Cap. XIX – Pinocchio è derubato delle sue monete d’oro, e per gastigo, si busca quattro mesi di prigione.
In questo capitolo emerge il tema della giustizia, o meglio, del giudizio. Ancora una volta, forse in modo inconsapevole, il Collodi fa vivere al suo protagonista un’esperienza molto simile a quella di Gesù durante la Sua ora, quella della Passione. Infatti il burattino passa da innocente a colpevole, da truffato a truffatore e si ritrova in prigione, si affida ad una giustizia terrena che è descritta in modo caricaturale “Il giudice era uno scimmione della razza dei Gorilla[…]” forse per soppesare che non è la vera e assoluta giustizia divina. Non sappiamo se il Collodi avesse in mente questo paragone, forse voleva solo lanciare una critica dallo stile ironico al proprio mondo, ma di fatto ci dà lo spunto per riflettere sul tema del giudizio.
E non ci stiamo riferendo al giudizio particolare, quello cioè che aspetta ogni anima all’arrivo nell’aldilà, ma del giudizio in senso più largo, quello che alberga dentro le nostre coscienze, quello che smuove le nostre azioni.
Senza il giudizio tutta la vita si appiattisce, cosa è grande e cosa piccolo? Cosa è vero e cosa è falso? Cosa è bello e cosa brutto? Cosa è giusto e cosa ingiusto? Si capisce subito che senza un giudizio vivremmo come in uno stagno ove l’acqua non ricircola e non si rigenera, tutto è torbidamente uguale.
Verso la fine del capitolo Pinocchio esce di prigione con uno stratagemma: accetta i valori culturali prevalenti e fa autocritica: “Sono un malandrino anch’io“, cede agli schemi convenzionali che lo circondano, alle aspettative sociali, però, così facendo, rinuncia alla verità su se stesso. Il pentimento è molto diverso, poiché in esso l’uomo è conquistato dalla forza della verità, si arrende a Dio e ridiventa uomo, mentre con questa sorta di autocritica mondana l’uomo si arrende all’uomo e si disumana perché perde la propria identità, la verità su se stesso.
Cari sposi, abbiamo tanto da imparare da questo capitolo di Pinocchio, non lasciamoci ingannare dal mondo con i suoi schemi pur di scampare alla prigione.
Facciamo solo un esempio concreto per esplicitare meglio il concetto: una coppia vive una crisi profonda a causa di un adulterio, ecco che la giustizia di questo mondo (lo scimmione della razza dei Gorilla) suggerisce di trovarsi un altro e loda la coppia che riesce a farlo con la scusa infondata e balorda che ogni coniuge “ha il diritto di rifarsi una vita“; se invece questa coppia decide di prendere il toro per le corna e affrontare tale crisi con tante fatiche e dolori, quali il perdono, la riconciliazione, la fatica di ripartire, di ricominciare una relazione, di riconquistare il proprio coniuge, di aspettare che ritorni, di affidarsi alla Providenza con la preghiera, il sacrificio… ecco che la coppia viene “messa in prigione” alla stregua di Pinocchio, da degna di benevolenza passa a degna di biasimo da parte di amici, parenti e familiari.
Per uscire da questa prigione basta conformarsi al mondo e dichiararsi “malandrino” come fa Pinocchio pur di uscire da dietro le sbarre.
Voi che fareste? Buona meditazione.
Giorgio e Valentina.
Grazie.
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Non si può dire, se non attraversi personalmente questa fase: certo è, che sarebbe difficile perdonare e ricominciare se manca la fiducia.
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Grazie del tuo contributo, noi abbiamo solo voluto fare un esempio, che comunque è l’esempio di santità che il Catechismo indica, pieno di tanta sofferenza e mortificazioni e dolori, ma il cammino giusto è sempre quello della croce.
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