UP: quando il romanticismo diventa una trappola invisibile

La sequenza iniziale di Up sembra raccontarci l’amore “perfetto”: tenero, romantico, pieno di piccoli gesti quotidiani e di grandi sogni condivisi. È una poesia visiva che emoziona, commuove, scalda il cuore. È ciò che tutti vorremmo vivere: un amore che dura tutta la vita, che riempie le giornate di senso e i muri di fotografie. Ma se la osserviamo con uno sguardo più profondo — psicologico, teologico e umano — scopriamo qualcosa che il film non mostra: quella coppia non è così sana come appare. Non perché non si amino. Si amano davvero. Ma non crescono.

Una relazione rimasta nella simbiosi

Nel linguaggio dell’Analisi Transazionale, la loro è una coppia che non supera mai la prima fase: la simbiosi. È la fase dell’innamoramento, del trasporto emotivo, dell’illusione condivisa. È il tempo del “noi” che diventa così potente da cancellare l’“io”. Questa fase è necessaria, anzi preziosa: è il “cemento fresco” su cui si poggia una storia. Ma non può diventare la struttura definitiva del rapporto.

In Up, Ellie diventa il Polo Attivo: creativa, intraprendente, gioiosa, visionaria. È lei che propone, sogna, trascina. In termini transazionali, incarna il Genitore accudente e il Bambino Libero, pieno di vitalità. Carl, invece, resta spesso nel Bambino Adattato: timido, prudente, dipendente emotivamente da lei. Non oppone mai resistenza, non manifesta un progetto proprio, non esprime una volontà autonoma. Si lascia portare, guidare, colorare.

Il loro rapporto funziona… ma non evolve. Non c’è differenziazione. Non c’è dialogo Adulto–Adulto. Non c’è quel passaggio fondamentale in cui ciascuno costruisce la propria identità, con desideri, limiti, vocazioni proprie. Non c’è la libertà di restare se stessi dentro il legame. È un amore dolce, tenero, intenso… ma bloccato.

Le conseguenze di un amore non differenziato

Una coppia che rimane nella simbiosi può durare decenni senza apparenti problemi. Esternamente sembra una relazione perfetta: ci si sostiene, si sogna insieme, si vive l’illusione di una unità totale. Ma sotto la superficie, uno dei due rischia di vivere attraverso l’altro, e l’altro rischia di vivere per l’altro più che con l’altro. E quando la simbiosi si interrompe, il terreno cede.

È esattamente ciò che accade a Carl. Quando Ellie muore, lui non solo sperimenta il lutto: sperimenta il crollo della propria identità. Non ha progetti propri, non ha radici interiori, non ha un sé autonomo. Tutta la sua vita emotiva era “noi”, ma un “noi” dentro il quale Carl non si era mai formato davvero. Per questo, dopo la morte di Ellie, Carl non sopravvive psicologicamente: si aggrappa al passato, alla casa, alle memorie… perché è lì che ha lasciato il suo “io”.

L’amore cristiano non è fusione: è comunione

E qui entra la grandezza dell’antropologia biblica e cristiana. La cultura greca classica vedeva l’amore ideale come il ricongiungersi di due metà di un’unica mela: io non sono completo, tu non sei completa, ma insieme diventiamo uno. Un’immagine romantica, ma fragile. Se io sono “mezza persona”, avrò sempre bisogno dell’altro per sentirmi intero.

Il cristianesimo supera radicalmente questa visione. Nella prospettiva biblica, la forma perfetta dell’amore non è la fusione, ma la comunione nella distinzione. Il modello non è la mezza mela che cerca l’altra metà. Il modello è Dio stesso.

Nella Trinità esistono tre Persone distinte, libere, uniche — e tuttavia totalmente unite, in una comunione profonda che non confonde e non annulla. Tre in Uno, ma non uno annullando i tre. Un’unità che non è fusione, ma mutua donazione. Un amore fatto di libertà e reciproca presenza, non di dipendenza e confusione di identità.

La coppia cristiana è chiamata a questo: una comunione che custodisce la differenza, non un’unione che la cancella.

Differenziazione e interdipendenza: la via dell’amore maturo

Tradotto in chiave psicologica, l’amore maturo attraversa alcuni passaggi, ne riporto tre fondamentali:

  1. Simbiosi — il tempo dell’incanto, del bisogno, dell’intreccio affettivo.
  2. Differenziazione — il tempo in cui ciascuno comprende chi è, cosa desidera, quali sono le proprie ferite, i propri talenti, la propria vocazione.
  3. Interdipendenza — il tempo dei due adulti che scelgono di sostenersi senza annullarsi, di camminare insieme senza confondersi, di essere uniti ma autonomi.

Carl ed Ellie, pur vivendo un amore autentico, si fermano al primo passaggio. Non arrivano mai alla maturità del secondo, né alla ricchezza del terzo. È per questo che la loro storia è emozionante, toccante, poetica… ma non è un modello reale di amore cristiano, né psicologicamente sano. È più una fiaba romantica che una relazione matura.

La verità che libera

Il matrimonio vero — quello sacramentale, quello adulto — non dice: “Tu sei la mia metà.”
Quella è una promessa impossibile, una trappola affettiva, una illusione. Il matrimonio cristiano dice invece: “Io sono tutto. Tu sei tutta. E insieme siamo uno, senza smettere di essere due.”

La bellezza dell’amore cristiano non sta nella fusione, ma nella comunione. Non nello specchiarsi nell’altro, ma nel camminare con l’altro. Non nel “ti salvo”, ma nel “cresciamo insieme”. Non nel bisogno, ma nella libertà. Non nel riempire un vuoto, ma nel donare un pieno.

L’amore maturo è quello che ci permette di riconoscere l’altro come un mistero distinto dal nostro, e di scegliere la sua presenza come cammino di vita, non come stampella emotiva. Ed è in questo amore — libero, adulto, interdipendente — che la coppia diventa immagine viva della Trinità: unità nella distinzione, comunione senza confusione, dono senza perdita di sé.

Questo è l’amore che dura.
Questo è l’amore che guarisce.
Questo è l’amore che profuma di Vangelo.

Antonio e Luisa

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