Un sacco piccolo ma abitato

Dai «Discorsi» di san Bernardo, abate (Disc. 1 per l’Epifania, 1-2; PL 133, 141-143) Si sono manifestate la bontà e l’umanità di Dio Salvatore nostro (cfr. Tt 2, 11). […] Dio Padre ha inviato sulla terra un sacco, per così dire, pieno della sua misericordia; un sacco che fu strappato a pezzi durante la passione perché ne uscisse il prezzo che chiudeva in sé il nostro riscatto; un sacco certo piccolo, ma pieno, se ci è stato dato un Piccolo (cfr. Is 9, 5), in cui però «abita corporalmente tutta la pienezza della divinità» (Col 2, 9). Quando venne la pienezza dei tempi, venne anche la pienezza della divinità. […] Nulla mostra maggiormente la sua misericordia che l’aver egli assunto la nostra stessa miseria. Signore, che è quest’uomo perché ti curi di lui e a lui rivolga la tua attenzione? (cfr. Sal 8, 5; Eb 2, 6). Da questo sappia l’uomo quanto Dio si curi di lui, e conosca che cosa pensi e senta nei suoi riguardi. Non domandare, uomo, che cosa soffri tu, ma che cosa ha sofferto lui. Da quello a cui egli giunse per te riconosci quanto tu valga per lui, e capirai la sua bontà attraverso la sua umanità. Come si è fatto piccolo incarnandosi, così si è mostrato grande nella bontà; e mi è tanto più caro quanto più per me si è abbassato. Si sono manifestate – dice l’Apostolo – la bontà e l’umanità di Dio nostro Salvatore (cfr. Tt 3, 4). Grande certo è la bontà di Dio e certo una grande prova di bontà egli ha dato congiungendo la divinità con l’umanità.

Nell’Ottava del Santo Natale la Chiesa ci offre approfondimenti sul mistero dell’Incarnazione tratta da vari santi, e così facendo ci insegna un metodo che questo mondo moderno ha dimenticato: la contemplazione. La modernità ci ha abituati al tutto e subito, ci vuole assuefatti al vivere al 100% le emozioni (cosa che fanno i bimbi piccoli) quali che esse siano… se questa mattina è Natale allora che festa sia, se il pomerigggio sei triste per un motivo qualsiasi allora vivi la tristezza del momento; oggi sei incavolato col vicino e allora che arrabbiatura sia, se il giorno dopo sei contento perché arriva il pacco di Amazon tanto aspettato allora evviva il pacco, nel frattempo resti arrabbiato col vicino ma con la gioia del pacco di Amazon, e via di questo passo. Senza tregua da un’emozione all’altra, da uno stato d’animo all’altro in un battibaleno, da un selfie all’altro senza far funzionare più nemmeno la memoria visiva di quegli attimi perché tanto li puoi rivedere sul cellulare.

Ma l’uomo ha bisogno di vivere con tutto se stesso, il cuore dell’uomo ha bisogno di starci dentro alle esperienze, ha bisogno di sedimentare nell’animo le cose fondamentali e belle della vita, di farle proprie, ha bisogno di nutrire cuore, corpo e anima, non ha bisogno del mordi e fuggi… questo lo fanno le galline beccando ora qui ora là con disinvoltura poiché per esse non fa differenza il “qui” o il “là”.

La Chiesa ci è madre e conosce bene il cuore dell’uomo, per questo ci insegna la via della contemplazione, la via del sedimentare, la via del serbare nel silenzio del cuore (alla stregua di Maria), la via del custodire nel segreto dell’anima… è la via che ci insegnano i santi, quella cioè della continua commemorazione, del continuo ri-cordare : deriva dal latino recordāri, formato dal prefisso re- (di nuovo, indietro) e cor, cordis, che significa “cuore”; letteralmente “ricordare” significa “richiamare al cuore”.

E cosa dobbiamo richiamare al cuore in questi giorni dell’Ottava? Il grande mistero dell’Incarnazione, esso è talmente grande che non potremo mai conoscerlo fino in fondo, perciò è necessario riportare al cuore giorno dopo giorno un aspetto del mistero che abbiamo celebrato. La Chiesa fa sempre così: non aspetta che l’uomo sia pronto (non lo sarà mai abbastanza) per celebrare un mistero poiché è infinito mentre la nostra natura è finita, ma glielo offre subito come realtà presente che salva, da accogliere e celebrare ma che poi ha bisogno giorno dopo giorno di essere assorbita e contemplata e vissuta.

Del resto noi sposi ne siamo un esempio vivo, la Chiesa non ci ha donato il Sacramento del Matrimonio come un premio alla fine di un percorso, alla stregua di una patente, ma ce lo ha offerto subito come realtà salvante all’inizio del percorso matrimoniale. Spetta a noi sposi poi il compito di non abbandonare questo dono nello scaffale dei dimenticati, di non lasciarlo lì ad accumulare la polvere, spetta a noi la fatica del ri-cordare continuamente il dono ricevuto.

Da quello a cui egli giunse per te riconosci quanto tu valga per lui, e capirai la sua bontà attraverso la sua umanità. San Bernardo qui ci insegna a guardare al nostro coniuge con questi occhi: riconoscere il valore del mio coniuge con gli occhi di quel Dio che si fa bambino pur di salvarci… Nulla mostra maggiormente la sua misericordia che l’aver egli assunto la nostra stessa miseria.

Con questo sguardo nel cuore, giorno dopo giorno, riusciamo a contemplare non solo la bellezza del coniuge che il Signore ci ha consegnato, ma anche la grandiosità di un Dio che preferisce farsi piccolo pur di abitare nel cuore degli uomini.

Dio Padre ha inviato sulla terra un sacco, per così dire, pieno della sua misericordia; un sacco che fu strappato a pezzi durante la passione perché ne uscisse il prezzo che chiudeva in sé il nostro riscatto; un sacco certo piccolo, ma pieno, se ci è stato dato un Piccolo (cfr. Is 9, 5), in cui però «abita corporalmente tutta la pienezza della divinità».

Noi sposi sacramentati siamo presenza reale di Gesù l’uno per l’altra ed insieme per il mondo, dobbiamo quindi vivere come se fossimo quel sacco a cui allude san Bernardo, un sacco certamente piccolo, talmente piccolo da voler abitare in due sposi fragili ed imperfetti, ma un sacco che contiene un Dio vivo, una presenza che salva.

Coraggio sposi, sfruttiamo questi giorni dell’Ottava di Natale per aprire questo sacco.

Giorgio e Valentina

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