Litigate da adulti o da bambini?

Ci sono conflitti di coppia che non nascono da grandi differenze di visione o da problemi oggettivamente irrisolvibili. Nascono piuttosto da un movimento interiore silenzioso: due adulti che, sotto pressione, smettono di abitare la loro maturità e si incontrano nello Stato dell’Io Bambino. È una dinamica molto più frequente di quanto si pensi e, proprio perché spesso inconsapevole, può diventare profondamente logorante.

Quando entrambi i coniugi restano nel Bambino e scivolano nella competizione, il conflitto cambia natura. Non è più un luogo di confronto, né un’occasione di crescita. Diventa una lotta per affermare il proprio dolore, una ricerca di conferme che passa attraverso la contrapposizione. In quei momenti il problema concreto passa in secondo piano: ciò che conta è non perdere, non cedere, non sentirsi meno dell’altro.

L’Analisi Transazionale ci aiuta a dare un nome a ciò che accade, mentre l’esperienza cristiana del matrimonio ci ricorda che ogni crisi può diventare un passaggio di maturazione, se accolta con verità.

Il Bambino interiore di ognuno, in sé, non è il nemico. Anzi. È la parte della persona in cui abitano le emozioni, i bisogni, la sensibilità, la capacità di affidarsi e di gioire. È anche il luogo delle ferite più antiche. Il problema nasce quando, davanti a una frustrazione o a una delusione, questa parte prende il comando senza il sostegno dello Stato Adulto. La nostra parte adulta è quella che sta nel presente, nel qui ed ora.

Nella vita di coppia capita spesso che un litigio esploda in modo sproporzionato rispetto all’evento che lo ha scatenato. Non perché ciò che è accaduto sia davvero così grave, ma perché sotto la superficie si è attivata una competizione tra gli Stati Bambino. Succede soprattutto quando uno o entrambi si sentono trascurati, non ascoltati, non riconosciuti.
È in questo passaggio che il confronto rischia di trasformarsi in una gara. Quando entrambi restano nel Bambino, la discussione smette di riguardare ciò che è successo e diventa una competizione affettiva: chi soffre di più, chi ha dato di più, chi è stato più ferito. Ognuno protegge il proprio dolore come un territorio da non cedere. Ascoltare l’altro diventa pericoloso, perché viene vissuto come una perdita di posizione.
In quei momenti il coniuge, pur essendo la persona più amata, viene percepito interiormente come un avversario, quasi come un “nemico” da cui difendersi. Ed è proprio qui che le parole di Gesù – «amate i vostri nemici» – smettono di essere un ideale astratto e rivelano tutta la loro concretezza. Non parlano solo dei nemici esterni, ma di quel passaggio interiore in cui l’altro, ferendoci, smette di apparirci come alleato. Amare in quel momento non significa negare il dolore, ma scegliere di non reagire secondo la logica della competizione. Significa interrompere la spirale del Bambino ferito e fare spazio a uno sguardo più adulto, capace di custodire la relazione anche quando l’altro ci appare, per un istante, come chi ci sta togliendo qualcosa.

In questa dinamica l’altro non è più un compagno di cammino, ma un rivale. E la relazione, lentamente, si inaridisce. Eppure, sotto questa competizione, c’è quasi sempre un bisogno semplice e profondissimo: essere visti, essere riconosciuti, essere amati. Un bisogno legittimo, che però il Bambino non sa esprimere in modo diretto. Così, invece di dire “ho bisogno che tu mi ascolti”, accusa. Invece di dire “mi sento fragile”, si irrigidisce. Invece di chiedere vicinanza, crea distanza.

È un paradosso che molte coppie conoscono bene: più si cerca amore nel modo sbagliato, più si ottiene l’effetto opposto. Perché allora è così difficile uscire da questa dinamica? Perché, in quel momento, restare nel Bambino sembra più sicuro. Uscirne significa abbassare le difese, rinunciare ad avere ragione, esporsi al rischio di non essere accolti. Il Bambino preferisce una sofferenza conosciuta a una vulnerabilità nuova. E così la coppia resta bloccata, anche quando entrambi stanno male.

Ma una relazione non può crescere se resta prigioniera di questa logica. Due Bambini che competono non costruiscono intimità: accumulano risentimento. La via d’uscita non passa dalla repressione delle emozioni, ma dall’attivazione dello Stato dell’Io Adulto. L’Adulto non nega ciò che il Bambino sente, ma se ne prende cura. Traduce l’emozione in parola, il bisogno in richiesta, la ferita in dialogo. È la parte capace di fermarsi, di fare un passo indietro, di scegliere.

Nel matrimonio cristiano, questo passaggio è anche un atto spirituale. Significa scegliere la comunione invece della rivendicazione, la mitezza invece della reazione impulsiva. Significa credere che il legame vale più dell’ego.

È importante ricordarlo: basta che uno solo dei due rientri nell’Adulto perché la dinamica cambi. Non è debolezza, ma una forma alta di responsabilità e di leadership affettiva. Il cambiamento vero avviene quando la coppia smette di chiedersi chi ha ragione e inizia a domandarsi che cosa sta succedendo tra loro. È lì che il conflitto smette di essere un campo di battaglia e può diventare, lentamente, un luogo di verità.

Il conflitto Bambino–Bambino non è un segno di fallimento, ma un segnale. Dice che ci sono bisogni non ascoltati e ferite che chiedono parola. Crescere come coppia significa imparare a custodire il proprio Bambino interiore senza lasciargli il volante nei momenti decisivi. Perché l’amore maturo non è quello che non litiga mai, ma quello che, anche nel conflitto, smette di competere e torna a scegliersi, ogni giorno.

Antonio e Luisa

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2 Pensieri su &Idquo;Litigate da adulti o da bambini?

  1. Pace in Cristo Gesù, il tema di oggi ” litigare da adulti o da bambini mi tocca profondamente. Esiste un libro sulla guarigione del bambino in noi?

    Grazie

    Cordiali saluti

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