Come Vivere un Natale Sereno da Genitore Separato

E siamo così arrivati alla vigilia di Natale: stanotte è speciale per tutti i bambini, ma lo dovrebbe essere anche per i grandi; forse soprattutto per gli adulti, perché col tempo abbiamo imparato a riempire il Natale di tante cose e abbiamo spesso smesso di farci interrogare davvero da ciò che questa notte rappresenta.

Ho già scritto un mio pensiero su questa festa nell’articolo precedente, lo trovate qui, se siete interessati. Oggi però vorrei soffermarmi su una situazione particolare, che riguarda molte più persone di quante si pensi: chi affronterà il Natale da solo e in modo particolare per chi è separato e che vive quella condizione strana e dolorosa per cui i figli si hanno con sé ad anni alterni, un Natale sì e uno no.

Anch’io quest’anno sarò lontano dalle mie figlie, perché passeranno tutta la settimana con mia moglie. È una realtà con cui, prima o poi, ogni genitore separato deve fare i conti e non è mai semplice, neanche quando si cerca di essere “forti”, maturi, credenti. Conosco però separati che, nonostante tutto, riescono a vivere il Natale insieme al coniuge, proprio per il bene dei figli. A volte si ritrovano la sera della vigilia, altre per il pranzo di Natale: in alcuni casi c’è persino lo scambio dei regali, come se, almeno per qualche ora, la famiglia tornasse a essere riunita.

Penso sinceramente che questa possa essere una cosa molto bella, a patto che non sia forzata, che non crei tensioni e che venga vissuta come un momento sereno, senza recriminazioni, senza allusioni, senza il bisogno di chiarire questioni che non possono essere affrontate in quel giorno.

Non è un tornare indietro, non è fingere di essere ancora una coppia, ma è scegliere consapevolmente di essere ancora genitori insieme (dovrebbe valere anche per chi non è rimasto fedele alla promessa fatta). Qualcuno sostiene che questo comportamento non sia appropriato, perché rischia di “confondere” i figli e di far credere loro che la famiglia si sia magicamente ricomposta: io, invece, penso esattamente il contrario.

I figli non sono stupidi, sanno benissimo che mamma e papà non vivono più insieme. Sanno che ci sono state delle difficoltà, dei dolori, delle scelte, ma vedere i genitori che, almeno per una volta, riescono a stare nella stessa stanza senza farsi la guerra è un messaggio potentissimo: è dire loro, senza tante parole, “Tu sei più importante dei nostri rancori”.

Questo non è fingere, fingere sarebbe far credere che non ci sia stato amore, sarebbe negare che quei figli siano nati da un legame vero, profondo, totale. Fingere sarebbe cancellare la verità che c’è stata fra il tepore di quelle lenzuola, di quell’intimità che ha generato la vita. Il fatto che quell’amore si sia trasformato, ferito o addirittura spezzato, non può cancellare il bene che c’è stato e soprattutto non può eliminare il risultato che ha prodotto: dei figli, che portano impressa nella loro carne la storia dei genitori.

Eppure, spesso, gli adulti fanno una fatica enorme: non riescono a stare qualche ora con il coniuge con cui hanno fatto l’amore per anni, ma riescono senza problemi a partecipare a un meeting di due giorni con un capo ufficio che non sopportano, a una cena aziendale forzata, a una riunione interminabile per “non creare problemi sul lavoro”. È paradossale, ma è così: il lavoro non deve essere danneggiato, i figli invece… si arrangino.

Questa dinamica emerge in modo ancora più evidente nelle feste religiose dei figli. Quante volte mi capita di leggere discussioni in cui genitori separati chiedono: “Come facciamo per la prima comunione?”. E la risposta più frequente è il pranzo con la mamma e la cena con il papà o viceversa: due feste, due torte, due gruppi di parenti.

Ma ci rendiamo conto dell’assurdità del messaggio che si trasmette? È la festa della Prima Comunione, un Sacramento, l’incontro con Gesù e il messaggio chiaro che trasmettiamo è che la divisione è più forte di tutto e che neanche davanti all’Eucaristia si riesce a fare uno sforzo di unità, almeno per qualche ora.

Poi però ci stupiamo se quei figli, crescendo, si allontanano dalla Chiesa, se non vogliono più andare a Messa, se vivono la fede come qualcosa d’ipocrita o di vuoto. Forse hanno semplicemente capito che, per noi adulti, non era poi così importante e che non ci credevamo minimamente.

Il Natale, in fondo, è molto simile a ciò che vivono tante famiglie oggi: niente è perfetto, ma proprio lì Dio decide di entrare. Gesù nasce in una mangiatoia, non in una casa accogliente, nasce nel silenzio e nella povertà, in una famiglia che deve lottare, scappare e che non comprende tante cose che succedono.

Questo dovrebbe dire qualcosa anche a noi, soprattutto a chi vivrà il Natale nella solitudine, a chi avrà una casa silenziosa, a chi sentirà la mancanza dei figli in modo quasi fisico, a chi farà fatica persino ad apparecchiare la tavola. Non sempre è possibile stare insieme, ci sono situazioni troppo complesse, ferite ancora sanguinanti, rapporti talmente deteriorati che un incontro sarebbe solo distruttivo; anche per me non è mai stata una soluzione percorribile.

Il Natale non chiede perfezione, chiede verità e la verità, a volte, passa anche attraverso una solitudine offerta, una nostalgia portata davanti a Dio, una ferita che non viene nascosta. Gesù nasce anche lì, nasce in quella casa vuota, nasce in quel padre che guarda il telefono sperando in un messaggio dei figli, nasce in quella madre stanca che cerca di tenere insieme tutto, nasce dove c’è povertà, non dove tutto è in ordine.

Auguro a tutti, soprattutto a chi farà più fatica, un Natale vero e sereno: non un Natale da cartolina, non un Natale perfetto, ma un Natale in cui permettiamo a Dio di entrare proprio dove fa più male, perché è lì che Lui ha scelto di nascere. Buon Natale!

Ettore Leandri (Presidente Fraternità Sposi per Sempre)

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