Non separare ciò che Dio ha unito diventa una via di guarigione

Nel Vangelo secondo Marco (10,9), Gesù pronuncia parole che da secoli risuonano solenni nei cuori degli sposi cristiani: L’uomo dunque non osi separi ciò che Dio ha congiunto. Queste parole vengono lette durante la celebrazione del matrimonio, come sigillo sacro di un’unione che va ben oltre un contratto o una promessa umana: è un mistero grande, una realtà spirituale, un disegno divino.

Tuttavia, spesso questa esortazione viene interpretata come un monito riguardante l’influenza di fattori esterni: ex fidanzati, tentazioni, amici invadenti o suoceri troppo presenti. Eppure, vale la pena fermarsi a riflettere su un’interpretazione molto più scomoda ma altrettanto vera: e se “quell’uomo” fossimo proprio noi? Se a minacciare l’unità coniugale fossero proprio lo sposo e la sposa stessi?

Nel matrimonio cristiano, l’unione tra un uomo e una donna è un’alleanza sacra, non solo un accordo umano. Il legame è spirituale, e la minaccia più grande non proviene solo dall’esterno, ma da comportamenti interni. Ogni volta che un coniuge sceglie rancore invece di perdono, orgoglio anziché umiltà, indifferenza al posto della cura, contribuisce, nella sua quotidianità con piccoli gesti a separare ciò che Dio ha unito. Quando si smette di comunicare, pregare insieme o mettere Dio al centro, si rischia un “divorzio spirituale” che precede quello giuridico. A volte non sono necessari tradimenti o scandali, basta la trascuratezza quotidiana per erodere lentamente la relazione.

L’unità coniugale va costruita passo dopo passo, nei piccoli gesti, nelle scelte quotidiane di fedeltà silenziosa, nelle rinunce fatte per amore, nella sottomissione reciproca. Questo impegno richiede vigilanza, ma soprattutto affidamento a Dio e Grazia, quella che il Signore ci dona attraverso il Sacramento del Matrimonio.

Ricordare ogni giorno che siamo chiamati a custodire ciò che Dio ha unito è un atto di responsabilità e amore. Significa riconoscere che l’altro non è un nemico, ma un alleato, un dono da custodire e proteggere. Eppure, quante volte siamo proprio noi a puntare il dito contro l’altro? A sottolineare le mancanze o gli errori? A ferire con le nostre parole? A tarpare le ali della libertà dell’altro con comportamenti possessivi? A non fare il tifo per l’altro, ma mettendo i bastoni tra le ruote ai suoi sogni? Il matrimonio non è un campo di battaglia, ma un terreno sacro dove imparare a donarsi e dove riconoscersi parte di una stessa squadra.

L’uomo non osi separare ciò che Dio ha unito è un richiamo alla vigilanza, soprattutto contro le nostre fragilità interne. Nel matrimonio cristiano, gli sposi sono i principali custodi della loro unione. Essere consapevoli dei propri limiti, chiedere aiuto quando necessario, il coraggio di fare una diagnosi, che non è fare una reciproca accusa, ma avere occhi per vedere i nostri limiti, non è segno di debolezza, ma di maturità e amore.

Spesso pensiamo di gestire da soli la nostra relazione, di essere onnipotenti e di bastare a noi stessi e ci dimentichiamo di Dio. Ricordiamo che Dio ha unito non solo due corpi, ma due storie, due anime, due vocazioni. Se l’ha fatto, è perché in quell’unione ha visto un riflesso del Suo amore eterno. Ha reso i due sposi compatibili con Lui, perchè Lui desidera ardentemente abitare con noi. Dio ha pensato alla nostra realtà come sua dimora. Sta a noi, insieme a Lui, proteggere e custodire quella unione, ogni giorno e non permettere che sia proprio “l’uomo”, cioè noi stessi, a distruggerla.

E forse custodire significa anche imparare a riconoscere cosa, dentro di noi, può diventare minaccia per l’amore. Custodire, allora, non significa trattenere o controllare, ma imparare a conoscersi. Significa accorgersi di quando parliamo da feriti invece che da amati, di quando reagiamo per paura invece che per amore. Ogni coppia che cresce nella fede impara pian piano a distinguere tra la voce del proprio ego e quella dello Spirito. È un cammino di discernimento costante, dove la preghiera e il dialogo diventano luoghi in cui ritrovare se stessi e l’altro.

Ogni gesto di riconciliazione, ogni parola che ricuce, ogni scelta di silenzio che non nasce dalla chiusura ma dall’ascolto, diventa una pietra viva con cui Dio edifica la casa comune. Non è facile, ma è possibile, perché la grazia non cancella le fragilità: le trasforma. E in questo processo quotidiano, Dio non chiede perfezione, ma disponibilità. Ci chiede di restare.

Così, non separare ciò che Dio ha unito, diventa molto più di un comandamento: diventa una via di guarigione. È il modo in cui l’amore si fa mitezza, la passione diventa fedeltà, e la coppia diventa segno visibile di un Dio che continua a unire, anche quando tutto sembra diviso.

Francesca e Dennis Luce Sponsale

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