Cari sposi, oggi celebriamo con venerazione i nostri fedeli defunti. Un tempo prezioso di approfondimento su quello che più spaventa l’essere umano: la morte. Proprio per questo si è scritto tanto sulla morte e, senza nessuna pretesa di esaustività, vorrei attirare la vostra attenzione su certuni aspetti importanti.
Il primo di essi è che ad oggi, in Italia, la fede pare non dire più nulla sul mistero della fine di un’esistenza. Difatti, esattamente 4 anni fa, nell’ottobre 2021, la CEI pubblicava i risultati di un indagine sociologica intitolata “L’incerta fede”. Tra i tanti dati emersi mi concentro su uno: coloro che credono nella vita dopo la morte sono scesi dal 41,5 al 28,6 per cento. Un dato sconcertante: non parliamo affatto di atei o agnostici, bensì di chi frequenta comunque la Messa, i sacramenti…
Tuttavia, fateci caso: quanto si accenna alla risurrezione a fine funerale, nei vari saluti e commiati che familiari, parenti o amici esprimono? Non affiora per lo più un umanissimo struggimento e dolore per la scomparsa del defunto? E ciò dopo che la liturgia non ha fatto altro che parlare di Cielo, eternità, resurrezione? Questo fa comprendere quanto la ricorrenza odierna tocca un nervo scoperto nella Chiesa! Abbiamo estremo bisogno di fare nostra e assimilare la poderosa esclamazione di San Paolo: “Se Cristo non è risorto, vana è la nostra fede” (1 Cor 15, 14).
Impressiona, però, constatare che l’eternità dell’amore sia stata colta anzitutto dai non credenti, da chi al massimo poteva far riferimento alle religioni pagane del momento, totalmente avulse all’idea che la persona possa vivere pienamente nell’Aldilà. Prendiamo per esempio il poeta Virgilio (70-19) che nell’Eneide scrisse: “Amor vincit omnia” (Eneide, IV, 412-413), l’amore è capace di vincere ogni cosa, e quindi anche per assurdo la morte. Oppure il filosofo greco Platone (428-347) che in uno dei suoi dialoghi mette in bocca al personaggio della sacerdotessa Diotima la celebre frase: “Ἔρως ἐστὶν ἀθάνατος”, “l’amore è immortale” (Simposio, 206E–207). Così Diotima insegna a Socrate che l’amore nasce dal desiderio di generare nel bello e, attraverso la generazione, di partecipare all’eternità. Chi ama, infatti, desidera “possedere il bene per sempre”.
La Parola di oggi va proprio in questa direzione e ci mostra che Gesù desidera ardentemente che si compia in noi la volontà del Padre che è salvezza, che è comunione per sempre con Lui. Il Padre con il Figlio e lo Spirito anelano di renderci parte della Loro vita ed esistenza, in cui non ha spazio la parola “fine” o “morte” ma solo il “per sempre” perché l’amore, appunto, non conosce fine.
Pertanto, oggi il Signore vuole consolarci, vuole riempirci di speranza, sebbene sussista il dolore della perdita dei cari. Quando meditiamo o riflettiamo sulla morte, in forza della nostra fede, dobbiamo pensarla come una porta, una soglia. Chi di noi in una bella villa si sofferma sulle porte? È un oggetto che generalmente passa in secondo piano, perché quel che importa è il contenuto della stanza a cui la porta dà accesso. E così la morte diventa il passaggio verso la nostra felicità piena, verso il senso ultimo della nostra vita: essere in Cristo.
Prendendo spunto dalle parole di Giobbe, siamo invitati a guardare a Cristo, contemplare Cristo, la sua Potenza che può ridare vita laddove la natura l’ha tolta! Questo è ciò che scioglie la mia disperazione davanti alla morte, che il mio Redentore è vivo, è presente nella mia vita.
Ora veniamo a voi sposi e già immaginate in quale pelago ci ficchiamo sapendo che, come insegna la Chiesa, il sacramento del matrimonio è per questa vita. Tuttavia, se Cristo è presente nel vincolo matrimoniale, come ci ricorda S. Tommaso D’Aquino (“Il matrimonio è figura dell’unione di Cristo con la Chiesa, e perciò il vincolo stesso è il sacramento” (Summa Theologiae, Suppl., q. 42, a. 2) e questo è anticipo, nella vita dei coniugi, dell’unione definitiva con Cristo, allora si può intendere che l’amore tra coniugi verrà trasfigurato dalla grazia e portato a pienezza nella vita eterna. Nel Regno dei Cieli non ci sarà più bisogno del vincolo sacramentale ma perché là Cristo sarà “tutto in tutti” (1 Cor 15, 28) e allora Lui diventerà la fonte di un amore rinnovato, purificato ed eterno tra chi si è amato su questa terra. “Lì” il sacramento avrà raggiunto il suo fine: unire definitivamente la coppia allo Sposo. Sarà allora l’amore di Cristo a riempire in eterno i nostri vuoti di amore, anche laddove una relazione sponsale ne possa essere stata carente o priva del tutto.
Mi piace al riguardo concludere con due citazioni confortanti. La prima è di Papa Benedetto, il quale, parlando di Eucarestia, ne sottolinea l’aspetto escatologico: “La Celebrazione eucaristica, nella quale annunciamo la morte del Signore, proclamiamo la sua risurrezione, nell’attesa della sua venuta, è pegno della gloria futura in cui anche i nostri corpi saranno glorificati. Celebrando il Memoriale della nostra salvezza si rafforza in noi la speranza della risurrezione della carne e della possibilità di incontrare di nuovo, faccia a faccia, coloro che ci hanno preceduto nel segno della fede” (Sacramentum caritatis, 32). In forza dell’Eucarestia che avete ricevuto, il vostro amore può essere eterno.
E poi, vorrei citare Papa Giovanni Paolo II che parla proprio a proposito della malattia e della morte: “Sono queste le occasioni nelle quali – come hanno insinuato i Padri Sinodali – più facilmente si possono far comprendere e vivere quegli elevati aspetti della spiritualità matrimoniale e familiare, che si ispirano al valore della Croce e risurrezione di Cristo, fonte di santificazione e di profonda letizia nella vita quotidiana, nella prospettiva delle grandi realtà escatologiche della vita terrena” (Familiaris consortio, 77).
Cari sposi, proprio davanti alla morte si comprende come l’amore sponsale sia veramente sublime, cioè capace di elevare verso l’alto, verso l’eterno, già da ora, verso il Per Sempre divino.
ANTONIO E LUISA
Sono pienamente consapevole – come ha ben detto padre Luca – che il vincolo matrimoniale, così come lo conosciamo sulla terra, si conclude con la morte. Ma dopo ventitré anni di vita insieme, sento con forza che l’amore vissuto, le fatiche condivise, le lacrime e le riconciliazioni, non vanno perduti. Tutto ciò che abbiamo costruito — la pazienza, la fedeltà, la tenerezza che si impara nel quotidiano — diventa parte di ciò che porterò con me in Paradiso. Perché l’amore, quando è autentico, non finisce: si trasforma in eternità. Credo poi che tra noi rimarrà comunque una relazione, anche oltre la morte: diversa, trasfigurata, impossibile da comprendere ora con i mezzi limitati che abbiamo per immaginare il Cielo. Ma so che ciò che nasce da Dio non si dissolve. Il nostro amore, pur spogliato della forma terrena, continuerà ad essere comunione in Lui, perché è stato costruito giorno per giorno alla scuola di Colui che dell’amore è la sorgente e il compimento.
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