Nazareth: la famiglia, focolare di santità

Si avvicina il Natale e, quando penso alla Famiglia di Nazareth, vedo come Dio, nella pienezza dei tempi, abbia ricostruito attraverso questa piccola famiglia il progetto originario della creazione. Sicuramente Gesù è il nuovo Adamo, ma Giuseppe e Maria, su questa terra, con l’accoglienza del Dio fattosi carne, sono riusciti a rigenerare il progetto di famiglia che era stato distrutto con il peccato originale.

Nella pienezza dei tempi, Dio ha scelto nuovamente due persone umane, Maria e Giuseppe, per ricreare il focolare distrutto dal peccato di Adamo ed Eva. Dio ha voluto suggellare la nuova alleanza, la nuova promessa — Cristo il Salvatore — fidandosi nuovamente dell’uomo per venire alla Luce.

Dio poteva nascere in tanti modi e poteva giungere sulla Terra in tante maniere diverse, ma ha scelto di fidarsi di nuovo dell’uomo. Il Natale ci viene a dire che Dio non ha mai perso la fiducia nell’uomo.

“Colui che ci ha chiamati è fedele, non ci ha chiamati per un tempo, ma per sempre.” — Padre Pancrazio. La speranza, per cui, non risiede nella nostra fiducia in Dio, ma nella fede di Dio nell’uomo. Con il Natale l’uomo aspetta il ritorno di Dio sulla Terra; Dio invece aspetta l’uomo che torni al Cielo.

Per far questo abbiamo bisogno di una scala che congiunga il Cielo alla Terra, e la Famiglia di Nazareth — che la Chiesa ha voluto che si festeggiasse la prima Domenica dopo il Natale — è una scala perfetta per poter giungere a Dio. Maria e Giuseppe ci conducono a Gesù, e Gesù al nostro Padre che è nei cieli.

La famiglia, al centro della creazione, la famiglia ricostruita nel focolare di Nazareth, diventa per cui il luogo santo dove tutti siamo chiamati a passare. Oggi, in un mondo che sta rinnegando la famiglia, che sta cercando in tutti i modi di distruggere questo focolare, dobbiamo avere il coraggio di testimoniarlo con la vita (e poi anche con le parole): che si diventa santi se, e solo se, riusciamo a ricostruire la santità nelle nostre famiglie.

“Se il marito smania di lavare i piedi ai tossici, la moglie si vanta di servire gli anziani, e la figlia maggiore fa ferro e fuoco per andare al terzo mondo come volontaria, ma poi tutte e tre non si guardano in faccia quando stanno in casa, la loro è soltanto una controtestimonianza penosa.” — Don Tonino Bello

La santità delle nostre azioni esterne nasce dalla cura parsimoniosa delle nostre famiglie: da quanto amore, quanta gentilezza, quanta pazienza riusciamo a metterci nei gesti quotidiani. Da questo focolare di amore — come nella piccola famiglia di Nazareth — nasce la Chiesa. Sì, amici: la prima Chiesa, il primo corpo di Cristo, è la Famiglia.

La famiglia è profetica: ci mostra il volto di Cristo sull’umanità; ci mostra come due esseri, all’inizio sconosciuti, decidono di rinunciare alle loro libertà per poter generare nuova vita: una vita non solamente genetica, ma anche spirituale. Io immagino la porta della santa casa sempre semiaperta, pronta ad accogliere in quel focolare domestico tutti i viandanti stanchi. Il Vangelo ci parla della “vita pubblica” di Gesù, ma nulla o poco sappiamo della sua “vita privata”, durata ben trent’anni.

Quante volte Maria avrà accolto la vicina disperata, o Giuseppe avrà aiutato un suo amico in difficoltà economica. Quante volte Gesù avrà giocato con i bambini del vicinato e invitato a passare una giornata in compagnia di Maria e Giuseppe. La santa casa sarà stata, in quei trent’anni, già casa di accoglienza per afflitti e bisognosi, ancor prima che lo diventasse a Loreto. Quanta dolcezza, quanto amore si sarà riversato nella piccola Betlemme da quella umile famigliola.

Che i nostri focolari domestici diventino focolari di carità, dove gli afflitti e gli oppressi di questo mondo possano trovare una santa quotidianità fatta di gesti semplici e generosi. Non abbiamo bisogno di molto per ricreare questo sacro focolare: siamo così distratti dalle luci di questo mondo che pensiamo che solo chi ha tanto economicamente e materialmente può essere di aiuto agli altri. Ma se una famiglia possiede quel piccolo Gesù nel proprio cuore, se possiede un amore fatto di piccole cose e di gesti concreti di amore, ha già tutto per diventare un faro che irradia la luce di Cristo intorno a sé.

E allora, quando ci troveremo in questi giorni davanti alla mangiatoia, facciamoci una domanda semplice: che tipo di focolare sto costruendo io? Non un focolare perfetto, ma un focolare sincero. Un luogo dove ci si chiede perdono, dove si ricomincia, dove ci si guarda negli occhi e ci si benedice, anche quando costa. Il Natale non è solo una luce fuori casa, è una luce dentro casa. È Cristo che chiede spazio nelle nostre stanze, nei nostri silenzi, nelle nostre ferite, nelle nostre abitudini. E quando gli apriamo, anche solo un poco, Lui ricostruisce: ricostruisce il cuore, ricostruisce i legami, ricostruisce la famiglia.

Che Maria e Giuseppe ci insegnino la fedeltà nelle piccole cose, la pazienza dei giorni normali, la forza di un amore che non scappa. E che questo Natale trovi le nostre case non necessariamente “a posto”, ma aperte: aperte a Dio e aperte agli altri. Perché se in un focolare c’è Gesù, anche con poco, c’è già tutto. E da una famiglia che ama così, nasce davvero la Chiesa: una luce che non abbaglia, ma scalda; una luce che non giudica, ma accoglie; una luce che non fa rumore, ma salva.

Daniele Chierico

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