Capaci per la Sua potenza

Dalla «Lettera a Diognèto» (Cap. 8, 5 – 9, 6; Funk 1, 325-327) […] Dopo aver tutto disposto dentro di sé assieme al Figlio, permise che noi fino al tempo anzidetto rimanessimo in balia d’istinti disordinati e fossimo trascinati fuori della retta via dai piaceri e dalle cupidigie, seguendo il nostro arbitrio. Certamente non si compiaceva dei nostri peccati, ma li sopportava; neppure poteva approvare quel tempo d’iniquità, ma preparava l’era attuale di giustizia, perché, riconoscendoci in quel tempo chiaramente indegni della vita a motivo delle nostre opere, ne diventassimo degni in forza della sua misericordia, e perché, dopo aver mostrato la nostra impossibilità di entrare con le nostre forze nel suo regno, ne diventassimo capaci per la sua potenza. […]

Nell’Ufficio di qualche giorno fa, ci è stato proposto uno stralcio di questa “Lettera a Diogneto”, dal quale noi abbiamo estrapolato solo qualche riga che ci aiuterà nella riflessione odierna.

Non è raro per noi incontrare coppie che ci confidano le proprie debolezze di singoli o di coppia, le proprie incapacità a far decollare il proprio matrimonio e, spesso, ci troviamo spiazzati al primo momento. Quando in una coppia sorgono problemi non bisogna aver paura di andare da qualcuno, poiché questo qualcuno esterno alla coppia è libero da coinvolgimenti affettivi, libero anche da dinamiche interne alla coppia che rendono il suo sguardo sulla situazione più lucido.

Dopo un primo momento spiazzante bisogna prendersi un poco di tempo per analizzare con calma varie questioni. Per gli sposi questo primo momento potrebbe sembrare come una montagna invalicabile, potrebbe spaventare un po’, ma la paura a volte tira brutti scherzi, perciò è necessario astenersi da giudizi affrettati e mettersi in una condizione di ascolto. Essa è una condizione che va oltre il mero udire, e richiede anche l’adesione del cuore.

Di solito noi non cominciamo mai col dispensare consigli e/o tattiche di comunicazione tra i due e/o strategie per far funzionare la coppia, la prima cosa che facciamo è quella di ricordare ai due proprio che sono in due, cioè che sono una coppia, che sono un sacramento vivente, che Dio li ha pensati insieme fin dall’eternità per essere il Suo amore incarnato maschile per lei e femminile per lui.

Cari sposi, il nostro impegno deve essere il massimo possibile, ma da soli non combineremmo niente (cfr. Gv 15.5 : “[…]senza di me non potete far nulla“), ci vuole la potenza salvifica di Dio Amore, la potenza del Santo Spirito che infonde nella nostra umanità maschile e femminile il Suo Amore, ci vuole la Redenzione operata dal Figlio che porta su di sè i nostri peccati e ci trasferisce nel Suo Regno: dopo aver mostrato la nostra impossibilità di entrare con le nostre forze nel suo regno, ne diventassimo capaci per la sua potenza.

Tutto questo non è indolore, però è possibile, con Lui l’impossibile diventa possibile, con la Sua potenza un marito burbero diventa una fonte di tenerezza, una sposa acida diventa amabile. Questi miracoli sono Grazie del Sacramento del Matrimonio che la Madonna non vede l’ora di spandere su noi sposi.

Coraggio! Manca poco al Natale.

Giorgio e Valentina

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Una promessa con una premessa

Dal «Commento sui salmi» di sant’Agostino, vescovo ​(Sal 109, 1-3; CCL 40, 1601-1603) ​Dio stabilì un tempo per le sue promesse e un tempo per il compimento di esse. Dai profeti fino a Giovanni Battista fu il tempo delle promesse; da Giovanni Battista fino alla fine dei tempi è il tempo del loro compimento. Fedele è Dio, che si fece nostro debitore non perché abbia ricevuto qualcosa da noi, ma perché ci ha promesso cose davvero grandissime. Pareva poco la promessa: Egli volle vincolarsi anche con un patto scritto, come obbligandosi con noi con la cambiale delle sue promesse, perché, quando cominciasse a pagare ciò che aveva promesso, noi potessimo verificare l’ordine dei pagamenti. Dunque il tempo dei profeti era di predizione delle promesse. […]. Ma era poco per Dio fare del suo Figlio colui che indica la strada: rese lui stesso via, perché tu camminassi guidato da lui sul suo stesso cammino.

Sovente troviamo nell’Ufficio testi di sant’Agostino e, come sempre, ci illuminano con la sapienza ed insieme la semplicità con cui sono esposte le verità della nostra fede divina, e sembra proprio che per santi di questo calibro risulti assai semplice rendere fruibile ai comuni fedeli la lettura di così alte intuizioni teologiche.

Il fulcro della nostra riflessione di oggi è sul tema della promessa di Dio, ovviamente Agostino si concentra sulla promessa del tanto atteso Messia, e la Chiesa non può che aiutarci nell’Avvento con letture di questo genere, ma noi vogliamo ricordare altre promesse legate alla seconda parte del testo che abbiamo riportato.

La promessa a cui ci riferiamo è quella che riguarda il sacramento del Matrimonio, ma non è quella che i due fidanzati si scambiano diventando così neosposi, insomma non è quella che si legge in chiesa, non è la formula del consenso anche se in realtà parte da lì. Il consenso infatti ad un certo punto recita così : “con la Grazia di Cristo, prometto di…”, come a dire che io, uomo o donna, prometto sì ma con la Grazia di Cristo, cioè non voglio essere da solo o da sola in questa promessa, non sarò l’unico attore di questa promessa, non voglio tutto sulle mie spalle, non è solo una promessa umana, ma una promessa con una premessa che è la Grazia di Cristo.

Se proviamo a dirla col suo significato contrario si capisce molto meglio: senza la Grazia di Cristo non voglio promettere... gli sposi sacramentati quindi non si arrischiano a promettere qualcosa che sanno benissimo di non riuscire a mantenere con le sole forze umane.

E qual è dunque la promessa di Dio? La grazia sacramentale, cioè la promessa di aiutare gli sposi con ogni mezzo necessario per vivere la loro condizione di sposi. Gli sposi sacramentati hanno la sicurezza di ricevere da parte del Signore tutti gli aiuti per affrontare le varie prove che la loro condizione di vita necessita, in ogni ambito ed in ogni situazione storica. Cari sposi, abbiamo un’assicurazione sulla vita nel vero senso della parola, coraggio!

Giorgio e Valentina

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Un’elemosina sui generis

Dai «Discorsi» di san Gregorio Nazianzeno, vescovo ​(Disc. 45, 9. 22. 28; PG 36, 634-635. 654. 658-659. 662) Il Verbo stesso di Dio, […] colui che è termine del Padre e sua Parola viene in aiuto alla sua propria immagine e si fa uomo per amore dell’uomo. Assume un corpo per salvare il corpo, e per amore della mia anima accetta di unirsi ad un’anima dotata di umana intelligenza. Così purifica colui al quale si è fatto simile. Ecco perché è divenuto uomo in tutto come noi, tranne che nel peccato. Fu concepito dalla Vergine, già santificata dallo Spirito Santo nell’anima e nel corpo per l’onore del suo Figlio e la gloria della verginità. Dio, in un certo senso, assumendo l’umanità, la completò, quando riunì nella sua persona due realtà distanti fra loro, cioè la natura umana e la natura divina. Questa conferì la divinità e quella la ricevette. Colui che dà ad altri la ricchezza si fa povero. Chiede in elemosina la mia natura umana perché io diventi ricco della sua natura divina. E colui che è la totalità si spoglia di sé fino all’annullamento. Si priva, infatti, anche se per breve tempo, della sua gloria, perché io partecipi della sua pienezza. Oh sovrabbondante ricchezza della divina bontà! Ma che cosa significa per noi questo grande mistero? Ecco: io ho ricevuto l’immagine di Dio, ma non l’ho saputa conservare intatta. Allora egli assume la mia condizione umana per salvare me, fatto a sua immagine, e per dare a me, mortale, la sua immortalità. […]

Questo è un estratto dall’Ufficio che la Chiesa ci offre oggi, anche se molto articolato e più lungo desideriamo soffermarci su un paio di espressioni che ci possano aiutare nel cammino matrimoniale.

Come ben sappiamo, il corpo ricopre un ruolo centrale nel cristianesimo, i riferimenti al corpo sono molteplici sia nelle analogie che si trovano all’interno della Bibbia sia nel Catechismo così come nella Tradizione, basti pensare che quando andiamo a ricevere l’Eucarestia il sacerdote ce la presenta con le parole: “Corpo di Cristo”; oppure basti pensare all’analogia della Chiesa come corpo mistico di Cristo, e così via fino alla recente e famosa “Teologia del corpo” di san Giovanni Paolo II.

Vogliamo solo fissare un paio di concetti sui quali offrire spunti di riflessione in questo inizio di Avvento: immagine di Dio ed elemosina di Dio.

San Gregorio Nazianzeno ci esorta così: Ma che cosa significa per noi questo grande mistero? Ecco: io ho ricevuto l’immagine di Dio, ma non l’ho saputa conservare intatta. Allora egli assume la mia condizione umana per salvare me, fatto a sua immagine, e per dare a me, mortale, la sua immortalità. Senza dilungarci troppo ci basti per ora ricordare che ognuno di noi è fatto ad immagine di Dio anche nel corpo, ma siccome la condizione maschile non è abbastanza per rendere l’immagine di Dio, ecco che il Creatore ha voluto donare all’umanità anche il femminile, come a dire che ognuno dei due sessi non basta a sè stesso per manifestare e significare la comunione che c’è in Dio, per raccontare l’amore che scorre all’interno della Trinità non è sufficiente un solo sesso, poiché il maschile necessita di un “alter” a cui donarsi ed il femminile necessita di un “alter” da accogliere, solo in questa meravigliosa differenza si scopre la comunione totale.

E allora il problema dove sta? Sta nella caducità della condizione umana post-peccato originale, sta nella ferita (concupiscenza) che ancora ci vuol piegare al peccato, quella ferita che ci fa tendere ad essere immagine di noi stessi, sciupando, deteriorando, ferendo, disonorando così la “imago Dei” che siamo noi, non solo noi come singole persone, ma ancor di più quella immagine di comunione di cui sopra, l’immagine più palpabile che abbiamo sotto gli occhi che è la coppia di sposi sacramentati.

Coraggio sposi, in questo Avvento riscopriamo il cammino per ritrovare quella “imago Dei” che siamo come sposi, Lui si è reso mortale per dare a noi, anche noi intesi come sposi, la Sua immortalità!

San Gregorio Nazianzeno spiega anche: Colui che dà ad altri la ricchezza si fa povero. Chiede in elemosina la mia natura umana perché io diventi ricco della sua natura divina. Cosa interessa al mondo un dio che si fa povero, addirittura un dio che chiede elemosina? Al mondo niente, ma agli sposi cristiani interessa eccome. Spesso sentiamo parlare di vari statagemmi per uscire dall’empasse di coppia, di vari suggerimenti dal taglio psico-relazionale che vogliono invitarci a cambiare stile di relazione, ci sono tanti libri cristiani e tanti bravi esperti nelle varie discipline che c’è solo l’imbarazzo della scelta, sono tutte occasioni di Grazia per far rinascere la coppia, ma se alla base non c’è l’elemosina di cui parla san Gregorio… campa cavallo che l’erba cresce.

Potranno migliorare i nostri rapporti di coppia, la nostra relazione potrà rifiorire, ma avrà poi il sapore di eternità? Per farlo bisogna che noi mettiamo in atto quei comportamenti di rinascita o di rinnovamento avendo nel cuore l’elemosina della propria umanità al Signore, altrimenti resta solo un bell’amore umano, solo orizzontale.

Quando per esempio il marito decide di smetterla di lamentarsi perché in casa non si fa tutto come e quando decide lui, e comincia a chiedere alla moglie cosa fare per renderla felice oggi… è proprio mettendo in atto questo cambiamento radicale che col cuore deve fare quella elemosina di cui sopra. Similmente quando la moglie decide per esempio di accogliere teneramente il marito quando rientra stressato dal lavoro invece che stargli alla larga e salutarlo come si saluta un collega, ecco che nel fare questo deve fare quella elemosina della propria umanità al Signore.

Cari sposi, questo Avvento è un’occasione di Grazie per imparare questa elemosina sui generis, che in realtà, a pensarci bene assomiglia più ad un investimento. Coraggio!

Giorgio e Valentina

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Per amare bisogna sporcarsi le mani

Dalle «Omelie» attribuite a san Macario, vescovo (Om. 28; PG 34, 710-711) […] Una casa, non più abitata dal padrone, rimane chiusa e oscura, cadendo in abbandono; di conseguenza si riempie di polvere e di sporcizia. Nella stessa condizione è l’anima che rimane priva del suo Signore. Prima tutta luminosa della sua presenza e del giubilo degli angeli, poi si immerge nelle tenebre del peccato, di sentimenti iniqui e di ogni cattiveria. […] Guai alla terra priva del contadino che la lavori! Guai alla nave senza timoniere! Sbattuta dai marosi e travolta dalla tempesta, andrà in rovina. Guai all’anima che non ha in sè il vero timoniere, Cristo! Avvolta dalle tenebre di un mare agitato e sbattuta dalle onde degli affetti malsani, sconquassata dagli spiriti maligni come da un uragano invernale, andrà miseramente in rovina. […] Guai a quell’anima che non avrà Cristo in sè! Lasciata sola, comincerà ad essere terreno fertile di inclinazioni malsane e finirà per diventare una sentina di vizi. Il contadino, quando si accinge a lavorare la terra, sceglie gli strumenti più adatti e veste anche l’abito più acconcio al genere di lavoro. Così Cristo, re dei cieli e vero agricoltore, venendo verso l’umanità, devastata dal peccato, prese un corpo umano, e, portando la croce come strumento di lavoro, dissodò l’anima arida e incolta, ne strappò via le spine e i rovi degli spiriti malvagi, divelse il loglio del male e gettò al fuoco tutta la paglia dei peccati. La lavorò così col legno della croce e piantò in lei il giardino amenissimo dello Spirito. Esso produce ogni genere di frutti soavi e squisiti per Dio, che ne è il padrone. 

Abbiamo pubblicato alcune frasi del testo presente nell’Ufficio di domani, anche se ad una prima lettura superficiale potrebbe sembrare una sorta di spauracchio, in realtà vedremo che non è proprio così. Bisogna anche tener conto del fatto che l’omelia è scritta da un vescovo, e quindi è animato dallo zelo per le anime a lui affidate (Vescovo di Gerusalemme dal 313 al 334) per difenderle dall’eresia dell’arianesimo contro la quale lui combatte energicamente, avrà infatti un ruolo fondamentale nella prima stesura del Credo nel Concilio di Nicea del 325. Ecco quindi spiegato il motivo del tipo di linguaggio utilizzato da san Macario, un linguaggio che lungi dall’essere crudele, vuole invece sedurre l’anima alla sequela di Cristo adducendo vari esempi dalla vita ordinaria.

Con vari esempi che non hanno bisogno di spiegazione, san Macario ci sprona ad avere cura della nostra anima, per innalzare la nostra umanità a quella del Figlio di Dio, ma è verso la fine del testo che vogliamo concentrare la nostra riflessione.

Il contadino, quando si accinge a lavorare la terra, sceglie gli strumenti più adatti e veste anche l’abito più acconcio al genere di lavoro. Così Cristo, re dei cieli e vero agricoltore, venendo verso l’umanità, devastata dal peccato, prese un corpo umano, e, portando la croce come strumento di lavoro

Cari sposi, il Signore non ha avuto schifo a mescolarsi con gli umani. Lui che è adorato in Paradiso da tutte le schiere degli angeli e dei santi, a Lui si protrano, Lui che è il Signore dei Signori, il Re dei Re, Lui che è il padrone della Creazione, Lui che è Dio e poteva escogitare qualsiasi mezzo per salvarci dalla nostra condizione di peccato, non si è sdegnato di farsi uno di noi.

Gesù non ha paura di sporcarsi le mani per salvarci, è uno che non solo ci mette la faccia, ci mette tutto se stesso. Ma chi gliel’ha fatto fare? Poteva starsene tranquillo sulle sue “nuvolette” a guardare gli umani dall’alto, ed invece no.

I genitori che hanno cambiato tanti pannolini sanno cosa vuol dire sporcarsi le mani per “salvare” il proprio piccolo, ma lo sanno anche quelli che assistono i genitori anziani o i malati che non sono autosufficienti. Per amare bisogna sporcarsi le mani.

Cari sposi, quando avvertite che il vostro matrimonio ha bisogno di cure, quando vi accorgete che la vostra relazione sta marcendo, non abbiate paura di andare da Colui che non ha schifo di sporcarsi le mani con i nostri peccati, con le nostre fragilità, con le nostre debolezze.

Andiamo da Lui come fa il bimbo col pannolino sporco, senza vergogna, ma con la verità del nostro pannolino sporco, solo così potrà salvare la nostra relazione, il nostro matrimonio, solo guardando dentro il nostro pannolino. Coraggio sposi, questo ci insegna anche lo stile di amore che dobbiamo scambiarci. Per amare bisogna sporcarsi le mani.

Giorgio e Valentina

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Come una scossa elettrica

Dai «Discorsi» di sant’Agostino ​(Disc. 21, 1-4; CCL 41, 276-278) «Il giusto gioirà nel Signore e riporrà in lui la sua speranza, i retti di cuore ne trarranno gloria» (Sal 63, 11). […] Ora dunque amiamo nella speranza. […] Ecco perché la Scrittura dice: «Il giusto gioirà nel Signore» e subito dopo, perché questi ancora non vede la realtà, essa aggiunge: «e riporrà in lui la sua speranza».  Abbiamo tuttavia le primizie dello spirito e forse già qualcosa di più. Infatti già ora siamo vicini a colui che amiamo. Già ora ci viene dato un saggio e una pregustazione di quel cibo e di quella bevanda, di cui un giorno ci sazieremo avidamente. Ma come potremo gioire nel Signore, se egli è tanto lontano da noi? Lontano? No. Egli non è lontano, a meno che tu stesso non lo costringa ad allontanarsi da te. Ama e lo sentirai vicino. Ama ed egli verrà ad abitare in te.  «Il Signore è vicino: non angustiatevi per nulla» (Fil 4, 5-6). Vuoi vedere come egli sta con te, se lo amerai? «Dio è amore» (1 Gv 4, 8). Ma tu vorrai chiedermi: che cos’è l’amore? L’amore è la virtù per cui amiamo. Che cosa amiamo? Un bene ineffabile, un bene benefico, il bene che crea tutti i beni. Lui stesso sia la tua delizia, poiché da lui ricevi tutto ciò che è causa del tuo diletto. Non parlo certo del peccato. Infatti solo il peccato tu non ricevi da lui. Eccetto il peccato, tu hai da lui tutte le altre cose che possiedi.

Questo è uno stralcio di ciò che si leggerà domani nell’Ufficio divino, ed è un bellissimo invito a rallegrarci, a gioire nel Signore, ad esultare nello Spirito Santo, a patto della rettitudine del cuore. Quando la Bibbia menziona il cuore non intende parlare della sede dei sentimenti e degli affetti, piuttosto intende il cuore come la sede della volontà, la sede in cui si decide come orientare il proprio libero arbitrio.

Ecco quindi che i “retti di cuore” sono coloro che hanno una volontà integra moralmente, incorruttibile, seria e decisa per la libertà, ovvero per il bene, per il Bene supremo. Ma siccome la realtà del Paradiso è un bene futuro mentre noi viviamo ancora nel tempo, il Signore per non scoraggiarci ci dà una sorta di antipasto, spiega sant’Agostino: Già ora ci viene dato un saggio e una pregustazione di quel cibo e di quella bevanda, di cui un giorno ci sazieremo avidamente.

Non di rado ci succede di incontrare coppie di sposi angustiati per le tribolazioni che stanno vivendo, quasi come attori passivi di una realtà che li soffoca. Non intendiamo di certo sminuire le situazioni di grande disagio e tribolazione, vogliamo invece aiutare ad avere uno sguardo più ampio, come una sorta di respiro di recupero, una specie di pausa momentanea anche se di pochi istanti, nella quale almeno intuire che l’orizzonte è molto di più della tribolazione che si sta vivendo ora.

E’ san Paolo che ci esorta «Il Signore è vicino: non angustiatevi per nulla» (Fil 4, 5-6). Qualcuno potrebbe commentare che è facile a dirsi (o scriverlo) ma difficile viverlo sulla propria pelle, ed è proprio qui il punto: sulla propria pelle, cioè nella propria vita, nella propria situazione contingente, non nel mondo dorato di certi cartoni animati odierni in cui il dolore non esiste.

Cari sposi, la modernità ci vuole ammaestrati ad usare il sentire come metro di misura per la vita : ogni scelta giusta o sbagliata che sia per il mondo va bene purché sia “sentita”, non esiste più il male ed il bene, ma esiste solo ciò che senti sia giusto sbagliato. Come fare allora a sentire il Signore vicino? Che metro di misura serve?

Sant’Agostino ci insegna che: Egli non è lontano, a meno che tu stesso non lo costringa ad allontanarsi da te. Ama e lo sentirai vicino. Ama ed egli verrà ad abitare in te. Anche qui bisogna intendersi su cosa sia amare, ed il santo continua: Che cos’è l’amore? L’amore è la virtù per cui amiamo. Che cosa amiamo? Un bene ineffabile, un bene benefico, il bene che crea tutti i beni. Lui stesso sia la tua delizia, poiché da lui ricevi tutto ciò che è causa del tuo diletto. Non parlo certo del peccato. Infatti solo il peccato tu non ricevi da lui. Eccetto il peccato, tu hai da lui tutte le altre cose che possiedi.

Vogliamo Dio vicino? Cominciamo ad obbedire al comando di amarci gli uni gli altri com Lui ci ha amato e ne vedremo delle belle. Da dove cominciare? Dalla propria casa, dal proprio matrimonio, dentro nella relazione marito e moglie deve scorrere l’amore di Cristo come fosse una continua corrente elettrica, chi viene in contatto con noi dovrebbe prendere la scossa. Coraggio.

Giorgio e Valentina

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Stirpe regale

Dai «Discorsi» di san Leone Magno, papa (Disc. 4, 1-2; PL 54, 148-149) […] Lo afferma l’apostolo Pietro: «Anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo» (1 Pt 2, 5), e più avanti: «Ma voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato» (1 Pt 2, 9). Tutti quelli che sono rinati in Cristo conseguono dignità regale per il segno della croce. Con l’unzione dello Spirito Santo poi sono consacrati sacerdoti. Non c’è quindi solo quel servizio specifico proprio del nostro ministero, perché tutti i cristiani sono rivestiti di un carisma spirituale e soprannaturale, che li rende partecipi della stirpe regale e dell’ufficio sacerdotale. Non è forse funzione regale il fatto che un’anima, sottomessa a Dio, governi il suo corpo? Non è forse funzione sacerdotale consacrare al Signore una coscienza pura e offrirgli sull’altare del cuore i sacrifici immacolati del nostro culto? Per grazia di Dio queste funzioni sono comuni a tutti. […]

Molte volte sulle pagine di questo blog sono state ricordate e parzialmente spiegate le funzioni sacerdotale e regale degli sposi, anche noi oggi facciamo qualche accenno, consci che un articolo possa solo suscitare attrazione ma che poi per affrontare in profondità le questioni sia necessario partecipare a seminari, corsi di formazione, a cui dar seguito con l’impegno costante della propria vita personale e sponsale.

Questa volta tiriamo in ballo un santo del V secolo, casomai qualcuno abbia il dubbio che questi argomenti siano frutto di qualche svitato dell’ultim’ora oppure che la Chiesa se ne sia accorta solo in questi ultimi anni; le cose erano già chiare fin dai primi secoli ma c’era bisogno di un percorso di approfondimento e di studio nelle varie scienze umane che l’antropologia cristiana ha esplorato accompagnata dall’assistenza dello Spirito Santo.

Le letture della Santa Messa di Domenica scorsa ci hanno ricordato che noi battezzati siamo le pietre vive di un edificio spirituale, proprio come l’apostolo Pietro nel brano pubblicato sopra, ma c’è un aspetto che forse è sfuggito a molti e ce lo ho ricordato il Vangelo con l’episodio della cacciata dei mercanti dal tempio da parte di Gesù: quali mercanti dobbiamo cacciare dal tempio vivo che siamo noi?

Per farlo non possiamo fare tutto da soli, anzi, senza Colui che infligge ai mercanti il colpo finale cadremmo vittime dei nemici in questa battaglia per la vita eterna. Ma noi battezzati non siamo come tutti gli altri, noi abbiamo un sigillo regale: Tutti quelli che sono rinati in Cristo conseguono dignità regale per il segno della croce. Perciò i nemici devono sapere che hanno a che fare con figli del Re dei re perché ci pare che siano ancora più spietati con i battezzati e più aggressivi con gli sposi sacramentati.

Come fare allora questa cacciata dal tempio ? Ce lo spiega san Leone Magno : Non è forse funzione regale il fatto che un’anima, sottomessa a Dio, governi il suo corpo? Ovviamente questo papa si riferiva al corpo di ogni individuo, ma per gli sposi c’è un passaggio ulteriore poiché il tempio non è solo il corpo di lui o di lei ma quello dell’una caro come insegna san Paolo: (Ef 5,28-31) Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo: chi ama la propria moglie, ama se stesso. Nessuno infatti ha mai odiato la propria carne, anzi la nutre e la cura, come anche Cristo fa con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne.

Cari sposi, dobbiamo chiederci chi governa il nostro corpo personale ma anche il corpo della nostra una caro, quel corpo che, unico ed irripetibile siamo noi due. Coraggio allora, non perdiamoci d’animo in questo autunno, le foglie secche cadono lievi e ci ricordano che anche lo Spirito Santo scende così sugli sposi, solo che Lui non è secco e morto come le foglie, anzi, Lui è La Vita.

Noi sposi siamo stirpe regale , non dimentichiamocelo mai.

Giorgio e Valentina.

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Comincia a contare da 2

Dal primo libro dei Maccabei (3, 17-23) Ma come videro lo schieramento avanzare contro di loro, dissero a Giuda: «Come faremo noi così pochi ad attaccar battaglia contro una moltitudine così forte? Oltre tutto, siamo rimasti oggi senza mangiare». Giuda rispose: «Non è impossibile che molti cadano in mano a pochi e non c’è differenza per il Cielo tra il salvare per mezzo di molti e il salvare per mezzo di pochi; poiché la vittoria in guerra non dipende dalla moltitudine delle forze, ma è dal Cielo che viene l’aiuto. Costoro vengono contro di noi pieni d’insolenza e di empietà per eliminare noi, le nostre mogli e i nostri figli e saccheggiarci; noi combattiamo per la nostra vita e le nostre leggi. Sarà lui a stritolarli davanti a noi. Voi dunque non temeteli». Quando ebbe finito di  parlare, piombò su di loro all’improvviso e Seron con il suo schieramento fu sgominato davanti a lui

Questo è un estratto di un brano più lungo proposto nell’Ufficio di domani, ma che abbiamo trovato attinente ai giorni nostri; ultimamente infatti stiamo assistendo ad una crescente tendenza ad annacquare la nostra fede nel tentativo di ridurla ad una filosofia di vita, come se la Chiesa fosse una semplice associazione di cittadini, nel migliore dei casi una ONG con scopi umanitari, e purtroppo questi tentativi li troviamo sia dentro che fuori dal contesto ecclesiale.

Ma chi vive la fede in cammino verso la santità sa benissimo che la vita di fede è esigente, e cosa esige Dio da noi? Semplicemente tutto, vi sembra esagerato? Se ricordate l’episodio della vedova al tempio che compie elemosina con l’unica moneta che ha, ricorderete certamente che Gesù elogia il fatto che essa abbia dato tutto nonostante il suo tutto fosse una sola moneta. Oppure basterebbe citare il Vangelo di Matteo 22,37-38 :«[Gesù]Gli rispose : Ama il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. […]» Gesù stesso rimarca per tre volte quel “tutto“, intendendo ovviamente l’interezza della persona.

Spesso sentiamo lamentele a destra e a manca: il mondo sta andando a rotoli, la società si sta sfaldando, non ci sono più le famiglie di una volta, i giovani d’oggi sono un disastro, non esistono più i valori di una volta, ecc… e chi si deve rimboccare le maniche? Da dove cominciare e chi deve cominciare? Dalla cellula della società: la famiglia come Dio la vuole.

A questo punto è facile trarne le conclusioni, ma dateci ancora qualche riga perché nonostante queste riflessioni c’è ancora qualcuno (dentro la Chiesa) che continua nell’arringa della lamentela con la scusa dei numeri: siamo troppo pochi, le famiglie cristiane sono sempre meno e così via.

Ma abbiamo mai riflettuto in quanti fossero quando è partito il cristianesimo? Sicuramente quelli che stavano nella stanza in cui è avvenuta la Pentecoste più qualche sparuta decina, forse. Eppure questa minuscola porzione di umanità ha prodotto innumerevoli frutti e benefici lungo i secoli e si è espansa ai limiti della Terra ed è arrivata a noi.

Quelli che guardano la società con gli occhi umani dicono, al pari degli ufficiali di guerra di Giuda :«Come faremo noi così pochi ad attaccar battaglia contro una moltitudine così forte?

Cari sposi, noi dobbiamo piantarci bene in mente la risposta di Giuda : «Non è impossibile che molti cadano in mano a pochi e non c’è differenza per il Cielo tra il salvare per mezzo di molti e il salvare per mezzo di pochi; poiché la vittoria in guerra non dipende dalla moltitudine delle forze, ma è dal Cielo che viene l’aiuto.

Questo significa che due sposi possono cambiare il luogo dove abitano e vivono: la via, il condominio, l’ufficio, il luogo lavorativo, l’officina, ecc… ma il primo luogo dove sono chiamati a combattere è nella propria vita personale, poi nella coppia, poi nella famiglia coi figli, e via via a cerchi concentrici sempre più grandi verso l’esterno. Non è impossibile perché è dal Cielo che viena l’aiuto, la recente festa di Ognissanti ce lo ha ricordato. Coraggio sposi, si comincia da … 2.

Giorgio e Valentina.

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Guida ed amabilità

Dalla «Lettera ai Corinzi» di san Clemente I, papa ​(Capp. 21, 1 – 22, 5; 23, 1-2; Funk, 1, 89-93) […] Adoriamo il Signore Gesù Cristo, il cui sangue fu versato per noi, portiamo rispetto a quelli che ci governano, onoriamo gli anziani e istruiamo i giovani nella scienza del timor di Dio, indirizziamo le nostre spose sulla via del bene. Appaiano amabili nella loro vita morale, diano prova della loro disposizione alla dolcezza, manifestino con il tacere di saper moderare la lingua, offrano uguale amore, senza preferenza di persone, a tutti quelli che santamente servono Dio. I nostri figli facciano tesoro degli insegnamenti di Cristo; imparino quale forza abbia davanti a Dio l’umiltà, che cosa possa presso di lui un amore casto, e come il suo timore sia buono e grande. Esso salva tutti quelli che lo praticano santamente nella purezza dell’anima. Dio infatti scruta i pensieri e le intenzioni della mente. Il suo soffio è in noi e ce lo toglierà quando vorrà. Tutto questo è confermato dalla fede che abbiamo in Cristo. […]

Oggi vi riportiamo uno stralcio di questa lettera che era presente ieri nell’Ufficio, la quale ci testimonia come fin dagli albori la Chiesa aveva già bene in mente alcuni cardini della vita cristiana e morale, in particolar modo ci riferiamo alla vita familiare.

Infatti è bello notare come venga messa in risalto l’amabilità delle spose e la loro dolcezza, esse sono due tipici tratti femminili, non perchè ai maschi siano precluse queste virtù, quanto piuttosto perché la femminilità è un terreno naturalmente fertile per esse.

Per gli sposi invece, papa Clemente indica la via difficile di essere guida santa per le proprie spose, il che implica crescere e faticare sulla via della santità personale, infatti ad una guida si richiede l’integrità altrimenti non ricoprirebbe con onore tale ufficio. Insomma , questo papa ha già le idee chiare sui compiti dentro la relazione sponsale e nel consorzio famigliare; certamente i confini di questi compiti non sono definiti in modo categorico e tassativo, ogni coppia poi trova il proprio equilibrio.

Questa lezione di San Clemente però ci sprona a salire di livello nella propria santità personale per aiutare l’altro/a a fare altrettanto, gli sposi effettivamente dovrebbero fare a gara nella santità, non tanto per vedere chi vince la coppa, ma affinché ne giovi la santità del NOI della coppia. Più il Noi della coppia è santo e più siamo testimoni di un altro Amore, gli sposi segno dell’amore di Cristo per la Sua Chiesa e le spose segno di questo amore ricambiato dalla Chiesa verso il Suo diletto Sposo.

Ioltre c’è anche un accenno di poche parole (ma pregno di grande saggezza) all’educazione dei figli: I nostri figli facciano tesoro degli insegnamenti di Cristo; imparino quale forza abbia davanti a Dio l’umiltà, che cosa possa presso di lui un amore casto, e come il suo timore sia buono e grande.

Il discorso di papa Clemente si limita a 4 temi: catechismo, forza dell’umiltà, potenza dell’amore casto e, da ultimo, bontà e grandezza del timor di Dio. Il papa dà per assodato che i suoi lettori abbiano ben chiaro che questi 4 insegnamenti di vita i figli li imparino in famiglia dai propri genitori. Oggigiorno noi non lo diamo per scontato, e ci riferiamo in particolar modo al terzo tema: che cosa possa presso di lui un amore casto.

Non si capisce esattamente cosa intenda il papa per “che cosa possa presso di lui“, possiamo fare delle ipotesi, forse aveva in mente tante coppie di sposi sante che lui conosceva personalmente, o che ha avuto la grazia di incontrare lungo il cammino sacerdotale od episcopale, sicuramente però aveva davanti a sè degli esempi di santità matrimoniale, quindi sposi casti, che hanno ricevuto doni di Grazia immensi dal Signore, non sappiamo quali ma di certo parlava di vita vissuta, di esperienze toccate con mano o viste con i propri occhi.

Cari sposi, ancora una volta, ma questa volta da molto lontano, arriva a noi il monito di una vita casta: di una vita maschile e femminile vissuta nella totalità di un amore puro e fedele fino alla morte, una sessualità maschile e femminile vissuta in pienezza, o meglio, in Pienezza perché piena di Spirito Santo.

San Clemente ci aiuti a vivere così, perché i figli imparino la castità da noi, non dal mondo, coraggio sposi.

Giorgio e Valentina.

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La strategia vincente di Ester

Dal libro di Ester (4,15-17) […] Ester fece rispondere a Mardocheo: «Va’, raduna tutti i Giudei che si trovano a Susa: digiunate per me, state senza mangiare e senza bere per tre giorni, notte e giorno; anch’io con le ancelle digiunerò nello stesso modo; dopo entrerò dal re, sebbene ciò sia contro la legge e, se dovrò perire, perirò!». Mardocheo se ne andò e fece quanto Ester gli aveva ordinato.[…] (5,1-3) Il terzo giorno, quando ebbe finito di pregare, ella si tolse le vesti da schiava e si coprì di tutto il fasto del suo grado. Divenuta così splendente di bellezza, dopo aver invocato il Dio che veglia su tutti e li salva, prese con sé due ancelle. […] Appariva rosea nello splendore della sua bellezza e il suo viso era gioioso, come pervaso d’amore, ma il suo cuore era stretto dalla paura. Attraversate una dopo l’altra tutte le porte, si trovò alla presenza del re. […] La regina si sentì svenire, mutò il suo colore in pallore e poggiò la testa sull’ancella che l’accompagnava. Ma Dio volse a dolcezza lo spirito del re ed egli, fattosi ansioso, balzò dal trono, la prese fra le braccia, sostenendola finché non si fu ripresa, e andava confortandola con parole rasserenanti […] Alzato lo scettro d’oro, lo posò sul collo di lei, la baciò e le disse: “Parlami!”. Gli disse: “Ti ho visto, signore, come un angelo di Dio e il mio cuore si è agitato davanti alla tua gloria. Perché tu sei meraviglioso, signore, e il tuo volto è pieno d’incanto”. Ma mentre parlava, cadde svenuta; il re s’impressionò e tutta la gente del suo seguito cercava di rianimarla. Allora il re le disse: “Che vuoi, Ester, qual è la tua richiesta? Fosse pure metà del mio regno, l’avrai!”.

Per inquadrare bene il discorso dobbiamo prima contestualizzare per sommi capi la storia ivi raccontata: il re Assuero ripudia la sua regina, allora per cercare una sostituta emette un editto mandando a prendere tante fanculle vergini e belle da portare nella reggia, tra di loro c’è anche la giudea Ester, la quale (cap2,17 ) trovò grazia e favore agli occhi di lui più di tutte le altre vergini. Egli le pose in testa la corona regale e la fece regina al posto di Vasti. Poi il re emette un editto di sterminio del popolo giudeo (non sapendo che Ester fosse giudea), il quale verrà salvato dall’intervento della regina del quale sopra abbiamo riportato la strategia.

Come si può notare, la regina è piena di fede e conoscendo il re, prepara con grande tattica le sue mosse per salvare il popolo giudeo. I più smaliziati potranno leggere una sorte di manipolazione del re da parte di Ester, giocando le proprie carte della passione, dell’eros, certamente c’è anche questa componente, ma è l’ultimo anello della catena.

La prima cosa che fa Ester è ben altro: […] raduna tutti i Giudei che si trovano a Susa: digiunate per me, state senza mangiare e senza bere per tre giorni, notte e giorno; anch’io con le ancelle digiunerò nello stesso modo. Solo dopo questi tre giorni gioca la carta della bellezza e del fascino femminile, e dopo un’ulteriore preghiera di invocazione usa la carte del desiderio e dell’attesa aiutandosi con due banchetti: praticamente lo prende per la gola. Solo alla fine tirerà fuori l’asso (dalla manica) dell’eros, ma non l’eros decaduto col peccato, bensì l’eros originario, il desiderio di unione purificato, infatti non va dal re mezza nuda, anzi, probabilmente avrà lasciato scoperto solo il viso, forse solo gli occhi, le mani e i piedi.

Il primo insegnamento vale per tutti, sposi e non: prima di mettere in atto tutte le strategie che ci vengono in mente, prima ancora di scendere in campo con le nostre mosse, c’è una mossa segreta che è la più importante, come una sorta di pre-mossa, ed è quella di rimettere le nostre intenzioni nelle mani di Dio, quella di purificare il nostro cuore dalle cattive intenzioni, Ester ci insegna la strada del digiuno, della mortificazione.

Il successo dell’impresa Ester l’ha costruito da molto prima di incontrare il re, la vittoria la si deve alla sua pre-mossa, questa è stata la sua vera strategia vincente.

Il secondo insegnamento è per le spose, soprattutto per quelle che lamentano un marito troppo chiuso dentro le sue barricate, un marito un po’ freddo e distaccato, poco incline a gesti affettuosi, un marito un po’ rude: se provate a rileggere bene la storia di questi capitoli del libro di Ester vi accorgerete che il re Assiro corrisponde alla descrizione di questi mariti, con l’aggiunta di qualche aggravante, ma per Ester non rappresenta un problema insormontabile perché affida il successo della sua impresa al Signore…questa è la strategia vincente.

Care spose, credete forse che il Signore non possa ripetere per voi ciò che ha compiuto per Ester ? Ecco cosa ha compiuto : Ma Dio volse a dolcezza lo spirito del re. Pensate forse che Dio non sia più così onnipotente come ha dimostrato più volte nelle storie raccontate nell’Antico Testamento? Il Signore vi ha reso Suo sacramento per i vostri sposi, sta a voi diventare efficaci. Coraggio!

Giorgio e Valentina.

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Gli sposi: moderni muratori!

Dal «Commento su Aggeo» di san Cirillo d’Alessandria, vescovo ​(Cap. 14; PG 71, 1047-1050) Al tempo della venuta del nostro Salvatore apparve un tempio divino senza alcun confronto più glorioso, più splendido ed eccellente di quello antico. […] Ma dopo che l’Unigenito si fece simile a noi, pur essendo «Dio e Signore, nostra luce» (Sal 117, 27), come dice la Scrittura, il mondo intero si è riempito di sacri edifici e di innumerevoli adoratori che onorano il Dio dell’universo con sacrifici e incensi spirituali. […] A quanti lavorano con impegno e fatica alla sua edificazione, sarà dato dal Salvatore come dono e regalo celeste Cristo, che è la pace di tutti. […] Anche il saggio Isaia pregava in termini simili: «Signore, ci concederai la pace, poiché tu dai successo a tutte le nostre imprese» (Is 26, 12). A quanti sono stati resi degni una volta della pace di Cristo è facile salvare l’anima loro e indirizzare la volontà a compiere bene quanto richiede la virtù. Perciò a chiunque concorre alla costruzione del nuovo tempio promette la pace. […]

Abbiamo riportato alcune frasi di un lungo commento sul profeta Aggeo da parte del vescovo san Cirillo d’Alessandria, perché ci è parso di focalizzare la nostra attenzione su alcuni particolari circa gli edificatori della Chiesa.

La svolta del discorso la si vede, a parer nostro, quando il vescovo sottolinea che dopo che l’Unigenito si fece simile a noi,[…] il mondo intero si è riempito di sacri edifici e di innumerevoli adoratori che onorano il Dio dell’universo con sacrifici e incensi spirituali. Ma cosa intende dire con “sacri edifici” ed “innumerevoli adoratori“?

Si riferisce certamente al nuovo popolo che Cristo ha creato mediante la Sua Redenzione, cioè quella comunità che chiamiamo Chiesa, in particolar modo ci riferiamo alla porzione di Chiesa che ancora vive in questa vita, la cosiddetta Chiesa militante (o peregrina). Ogni battezzato è tempio dello Spirito Santo, ogni battezzato è cioè quel sacro edificio entro cui la Trinità vuole prendere dimora fissa, è una Grazia che ci viene elargita appunto col Battesimo.

Ma spesso siamo dei pessimi padroni di casa, non di rado mettiamo il Signore in affitto nella sua stessa casa (cioè noi stessi), sovente poi lo mettiamo alla porta pronti per cacciarlo via, addirittura c’è chi gli ha dato lo sfratto o un contratto a tempo determinato con la clausola dei 3 mesi di affitto in anticipo ed un periodo di prova.

Così come questa inabitazione vale per ogni battezzato così c’è un particolare stato di vita che è chiamato (vocazione) a far vedere lo stile di questa inabitazione d’amore: il matrimonio. Esso può diventare l’edificio in cui abita Cristo, e tutto ciò grazie al Sacramento del Matrimonio. Cari sposi, noi siamo quella casa abitata dall’amore di Cristo, noi siamo stati abilitati ad amare con la Sua misura, ma non passivamente.

San Cirillo ci spiega infatti che A quanti lavorano con impegno e fatica alla sua edificazione, sarà dato dal Salvatore come dono e regalo celeste Cristo, che è la pace di tutti. Tutte noi coppie aspiriamo alla pace dentro la nostra relazione, non la pace che ci dà il mondo, ma la pace vera che ci dà lo stesso Cristo che abita nella nostra unione. Ma per avere in dono questa pace è indispensabile il nostro impegno e fatica.

Impegno a migliorare noi stessi sulla via della santità per aiutare nella santità il nostro coniuge, impegno a lavorare ogni giorno per rendere la nostra unione una casa accogliente per il Signore. Ci vuole inoltre anche fatica, la fatica di combattere quotidianamente contro le nostre debolezze, i nostri limiti, la fatica di rinunciare al proprio io per far crescere il noi della coppia. Noi sposi siamo i moderni muratori che edificano la Chiesa odierna.

Coraggio sposi, vale la pena di impegnarsi e faticare perchè la promessa della pace di Cristo non è all’acqua di rose, quando una coppia vive in pace non teme gli ostacoli, ma li affronta con coraggio e fiducia perchè sa si essere inabitata dall’amore di Cristo.

Giorgio e Valentina.

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Quale eredità per gli sposi?

O Donna gloriosa, alta sopra le stelle, tu nutri sul tuo seno il Dio che ti ha creato. La gioia che Eva ci tolse ci rendi nel tuo Figlio e dischiudi il cammino verso il regno dei cieli. Sei la via della pace, sei la porta regale: ti acclamino le genti redente dal tuo Figlio. A Dio Padre sia lode, al Figlio e al Santo Spirito, che ti hanno adornata di una veste di grazia. Amen.

Questo inno glorioso è tratto dall’Ufficio divino della festa odierna della Beata Vergine Maria del Rosario, istituita da Papa Pio V nel 1572 per ricordare la vittoria di Lepanto (7 ottobre 1571). In quella storica battaglia la flotta cristiana sconfisse i turchi musulmani, e il Papa attribuì il trionfo all’intercessione di Maria, alla quale aveva invitato tutto il popolo a rivolgersi con la preghiera del Rosario.

Questo giorno è l’occasione per ricordare diverse realtà della nostra fede: la forza della preghiera specie quella comunitaria, la potente intercessione di Maria, la speciale devozione del Santo Rosario, il ruolo del Papa che si fa intercessore presso il Padre della preghiera di tutta la Chiesa, la Chiesa amata sposa di Cristo, la Vergine Madre della Chiesa, e altre che si intrecciano a queste. Noi ci concentriamo sulla figura di Maria come Madre.

Solitamente quando muore una celebrità si ragiona su quale sia l’eredità che tale persona lascia al mondo intero, lo abbiamo visto nei giorni scorsi riguardo a S.Francesco d’Assisi, per il quale si sono sprecate parole, a proposito ma anche a sproposito, per elogiarne “i tratti distintivi e coglierne il messaggio per il nostro tempo”. Se facciamo questo per un santo a cui mostriamo la nostra gratitudine e la nostra venerazione, ma pur sempre una creatura, cosa mai potremmo fare per il Figlio di Dio? Qual è dunque l’eredità che Gesù ci ha lasciato?

Di solito sul letto di morte i santi lasciano qualche parola come eredità spirituale ai propri discepoli, e Gesù non è stato da meno, infatti sulla Croce ci ha lasciato, come eredità, addirittura una Madre.

Gesù ci ha lasciato Maria come Madre, e certamente aveva le Sue buone ragioni. La memoria della battaglia di Lepanto ci ricorda che Maria non resta indifferente alle nostre vicende: è una Madre attenta, che accompagna i suoi figli e insegna loro come affrontare le avversità con fede e coraggio.

Spesso le madri seguono a distanza i passi dei figli ormai adulti, con le lacrime agli occhi e il cuore ferito. Pur vedendoli sbagliare, rispettano le loro scelte, anche quando li allontanano dalla Verità o li conducono su strade di vita disordinata. Restano madri silenziose che soffrono nel profondo, e talvolta questa sofferenza si riflette persino sul loro corpo. Patendo in silenzio, attendono: attendono che i figli ricordino gli insegnamenti ricevuti, perché una madre non può sostituirsi al libero arbitrio dei propri figli, può solo amarli e sperare.

E cosa aspetta la Vergine Maria dagli sposi cristiani? Che si affidino a lei come figli, proprio con la fiducia totale dei bimbi piccoli che non si chiedono il perché la mamma domandi di fare questo o quello, ma lo fanno semplicemente perché l’ha detto mamma, per i bimbi è sufficiente sapere che il comando viene dalla mamma che li ama, il resto è un dettaglio.

Cari sposi, anche noi dobbiamo imitare il popolo del 1571, affidarci alla potente intercessione della Vergine Madre, senza chiederci il perché, ci basti sapere che il comando di averla per Madre ci viene dalle parole del Figlio di Dio pronunciate poco prima di spirare, quindi hanno un certo spessore, sono come la nostra eredità.

Coraggio allora, dimostriamo alla Madonna in questo Ottobre, mese dedicato per l’appunto alla Vergine Maria del Rosario, che vogliamo vivere da figli suoi… come? cominciamo con l’imitare il popolo di quell’Ottobre del 1571 che recitò molti rosari.

Giorgio e Valentina.

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Dal nome, l’azione

Dalle «Omelie sui vangeli» di san Gregorio Magno, papa (Om. 34, 8-9; PL 76, 1250-1251) È da sapere che il termine «angelo» denota l’ufficio, non la natura. Infatti quei santi spiriti della patria celeste sono sempre spiriti, ma non si possono chiamare sempre angeli, poiché solo allora sono angeli, quando per mezzo loro viene dato un annunzio. Quelli che recano annunzi ordinari sono detti angeli, quelli invece che annunziano i più grandi eventi son chiamati arcangeli. […] Quando deve compiersi qualcosa che richiede grande coraggio e forza, si dice che è mandato Michele, perché si possa comprendere, dall’azione e dal nome, che nessuno può agire come Dio. […] A Maria è mandato Gabriele, che è chiamato Fortezza di Dio … Doveva dunque essere annunziato da «Fortezza di Dio» colui che veniva quale Signore degli eserciti e forte guerriero. […] Raffaele, come abbiamo detto, significa Medicina di Dio. Egli infatti toccò gli occhi di Tobia, quasi in atto di medicarli, e dissipò le tenebre della sua cecità. Fu giusto dunque che venisse chiamato «Medicina di Dio» colui che venne inviato a operare guarigioni

Ieri abbiamo vissuto la bellissima festa dei santi arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele, anche se siamo nel giorno seguente non ci fa male riflettere un poco sulla figura di Raffaele. Nello stralcio di omelia di san Gregorio Magno troviamo uno schema conciso ma chiaro di questi tre arcangeli, però noi ci limitiamo a concentrare la nostra riflessione su Raffaele, in quanto è protagonista nel libro di Tobia, un libro che narra la storia d’amore di una coppia, quasi fosse una sorta di romanzo rosa dell’epoca.

Ci sono già autori illustri che hanno approfondito questo libro con saggi e pubblicazioni di vario genere, noi facciamo solo un focus su un dettaglio anche se per saperne di più vi invitiamo a leggere il già citato libro di Tobia.

Raffaele è stato l’aiuto che Dio inviò a Tobia certamente per togliere la cecità a Tobi (il padre di Tobia) ma soprattutto per sanare la situazione di Sara, successe quello che col linguaggio moderno chiameremmo una liberazione da un’infestazione demoniaca di cui era vittima la promessa sposa di Tobia, Sara per l’appunto.

Vi riportiamo alcuni versetti del capitolo 8 del succitato libro, nei quali si racconta la prima notte di nozze tra Tobia e Sara:

[1]Quando ebbero finito di mangiare e di bere, decisero di andare a dormire. Accompagnarono il giovane e lo introdussero nella camera da letto. [2]Tobia allora si ricordò delle parole di Raffaele: prese dal suo sacco il fegato e il cuore del pesce e li pose sulla brace dell’incenso. [3]L’odore del pesce respinse il demonio, che fuggì nelle regioni dell’alto Egitto. Raffaele vi si recò all’istante e in quel luogo lo incatenò e lo mise in ceppi. [4]Gli altri intanto erano usciti e avevano chiuso la porta della camera. Tobia si alzò dal letto e disse a Sara: «Sorella, alzati! Preghiamo e domandiamo al Signore che ci dia grazia e salvezza». [5]Essa si alzò e si misero a pregare e a chiedere che venisse su di loro la salvezza, dicendo: […]

A questo punto comincia una preghiera meravigliosa che vi invitiamo a fare vostra, ma soprattutto è qui il punto nevralgico della presenza di Raffaele: la medicina di Dio.

Cari sposi, forse proprio ora che state leggendo vi sentite malati, malati non tanto nel corpo quanto nel cuore, nell’anima, nella relazione. Se avete la percezione che la vostra relazione sia malata, allora c’è bisogno di una medicina superiore, una medicina che guarisca la cecità di lui che non vede la femminilità di lei, la cecità di lei che non fa fiorire la mascolinità di lui. Se è così avete bisogno di Raffaele.

Invocatelo, invocatelo insieme, se questo è un periodo di malattia spirituale, morale o relazionale che sia, non vergognatevi di invocarlo e soprattutto di invocarlo insieme. Spesso capita che in questi periodi bassi gli sposi si allontanino l’uno dall’altra ancora di più, mentre invece in questi momenti l’unione fa la forza, proprio come fanno le formiche quando devono uccidere il terribile calabrone che vuole depredare il loro nido : essendo esse molto più piccole del predatore, si uniscono in un numeroso gruppo, lo accerchiano e lo assaltano insieme, così facendo la temperatura del calabrone sale fino a che muore abbrustolito dal troppo calore corporeo raggiunto.

Coraggio allora, cominciamo con il fare squadra tra noi e se volete chiedere aiuto attraverso una novena qui il link.

Giorgio e Valentina.

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Scoperchiare il tetto

Dal «Discorso sui pastori» di sant’Agostino, vescovo (Disc. 46, 13; CCL 41, 539-540) […] Ma chi ama il mondo per qualche insana voglia e si distoglie anche dalle stesse opere buone, è già vinto dal male ed è malato. La malattia lo rende come privo di forze e incapace di fare qualcosa di buono. Tale era nell’anima quel paralitico che non poté essere introdotto davanti al Signore. Allora coloro che lo trasportavano scoprirono il tetto e di lì lo calarono giù. Anche tu devi comportarti come se volessi fare la stessa cosa nel mondo interiore dell’uomo: scoperchiare il suo tetto e deporre davanti al Signore l’anima stessa paralitica, fiaccata in tutte le membra ed incapace di fare opere buone, oppressa dai suoi peccati e sofferente per la malattia della sua cupidigia. Il medico c’è, è nascosto e sta dentro il cuore. Questo è il vero senso occulto della Scrittura da spiegare. Se dunque ti trovi davanti a un malato rattrappito nelle membra e colpito da paralisi interiore, per farlo giungere al medico, apri il tetto e fa’ calar giù il paralitico, cioè fallo entrare in se stesso e svelagli ciò che sta nascosto nelle pieghe del suo cuore. Mostragli il suo male e il medico che deve curarlo. […]

In questo stralcio di discorso sant’Agostino si riferisce al famoso miracolo raccontato nei tre vangeli sinottici, ed è chiara la sua spiegazione del simbolismo nascosto dietro a questo fatto. E’ tipico dei santi che ruminano la Parola soffermarsi su questo o quell’avvenimento raccontato per trovarne un significato nascosto, come fosse una sorta di lettura di un codice cifrato.

E da questa lettura spirituale sant’Agostino trae un insegnamento per i pastori (sacerdoti e vescovi) in primis, ma che non esclude a priori chi, alla stregua dei pastori d’anime, ha la responsabilità di altre anime. E’ il caso dei genitori nei confronti dei figli, oppure dei catechisti verso i propri catecumeni, oppure di coppie nei confronti di altre coppie, com’è il caso del corso appena concluso: “Come sigillo sul cuore“.

Noi coppie dell’equipe non abbiamo fatto un granché, poiché scopriamo ogni volta di essere solo dei ripetitori, come fa un po’ il suono dell’eco che ripete il suono della fonte ma la fonte non è l’eco stessa, essa infatti si limita a ripetere. Ma poi il lavoro più importante di cui si è servito il Signore è stato quello descritto da sant’Agostino, e cioè quello di aprire il tetto al paralitico e calarlo giù dentro se stesso svelandogli ciò che sta scritto dentro le pieghe del suo cuore.

In molti corsisti si sono stupiti della modalità con cui abbiamo esposto gli argomenti, se ci pensiamo bene non abbiamo fatto calare dall’alto una verità sulle loro vite, non abbiamo parlato di dottrine scritte su carta obbligandoli a farle incastrare nelle loro vite, qual è stato il nostro lavoro quindi? Quello di far scoprire loro la bellezza che già sono (almeno in potenza), abbiamo mostrato loro che tanta bellezza è già scritta nei loro cuori, ed è proprio quello che sant’Agostino spiega ai suoi “colleghi” pastori d’anime come metodo da usare con le proprie pecorelle.

Di tutto ciò noi possiamo solo essere da una parte attori ma dall’altra anche spettatori, in quanto molti anni fa questo lavoro è stato fatto con noi dal nostro indimenticabile padre Bardelli. Ed ora ciò che gratuitamente abbiamo ricevuto, gratuitamente doniamo. Tutto ciò per tirare acqua al nostro mulino?

No, solo per esortare le molte coppie, che non sanno da che parte cominciare per cambiare la propria relazione o quella con i figli, ad imitare quanto dice sant’Agostino. Leggete con attenzione le esigenze del cuore, e capirete di conseguenza come agire.

Le esigenze del cuore dell’uomo sono sempre le stesse, ne ricordiamo alcune: l’amore fedele, l’amore indissolubile, l’amore gratis, il desiderio di essere perdonati, compresi, accettati e molte altre.

Coraggio sposi, dov’è la buona notizia? Che il paralitico ha preso il suo lettuccio e se n’è andato con le proprie gambe, se quel paralitico è la vostra relazione di sposi non abbiate paura a compiere quel percorso verso il medico Gesù.

Giorgio e Valentina.

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Come di mia propria gloria

Dalle «Lettere» di san Cipriano, vescovo e martire (Lett. 60, 1-2. 5; CSEL, 3, 691-692. 694-695) Cipriano a Cornelio, fratello nell’episcopato. Siamo a conoscenza, fratello carissimo, della tua fede, della tua fortezza e della tua aperta testimonianza. Tutto ciò è di grande onore per te e a me arreca tanta gioia da farmi considerare partecipe e socio dei tuoi meriti e delle tue imprese. Siccome infatti una è la Chiesa, uno e inseparabile l’amore, unica e inscindibile l’armonia dei cuori, quale sacerdote, nel celebrare le lodi di un altro sacerdote, non se ne rallegrerebbe come di sua propria gloria? E quale fratello non si sentirebbe felice della gioia dei propri fratelli ? Certo non si può immaginare l’esultanza e la grande letizia che vi è stata qui da noi quando abbiamo saputo cose tanto belle e conosciuto le prove di fortezza da voi date. Tu sei stato di guida ai fratelli nella confessione della fede, e la stessa confessione della guida si è fortificata ancora più con la confessione dei fratelli. Così, mentre hai preceduto gli altri nella via della gloria, hai guadagnato molti compagni alla stessa gloria, e mentre ti sei mostrato pronto a confessare per primo e per tutti, hai persuaso tutto il popolo a confessare la stessa fede. […]

Oggi la Chiesa celebra la memoria liturgica dei Santi Cornelio, papa e Cipriano, vescovo, due amici e fratelli nella fede, martiri della Chiesa del terzo secolo. A qualcuno potrebbe sembrare strano riferirsi ad un papa e ad un vescovo su un blog dedicato al matrimonio sacramento, eppure la Chiesa primitiva è proprio quella che ha messo le fondamenta alla nostra, e fra poco scopriremo qualche motivo.

Abbiamo riportato uno stralcio di una lettera che Cipriano scrive all’amico papa, della quale vogliamo solo sottolineare l’importanza della fratellanza in Cristo Gesù. Infatti questi due amici, pur vivendo l’uno a Cartagine e l’altro a Roma, si sentono vicini nello spirito. E quanta tenerezza sgorga dal cuore di Cipriano verso l’amico papa poiché amano e vivono per lo stesso Cristo:  Siccome infatti una è la Chiesa, uno e inseparabile l’amore, unica e inscindibile l’armonia dei cuori, quale sacerdote, nel celebrare le lodi di un altro sacerdote, non se ne rallegrerebbe come di sua propria gloria? E quale fratello non si sentirebbe felice della gioia dei propri fratelli?

Davanti a tanta unità di cuori non si che può restare affascinati, ma com’è possibile raggiungere tale comunione e tale armonia? Solo se l’amore che i due cuori vivono ha la stessa fonte e lo stesso termine, lo stesso principio e lo stesso fine: Cristo Gesù. Ma se è possibile tale armonia, tale unità e tale comunione tra due amici, quanto più profonda e grande può essere tra due sposi?

Cari sposi, anche noi dobbiamo imparare a rallegrarci nel celebrare le lodi del nostro sposo o della nostra sposa come di nostra propria gloria e non come se fosse un nostro antagonista, quasi un rivale. Via da noi qualsiasi sentimento di questo tipo, non si addice ad una coppia di sposi guardarsi come due nemici, invidiarsi a vicenda per le doti dell’uno o dell’altra.

Al contrario, gli sposi devono fare a gara nello stimarsi a vicenda, gli sposi non solo si sostengono l’un l’altra, ma fanno tutto ciò che è in proprio potere per far fiorire il maschile di lui ed il femminile di lei. Senza confondersi, ma con unità. Cipriano resta vescovo e Cornelio papa, similmente il marito resta maschio e la moglie resta femmina, un’armonia perfetta tra due cuori che imparano a battere all’unisono.

Coraggio sposi, imitiamo i santi martiri Cornelio e Cipriano.

Giorgio e Valentina.

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Sposi Samaritani

Oggi ci lasciamo interrogare da un brano del Vangelo abbastanza famoso:

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 17,11-19) Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

Per capire meglio questo brano dobbiamo sapere che tra samaritani e giudei non scorreva buon sangue in quanto i giudei si sentivano il “popolo eletto” e disprezzavano perciò i samaritani ritenendoli “stranieri“, anche Gesù infatti apostrofa il samaritano guarito come straniero.

Inizialmente si rimane un poco stupiti che questa volta Gesù non tocchi i malati, ma li mandi dai sacerdoti, però agendo così mostra rispetto non solo della Legge giudaica (secondo cui solo i sacerdoti potevano dichiarare guarite le persone non più affette da lebbra) ma anche del ministero sacerdotale, ovvero della Chiesa, Sua sposa. Questi sono solo alcuni dati che ci aiutano ad inquadrare la scena dentro la realtà in cui avviene, e sono di aiuto per capire le dinamiche che si sviluppano dentro i cuori. Vi invitiamo a tornare ad inizio pagina per rileggere quel brano sostituendo le parole “lebbrosi” con le parole “coppie di sposi”.

Da quale lebbra dobbiamo chiedere a Gesù di guarire, noi sposi? Quale è la “buona notizia” nascosta in questo brano?

Cercheremo di rispondere a questi interrogativi brevemente ma senza fare sconti, e sostituendo gli sposi ai lebbrosi. Un buon punto di partenza sta nel fatto che ci sono sposi che riconoscono di essere malati e di aver bisogno di Gesù, e tra questi ci sono anche sposi “stranieri“, cioè sposi lontani da percorsi di fede o di ordinaria vita di grazia, e questo è un dato confortante, perché forse gli “stranieri” chiedono aiuto a Gesù come ultima spiaggia oppure sono stati ben consigliati dagli altri sposi. E questo già ci aiuta nel capire che forse nella nostra vita conosciamo sposi “stranieri” che vediamo malati e possiamo portarli da Gesù.

Avete notato però che i lebbrosi si tengono a distanza da Gesù cosicché devono parlare a voce alta?

E’ proprio questo che succede alle coppie di sposi “lebbrosi”: la nostra lebbra spirituale è una malattia/condizione che ci tiene a distanza da Gesù, e che ci costringe a gridare a Lui. Quando la lebbra spirituale si insinua nell’animo di una coppia, essa perde il contatto con Gesù, ma inevitabilmente lo perde anche con la società, i lebbrosi infatti erano isolati dalla società.

Quell’intorpidimento spirituale che ci fa trattare Dio come nostro debitore è una lebbra:

  • siamo nati senza deciderlo e ci ci sentiamo i padroni della nostra vita e quindi padroni del nostro coniuge;
  • siamo battezzati e ci sentiamo noi i fautori della nostra fede, come se avessimo capito tutto solo noi a tal punto che ci chiediamo come abbia fatto la Chiesa a sopravvivere senza di noi per quasi due millenni e facciamo noi i salvatori del nostro coniuge;
  • ne combiniamo di tutti i colori, ma quando “parliamo” con Dio invece della lista dei nostri peccati, Gli mostriamo la lista dei nostri “presunti diritti” e “meriti” sicché esigiamo la paga, la sua riconoscenza, e così non chiediamo mai perdono al coniuge perché sarebbe troppo denigrante per noi farlo;
  • ci siamo sposati in Cristo, ma Lui è il terzo incomodo, invece di essere il “Number One”;
  • ecc… ecc… ecc…

Con questi atteggiamenti nel cuore molti sposi vanno da Gesù a chiedere delle grazie, e si sentono sicuri che Gesù li premierà dei loro meriti con la grazia richiesta, a volte Dio la concede per intenerire il loro cuore, per saggiare la loro fede, ma molti si comportano come i nove lebbrosi che non tornano indietro a ringraziare, sicuri che Dio, del resto, stia semplicemente dando loro ciò che è giusto in base ai propri presunti meriti, e si fanno creditori di Dio.

Ma perché a Gesù piace questa riconoscenza/gratitudine del samaritano? Perché essa ci educa a smantellare la nostra presunzione, la nostra superbia, ed a riconoscere che dipendiamo da Lui per ogni nostro respiro : ad ogni respiro dovremmo ringraziare del respiro precedente perché il tempo è un dono. Dobbiamo chiedere al Signore di guarire la nostra lebbra spirituale, che ci tiene lontani da Lui, dai fratelli e tra noi sposi. E questo atteggiamento si riversa nella coppia.

Cari sposi, noi vi invitiamo a recuperare la riconoscenza e la gratitudine tra sposi ed insieme a Dio : prima di addormentarvi stasera, abbracciate il vostro amato/a e ringraziatelo/a per tutte le faccende che ha sbrigato, per tutti i gesti di affetto e di vicinanza che vi ha dimostrato, per i tanti servizi e sacrifici che ha svolto per la coppia, per la casa e per la famiglia; per la pazienza che ha mostrato nel sopportare le nostre debolezze, i nostri sbagli, i nostri difetti.

La riconoscenza/gratitudine ci aiuta a spostare il baricentro da noi stessi per diventare debitori verso il nostro coniuge … al corso prematrimoniale ci insegnarono a dirci reciprocamente “Grazie che ti sei donato/a tutto a me” dopo ogni atto di intimità coniugale: neanche in quel frangente niente va preteso e nulla ci è dovuto perché deve restare un atto libero e gratuito di amore, e vi possiamo testimoniare la libertà e la gioia che dona questo Grazie, una gioia liberante perché ogni più piccolo gesto è vissuto come un dono ricevuto oltre e nonostante i personali limiti.

Coraggio sposi, la riconoscenza/gratitudine ci educa alla libertà e alla fiducia in Gesù, perché c’è solo un medico che può guarire la nostra lebbra spirituale : Gesù.

Giorgio e Valentina.

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Sentinelle operose

Dalle «Omelie su Ezechiele» di san Gregorio Magno, papa (Lib. 1, 11, 4-6; CCL 142, 170-172) «Figlio dell’uomo, ti ho posto per sentinella alla casa d’Israele» (Ez 3, 16). È da notare che quando il Signore manda uno a predicare, lo chiama col nome di sentinella. La sentinella infatti sta sempre su un luogo elevato, per poter scorgere da lontano qualunque cosa stia per accadere. Chiunque è posto come sentinella del popolo deve stare in alto con la sua vita, per poter giovare con la sua preveggenza. Come mi suonano dure queste parole che dico! Così parlando, ferisco me stesso, poiché né la mia lingua esercita come si conviene la predicazione, né la mia vita segue la lingua, anche quando questa fa quello che può. Ora io non nego di essere colpevole, e vedo la mia lentezza e negligenza. Forse lo stesso riconoscimento della mia colpa mi otterrà perdono presso il giudice pietoso. Certo, quando mi trovavo in monastero ero in grado di trattenere la lingua dalle parole inutili, e di tenere occupata la mente in uno stato quasi continuo di profonda orazione. Ma da quando ho sottoposto le spalle al peso dell’ufficio pastorale, l’animo non può più raccogliersi con assiduità in se stesso, perché è diviso tra molte faccende. […] Però il creatore e redentore del genere umano ha la capacità di donare a me indegno l’elevatezza della vita e l’efficienza della lingua, perché, per suo amore, non risparmio me stesso nel parlare di lui.

Abbiamo scelto di riportare un passaggio di questa omelia di san Gregorio Magno perché, anche se a prima vista sembra rivolto solo a se stesso, in realtà ci tocca da vicino: neanche noi, come sposi e genitori, possiamo sentirci fuori da questo richiamo. Sicuramente questa omelia è un chiaro monito, una fraterna esortazione ai nostri vescovi ed ai loro presbiteri collaboratori che domani, memoria liturgica di san Gregorio Magno, avranno modo di meditare nell’Ufficio Divino, dal quale il testo è tratto.

Se i vescovi con i loro presbiteri, e ancor di più il papa, hanno il gravoso compito descritto nelle parole dell’omelia, non è però loro compito esclusivo quello dell’evangelizzazione attraverso la testimonianza di vita concreta; poiché nel popolo di Dio a loro affidato c’è una comunità particolare nella quale incessantemente la tensione di ogni minuto è quella di vivere secondo la loro predicazione: la famiglia.

Nella famiglia, piccola comunità e quindi Chiesa domestica, ogni membro si sforza di trasformare in carne gli insegnamenti dei pastori delle nostre anime. La famiglia è la prima cellula di evangelizzazione, la famiglia è il loro primo auditorio, la primissima forma di vita cristiana che noi viviamo e respiriamo fin dai primissimi istanti della nostra vita.

Non dobbiamo mai dimenticare che gli stessi papi, vescovi e presbiteri sono figli, e sono numerosissime le santità sbocciate in seno alla famiglia d’origine, nella quale i vari santi hanno toccato con mano la vita cristiana concreta a partire dai propri genitori. I genitori quindi, hanno il gravissimo compito dell’educazione dei figli che il Creatore ha affidato loro (anche in caso di adozioni, di affidi e di genitorialità spirituale).

Per non farla troppo lunga, la lezione che ci viene da san Gregorio Magno non è tanto sul cosa fare o non fare, poiché i suoi esempi di vita non sono quelli di un papà o di una mamma, ma la sua lezione è sullo stile che dobbiamo tenere nella nostra vita. Gregorio, infatti, dice che quando non era papa e stava in convento la sua quotidianità era ben diversa, e si paragonava ad una sentinella che sta sul luogo elevato (elevato spiritualmente) a vegliare, mentre invece da papa sente il peso delle faccende da sbrigare dovute alla gravità del suo ufficio.

E noi papà e mamme non siamo nella medesima situazione? Quante volte abbiamo la sensazione che ci manchi il respiro nella nostra vita così spesso frenetica? Anche per san Gregorio non è molto diversa la situazione: Ma da quando ho sottoposto le spalle al peso dell’ufficio pastorale, l’animo non può più raccogliersi con assiduità in se stesso, perché è diviso tra molte faccende.

Quindi anche lui vive la nostra stessa tensione tra le esigenze dell’animo e le urgenze dell’ufficio. Egli però non si perde d’animo, e da santo quale era, ci dona la via d’uscita: Però il creatore e redentore del genere umano ha la capacità di donare a me indegno l’elevatezza della vita e l’efficienza della lingua, perché, per suo amore, non risparmio me stesso nel parlare di lui.

Cari sposi, anche noi siamo destinatari di una Grazia particolare (nel Sacramento del Matrimonio) per compiere santamente il nostro ministero di sposi e genitori; imitiamo questo slancio di san Gregorio cosicché da non sentirci schiacciati sotto il peso delle mille faccende domestiche, anche noi siamo stati incaricati dell’ufficio di sentinella per i nostri figli, però siamo delle sentinelle molto operose. Coraggio.

Giorgio e Valentina

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Partorito due volte

Dalle «Confessioni» di sant’Agostino, vescovo (Lib. 9, 10-11; CSEL 33, 215-219) Tuttavia, Signore, tu sai che in quel giorno, mentre così parlavamo e, tra una parola e l’altra, questo mondo con tutti i suoi piaceri perdeva ai nostri occhi ogni suo richiamo, mia madre mi disse: «Figlio, quanto a me non trovo ormai più alcuna attrattiva per questa vita. Non so che cosa io stia a fare ancora quaggiù e perché mi trovi qui. Questo mondo non è più oggetto di desideri per me. C’era un solo motivo per cui desideravo rimanere ancora un poco in questa vita: vederti cristiano cattolico, prima di morire. Dio mi ha esaudito oltre ogni mia aspettativa, mi ha concesso di vederti al suo servizio e affrancato dalle aspirazioni di felicità terrene. Che sto a fare qui?».

Domani la Chiesa celebra la memoria liturgica di S.Monica, la mamma di S.Agostino, e quindi non potevamo ignorare tale figura nelle pagine di questo blog. Di lei sappiamo attraverso gli scritti del figlio, di cui sopra abbiamo riportato un piccolo stralcio, ma quello che vogliamo oggi mettere in risalto non è certo la sua indomita fede nella Provvidenza, la sua incrollabile tenacia nel chiedere al Signore la conversione del figlio, e nemmeno la sua perseveranza nelle preghiere e nei digiuni per contribuire a tale scopo. Quello che invece vogliamo mettere in risalto è la sua visione della maternità.

Incontriamo quotidianamente mamme tutte indaffarate nel prendersi cura dei propri figli: la salute fisica, i vestiti, il cibo, l’igiene personale, la buona creanza, l’istruzione, la socialità, lo sport, ecc… tutte realtà importanti e di cui prendersi giustamente cura come madri. Ma siamo sicuri che sia tutto qui? Siamo sicuri che la cura spirituale non c’entri nulla e che sia un optional?

Santa Monica ci dimostra che la cura spirituale deve essere prioritaria rispetto al resto, non perché il resto non sia buono, ma perché quest’ultimo venga ispirato, regolato, modellato e orientato dalla cura spirituale.

Quando ordiniamo dei prodotti online, ci sono alcune volte che desideriamo ricevere il pacco con posta prioritaria perché esso ha una certa urgenza per noi. Similmente dobbiamo far arrivare ai nostri figli la cura spirituale come posta prioritaria, il resto poi arriva con posta normale, non è che non arrivi a causa di una presunta poca importanza, arriverà di certo ma con posta normale.

Non possiamo certo pensare che S.Monica non si sia preoccupata di soddisfare le esigenze corporali dei due figli, chissà quanti pannolini avrà cambiato e quante ninne nanne avrà cantato, quante pappe avrà preparato e quanti vestiti avrà pulito. Ma di certo queste attenzioni amorose saranno state guidate dalla cura spirituale, sostenute da essa, alimentate da essa, per dirla con un’immagine compensibile alle mamme: saranno state impastate e lievitate con essa. A buona intenditrice poche parole.

Care mamme (sia quelle naturali che quelle spirituali che quelle adottive) prendete esempio da S.Monica ed invocatela come aiuto nel vostro delicato e bellissimo ministero materno. In ultima analisi S.Agostino è stato partorito due volte da S.Monica, la prima nel corpo e la seconda nell’anima. Cari mariti, a voi il compito di proteggere tale maternità e di custodirla nonché di sostenerla. Coraggio.

Giorgio e Valentina

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Carne Viva

Dalla «Lettera», detta di Barnaba ​(Capp. 5, 1-8; 6, 11-16; Funk, 1, 13-15. 19-21)[…] Il Signore, per mezzo della remissione dei peccati, ci fece creature nuove e innocenti come bambini.[…] Riferendosi poi alla seconda creazione, da lui operata, disse ancora: Ecco che io faccio le ultime cose come le prime. Di questo stato di nuova creatura parla l’autore sacro quando afferma: Entrate nella terra dove scorre latte e miele e prendetene possesso (cfr. Es 33, 3). Ecco allora che noi siamo stati formati una seconda volta. Lo afferma il profeta: Ecco, dice il Signore, strapperò da loro (cioè da quelli predestinati dallo Spirito divino) i cuori di pietra e vi metterò cuori di carne (cfr. Ez 11, 19). Per questo si fece carne e abitò fra noi. Da allora il nostro cuore è diventato tempio santo e dimora del Signore. […]

Oggi la Chiesa celebra la Dedicazione della Basilica di Santa Maria Maggiore, innalzata a Roma sul colle Esquilino, che il papa Sisto III offrì al popolo di Dio in memoria del Concilio di Efeso, in cui Maria Vergine fu proclamata Madre di Dio. L’Ufficio Divino ci propone alcuni spezzoni dall’epistola attribuita a Barnaba, l’aiutante di san Paolo, nella quale l’autore ci vuole aiutare a riconoscere la nostra dignità di battezzati.

Nel testo l’autore parla di remissione dei peccati, ovvero il Sacramento del Battesimo, quindi si rifà a quella figliolanza divina che ci rende i nuovi destinatari della famosa Terra promessa, nuovi perché figli nel Figlio, Sua preziosa stirpe, nati dal Sua sangue sparso sulla Croce.

Quindi ci spiega in maniera molto sintetica che il Signore ha operato una nuova creazione, migliore della prima, ed è l’opera della Redenzione. Ma la nuova creazione è su un altro piano rispetto alla prima, se della prima possiamo conoscere qualcosa grazie al progresso della scienza, della seconda creazione non possiamo vedere nulla con la nostra scienza poiché essa è sul piano spirituale, il nuovo popolo di Dio è un popolo segnato con un sigillo indelebile nell’anima che è il Battesimo, è indelebile però non si vede con gli occhi carnali come si vede un comune tatuaggio.

La frase su cui ci vogliamo concentrare è quella citata dal libro di Ezechiele: strapperò da loro (cioè da quelli predestinati dallo Spirito divino) i cuori di pietra e vi metterò cuori di carne (cfr. Ez 11, 19).

Potrebbe sembrare una frase poetica, ricca di significati, pregna di simbolismi, ma è quello che il Signore compie veramente con un cuore che si lascia amare da Lui.

Spesso però si riflette sul fatto che il Signore metterà dei cuori nuovi, ed è giusto e santo, ma per farlo c’è una “conditio sine qua non”, e cioè l’azione che precede questa: strapperò da loro i cuori di pietra.

Se qualcuno ha voglia di farsi strappare il cuore alzi la mano. Visto che nessuno l’ha alzata è meglio riflettere un momento, vi siete mai chiesti perché questo verbo (strappare) e non un suo sinonimo? Avrebbe potuto usare verbi come sostituire, rimuovere, asportare… belli ma non avrebbero reso l’idea della violenza dello strappo, della lacerazione, del ridurre a brandelli.

Cari sposi, volete un cuore nuovo, un amore nuovo creato di sana pianta da Dio? Volete essere destinatari della nuova creazione?

Bisogna essere disposti a subire la violenza dello strappo del nostro vecchio cuore di pietra, che non batte più, che è freddo come la pietra, ove dentro non scorre il sangue, cioè la vita. Coraggio sposi, questa distensione estiva ci aiuti ad essere pronti al trapianto di cuore.

Giorgio e Valentina

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Protetti di qua, liberi di là.

Dai «Discorsi» di san Cesario di Arles, vescovo (Disc. 25, 1; CCL 103, 111-112) «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia » (Mt 5, 7); dolcissima è questa parola «misericordia», fratelli carissimi, ma se è già dolce il nome, quanto più la realtà stessa. Sebbene tutti vogliano che nei loro confronti si usi misericordia, non tutti si comportano in modo da meritarla. Mentre tutti vogliono che sia usata misericordia verso di loro, sono pochi quelli che la usano verso gli altri. O uomo, con quale coraggio osi chiedere ciò che ti rifiuti di concedere agli altri? Chi desidera di ottenere misericordia in cielo deve concederla su questa terra. Poiché dunque tutti noi, fratelli carissimi, desideriamo che ci sia fatta misericordia, cerchiamo di rendercela protettrice in questo mondo, perché sia nostra liberatrice nell’altro. C’è infatti in cielo una misericordia, a cui si arriva mediante le misericordie esercitate qui in terra.[…]

L’Ufficio delle letture di oggi ci propone la lettura di un brano di questo santo che va dritto al punto senza troppi giri di parole. Naturalmente non possiamo esaurire il tema della misericordia in poche righe, ma ne tratteremo un piccolo aspetto che riguarda il perdono.

Prima di addentrarci in questo delicato aspetto dobbiamo fare una premessa importante sulla misericordia, intesa come La misericordia per eccellenza, cioè Dio stesso: il perdono è un frutto della misericordia, esso non esaurisce tutta la misericordia, ne esplicita un aspetto; nel linguaggio comune, anche quello del nostro omileta di cui sopra, la parola misericordia è intesa proprio nella sua accezione di perdono.

Senza entrare nel filosofico, ci basti pensare che Dio ci perdona poiché è misericordioso, ovvero la sua misericordia anticipa il perdono, Egli ci perdona poiché vede nel profondo del nostro cuore e quindi conosce le nostre miserie e, compatendole, è pronto a perdonarci a patto che noi riconosciamo il nostro peccato, a patto di fare il famoso “mea culpa”; per esempio il risveglio della coscienza è un altro atto di misericordia da parte di Dio, a noi la decisione di accettarla o meno.

Tornando all’accezione di perdono, san Cesario ci rimprovera ricordandoci che quando ci viene usata misericordia ne siamo grati, mentre quando si tratta di usarla nei confronti degli altri siamo un po’ più restii, per usare un eufemismo.

Se siamo davvero sinceri, dobbiamo ammettere che quando riceviamo misericordia, a volte riusciamo ad accoglierla con umiltà e a riconoscere i nostri errori. Ma spesso, più che riceverla con gratitudine, finiamo per pretenderla. Ci rifugiamo nella nostra fragilità, nella nostra miseria, in mille attenuanti, che tra l’altro ci siamo procurati da soli con molta scaltrezza, tanto da mettere l’altro nella posizione di doverci perdonare quasi per forza. E se non lo fa subito, lo facciamo sentire in colpa, come se la sua mancata misericordia fosse un’ingiustizia.

Cari sposi, il perdono è un punto chiave nel matrimonio, senza di quello non si va molto lontani in due, si corre il rischio di camminare in una relazione zoppa, dove l’uno è sempre perfetto e l’altra è sempre manchevole, oppure dove l’una è sempre quella che usa misericordia e l’altro è sempre quello che la deve ricevere perché sbaglia a priori, e molti altri esempi simili.

Ma san Cesario ci mostra la via d’uscita, praticamente ci spiega quale tipo di investimento dobbiamo fare per il nostro futuro: Chi desidera di ottenere misericordia in cielo deve concederla su questa terra. Se in questa terra ci è di protezione, nell’altro mondo ci sarà liberatrice. Quindi lo slogan da tenere a mente è: protetti di qua e liberi di là.

Coraggio sposi.

Giorgio e Valentina

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Le novelle Maddalena

Dalle «Omelie sui vangeli» di san Gregorio Magno, papa (Om. 25, 1-2. 4-5; PL 76, 1189-1193) Maria Maddalena, venuta al sepolcro, e non trovandovi il corpo del Signore, pensò che fosse stato portato via e riferì la cosa ai discepoli. Essi vennero a vedere, e si persuasero che le cose stavano proprio come la donna aveva detto. Di loro si afferma subito: «I discepoli intanto se ne tornarono di nuovo a casa»; poi si soggiunge: «Maria invece stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva» (Gv 20, 10-11).    In questo fatto dobbiamo considerare quanta forza d’amore aveva invaso l’anima di questa donna, che non si staccava dal sepolcro del Signore, anche dopo che i discepoli se ne erano allontanati. Cercava colui che non aveva trovato, piangeva in questa ricerca e, accesa di vivo amore per lui, ardeva di desiderio, pensando che fosse stato trafugato. Accadde perciò che poté vederlo essa sola che era rimasta per cercarlo; perché la forza dell’opera buona sta nella perseveranza, come afferma la voce stessa della Verità: «Chi persevererà sino alla fine, sarà salvato» (Mt 10, 22). Cercò dunque una prima volta, ma non trovò, perseverò nel cercare, e le fu dato di trovare. Avvenne così che i desideri col protrarsi crescessero, e crescendo raggiungessero l’oggetto delle ricerche. I santi desideri crescono col protrarsi. Se invece nell’attesa si affievoliscono, è segno che non erano veri desideri.

Oggi prendiamo spunto per la nostra riflessione da questa intensa omelia che ha molto da insegnarci nella festa liturgica di S. Maria Maddalena (proveniente da Magdala).

Innanzitutto si mette in evidenza la differenza tra il comportamento maschile dei discepoli/apostoli e quello femminile di Maria Maddalena. Gli uni, visto il sepolcro vuoto non stanno lì molto a disperarsi ma se ne tornano a casa; lei, invece, resta lì a piangere. Il punto chiave non è che resti per piangere, ma il fatto che resti, questo conta. E questo è un tipico atteggiamento femminile e molto materno: lasciarsi coinvolgere anche emotivamente da ciò che succede a quelli che si amano come se fosse accaduto a se stesse.

Nonostante l’evidenza dei fatti dica che Gesù non c’è lei continua a cercarlo, come se la realtà concreta fosse solo un sogno, per lei non poteva essere vero che Gesù fosse semplicemente scomparso, e quindi lo cerca aldilà dell’evidenza del sepolcro vuoto.

Ed infatti Gesù si lascerà trovare proprio da lei, perché aveva saggiato la sua perseveranza nella ricerca.

Questo atteggiamento tutto femminile è quell’ancora che salva le nostre coppie, le nostre famiglie. Ci sono tantissime spose e mamme che fanno di tutto (o l’hanno fatto) per tenere unita la famiglia quando tutto sembra sfasciato, che non smettono di cercare la comunione laddove viene ignorata, che non si fermano nemmeno di fronte ad un sepolcro… proprio come Maria Maddalena.

Il Signore poi ha sfruttato questi diversi atteggiamenti dei discepoli e della Maddalena per i suoi fini di salvezza. Ed infatti accade così, come ci racconta l’omileta di cui sopra, che I santi desideri crescono col protrarsi. Se invece nell’attesa si affievoliscono, è segno che non erano veri desideri.

Questa è una bella lezione anche per noi sposi, se infatti non progrediamo nella vita spirituale ma restiamo all’età del catechismo ( tanto per intenderci ) non è che forse non abbiamo i desideri santi? Oppure si sono affievoliti gli entusiasmi iniziali?

Tante coppie partono con entusiasmo, ma poi si lasciano soffocare dalle cose di questo mondo, che assorbono tutte le loro energie, e la relazione intanto? E la vita spirituale di coppia che fine ha fatto?

Coraggio sposi, questo tempo di distensione estiva possa aiutarci a ritrovare il gusto dei desideri santi sulla scorta di S. Maria Maddalena.

Giorgio e Valentina.

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Salvare Capra e Cavoli

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 10,34-4211,1) In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: «[…] Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me».

Il brano del Vangelo è quello proposto nella Liturgia odierna, è un po’ più lungo però ne abbiamo estratto la porzione che interessa per la nostra meditazione. Certo, sono parole dure da digerire quelle pronunciate da Gesù, soprattutto perché nelle righe precedenti dice di essere venuto a portare la spada e dividere padre da figlio, figlia da madre, ed altri esempi simili.

Sembra strano questo discorso di Gesù, ma in realtà Lui sta dicendo con la perentorietà che lo contraddistingue (tipica della cultura di quel popolo) che chi decide di seguirLo di solito trova ostacoli ed impedimenti più nella propria parentela che fuori.

Forse molti di noi fanno esperienza di come le nostre scelte di vita (scelte di fede) siano più accettate dall’esterno che da quelli della propria casa; non è raro che i giudizi più spietati arrivino proprio dalla parentela più stretta, coloro i quali invece dovrebbero maggiormente esserci di sostegno.

Un paio di esempi per essere concreti: la madre dice alla figlia, incinta del quarto figlio, che può fare tutti i figli che vuole basta che non conti sul suo aiuto come babysitter perché secondo lei son troppi… la sorella che se la lega al dito col fratello (e relativa moglie con figli) perché arriva in ritardo alla sua festa con barbecue domenicale, la colpa del ritardo è quel reato di non voler perdere la Messa domenicale con la propria famiglia, secondo la sorella poteva saltarla per una volta.

Ovviamente ognuno di noi avrebbe il proprio esempio da citare, ma il denominatore comune a queste situazioni è il terribile crimine di ostinarsi ad essere cattolici a tutti i costi. Cosa fare dunque per salvare capra e cavoli o secondo una frase del famoso personaggio don Camillo: “Salvare la capra del sindaco e i cavoli… del Signore!”?

Non si tratta di interrompere la comunione con la parentela, per quanto dipende da noi non possiamo proprio farlo altrimenti sarebbe una contro-testimonianza; si tratta invece di mettere al posto giusto le priorità.

Di solito quando si premia il vincitore di una gara lo si fa salire sul podio più alto a significare che prima non c’è nessuno, il primo è sempre il primo, altrimenti lo dovremmo chiamare con un altro appellativo. Stesso discorso vale per quanto riguarda Dio, se Lui è il Re dei Re significa che non ne esiste un altro sopra, ma soprattutto se noi decidiamo che Gesù è il nostro Re, allora dobbiamo vivere rispettando le Sue leggi, obbedire a Dio piuttosto che agli uomini.

Quando una coppia ha ben chiaro chi sta sul trono della propria vita, le soluzioni per salvare capra e cavoli si trovano, e sono personalizzate per ogni tipo di situazione. Per esempio, a noi è capitato di essere ospiti la domenica a pranzo e c’era anche un viaggio di un paio d’ore da affrontare, è stato facile trovare subito la soluzione adeguata poiché c’erano due possibilità: o andare a Messa la mattina presto e poi partire oppure partire presto e andare a Messa nel paese dove eravamo ospiti. In ogni caso la bussola per scegliere era di mettere la Messa al primo posto anche in senso cronologico.

E quando situazione simili stanno dentro la coppia, che fare? Proprio per l’amore che abbiamo nei confronti del nostro coniuge non possiamo disobbedire ad un comando del Signore, altrimenti il Signore passerebbe al secondo posto e di conseguenza calerebbe l’amore verso il coniuge perché non si nutrirebbe più da Colui che ne è la fonte.

Certamente i confini qualche volta possono rivelarsi labili e quindi bisognerà armarsi di santa pazienza e domandare il dono del consiglio da parte dello Spirito Santo, bisognerà sopportare qualche pena per non rompere la comunione tra i conugi, e nello stesso tempo bisognerà mettere Dio al primo posto.

Cari sposi, non dobbiamo temere di essere soli in queste situazioni, il Signore ha promesso il Suo aiuto agli sposi in Cristo con tutti gli aiuti necessari a vivere il proprio stato di vita.

Coraggio!

Giorgio e Valentina

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Liberi di scegliere

 Dal secondo libro di Samuele (cap.19, 1-5) Allora il re fu scosso da un tremito, salì al piano di sopra della porta e pianse; diceva in lacrime: «Figlio mio! Assalonne figlio mio, figlio mio Assalonne! Fossi morto io invece di te, Assalonne, figlio mio, figlio mio!». Fu riferito a Ioab: «Ecco, il re piange e fa lutto per Assalonne». La vittoria in quel giorno si cambiò in lutto per tutto il popolo, perché il popolo sentì dire in quel giorno: «Il re è desolato a causa del figlio». Il popolo in quel giorno rientrò in città furtivamente, come avrebbe fatto gente vergognosa per essere fuggita in battaglia. Il re si era coperta la faccia e gridava a gran voce: «Figlio mio Assalonne, Assalonne figlio mio, figlio mio!».

In questo tempo la Chiesa ci fa ritornare su alcune vicende narrate nell’antico Testamento che sono prefigura della Salvezza operata da Gesù, come questa del re Davide che si vede muovere guerra da parte del proprio figlio Assalonne, il quale però trova la morte proprio nel tentativo di usurpare il regno al padre in una battaglia.

Nonostante il re Davide avesse dato ordine di salvare il giovane Assalonne, il soldato Ioab così agì: Prese in mano tre dardi e li immerse nel cuore di Assalonne, che era ancora vivo nel folto del terebinto. Poi dieci giovani scudieri di Ioab circondarono Assalonne lo colpirono e lo finirono.

E’ una storia drammatica che racconta di come il cuore dell’uomo sia un abisso che deve essere continuamente vigilato, curato, preservato dal male in cui potrebbe sprofondare. Se facessimo qualche aggiornamento su nomi e luoghi non appare una storia tanto diversa da quelle di cui purtroppo siamo stati tante volte spettatori nelle cronache dei nostri giorni.

Ma la nostra intenzione non è quella di dimostrare come il male possa farsi strada nel cuore dell’uomo, quanto mettere in luce il comportamento del Padre, nella nostra storia prefigurato dal re Davide.

Quanti tra i lettori sono genitori potranno almeno intuire il dolore del padre Davide, vedersi muovere guerra dal proprio figlio non è proprio una favola. Eppure nonostante tutto ciò il re Davide decide di sgomberare il palazzo del regno e di non contrattaccare le mosse del figlio, inoltre diede l’ordine (non rispettato da Ioab) di salvare la vita al giovane Assalonne.

Forse sperava di farlo tornare sulla retta via con il dialogo, oppure voleva almeno capire dove avesse sbagliato come padre, non lo sappiamo. Una cosa è certa, il re Davide voleva salvare la vita al figlio Assalonne a tutti i costi e con ogni mezzo a sua disposizione. E non è forse così che agisce il Padre celeste quando gli muoviamo guerra contro?

Ci lascia liberi di scegliere, ci lascia in mano il libero arbitrio, anche se questo potrebbe rivelarsi controproducente, ma non vuole figli che agiscono come marionette programmate per rispondere al Suo amore, ci lascia liberi e rispetta le nostre decisioni anche con la morte nel cuore.

Anche il Padre ha usato parole simili a Davide: Fossi morto io invece di te, Assalonne, figlio mio, figlio mio! …. ma c’è una grande differenza, il Padre ha agito davvero secondo queste parole accettando il sacrificio del proprio Figlio Unigenito Gesù sulla Croce, poiché la Trinità è indivisibile, su quella croce non c’era solo l’umanità del Figlio, ma con Lui anche il Padre e lo Spirito Santo.

E noi sposi siamo nati da quel Sacrificio d’amore, il nostro matrimonio è frutto di quella morte. L’amore che ci spinge in ogni gesto del matrimonio ha avuto origine da quell’unico grande ed eterno Amore, ogni fremito di comunione tra noi ha preso vita su quella Croce.

Anche la morte del figlio Assalonne è in qualche modo prefigura del Figlio, infatti muore per tre dardi, anche qui non un numero a caso, immersi nel proprio cuore, non vi ricorda forse la lancia nel costato di Gesù?

Cari sposi in Cristo, il Suo certificato di morte è stato il nostro certificato di nascita. Coraggio sposi, anche se disgraziatamente qualche volta vogliamo usurpare il trono al nostro Padre, Lui non muove guerra contro di noi, ma si lascia uccidere per salvare noi. Anche noi quindi, dobbiamo imitare il comportamento di Dio, perdere se stessi per salvare l’altro, perdere la propria visione per assumere una visione di coppia. Coraggio sposi.

Giorgio e Valentina.

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Figli Luminosi

O Dio, che con il tuo Spirito di adozione ci hai reso figli della luce, fa’ che non ricadiamo nelle tenebre dell’errore, ma restiamo sempre luminosi nello splendore della verità. Per il nostro Signore.

Questa è l’orazione che la Chiesa prega in questi giorni, e lo fa a nome di tutti i battezzati, anche quelli che per motivi vari non possono partecipare alla Divina Liturgia. Forse abbiamo già sentito l’espressione “figli della luce” con il suo contrapposto “figli delle tenebre”, ebbene, concretamente come agisce un figlio della luce?

Ci viene incontro San Paolo scrivendo ai Tessalonicesi e ai Filippesi:

Rendete piena la mia gioia con l’unione dei vostri spiriti, con la stessa carità, con gli stessi sentimenti. Ciascuno consideri gli altri superiori a se stesso, senza cercare il proprio interesse, ma quello degli altri. Sostenete i deboli, siate pazienti con tutti, cercate sempre il bene tra voi e con tutti, senza cercare il proprio interesse, ma quello degli altri.

  1. Queste parole di san Paolo sembrano delineare l‘identikit di una comunità ideale, l’unione degli spiriti tra i fratelli è meravigliosa, sicuramente almeno una volta l’abbiamo provata sulla nostra pelle, ed è un’esperienza che arricchisce ed accende di entusiasmo i cuori.
  2. Quanta fatica si fa nel considerare gli altri superiori a se stessi, però quanta pace si sperimenta quando si lascia spazio affinché ciascuno metta in campo le proprie abilità, competenze, doni, carismi. Anche se siamo una piccola pedina nel grande mosaico, ma senza le tante pedine che lo compongono, ognuna col proprio colore e sfumatura, non si avrebbe il risultato finale.
  3. Il mondo non se ne fa niente dei deboli, anzi, li scarta, li vorrebbe morti poiché ritenuti inutili o dannosi, ma Dio no, ed infatti Lui per primo si è fatto debole; quanta fatica sostenere un debole, poiché non si tratta di toglierlo dalla sua debolezza, ma di sostenerlo nella sua debolezza, di incoraggiarlo a non mollare, di invitarlo alla speranza, di farlo sentire amato.
  4. Si dice che la pazienza sia la virtù dei forti, ma la prima pazienza che dobbiamo sempre imparare è quella verso noi stessi, verso le nostre debolezze, le nostre fatiche, le nostre fragilità, i nostri peccati, le nostre cadute, i nostri limiti, i nostri errori… più diventiamo maestri nell’arte di portar pazienza verso noi stessi e più saremo misericordiosi ed indulgenti verso gli altri.

Fin qui il lettore direbbe che va tutto bene poiché sembra di parlare di una comunità immaginaria, ma vi invitiamo a tornare indietro e rileggere i quattro numeri pensando non alla comunità immaginaria dell’isola che non c’è, ma rivedendo la vostra coppia, la vostra famiglia, il vostro matrimonio.

Là ove San Paolo usa “altri” metteteci il nome del vostro coniuge, allora la Parola di Dio comincerà a diventare ancora una volta carne, ovvero vita vissuta. Coraggio sposi, basta cominciare.

Buona lavoro.

Giorgio e Valentina.

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Un Santo Fuori Moda

Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo (Disc. 293, 1-3; PL 38, 1327-1328) : La Chiesa festeggia la natività di Giovanni, attribuendole un particolare carattere sacro. Di nessun santo, infatti, noi celebriamo solennemente il giorno natalizio; celebriamo invece quello di Giovanni e quello di Cristo. Giovanni però nasce da una donna avanzata in età e già sfiorita. Cristo nasce da una giovinetta vergine. Il padre non presta fede all’annunzio sulla nascita futura di Giovanni e diventa muto. La Vergine crede che Cristo nascerà da lei e lo concepisce nella fede. […] Se Giovanni avesse annunziato se stesso, non avrebbe aperto la bocca a Zaccaria. Si scioglie la lingua perché nasce la voce. Infatti a Giovanni, che preannunziava il Signore, fu chiesto: «Chi sei tu?» (Gv 1, 19). E rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto» (Gv 1, 23). Voce è Giovanni, mentre del Signore si dice: «In principio era il Verbo» (Gv 1, 1). Giovanni è voce per un po’ di tempo; Cristo invece è il Verbo eterno fin dal principio.

Questo stralcio che abbiamo riportato dai discorsi di Sant’Agostino ci aiuta ad entrare meglio nella solennità che oggi si celebra: la natività di San Giovanni Battista. Abbiamo l’impressione che sia considerato un santo passato quasi di moda, un santo messo un po’ in secondo piano, eppure non ci sono solennità per la natività di altri santi, a parte la Madonna. Questo ci dovrebbe indurre ad una riflessione circa l’importanza che il Battista ha avuto nell’economia della Salvezza, ed un aiuto ci viene offerto dalle parole finali del brano che abbiamo riportato ove si ricorda che Giovanni è voce mentre Cristo è il Verbo.

Se ci pensiamo bene la voce produce un suono articolato in parole, ma essa non è il contenuto di quelle parole, essa solo dona un suono a quelle parole che altrimenti resterebbero non annunciate. La voce quindi è uno strumento per trasmettere ma non può essere il contenuto di ciò che trasmette. Abbiamo usato la metafora della voce perchè possa essere meglio recepito il messaggio: ogni coppia di sposi è chiamata ad imitare S.Giovanni Battista; ad essere cioè quello strumento che annuncia per un po’ di tempo un Verbo che invece è eterno.

Ad ogni coppia di sposi il Signore elargisce doni specifici affinché possa essere nel mondo e nell’epoca in cui vive un novello Battista, una voce che grida che un Altro deve ancora venire, un Altro a cui noi non siamo degni di sciogliere nemmeno il laccio dei sandali, noi lo gridiamo con la nostra vita matrimoniale e lo facciamo per un tempo limitato, ma Colui che annunciamo è eterno.

Certo, per farlo bisogna che ci armiamo di grande forza d’animo, di spirito di sacrificio, di umiltà, di coraggio che sfida anche i potenti, dobbiamo sicuramente crescere nella virtù della giustizia. Ma il Signore ci ha promesso i suoi aiuti per portare a termine il compito del nostro stato di vita, non ci abbandona alle nostre poche e misere forze.

Cari sposi, coraggio che il Signore ha bisogno di nuove voci per essere annunciato in un modo unico e speciale, quello che ogni coppia incarna nel proprio matrimonio.

Giorgio e Valentina.

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Non Tutto è sulle Nostre Spalle

Dalla preghiera di Colletta di questa settimana: “O Dio, fortezza di chi spera in te, ascolta benigno le nostre invocazioni, e poiché nella nostra debolezza nulla possiamo senza il tuo aiuto, soccorrici sempre con la tua grazia, perché fedeli ai tuoi comandamenti possiamo piacerti nelle intenzioni e nelle opere. Per il nostro Signore Gesù Cristo…”

La Chiesa in questa settimana fa pregare il sacerdote con questa invocazione di aiuto: è una preghiera accorata che il sacerdote rivolge al Padre a nome nostro, prega lui al posto nostro, si mette in mezzo tra noi e il Padre.

L’azione mediatrice tra Dio ed il suo popolo è quella propria del sacerdote, e normalmente non ci si fa troppo caso, però è in occasioni come questa che essa si rende evidente ed esplicita, e questo ci dà l’avvio alla nostra riflessione.

Quando una coppia si sposa, non lo fa per se stessa come se fosse una cosa privata che non ha a che fare con le altre persone, con la società, con la Chiesa tutta. La Chiesa ha tutto l’interesse a curare la preparazione dei fidanzati al Sacramento del Matrimonio, poichè essi si preparano a diventare un dono per tutta la Chiesa come sposi in Cristo.

L’amore che unisce gli sposi non è solo farina del loro sacco, ma ha un’origine in Colui che è l’Amore: Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore ( 1Gv 4, 7-8 ).

Non stiamo parlando del sentimento chiamato amore, ma della scelta di amare, della volontà di amare che si traduce in vita concreta di ogni giorno.

La Chiesa quindi dona agli sposi ciò che di più caro ha: Gesù e la Sua presenza nei Sacramenti di cui essa è amministratrice. La Chiesa dona il Sacramento del Matrimonio e poi lo custodisce attraverso diverse azioni, tra cui la preghiera sacerdotale di cui sopra ne abbiamo riportato un chiaro esempio.

Gli sposi confermano l’invocazione di tale preghiera di Colletta perché nel loro consenso così si esprimono : “[…] Con la grazia di Cristo prometto di esserti fedele sempre […]”. Nel giorno solenne dell’inizio del loro matrimonio, gli sposi stessi dichiarano di non farcela da soli, ma di aver bisogno della grazia di Cristo per poter amare secondo le parole che esprimono nel consenso, ma anche il sacerdote usa quasi le stesse parole nella Colletta: poiché nella nostra debolezza nulla possiamo senza il tuo aiuto, soccorrici sempre con la tua grazia.

Senza il Suo aiuto, senza la Sua grazia si corre il rischio che tutto il nostro amore rimanga nelle intenzioni e non si traduca in azioni: perché fedeli ai tuoi comandamenti possiamo piacerti nelle intenzioni e nelle opere.

Cari sposi, nella difficile arte di amare il nostro coniuge non siamo mai soli se restiamo fedeli al Signore. Coraggio allora, come recita il vecchio adagio, “Aiutati che il Ciel ti aiuta”.

Giorgio e Valentina

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Opera Buona vs Cuore

Dal Vangelo di Matteo (Mt 5,16) «In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.  Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli»

Questo brano del Vangelo è abbastanza famoso e spesso ci si concentra sulle caratteristiche ora del sale ora della luce, ma quasi mai si ragiona sulla parte finale, ove Gesù spiega il perché della sua esortazione.

Non dobbiamo nemmeno dimenticare il fatto che, se è vero che ad essere sale e luce sono i discepoli di Gesù, ovvero tutti i battezzati, è ancor più vero che tra questi discepoli rivestono un ruolo tutto particolare e prezioso gli sposi in Cristo.

E noi sposi sacramentati siamo sale e luce non in virtù di chissà quali doti personali, ma in virtù del fatto stesso di essere uno in Cristo, poichè sacro è il vincolo che ci lega, sacro poiché questo legame è Cristo stesso. Senza di Lui cadrebbe tutto come un castello di carta.

Ma questa è ancora solo la premessa alla nostra riflessione, avevamo infatti anticipato di affrontare il motivo per cui Gesù ci sprona a vivere come sale e luce, e lo troviamo alla fine: perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli.

Non è raro incontrare coppie che si donano con tanto entusiasmo in qualche servizio ora in parrocchia ora in gruppi di preghiera ora in associazioni cattoliche di stampo vario. Ed è altrettanto frequente notare quanta energia venga impiegata dalla coppia pur di portare a termine il proprio impegno/servizio.

C’è chi sacrifica le proprie ferie, mette in secondo piano i mestieri di casa, sottrae tempo al lavoro, mette a disposizione i propri beni, e la lista è in continuo aggiornamento… ma il cuore dov’è? Riformuliamo la domanda alla guisa di Gesù: perché fate tutto ciò? Qual è il motivo?

Dobbiamo sempre vigilare su noi stessi, poiché anche dietro a queste azioni benefiche si nasconde l’insidia del demonio, il quale non vede l’ora di appagare i nostri sensi subito. Ad esempio potremmo aiutare a vario titolo le persone più indigenti (mense poveri, caritas, aiuti umanitari terzo mondo, ecc…) ma solo per far tacere il nostro senso di colpa per essere nati in una famiglia ricca oppure per il senso di colpa di esserci costruiti (con mezzi poco leciti) una vita facoltosa oppure ancora per autoassolverci dal condurre una vita da nababbi.

Non stiamo dicendo che queste opere siano cattive, al contrario, sono opere nobili e buone, e le persone vanno incoraggiate affinché continuino ad esserci queste opere buone. Il problema che pone Gesù sta nel cuore dell’uomo, sta nella motivazione che spinge a compiere l’opera.

Restando ancora un attimo sui nostri esempi si potrebbe obiettare che la persona indigente riceve comunque il bene, ed è vero, poichè per essa poco importa la motivazione del cuore di chi dona, anzi, nemmeno forse la conosce e la vede.

Questa verità però non toglie nulla alla vigilanza che noi dobbiamo avere nei confronti dei nostri atti, anzi, semmai dovremmo imparare a riconoscere cosa ci spinge a compiere tali gesti.

Vi provochiamo con una domanda scomoda e diretta prendendo l’esempio di una donna santa: la famosissima S.Teresa di Calcutta, compiva i gesti che l’hanno resa famosa e santa per sentirsi importante, per sentirsi dire grazie, per sentirsi a posto con la coscienza (come nel nostro esempio)? Oppure li compiva per rendere Gloria a Dio, per portare le più tante anime a Dio, per strappare le anime al diavolo e al suo inferno?

Se anche noi, guardando alla vita santa di Madre Teresa di Calcutta, rendiamo grazie a Dio Padre che è nei cieli, allora la santa ha fatto centro perché ha compiuto ciò che ha detto Gesù: perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli.

Cari sposi, questa è una sana provocazione anche per il nostro matrimonio: amiamo il nostro coniuge sempre più e meglio, perché sentendosi amato così tanto renda gloria a Dio Padre che è nei cieli. Allora il nostro matrimonio avrà fatto centro.

E le nostre miserie? Resteranno lì per tenerci i piedi incollati a terra, per tenerci le ali abbassate, altrimenti il nostro ego comincerebbe ad ingigantirsi troppo, e la superbia prenderebbe il sopravvento. Coraggio.

Giorgio e Valentina.

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Mai Soli

Dalla Prima Lettura di domenica scorsa, l’Ascensione:

Dagli Atti degli Apostoli At 1,1-11 «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra». Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi.

Questo brano è posto all’inizio del Libro degli Atti degli Apostoli, è come se da questo evento, l’Ascensione, dipendesse tutto il resto descritto nei capitoli seguenti. I latini direbbero “Conditio sine qua non”: una condizione necessaria, senza la quale gli Apostoli non avrebbero potuto compiere quegli atti descritti poi più avanti.

E questo cosa dice a noi sposi? Spesso tra di noi succede che ci si dice “lo sai che ti amo” e, a volte, l’altro ci risponde con una frase simile: “Sì, sì, dici sempre così. È inutile dirmi ti amo ti amo…..ma poi in concreto non fai niente per dimostrarlo“. Se a qualche coppia non fossse mai accaduto è perché non sono umani, vengono da una altra galassia nella quale non esistono litigi ed incomprensioni tra maschio e femmina. Diffidate dai coniugi che dicono di non litigare mai………diffidare dalle imitazioni!

Anche nella nostra esperienza tocchiamo con mano che bisogna passare dalle parole ai fatti, anzi agli……atti, un po’ come gli Apostoli che passano finalmente agli atti, sì, ma solo dopo l’Ascensione. Cioè? Sembra quasi che le tre persone della Santissima Trinità abbiano inventato la staffetta….alle origini del mondo entra in scena il Padre, poi con l’Incarnazione tocca al Figlio, il quale con l’Ascensione passa il gioco allo Spirito Santo e… finalmente arrivano gli atti pieni di Spirito Santo cosicché gli Apostoli da pavidi diventano coraggiosi, da timidi a testimoni focosi, da pescatori semplici a pescatori di uomini per il Regno di Dio.

Cos’è successo di così grosso da trasformare gli Apostoli? È sceso lo Spirito Santo! Ma prima di tutto ciò dobbiamo vivere l’Ascensione come un fatto realmente accaduto all’uomo-Dio, Cristo Gesù. Infatti cosa significa la Sua Ascensione, se non che prima era disceso? E’ disceso per condividere la nostra natura umana (tranne il peccato) ma poi ha dovuto ritornare da dove era venuto (l’Ascensione), e per non lasciarci soli ci ha mandato lo Spirito Santo.

Ancora una volta, sposi carissimi, dobbiamo re-imparare a tradurre in atti il nostro amore per Dio e comunicarlo al nostro coniuge in primis. La nostra “conditio sine qua non” è che dobbiamo invocare lo Spirito Santo altrimenti non se ne fa niente.

Giorgio e Valentina.

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Una Casa Viva

Questa è la Prima Lettura di ieri, memoria di San Filippo Neri:

Dagli Atti degli Apostoli (At 16,11-15) Salpati da Tròade, facemmo vela direttamente verso Samotràcia e, il giorno dopo, verso Neàpoli e di qui a Filippi, colonia romana e città del primo distretto della Macedònia. Restammo in questa città alcuni giorni. Il sabato uscimmo fuori della porta lungo il fiume, dove ritenevamo che si facesse la preghiera e, dopo aver preso posto, rivolgevamo la parola alle donne là riunite. Ad ascoltare c’era anche una donna di nome Lidia, commerciante di porpora, della città di Tiàtira, una credente in Dio, e il Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo. Dopo essere stata battezzata insieme alla sua famiglia, ci invitò dicendo: «Se mi avete giudicata fedele al Signore, venite e rimanete nella mia casa». E ci costrinse ad accettare.

Questo breve brano ci racconta in particolare della fede semplice e genuina di una donna di nome Lidia, di lei ci sono giunte solo poche e scarne informazioni, ma sono quelle essenziali per fare qualche riflessione.

La prima riflessione è che tra i primi discepoli del Signore, spiccano le donne. Ma perché? Dobbiamo innanzitutto sapere che eravamo agli albori del cristianesimo, il quale non era ancora ben visto se non addirittura osteggiato e perseguitato, la cultura dominante non dava troppa importanza al valore delle donne, perciò per esse era abbastanza semplice passare inosservate nel recarsi al luogo della preghiera. Sappiamo che la salvezza di Dio passa attraverso l’umanità, anche quando tutto sembra remare contro, ed infatti il Signore ha usato questa situazione contingente della società volgendola a proprio favore; se le donne fossero state seguite dai persecutori non avremmo avuto quella rapida diffusione del Vangelo che invece si è verificata.

La seconda riflessione che la fede è passata da Lidia al resto della propria famiglia, qualcuno potrebbe dire che era una consuetudine all’epoca, però di fatto sono stati battezzati tutti i membri della famiglia, ed è ragionevole pensare che per famiglia si intendesse includere anche genitori o parenti stretti, forse anche la servitù, oltre a coniugi e figli. Ma aldilà del numero dei componenti del nucleo familiare vogliamo mettere in luce come dal cuore di una mamma di casa, la fede si irradia anche nel cuore di tutti quasi per osmosi.

La terza ed ultima riflessione è che in quella casa sono stati ospitati due tra i più grandi evangelizzatori, e dai racconti degli Atti, non era nè la prima nè l’ultima volta. Non ci viene raccontato cosa accadeva in quelle case durante il soggiorno degli Apostoli, ma possiamo supporre che quelle case diventassero come delle moderne aule di catechismo, come delle oasi di preghiera, come dei piccoli templi ospitando quella che poi verrà chiamata Santa Messa. E sicuramente gli Apostoli traevano grandi insegnamenti da questi soggiorni casalinghi, poiché se loro predicavano la fede nel Signore Gesù annunciando la Sua Salvezza, le mamme di quella casa erano l’incarnazione di quella fede raccontata da essi.

Questi episodi ci testimoniano di come i due Sacramenti dell’Ordine e del Matrimonio siano vitali l’uno per l’altro, in un continuo sostegno ed arricchimento reciproco. Le mamme e le spose quindi, hanno un grandissimo ed elevato compito nell’essere fede incarnata, il compito di arrivare al cuore di tutti i membri della casa, a volte anche senza parole. Coraggio.

Giorgio e Valentina

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Piedi che salvano

Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza. (Is 52,7)

Questo breve estratto dal libro del profeta Isaia è l’Antifona della Santa Messa odierna in cui si celebra la memoria di San Bernardino da Siena (8/9/1380 – 20/5/1444), un grande predicatore. Ma questo santo viene ricordato anche per aver dato un particolare impulso alla diffusione del famoso trigramma “IHS” che è l’abbreviazione acronima del Santissimo Nome di Gesù, ma tra le varianti la più diffusa, detta appunto di San Bernardino, è “Iesus Hominum Salvator”, ovvero “Gesù Salvatore dell’umanità”.

La devozione particolare al Santissimo Nome di Gesù ha reso famoso San Bernardino anche tra i suoi contemporanei, ma il fatto che sia lontana a noi nel tempo non significa che essa abbia perso di importanza o sia sorpassata da un’altra. Sappiamo bene che il nome di Gesù significa “Dio salva/Dio è salvezza”, perciò ogni volta che pronunciamo questo nome è come se dicessimo “Dio salva”.

Inoltre bisogna sempre tenere presente che è un nome che viene dal Cielo, non è un qualsiasi nome umano, è un nome imposto dall’Angelo che lo comunicò a San Giuseppe: “ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù” (Mt 1,21).

Quindi ogni volta che ripetiamo questo nome stiamo dicendo non solo una Parola di Dio, stiamo dicendo La Parola(Il Verbo) di Dio fatta carne, stiamo usando un linguaggio del Cielo, stiamo dicendo il nome che è stato sulle labbra della Madonna, sulle labbra di San Giuseppe, il Nome pronunciato dall’Arcangelo Gabriele.

Dire “Dio salva” è la stessa cosa che pronunciare il nome di Gesù. Il brano di Isaia ci ricorda di come siano belli i piedi del messaggero che annuncia la salvezza, ma possiamo tranquillamente sostituire la parola salvezza con Gesù: come sono belli i piedi del messaggero che annuncia Gesù.

Cari sposi, quante volte abbiamo visto il nostro coniuge venirci incontro? Quante volte abbiamo visto camminare verso di noi il nostro coniuge? Quante volte abbiamo guardato i suoi piedi mentre ci veniva incontro per un abbraccio?

Gli sposi sacramentati sono l’uno per l’altra il segno tangibile, sensibile ed efficace della Grazia di Cristo, e quindi sono la manifestazione corporea della salvezza di Gesù. Solo guardando il nostro sposo/sposa come messaggero di salvezza riusciamo a scorgere quando Dio ci ami in maniera unica e personalizzata.

Solo guardando così il nostro coniuge, allora potremo dire con Isaia: Benedetti quei piedi che camminano verso di me, perché sono i piedi del messaggero di Gesù, anzi, sono i piedi che Gesù usa per amarmi, per venirmi incontro.

Coraggio sposi, ripetiamo spesso al nostro coniuge il Santissimo e dolcissimo nome di Gesù.

Giorgio e Valentina.

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L’Asso nella Manica

In questo giorno di festa ricorre l’anniversario della prima apparizione della Vergine Maria ai tre pastorelli in quel di Fatima, avvenuta il 13/05/1917: una data tanto cara ai comuni fedeli che si affidano alla Madre di Dio ogni giorno recitando il Santo Rosario. Si potrebbero dire molte cose su quest’apparizione, così abbiamo deciso di estrarre un particolare di quel “primo” 13 Maggio, riportato da Lucia, la più grande dei tre pastorelli:

“Eravamo tanto vicini che ci trovavamo dentro la luce che La circondava o che Ella stessa spargeva attorno. Forse ad un metro e mezzo di distanza, più o meno.”

Ovviamente sono parole di una ragazzina e nemmeno molto erudita, ma la bellezza raccontata così semplicemente ci fornisce un meraviglioso assist per la nostra vita:

più ci avviciniamo alla Madonna e più siamo avvolti dalla luce celeste.

Molte coppie ci raccontano di avvertire una strana sensazione tra loro, come se tra loro ci fosse un muro, ma non un muro fisico, un muro nero, un muro buio, un muro fatto di oscurità, e ovviamente non riescono a vedere l’altro oltre questo buio.

Gratta gratta e si scopre che non stanno vicini alla fonte dell’Amore, non vivono cioè in amicizia con Dio. Ma se questa potrebbe sembrare un’analisi troppo fredda e rigida, forse è meglio fare qualche passo indietro.

Succede talvolta che qualcuno si irrigidisca appena sente parlare di Gesù, non lo fa certamente con malizia, solitamente è una reazione dovuta a qualche preconcetto culturale o ideologico, quasi certamente è cresciuto in contesti in cui l’incontro con Gesù non è stato facilitato (quando va bene) oppure addirittura impedito.

Ma siccome il detto popolare recita che la mamma è sempre la mamma, ecco che allora ci si presenta una seconda possibilità: la mamma di Gesù. Di solito una mamma degna di tale nome è sempre protesa verso il futuro del proprio figlio, non sarebbe un mamma seria se le sue scelte educative fossero solo dei surrogati per riempire il proprio ego o il proprio desiderio di maternità.

Una mamma dona tutto ciò che ha di più prezioso per il futuro del figlio, e questo è ancora più evidente nel parto, poiché la mamma è pronta a mettere a repentaglio la propria vita pur di dare alla luce un figlio.

Una mamma mette sempre tutti d’accordo in famiglia, la mamma tiene le redini delle relazioni famigliari, non certamente come un despota ma come servizio; succede spesso che un figlio sappia qualcosa del fratello parlando al telefono con la mamma piuttosto che dal fratello stesso, insomma una (buona) mamma non fa litigare nessuno.

Quando si incontrano due mamme si raccontano sempre con entusiasmo i progressi dei propri figli piuttosto che i propri acciacchi perché il loro amore per i figli è tanto grande che il proprio ego passa in secondo piano.

E la Madonna è il prototipo di mamma, lei è la mamma perfetta, la “tota pulchra”, la tutta bella… se cè una mamma che mette tutti d’accordo è proprio lei. Sentiamo spesso persone, che non mettono piede in chiesa da anni, chiedere un aiuto alla Madonna, anche solo con poche sillabe; lo si nota anche in qualche processione mariana, ove non è insolito vedere persone che normalmente non vedi mai a Messa; e che dire dei tantissimi giardini delle case ove c’è una piccola grotta con una statuina della Madonna sormontata da rose.

Cari sposi, se non sapete che pesci pigliare per rimettere in piedi il vostro matrimonio, per dipanare le tenebre che ci sono tra voi due, avvicinatevi alla Madonna come è successo ai tre pastorelli di Fatima, allora la Sua luce avvolgerà il vostro matrimonio così come ha avvolto quei tre bambini in quel 13 Maggio.

Siccome il Signore ci conosce bene e sa che tutti veniamo al mondo da un rapporto viscerale con la mamma, allora ha usato la Sua Madre come un espediente per raggiungerci. La Madonna è quindi come l’asso nella manica per Dio, e lei non fa altro che portarci Gesù.

Coraggio sposi, se volete un matrimonio luminoso avvicinatevi alla luce della Madre di Dio.

Giorgio e Valentina

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