelta, umore o difficoltà riguarda sempre quell’intimo “noi”. Forse, in questo ambito, si è capaci di accorgersene subito, proprio perché ci tocca nella ciccia!
Quando imprechi contro l’ennesimo sorpassatore a destra in rotonda (che pure un po’ se lo merita…), non pensi che le tue male parole danneggino anche il tuo sposo o la tua sposa. Quando giudichi frettolosamente, quando perdi tempo, quando ti rifiuti di compiere il bene… non vedi quanto queste mancanze danneggino l’“una caro” matrimoniale. Eppure lo fanno!
Il modo con cui viviamo l’amore fisico e, conseguentemente, l’apertura alla vita dice molto di noi e ci riguarda direttamente: va oltre il benessere momentaneo, le certezze, le belle parole, i santi propositi… va “per direttissima” nella carne! Cosa scegliamo dice ciò che pensiamo (e surclassa ciò che professiamo a parole): in definitiva, ci dice di chi siamo. Siamo del mondo o di Cristo?
Ecco perché i metodi naturali sono la via proposta dalla Chiesa: perché coinvolgono gli sposi nella verità dei loro corpi e ritmi naturali; perché parlano di una corresponsabilità dell’Amore (e non delegano, né alla donna né a contraccettivi artificiali); perché innestano l’unione fisica nel quotidiano, non come qualcosa di “sempre accessibile” e che offusca la disponibilità emotiva a favore di sottili logiche di possesso e pretesa (“Dato che possiamo sempre farlo, perché non vuoi?”), ma come parte della nostra relazione, sia nei periodi fertili che in quelli non fertili.
Se fra fidanzati l’impegno di vita non è totale, non può esserlo l’intimità. Se fra sposi l’impegno di vita è totale, occorre lo sia anche l’intimità. Questo è lo sguardo con cui la Chiesa guarda a fidanzati e sposi: non per suo capriccio o fissazione, ma per elevare l’Amore umano, sempre più simile a quello (totale, appunto) di Dio. Perché qui, nella coerenza di ciò che fai e di ciò che dici, sta la pienezza: nella verità ultima delle cose, sempre da ricercare senza stancarsi, sta la vita “in abbondanza” promessa dal Vangelo. Eh già, la vita ce l’hai già, se stai leggendo queste righe… ma a “vita in abbondanza” come stai messo, o messa?
Giada
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