Inizio oggi una serie di articoli per trattare le emozioni. Nel cammino personale, relazionale e spirituale c’è un passaggio decisivo che spesso viene sottovalutato: imparare a riconoscere le emozioni autentiche, chiamate in Analisi Transazionale anche emozioni primarie. Sono emozioni di base, universali, presenti in ogni essere umano: gioia, tristezza, rabbia, paura, disgusto e sorpresa. Non dipendono dal carattere, dall’educazione ricevuta o dal livello di maturità spirituale. Appartengono all’essere umano in quanto tale e precedono ogni costruzione culturale, morale o religiosa. Eppure, paradossalmente, sono proprio le emozioni che più fatichiamo a sentire e a nominare.
In Analisi Transazionale un’emozione autentica non coincide mai con l’impulsività o con una reazione incontrollata. Ha caratteristiche precise: è proporzionata alla situazione che la genera, è temporanea, non invade tutta la persona e orienta all’azione sana. La rabbia autentica segnala che un confine è stato violato; la tristezza autentica segnala una perdita; la paura autentica protegge la vita; la gioia autentica nasce dall’incontro vero; la sorpresa autentica ci rende disponibili all’azione inattesa di Dio e dell’altro; il disgusto autentico custodisce la dignità, aiutandoci a dire un no sano a ciò che non è buono per noi. Se ascoltate, le emozioni autentiche non distruggono, ma orientano. Il problema nasce quando non le riconosciamo o quando le sostituiamo con qualcos’altro.
Molti di noi non sono stati educati a sentire le emozioni, ma ad adattarsi. Da bambini abbiamo imparato molto presto che alcune emozioni non erano accettabili, non erano benvenute o mettevano a rischio il legame con le persone importanti. Così abbiamo iniziato a sostituirle.
In Analisi Transazionale queste sostituzioni si chiamano emozioni parassite: emozioni apprese, emozioni “di copertura”, che prendono il posto di quelle autentiche perché più sicure dal punto di vista relazionale. Succede allora che al posto della tristezza mostriamo rabbia, al posto della paura mostriamo controllo, al posto del bisogno mostriamo autosufficienza, al posto del dolore mostriamo distacco o ironia. Non è una colpa, è una strategia di sopravvivenza. Ma ciò che ci ha protetti da piccoli, da adulti spesso ci allontana da noi stessi e dagli altri.
Dal punto di vista cristiano questo tema è centrale, anche se spesso frainteso. La fede cristiana afferma l’unità della persona: corpo, psiche e spirito non sono compartimenti separati. Se Dio si è fatto carne, allora anche le emozioni diventano luogo di rivelazione. Nei Vangeli Gesù non appare mai emotivamente anestetizzato.
Davanti alla tomba di Lazzaro «Gesù scoppiò in pianto» (Gv 11,35): tristezza autentica, non trattenuta, non negata. Di fronte alla durezza dei cuori «guardandoli tutt’intorno con indignazione, rattristato per la durezza del loro cuore» (Mc 3,5), Gesù mostra una rabbia limpida, che nasce dall’amore ferito, non dal bisogno di dominare. Nell’orto degli ulivi prova paura e angoscia: «La mia anima è triste fino alla morte» (Mc 14,34), e chiede che il calice passi, mostrando che la paura autentica non è mancanza di fede, ma espressione piena dell’umanità.
Allo stesso tempo Gesù conosce una gioia profonda e condivisa: «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,11). Il disgusto autentico emerge quando Gesù smaschera ciò che è falsità e ipocrisia, come davanti ai sepolcri imbiancati e al tempio trasformato in mercato (cf. Mt 23,27; Gv 2,15-16): non disprezzo delle persone, ma rifiuto netto di ciò che corrompe la relazione con Dio e con l’uomo. Persino la sorpresa attraversa i Vangeli, quando Gesù si meraviglia della fede del centurione (Mt 8,10) o dell’incredulità dei suoi (Mc 6,6). Gesù vive emozioni autentiche, non emozioni parassite. Non le nega, non le moralizza, non le spiritualizza per difendersi.
Questo ha conseguenze enormi per la vita di coppia. Molti conflitti non nascono perché “non ci amiamo più”, ma perché non sappiamo più dirci l’emozione autentica. Dietro una rabbia aggressiva spesso si nasconde la paura di non contare, la tristezza per una distanza, il bisogno di essere riconosciuti. Quando una persona riesce a dire l’emozione vera, accade qualcosa di potente: l’altro non si sente più attaccato, ma coinvolto. L’emozione autentica non accusa, espone. E dove c’è esposizione vera, può nascere l’incontro.
Riconoscere le emozioni autentiche non è una tecnica psicologica da applicare né un esercizio di introspezione fine a se stesso. È un cammino di verità che tocca la storia personale, il Bambino interiore, la relazione e anche la fede. Dio non ci chiede di essere forti, ma di essere veri. Questo articolo vuole essere solo un’introduzione. Nei prossimi entreremo, una per una, nelle emozioni autentiche per comprenderle, riconoscerle e imparare a viverle senza distruggere noi stessi o la relazione. Perché la maturità emotiva non è smettere di sentire, ma sentire bene. E da lì, finalmente, amare meglio.
Antonio e Luisa
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